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10. NEL BUIO

Corsi lungo il vialetto illuminato dalla luce artificiale dei lampioni. I muscoli mi facevano male, mi bruciavano ma non potevo far altro che correre, che mettere più spazio possibile tra me e lui. Era un istinto. E poi li sentii. Passi che rimbombavano nella notte. La consapevolezza che qualcosa mi stesse seguendo strisciò lungo il mio corpo. Mi sentii come un cerbiatto inseguito da un lupo. E se fosse stato quello che rapiva le ragazze? Il Principe delle Ombre, non poteva...

Qualcosa mi afferrò per la vita. Mi sfuggì un grido. Mani forti, bollenti, crudeli. Algol, era lui, lo sapevo senza neppure doverlo guardare.

-Lasciami- protestai, divincolandomi, ma non facevo altro che avvicinarmi di più a lui.

Algol mi cinse la vita con un braccio e la mia schiena aderì al suo petto. –Che cosa ti è venuto in mente?- mi chiese, un sussurrò contro il mio orecchio, un sussurro che mi provocò un brivido lungo il corpo.

-Io faccio quello che voglio- replicai.

Eravamo due pallide figure, sotto la luna che c'inondava di una luce spettrale, bagnando tutti i nostri segreti più oscuri. Due fantasmi.

-Non sai che è pericoloso?- domandò lui, evidentemente divertito.

-Lasciami- replicai, la voce poco convinta. Un languido torpore mi percorreva il corpo. Piano piano lo sentii abbandonarsi contro di lui. Fu una sensazione strana, quasi piacevole. Un delicato languore che mi assaliva.

-Devi essere prudente Sher, devi stare attenta, ci sono esseri pericolosi che percorrono le strade buie- mormorò Algol. La sua voce era lenta, ammaliante, una voce capace di sedurre e di convincere a fare qualsiasi cosa. Deglutii, il battito che accelerava, tanto che lo potevo percepire contro la pelle tenera del mio collo. –I lupi, Sher, il mondo è pieno di lupi- la sua stretta si fece meno forte, ma la sua voce si abbassò ancora di più e le sue labbra finirono per sfiorare lentamente il mio lobo. Fu come una scossa elettrica. La voce di chi irretisce e inganna. In lontananza sentii l'ululato del vento.

Approfittando che la stretta si fosse allentata mi voltai verso di lui. Non lo guardai negli occhi, prima regola, evita di fissare il demone negli occhi. Lui ti manipolerà. Le labbra. Fissai le sue labbra. Rosse, carnose, sicuramente morbide... facevano venire voglia di provare che fossero davvero morbide. Scacciai il pensiero... beh, perlomeno ci provai... avrei dovuto ricevere un premio solo per questo... perché era davvero impossibile non pensare alle labbra di Algol quando erano a pochi centimetri da te. –Tu sei un lupo- lo accusai, il tono poco sicuro. Esistono persone che riescono a mascherare i loro sentimenti, a trasmettere un senso di indifferenza persino se hanno il cuore che sta facendo le capriole e le ginocchia che minacciano di cedere, beh, dubito che riuscirebbero a mantenere la stessa calma gelida di fronte ad Algol. Nessuno può farlo.

-Sì, sono un lupo... la differenza è che io lo ammetto, molti non lo fanno- piegò le labbra in quel suo sorriso che non riusciva ad arrivare agli occhi. Possibile che non potesse mai sorridere veramente? Il ragazzo che dipingeva scene di un altro mondo, il poeta, lo scrittore, il musicista... possibile che non ci riuscisse? Mi chiesi se avrebbe provato a creare un quadro da quel nostro momento. Il demone che afferra la fanciulla. Sarebbe certamente stato un capolavoro. –Andiamo- e senza attendere altro mi spinse per quella strada buia, attento comunque a mantenere un contatto con me, come se non riuscisse a staccarsi dai miei abiti.

-Cosa vuoi?- esclamai. Il cuore mi era saltato in gola e batteva follemente. Immagini senza senso si facevano strada nella mia mente. Lupi nella foresta. Rose insanguinate. Fiumi di lacrime.

-Ti riporto a casa... ti rendi conto che stanno scomparendo delle ragazze? E tu hai la pessima idea di andartene in giro in questo modo?- mi rimproverò.

Adesso era lui che voleva difendere me? Il mondo andava proprio al contrario! –Sbaglio oppure sei stato tu a dirmi della gara?-

-Non ti ho detto di venire- puntualizzò.

-Vuoi giocare al cavaliere?- lo presi in giro, decisa a ferirlo, come lui aveva ferito me.

-No, io non sono un cavaliere e tu non sei una dama- controbatté freddamente.

-Perché io non sono una dama?- gli domandai. Okay, stavo cercando un modo per litigare. Volevo litigare, volevo che perdesse quell'aurea di freddezza che lo avvolgeva come uno spesso mantello. –Perché non posso esserla?-

-Perché tu sei una principessa-

La frase non solo mi sorprese, ma prima mi folgorò, poi m'infastidì. Cosa potevo rispondergli ora? Quella non era un'offesa. Deglutii, cercando di mantenere la calma. Era così destabilizzante! Dovevo mantenere la calma.

