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2. VECCHI RICORDI E NUOVI FATTI

Da bambina fissavo la grande villa di Algol con un misto di ammirazione e tormento. Cosa c'era davvero là dentro? Cosa succedeva in quelle grandi camere che immaginavo nella mia mente? La fantasia correva in mio aiuto, così fantasticavo di creature dall'aspetto tenebroso ballare, illuminati dalla pallida luce della luna. Fanciulle con gli occhi neri come la notte e abiti cuciti con fili d'erba. Cavalieri dalla risata crudele, la spada al fianco. Morivo dalla voglia di sapere, io dovevo sapere. Eppure non avevo mai avuto  il coraggio di andare a vedere. Mia madre mi raccomandava di stare lontana, di non avvicinarmi mai.

-Lì dentro ci sono i demoni- mormorava, lo sguardo ambrato come il mio perso nel vuoto. Avevo sempre percepito qualcosa di strano nella sua voce, come se stesse nascondendo un segreto che non avrebbe mai avuto il coraggio di rivelare. Un attimo dopo però il suo turbamento scompariva. Mia madre era così, capace d'illuminare la mia anima con un sorriso.

Spesso mi capitava di prendere i libri dalla sua biblioteca personale. Era la nostra passione, la cosa che ci legava con catene impossibili da rompere. Entrambe amavamo le storie. Per questo mi aveva chiamata Shahrazade, come la protagonista de "Le mille e una notte", nella speranza che un giorno imparassi a tessere fiabe. Nei lontani giorni della mia infanzia mi piacevano soprattutto i volumi  con mille disegni che riempivano le pagine. Osservavo quelle vecchie immagini che profumavano d'inchiostro e di proibito. Ne ricordo una in particolare, che attirava sempre la mia attenzione. Il mostro Lilu, con le sue ampie ali nere, si piegava su una fanciulla bianca come la neve, gli occhi chiusi, avvolta in un sonno profondo. Restavo per ore a fissarla incantata, chiedendomi che incubi provocasse a quella delicata creatura. In un'altra immagine la stessa fanciulla si divincolava nel letto, il corpo teso. Lilu la fissava, sorridendo. Un sorriso storto. Non sapevo ancora che avrei sempre collegato lui ad Algol. Beh, all'epoca non conoscevo neppure Algol, anche se chissà come, una parte di me era a conoscenza di lui... è una cosa che non potrò mai spiegare a parole. Una sensazione che mi graffiava il cuore. 

Il primo giorno di scuola avevo finalmente incontrato uno di quei misteriosi demoni che secondo mia madre abitavano la vecchia tenuta. Algol. La prima volta che l'avevo visto mi ero immobilizzata, incredula. Non avevo mai incontrato un essere che di umano avesse così poco, una creatura così perfetta. Era un bambino, certo, poco più alto di me, ma in lui c'era già qualcosa che non avrei saputo definire. I suoi occhi viola sembravano aver visto qualsiasi cosa al mondo. Erano occhi di un colore impossibile. Sembrano cambiare sfumatura in base alla luce. La sua unica anomalia era quella macchiolina nell'iride destra. Una macchiolina che svelava chi era. L'avevo fissato, non potendo fare altro. Qualcosa in lui attirava la mia attenzione, come una calamita.  Lui si era voltato verso di me di scatto, gli scuri capelli scompigliati che gli ricadevano sul volto bianco. Ci eravamo guardati per un lunghissimo momento, poi lui aveva riso, una risata crudele, che mi aveva straziato l'anima in un modo che all'epoca mi aveva scosso.

-Cos'hai da fissarmi?- aveva chiesto, la voce bassa ma capace di farmi stringere lo stomaco.

-Nulla- mi ero affrettata a dire. Non sapevo che stavo recitando quello che poi sarebbe diventato il solito copione tra noi due.

-Allora vattene- aveva ringhiato.

E così era iniziato il nostro rapporto. Tutti sussurravano quando ci vedevano passare. Eravamo rivali. Tutti sapevano dell'odio che caratterizzava i rapporti tra i nostri padri. Eravamo nemici naturali, come un gatto e un topo. Chi poi fosse il gatto e chi invece il topo era semplice da capire.

