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23. L'ALTALENA

-Mia madre?- il mio cuore si fermò, per un attimo che mi parve eterno. La vista mi si annebbiò. Non potevo credere a quelle parole.

Per tutta risposta Algol estrasse dalla tasca un foglio piegato in quattro parti, che mi porse.

Lo presi, la consapevolezza quasi dolorosa di qualcosa di enorme che mi premeva il petto. Lo tenni in mano, senza avere il coraggio di aprirlo. Cosa ci poteva essere là dentro? Non lo sapevo. Deglutii, il cuore che mi saltava in gola. I polpastrelli sfregarono contro la carta ruvida.

-Non riguarda direttamente tua madre- aggiunse Algol, lo sguardo su di me -non ti farei mai vedere qualcosa che tu non possa sopportare-

Quelle parole mi sorpresero. Teneva quindi veramente a me? Senza dire nulla aprii il foglio. Era un articolo stampato dal web.  Riguardava la scomparsa di una certa Blaise Nomer, risalente a quindici anni prima. La ragazza sorrideva in una fotografia, i capelli scuri lasciati sciolti sulle spalle, i grandi occhi che brillavano, le gambe magre lasciate scoperte da un abito color panna. Assomigliava leggermente a Susy White. Il mio cuore barcollò. Non assomigliava solo a Susy, ma anche a me... e quindi a mia madre.

-Non può essere stata presa dalla stessa persona- sussurrai, il cervello che viaggiava rapidamente.

Algol si strinse nelle spalle. Era turbato?
Se provava qualcosa lo nascondeva molto bene.

-Credi che... - tentai, la confusione che mi faceva a pezzi la mente.

-Forse, questo spiegherebbe perché tuo padre non ne vuole parlare-

Inspirai a fondo, quindi infilai il foglio in borsa. -Se fosse... -

-Ho un piano, ma non è questo il momento per rivelartelo- concluse, prima di ricominciare a camminare.

Lo seguii lungo il sentiero, la ghiaia che cigolava sotto le nostre scarpe. Conoscevo bene quel tratto. Mi ci portava spesso mia madre. I miei occhi corsero alla ricerca della vecchia altalena, i ricordi dell'infanzia che mi bagnavano il cuore. Gioia, nostalgia, dolore, perché nella maggior parte dei ricordi più belli alla fine s'insidia sempre un po' di dolore. La vidi quasi subito. L'altalena era lì, dondolava leggermente, mossa dalla dolce brezza. Mi fermai, non potei farne a meno.

-Vuoi salire sull'altalena- comprese Algol, sorridendo –perché non lo fai?- domandò, gli occhi brillanti come ametista.

-Sono adulta- gli ricordai. Era strano stare lì con lui.

-E questo cosa vuol dire?- mi passò un braccio intorno alla vita, una stretta forte, quindi mi spinse verso l'altalena.

-Ehi!- protestai.

-Non voglio sentire ragioni- disse, il tono deciso.

Sospirai e mi lasciai guidare, mentre una piccola voce dentro di me, mi diceva: perché no? Perché non salire su quell'altalena? L'ultima volta che lo avevo fatto era stato poco prima che mia madre... scomparisse. Il pomeriggio prima, ricordai. Sentii un groppo in gola. Era stata la nostra ultima uscita. Mi sforzai di rievocare il suo volto, mentre mi lasciavo cadere sul sedile di legno della vecchia altalena. Nulla, il suo viso scompariva e ricompariva, sempre un po' diverso. Lo scacciai.

-Visto che non era così difficile- disse Algol.

-Non mi piacciono le altalene- mentii.

-Allora perché la guardavi in quel modo?- mi venne di fronte e si abbassò, in modo tale che i suoi occhi fossero alla stessa altezza dei miei. Ignorai quel suo profumo che mi dava alla testa.

-Fai sempre tutte queste domande?- chiesi, per distogliere l'attenzione.

-Sono curioso-

Socchiusi stancamente gli occhi. Algol sapeva essere sfibrante, riusciva a conficcarsi nelle parti scoperte dell'anima e analizzare ogni angolo.

-Allora?- insisté –Lo sai che non mi arrendo-

-Ci andavo con mia madre- ammisi, tutto d'un fiato, prima di ripensarci.

