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11. LE STELLE

Le sue parole arrivarono all'improvviso. Algol era quel genere di persone da cui non sai mai cosa aspettarti. Forse questo era parte del suo fascino.

-La mia stella- sussurrò Algol, fermandosi di colpo, tanto improvvisamente che per poco non gli finii addosso. Barcollai, cercando di mantenere l'equilibrio, poi lo guardai. La sua testa era reclinata all'indietro, a osservare quelle dame luminose e solitarie. A osservarne una in particolare. La sua stella.

Alzai lo sguardo anch'io. Il cielo nero era cosparso di puntini luminosi, ma io riconobbi subito quella di Algol. Lo sapevo anche se non avrei saputo dire il perché. Si trattava di una sensazione che strisciava lungo tutto il mio corpo. Algol brillava nel cielo, perfetta e accattivante, proprio come il suo omonimo. E il modo in cui splendeva mi faceva accelerare, chissà perché, il battito cardiaco.

-Lo sai cosa indica?- chiese Algol, una sfumatura rude e al tempo stesso vellutata nella voce. Una leggera brezza gli muoveva i capelli.

-No- ammisi in un soffio. Sentivo lo stomaco stretto in una morsa. Ero certa che la risposta non mi sarebbe piaciuta.

-Algol è la stella del demone... porta sfortuna- il modo in cui lo disse mi fece gelare il sangue nelle vene.

Feci scivolare lo sguardo su di lui, cercando di capire se stesse mentendo, se stesse giocando con me. Non era in fondo ciò che faceva sempre? Prima mi parlava della gara, poi mi rimproverava... lui adorava rendermi impossibile la vita. Algol continuava a fissare il cielo, gli occhi viola che splendevano, perfetti, tranne che per quel piccolo puntino bianco in mezzo all'iride. La pelle, bianchissima, brillava alla luce della luna. Osservai l'espressione assorta, il collo piegato all'indietro, a mostrare la gola, il pomo d'Adamo che andava su e giù. Vene azzurre scorrevano sotto la sua pelle. Una statua, pensai, le pulsazione che aumentavano e mi percorrevano il corpo. Sembrava una statua con il volto d'avorio. Algol abbassò di scatto la testa, come se si fosse reso conto che lo stavo fissando, quindi inclinò il viso. Lo sguardo era affilato, tagliente, aggressivo. Contrasse la mandibola.

-Puoi dare a un bambino il nome della stella del demone?- c'era accusa nella sua voce e qualcos'altro... dolore, compresi. Lui soffriva per questo... e c'era anche odio. L'oggetto era forse quel padre assente di cui tutti parlavano, ma che nessuno aveva mai visto? Oppure no? Bastò un attimo, poi quell'espressione furiosa, tormentata, scomparve dal viso di Algol. Sorrise, come sorrideva sempre, un angolo delle labbra più in alto, un sorriso che non arrivava agli occhi. Un sorriso falso. –Sherry... Shahrazade, giusto?-

Annuii. Il suo tono prometteva temporale e presto mi sarei trovata sotto una pioggia di cocci. Deglutii, la gola secca, quindi mi preparai a un urto che non arrivò.

-Mi piace, è un bel nome, evoca luoghi lontani... sai da dove viene, vero?- indagò, un cupo divertimento nello sguardo.

Sorrisi, non potei fare a meno di sorridere. Credeva davvero di sapere più lui di me sul mio nome? –Sì, proviene dalla protagonista de Le mille e una notte-

-Colei che usò la parola per salvarsi la vita... mentre in Occidente gli uomini si uccidevano sotto le mura di Troia per riavere una donna, in Oriente una ragazza riusciva a salvare sé stessa e molte altre solamente parlando, fa riflettere, no? Uomini e donne-

-Miss Jared sarebbe felicissima di sentire questo discorso- dissi, sarcastica. Perché era sempre una competizione con lui? Un gioco a chi sapeva di più, a chi valeva di più.