In Algol non c'era nulla di umano e la storia che si raccontava in giro, che fosse nato in una notte di luna piena e che sua madre se ne fosse andata il giorno successivo, mi sembrava sempre più vera. Nessuno però ne parlava di fronte a lui, sospettavo che avessero paura della sua reazione.

La mia infanzia era stata caratterizzata dai soprusi di Algol. Ogni occasione era ideale perché lui si prendesse gioco di me. Mi prendeva in giro, mi spintonava, mi graffiava, mi tirava i capelli e i vestiti. Strappava ogni brandello di me, incurante di ciò che potevo provare io. Unica regola era che non ci fosse nessuno. Algol era attento a questo. Era il mio carnefice solo quando era sicuro che nessuno potesse accusarlo. E io ero la sua vittima. Non potevo ancora sapere che a volte il confine tra vittima e carnefice è molto labile.

-Perché?- gli chiesi una volta.

-Per le nostre famiglie... non lo sai?- fu la sua risposta, prima di voltarsi e tornare in mezzo agli altri bambini. Ero certa, anche se non potevo vederlo, che il suo sorriso fosse quello da bravo bambino.

Poi era successa una cosa che mi aveva confusa ancora di più. Una volta era arrivato un altro bambino. Una creatura crudele con i capelli scuri e lo sguardo torvo. Era subito diventato amico di Algol, suscitando la perplessità degli insegnanti che non comprendevano come una creatura apparentemente buona come Algol potesse accompagnarsi con un tipo così. Sembravano andare d'accordo, fino a quando non era successo ciò che sospettavo sarebbe successo. Il nuovo arrivato se l'era presa con me. Mi aveva spintonata in cortile, facendomi cadere in una pozzanghera di fango. Non contento aveva preso la mia bambola ed era corso via. Solo in quel momento mi ero resa conto che Algol stava osservando la scena, i capelli scuri sugli occhi, appoggiato contro l'alto recinto, un'espressione indecifrabile sul viso.

-Ti sei divertito, eh?- gli avevo urlato, gli occhi che mi bruciavano per le lacrime.

Lui non aveva risposto, si era limitato a fissarmi ancora un attimo prima di voltarsi e andare via. Lacrime gelide come neve mi avevano percorso le guance. Ero rimasta immobile nel fango, come una statua di ghiaccio, non riuscendo a trovare la forza per sollevarmi. Non potevo farlo, non potevo affrontare la realtà. Era troppo dolorosa.

Lo venni a sapere solo il giorno successivo. Il nuovo arrivato era caduto e si era rotto il naso. Quando lo avevo incrociato per i corridoi avevo notato che aveva anche un occhio nero e che, cosa più strana, non mi guardava neppure. Più tardi avevo trovato la mia bambola posata sul mio banco. Era intatta. Non avrei saputo dire come, ma avevo compreso che si trattava di Algol. Era stato lui a difendermi. Perché lo aveva fatto? Non lo capivo, ma c'erano molte cose di Algol che non comprendevo. La maggior parte.

-Grazie- gli avevo detto quando lo avevo visto, tempo dopo.

Algol mi aveva fulminato con lo sguardo. –Io non ho fatto nulla- la sua voce era tagliente come una lama. Io però sapevo che era stato lui, avevo scorto il bagliore nel suo sguardo.

E così era proseguita quella storia. Nemici, indissolubilmente legati.  Eppure c'era qualcosa che ci rendeva simili, un filo invisibile che percorreva entrambe le nostre vite. 

Da casa mia potevo vedere la sua. A volte, quando lasciavo la mia finestra aperta potevo sentire una musica dolce e melanconica scivolare dentro, accarezzando qualsiasi cosa incontrasse. Era bello sentirla. Incantevole. Non come i suoi quadri, certo, quelli erano straordinari, ma la musica era deliziosa. Conduceva in luoghi lontani, tanto lontani che difficilmente avrei potuto immaginare senza ascoltarla. Erano storie tristi, dolci, inebrianti... che all'improvviso diventavano crudeli e folli.