Sembrò che quelle semplici parole colpissero Algol. Si fermò, pallido, e mi fissò, lo sguardo viola che pareva quasi sbiadito. Aprii le labbra per dirgli qualcosa, qualsiasi cosa... e il suo viso tornò normale. Se non fosse stato per un lampo nei suoi occhi, beh, avrei pensato di essermi immaginata tutto. –Deve essere bello avere dei ricordi della propria madre- borbottò, rapidamente. Mi sorpresi a pensare che forse Algol non era impenetrabile come appariva. –Perché non ci prendiamo un gelato?- mi chiese, come per spostare l'attenzione su qualcosa di meno pericoloso. Mi chiesi se per un attimo non fossi stata in bilico su un suo segreto.

-Perché no?-

Qualche minuto dopo eravamo seduti su una panchina, un cono a testa in mano. Io avevo scelto la cioccolata e il pistacchio. Rivoli di gelato scivolavano tra le mie dita, rendendole appiccicose. Algol aveva voluto un solo gusto, la stracciatella.

-Perché solo uno?- indagai, leccando il mio. Notai, con un misto di imbarazzo e di divertimento, che stava seguendo con attenzione i miei movimenti.

-Perché dovrei desiderarne due quando la stracciatella è il mio gusto preferito... sono capace di amare appassionatamente solamente una cosa- e lo sguardo lampeggiò, facendomi trasalire il cuore.

-Un ragionamento sensato- mi ritrovai a dire, abbassando lo sguardo sull'erba illuminata dal sole.

-Comunque ci sarebbe un modo più divertente per mangiare questo gelato... per esempio spalmartelo addosso e poi leccarlo- dichiarò.

Avvampai. –Ma cosa dici?- esclamai.

-Voglio farti diventare rossa... e voglio conquistare il tuo cuore-

-Non dirmi che vuoi ancora farmi innamorare di te?- chiesi, ironica.

Un sorriso piegò le labbra di Algol. –Secondo me tu sei già un po' innamorata del sottoscritto-

-Ti piacerebbe, vero?- esclamai, troppo rapidamente. Non volevo che lui capisse. Non doveva assolutamente capire.

Algol rise, una risata che pareva quasi sfiorarmi come una carezza. Deglutii, il cuore in gola, cosa stava succedendo? –Scommettiamo che riuscirò a farti innamorare-

-Non ci riuscirai-

-Staremo a vedere- strizzò l'occhio, quasi come se fosse mio complice. Lui non era mio complice.

Finimmo il gelato in silenzio, l'aria fresca che mi muoveva i capelli, il turbamento che aumentava sempre di più. Di fronte a noi c'erano gli stessi ragazzini di prima che giocavano con la palla.

-Vuoi un passaggio in moto?- mi chiese.

Scossi la testa. –Posso tornare a casa a piedi-

Algol si strinse nelle spalle. –Una moto è più veloce- poi si spinse in avanti e fece una cosa che non avevo previsto, mi tirò indietro una ciocca di capelli. Un gesto apparentemente casuale. Le sue dita accarezzarono la mia pelle. Esplosioni di fuochi d'artificio. Le ignorai.

-Non importa... senti, tu sei il ragazzo di mia sorella, senza contare i contrasti con la mia famiglia... noi due non dovremmo neppure parlarci-

-Sorellastra- disse lui –Anne è la tua sorellastra-

Sospirai. –Non cambia la sostanza-

-Cambia tutto... - sospirò -la tua bambola ha già iniziato il suo viaggio?-

Scossi la testa, confusa. Perché me lo chiedeva? -Ce l'ho in borsa- ammisi.

-Beh, che ne dici di farle fare un giro al parco?-

Restai sorpresa, poi annuii. Era un'ottima idea in effetti. La tirai fuori. Le mani mi tremavano. L'effetto Algol. Mi sforzai d'ignorare il turbamento che mi confondeva. La bambola era piccola e fragile tra le mie mani. Mi guardai intorno. -Dove posso... -

Algol agì. Me la sfilò di mano, quindi la portò su una panchina dove la posizionò, in piedi, con una delicatezza che era assurda su di lui. -Ecco, fotografala-

Ubbidii, con il cuore che mi martellava nel petto. Mi stava davvero aiutando a fare qualcosa che lui considerava stupido?

-Grazie- biascicai, quando finimmo.