-Non è per lei- rispose, brusco. Il suo tono era quasi un insulto: tu non capisci. Era vero, io non lo capivo, anche se avrei voluto. Volere però non corrisponde ad avere.

-Potresti sempre farglielo- feci spallucce, quindi proseguii, fingendomi indifferente.

Algol si mise a camminare al mio fianco, in silenzio questa volta. Cercai d'ignorare la sensazione di... beh, difficile definirla. La presenza di Algol al mio fianco mi confondeva parecchio. Gelo e fuoco. E poi un'immagine si fece strada in me, con una forza tale da scuotermi l'anima. La mia schiena contro il suo petto, il suo braccio intorno alla mia vita, il suo respiro che mi accarezzava l'orecchio.

Al pensiero mi sentii quasi svenire. Dovetti lottare contro il folle impulso di appoggiarmi ad Algol, di trovare rifugio nel contatto con la sua pelle. Sarebbe stato bello abbandonarmi nuovamente tra le sue braccia, sarebbe stato...

Un fruscio. Algol si bloccò di colpo, facendomi cenno di fare lo stesso. Il suo sguardo si assottigliò, l'espressione divenne tesa. E poi la vedemmo.

Una coppietta che amoreggiava, appoggiata al tronco di un albero, come se al mondo non esistesse altro che il loro amore. Provai una fitta allo stomaco. Erano così felici... io non la sarei mai stata.

-S'ingannano a vicenda e neppure lo sanno- commentò Algol, caustico.

-Dici?- gli chiesi, la gola secca.

-L'amore è sempre bugiardo, è come la seduzione... e c'è sempre bisogno di un'altra persona, ingannato e ingannatore-

Non replicai subito, riflettei alcuni istanti, cercando una risposta che lasciasse un segno. Alla fine non ne trovai, quindi ripresi a camminare. -Che notte da brividi- mi ritrovai a dire, tanto per parlare.

Algol rise, seguendomi. -Se hai i brividi o hai la febbre... oppure hai visto me-

-Hai un ego smisurato- controbattei, ringraziando il buio perché non si vedesse che ero avvampata.

-Abbastanza- replicò.

Casa mia comparve così, quasi senza preavviso. Mi fermai di fronte al vecchio recinto bianco, lo sguardo che mi si posò per un attimo sul legno sbeccato. Il mio cuore sfarfallava nel petto. La parrucca bionda mi pendeva un po' di lato. Era arrivato il momento dei saluti. –Eccomi qua- dichiarai –ora puoi andare-

-Ti accompagno fin davanti alla porta- insistè lui.

Scossi la testa, continuando a dargli la schiena. Non volevo guardarlo in faccia, nonostante fosse già complicato stargli così vicino. Inspirai l'aria profumata della notte. Era come sentire il sole che ti brucia anche se non lo fissi. –Va bene così, posso andare da sola-

-Non passi dalla porta principale, vero?- ghignò, con un tono che, chissà perché, mi fece innervosire.

-Non sono affari tuoi- il mio sguardo era sempre fisso sul recinto rovinato. Seguivo quelle crepe, l'anima che mi tremava. Erano crepe che conoscevo fin da bambina, che avevano scandito la mia infanzia. Ora però mi sembravano nuove, come se non le avessi mai viste prima.

-Perché ti nascondi? Perché non combatti contro Anne?- la voce di Algol era più vicina e più melodiosa. Compresi che era a un passo da me e la cosa mi fece sobbalzare il cuore. Come riusciva a farmi questo?

-Non è affar tuo- protestai. Avrei dovuto allontanarmi. Non ci riuscii.