Chi avesse visto le sue opere d'arte invece avrebbe potuto credere che fossero opera di un angelo. Chi potrebbe infatti avere un tratto così delicato? Chi potrebbe essere così visionario? Mi sarei persa per ore davanti a quelle linee decise, senza mai un indugio. Sembravano carezze fatte alla carta e trasmettevano una rara sensazione di serenità e calore. L'avevo spiato mentre li realizzava. Il suo viso era rilassato, lo sguardo attento e luccicante, un mezzo sorriso gli piegava le labbra. Non potevo quasi credere che fosse lo stesso demone che si divertiva a tormentarmi, a farmi star male. Lo stesso che però era stato capace di difendermi. Cos'era realmente? Demone o angelo? Buono o cattivo? Dubitavo che un giorno lo avrei saputo. Era indecifrabile.


Il suono della campanella mi fece sobbalzare. La lezione era finita. Uscii dall'aula il più rapidamente possibile, lo zaino appeso a una spalla, evitando l'esodo di massa che seguiva sempre quel momento. Il piano era fuggire a eventuali discorsi di Miss Jarden e soprattutto ad Algol. Mi ritornò alla mente un'immagine, direttamente dal passato. Chiusi gli occhi, un attimo solo, cercando di scacciarla, sapendo bene di non poterlo fare. Era impressa a fuoco nella mia anima. Io che scivolavo da una di quelle sciocche giostrine per bambini. Algol che mi porgeva la mano, lo sguardo viola fiammeggiante, l'espressione tesa, le labbra che si piegavano in una smorfia.

-Prendila- la sua voce simile a velluto. Nessun doppio senso, nulla di nulla. Solo un essere umano che ne voleva aiutare un altro.

Ero rimasta sospesa per un tempo che mi era parso infinito. Dovevo accettare quella mano che mi veniva porta, quell'aiuto che veniva dal mio nemico? Ricordavo ancora tutte le sensazioni. I miei muscoli tesi, doloranti, le dita che stringeva la barra di ferro, le gambe che pendevano nel vuoto, il vento che mi accarezzava il viso e mi muoveva i capelli, facendomeli finire negli occhi. Per un attimo tutto era rimasto sospeso, come in un film. Come avrebbero battezzato quella scena se fosse stata dipinta? Bambina rifiuta l'aiuto di un coetaneo? Oppure semplicemente: la tentazione? Ogni tanto mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi preso quella mano. Algol mi avrebbe lasciata cadere, ridendo della mia fiducia? Oppure mi avrebbe sollevata? Non potrò mai saperlo, ma il tarlo rode. Non avevo accettato quella mano, le mie dita non avevano retto e io ero caduta a terra, storcendomi una caviglia e procurandomi diversi lividi.

Imboccai il corridoio a testa bassa, lo sguardo che scorreva sulle piastrelle rosse che ormai conoscevo a memoria, mentre la mia mente volava lontana, persa in quella mia folle ossessione...

Qualcosa mi trattenne. Voltai di scatto la testa, stringendo i pugni in un gesto automatico e rabbioso. Lo sguardo svampito e un po' sorpreso di Sarah mi fece rilassare.

-Scusa, non volevo spaventarti- esclamò, squillante, fissandomi da sotto il cappuccio della felpa rosa sollevato. Orecchie da coniglio spuntavano da sopra di esso. Mi chiedevo sempre come riuscisse a trovare cose così originali. Ogni tanto temevo che facesse a pezzi qualche povero peluche per crearli, ma poi scuotevo la testa. Sarah che fa a pezzi un peluche? Impossibile.

-Che ci fai qua?- le chiesi. Sorriso, dovevo sorridere.

-Sapevo che saresti uscita da letteratura e mi sono detta: perché non andiamo a mensa insieme?- rispose allegramente. I lunghi capelli castano chiaro ondulati le circondavano il viso rotondo spruzzato di lentiggini.

-Molto volentieri- mi sforzai di dirle.