-Oh, non t'illudere, non faccio mai nulla per nulla... ora devi per forza accettare il mio passaggio-

-In moto?-

-Certo!- mi prese per mano, il suo palmo caldo contro il mio -Su, andiamo!-

La moto -enorme e rossa come le fiamme- era parcheggiata fuori dal parco. Algol mi lasciò la mano -facendo esplodere un senso di vuoto- e andò ad aprire il sellino -si chiama così quello delle moto?- da cui estrasse due caschi in perfetta tinta con il veicolo.  -Ecco qua- s'infilò il suo, quindi avanzò verso di me con l'altro.

-Ehm, io... -

Algol mi mise il casco, le dita che accarezzarono, quasi casualmente, il mio viso. Lo agganciò, un movimento rapido e delicato. I brividi mi correvano lungo il corpo. Non ero mai andata in moto... e poi essere così vicina a lui...

-Ehi, andrà bene, stringimi e lasciati andare- mi rassicurò.

Stringerlo e lasciarmi andare... parole ambigue tra le sue labbra. Lasciai comunque che mi aiutasse a salire sulla moto, il cuore che fremeva, le mani sudate, la sensazione  di svenire da un momento all'altro. Le sue mani premettero sui miei fianchi, sostenendomi. Bruciavano come carboni ardenti. Salii sulla moto, dove mi sforzai di mantenermi in equilibrio fino a quando Algol non si mise di fronte a me. La sua schiena era ampia e dava una certa idea di forza.

-Ehm, dove devo tenermi?- domandai in un soffio.

-A me- rispose allegramente.

Ghiaccio che correva su tutto il mio corpo. -A te?-

-Certo e tieniti bene... così- e accompagnò le parole con l'azione. Mi prese le mani e se le portò davanti, proprio sui suoi addominali, che potevo sentire perfettamente, nonostante il tessuto. Deglutii, okay, dovevo mantenere la calma... perché all'improvviso faceva così caldo? L'aria era bollente!

-Ehm, così?-

-Sì, devi lasciarti andare, non essere rigida e tieniti bene- e sfrecciò per la strada, senza indugiare oltre.

Terrorizzata... no, il termine è troppo riduttivo per descrivere quello che provavo. Lanciai un debole gemito. Mi sentivo in precario equilibrio. Un senso di panico mi artigliò la gola. Sarei certamente caduta! Già mi vedevo sul notiziario. Ragazza cade dalla moto e...

-Meno rigida, rilassati- le parole di Algol mi raggiunsero con fatica. Cercai di ascoltarlo e aderii con il mio corpo al suo. Successe così. Il contatto con lui mi rilassò e una consapevolezza mi attraversò la mente, come un fulmine.

I nostri corpi erano nati per completarsi, come pezzi di un puzzle. Mi strinsi ancora di più, aderendo con il mio petto alla sua schiena, respirando il suo profumo, che mi entrava dentro, scuotendo ogni cellula del mio corpo. Le palpebre mi si abbassarono e mi lasciai andare, seguendo ogni suo movimento. Era quello il trucco, compresi, lasciarsi guidare, fidarsi. Io però non sapevo fidarmi. Ripensai ad Algol, bambino, che mi porgeva la mano. Ricordai mio padre, sempre troppo occupato. Mi venne in mente Megan, il viso d'angelo, che mi colpiva con uno schiaffo quando io ero solo una ragazzina. E poi, non so come, fu calma. No, non mi ero mai fidata, ma forse ad Algol dovevo dare una possibilità.

Quando si fermò il mio cuore batteva forte. In silenzio scese e mi aiutò a fare lo stesso. Mi tolse il casco fingendo di non vedere le lacrime. Eravamo a un isolato da casa mia. Non voleva crearmi problemi con Megan o Anne.

-Se hai bisogno di qualcosa io ci sono- le sue parole valsero più di qualsiasi cosa.

Gli buttai le braccia al collo e lui, dopo un leggero indugio, rispose al mio abbraccio. Nessuna domanda, solo noi due stretti, come se volessimo diventare una sola persona.

-Capiremo cos'è successo a tua madre- sussurrò -te lo giuro-

Non riuscivo a credere a quelle parole. Quando ci staccammo il viso di Algol era imperturbabile come sempre. Risalì sulla moto, senza aggiungere una parola. Sembrava un cavaliere moderno, con il suo cavallo di scintillante metallo. Il cuore mi si strinse in una morsa.

-Ci vediamo domani... alla festa-

-Quale festa?- chiesi confusa.

Algol però si limitò a ridere e ripartì sulla sua moto. Lasciandomi smarrita.

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate delle ultime cose che sono successe?

A presto

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