-Sì, invece- sentii le sue mani stringersi intorno alle mie spalle e trasalii, presa alla sprovvista. Avrei dovuto divincolarmi, staccarmi, correre via. Non ci riuscii, semplicemente il mio corpo non ubbidì. La sua pelle che bruciava la mia, la tempesta che si era scatenata dentro il mio petto, me lo impedirono. Restai lì, languida e arresa tra le sue mani. Lui si spinse in avanti e sentii la mia schiena aderire al suo torace. Stelle che mi esplodevano lungo la spina dorsale. Sembravamo due pezzi dello stesso puzzle, nati solo per quello. –Tu sei affar mio, per quanto ti ostini a negarlo-

Sbuffai, sforzandomi di sembrare infastidita. Mi concentrai sulla crepa del recinto. C'era una crepa anche in Algol, pensai. Ingoiai la tensione, cercando di non pensare alle ginocchia molli, alla testa che mi girava, al corpo che tremava. E poi successe, così, senza preavviso.

Le sue labbra si posarono sull'incavo del mio collo. Il respiro mi mancò. Cos'era quel brivido che mi percorreva completamente il corpo? Che non mi permetteva neppure di respirare? Che mi stordiva? Sentii il gelido contatto dei suoi denti... e poi affondarono nella carne. Lanciai un gridolino, sorpresa. E poi le labbra di Algol premettero dolcemente, come se volessero far passare quel dolore. Una sensazione di languore mi percorse l'anima. Il suo respiro caldo, mi sfiorò la pelle. Un lampo in una giornata di sole. Pioggia gelida sul fuoco. Un servizio di porcellane che cade a terra. Sensazioni che mi percorsero senza riuscire a dare un senso. E poi Algol si staccò all'improvviso, lasciandomi una strana sensazione di vuoto. Mi voltai, traballando, una mano che cercava il recinto per sostenersi. Chi era lui per farmi quello? Chi poteva essere per trasmettermi dei pensieri che non erano miei? Lo fronteggiai, lo sguardo fisso nel suo, due pozzi che brillavano come ametista. Ebbi l'improvvisa certezza che tra noi ci fosse una barriera di ghiaccio. Ricordai  che a toccare il ghiaccio bisogna stare attenti a non ustionarsi. Avrei voluto dirgli molte cose... non ci riuscii.

-Io... devo... devo andare- balbettai, quando mi resi conto che era difficile resistere, che c'era qualcosa in lui di magnetico. No, il termine magnetico era decisamente riduttivo. Non attesi la risposta, mi voltai e corsi dentro il giardino, accompagnata dalla sua risata. Una melodia liquida e scintillante. E dalla sua voce.

-Sei una vera tentazione, Sher-

La prima cosa che feci quando arrivai in soffitta fu quella di osservarmi allo specchio. Esaminai il segno rosso del marchio che Algol mi aveva lasciato. Ero confusa, stordita, forse arrabbiata. Perché lo aveva fatto? E perché non gli avevo dato uno schiaffo? Perché con lui era tutto difficile? Chiusi gli occhi e l'immagine del suo viso invase la mia mente. Sentii la pelle bruciarmi. Lui voleva toccarmi... ma non voleva neppure che io lo sfiorassi. Cosa voleva dire? Mi sfuggì una risatina nervosa dalle labbra.

Quella era la fiaba in cui ero finita, solo che non era quella in cui avrei voluto essere. Quei castelli di carta, quelle strade lastricate di parole prive di senso, quella pioggia d'inchiostro che mi picchiettava sul viso, sugli abiti, sui capelli. Era la fiaba sbagliata. Ero finita in una fiaba in cui io giocavo alla fanciulla in pericolo e lui era il mostro che veniva a trascinarmi via. Peccato che nessun principe sarebbe venuto a cercarmi... forse non lo avrei nemmeno voluto.

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Come vi è sembrato questo incontro? Ammetto di aver lavorato parecchio su questo capitolo. Algol è un personaggio complesso ed è difficile -anche se divertente- scrivere di lui. E voi cosa ne pensate? Vi anticipo che il suo cinismo e la sua arroganza in realtà nascondono qualcosa... ma è troppo presto per svelare tutta la storia.

A presto!

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