Sarah era l'unica ragazza della scuola che avrei potuto definire un'amica. Non sapevo esattamente come il nostro rapporto fosse iniziato, sinceramente non avevo voglia di avere amiche. E se ne avessi cercata una, beh, probabilmente la scelta non sarebbe ricaduta su di lei. Sarah aveva un abito di brillanti ed eccentricità, leggermente eccessivo per una come me.  Un giorno l'avevo aiutata a scrivere un tema e lei aveva creduto che la cosa corrispondesse alla dichiarazione d'amicizia dell'anno. Sinceramente l'avevo aiutata solo per rimandare il mio ritorno a casa. Avrei fatto praticamente qualsiasi cosa pur di ritardare il mio rientro.

La verità era che non mi piaceva dare confidenza. Non mi fidavo delle persone. Una frase dura, no? Perché una ragazza giovane e carina non dovrebbe fidarsi degli altri? Non dovrei sostenere che tutti hanno il lato buono? Che bisogna solo saperlo cercare? Beh, l'ultimo grammo di fiducia me lo aveva  bruciato Thomas Yorak, due anni prima. Thomas era il classico maschio alpha, alto, muscoloso, affascinante... sì, un po' troppo per una come me. Aveva cercato di abbordarmi in diverse occasioni e alla fine avevo ceduto ed ero uscita con lui. Solo una volta. Sì, perché Thomas sarà anche stato bello come un dio greco, ma aveva i tentacoli di un polpo -o del Cthulhu per chi ama Lovecraft come me. Così io lo avevo rifiutato.

Lui, non felice di avermi fatto odiare il genere maschile -lo so, lo so, non sono tutti uguali, ma quelli sbagliati li trovo tutti io- era andato a dire in giro che gli avevo concesso tutto ciò che non gli avrei mai dato. Fortunatamente Thomas aveva cambiato scuola un mese dopo. Coincidenza? Beh, non proprio, o meglio questa coincidenza ha un nome e un cognome. Algol Mallon con cui ha avuto una piccola discussione in cui lui ha avuto la peggio. Povero Thomas -ironicamente parlando. Algol non gli avrebbe mai permesso di prendersi il suo giocattolo.

-Sai chi ho visto a matematica?- cominciò Sarah, ridacchiando –Naomi... hai presente chi è?-

Annuii, sforzandomi di sembrare interessata. In realtà Naomi non rientrava tra le mie simpatie. Era una ragazza alta, con i lunghi capelli neri –tipo la bambina di "The Ring"- che passava la maggior parte del tempo a cercare di  essere migliore degli altri. Alti voti a scuola, un gran numero di materie extrascolastiche, condotta perfetta, cose del genere. Il fatto era che Naomi faceva di tutto per farti notare che lei era meglio di te e del resto del mondo. Non aveva ancora capito che le perfettine non piacciono a nessuno. Non dubitavo che Anne, la mia sorellastra super perfetta, avrebbe fatto di tutto per ricordarglielo appena ce ne fosse stata l'occasione.

-Mi ha detto che è sparita un'altra ragazza- continuò Sarah, giocherellando con uno dei cordini della felpa.

Sentii i muscoli irrigidirsi e mi trovai a fermarmi, senza più controllare le mie gambe. –Un'altra?- chiesi, confusa.

Gli occhi marroni di Sarah lampeggiarono di entusiasmo. Finalmente aveva trovato un argomento di mio interesse. Beh, lei sapeva certamente che era di mio interesse. –Sì, per ora non è nulla d'ufficiale, è scomparsa solo da ieri sera, ma in giro si dice che non sia un caso-

-Potrebbe essere un caso- la contraddissi.

-La terza scomparsa in un anno? Dai, non è un caso- si passò una mano tra i capelli e potei vedere le sue dita, con le unghie smangiucchiate e le nocche sanguinanti.

-Chi lo sa- sussurrai, ma il mio pensiero correva alla vecchia leggenda, al Principe Oscuro che percorreva il paese di notte, con il suo mantello frusciante e... qualcosa mi sfiorò la vita. Solo uno sfioramento, ma sentii la pelle bruciarmi sotto la maglietta. Non dovetti voltarmi per sapere che era lui, perché solo Algol riusciva a farmi quell'effetto. Solo le sue dita erano tizzoni ardenti contro la mia pelle, capaci di ustionare e lasciare segni indelebili sulla mia anima.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di Algol?
E di Sarah?
Secondo voi questo capitolo è troppo lungo? Dovrei dividerlo?

A presto

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