-Non ti piace essere chiamata principessa- continuò, canzonatorio. I capelli scuri gli accarezzavano le guance, dandogli un aspetto oscuro.

-E a te piace essere il lupo? Colui che divora la fanciulla nel bosco?-

Lui sorrise. –Sì, mi piace molto essere il cattivo... l'incubo, il vampiro, il lupo, scegli chi vuoi-

Lo fissai, così bello da farmi mancare il respiro, così crudele che da farmi sentire i suoi artigli che mi premevano il cuore e lo facevano sanguinare. –Chi sei davvero?- chiesi in un soffio.

Algol mi fissò un attimo in silenzio, inclinando di lato la testa, poi scoppiò a ridere, una risata tagliente. –Quanto sei sciocca a farmi questa domanda-

-Io so che non sei il bravo ragazzo che tutti credono- mi sfuggì dalle labbra, prima che riuscissi a controllarmi –no, non lo sei... tu sei crudele, sei cattivo, sei folle... tu cerchi persone da fare a pezzi-

Algol sospirò teatralmente, alzando gli occhi al cielo stellato. –Davvero, Sher, a volte penso che tu offenda la mia intelligenza-

-Sei intelligente?- replicai, canzonatoria.

Lo scintillio nello sguardo di Algol mi fece sobbalzare. Arretrai di un passo, come se mi avesse bruciata. Lui continuò a tenermi, come se fossi una cosa troppo preziosa da lasciare andare. –Attenta, Sher, la falena che vola troppo vicino alla luce si brucia le alucce e tu sei una deliziosa farfalla... scommetto che te le bruceresti anche tu- inclinò la testa e fu in quel momento che lo vidi. Il graffio che gli percorreva la guancia. Lo guardai sorpresa. Come se lo era fatto? Il segno rosso brillò alla luce artificiale del lampione. Non seppi perché ma sentii una leggera stretta allo stomaco. Allungai la mano e feci per sfiorarlo, come se fossi attratta da quella linea rossa di sangue.

-Non toccarmi!- esclamò Algol, afferrandomi il polso. Sentii le sue dita entrarmi nella carne, come se fossero state incandescenti.

Lo fissai, sorpresa e confusa. Allora esisteva qualcosa capace di fargli perdere la calma.

-Non voglio essere toccato- si affrettò a dire Algol, lasciando la presa. C'era qualcosa di strano nel suo viso, quasi una sorta di timidezza. Algol però non sapeva cos'era la timidezza.

-Non hai che da dirlo- borbottai -comunque da Anne ti fai toccare- e a te piace toccare me, ma quest'ultima cosa non la dissi.

Lui mi scrutò con attenzione. Occhi che mi sondavano l'anima. Mi sentivo quasi messa a nuda, come se mi avesse sfilato gli abiti con uno sguardo. E alla fine parlò. La sua voce questa volta uscì lenta, simile a miele, come un pensiero strappato da mille altri. -Tu cosa credi che io senta per Anne?- parole scolpite nella pietra.

Soppesai il significato di quella domanda. Dove voleva arrivare? Dubitavo che non ci fosse uno scopo. Provai un senso di vertigine. E alla fine diedi la risposta chiaramente sbagliata. -Amore?-

La risata non si fece attendere. Sgorgò tra le labbra di Algol con una naturalezza disarmante. -Quindi stai dicendo che io sono capace di amare?- storse il naso -Non è una contraddizione? Prima mi dipingi come un mostro e poi dici che so amare-

Restai muta, incapace di controbattere. Cosa potevo rispondere? E poi le parole restavano incagliate nella mia gola. Perché ero andata a quella gara? Perché avevo risposto al suo silenzioso invito? Speravo forse in una deliziosa dichiarazione? Di cosa poi?

-L'amore è una sciocchezza, Sher, è una follia, fa a pezzi, sbrana, massacra... l'amore non è quello dei romanzi, Sher- il suo sguardo brillava -l'amore uccide- i capelli gli ricaddero sul viso.

-Uccide- gli feci eco io e la parola mi rimbombò nella mente -Un po' cinico perfino per i tuoi standard- decisi.

-Un malinteso, qualcosa di contronatura... è normale pensare sempre a una persona? Esserne ossessionati?-

La risposta che attendeva era no. Non era normale. Io però non pensavo che l'amore fosse quel mostro che lui stava descrivendo.  -Esageri- replicai quindi.

-Allora siamo noi a pensarlo... creature d'ombra- sospirò stancamente -mai innamorarsi di tipi come me, riempiamo il cuore di cocci e spine, lo rendiamo simile al nostro-

Lo fissai senza sapere cosa replicare. Brividi gelidi mi strisciavano lungo la schiena. Aprii la bocca e la richiusi. Ero semplicemente incapace di parlare.

Algol rimase alcuni istanti immobile, simile a una statua, poi fece un cenno con la testa. –Andiamo- disse quindi e mi precedette, sciogliendomi da quella stretta che mi agganciava l'anima.

Lo seguii, una strana sensazione che mi premeva il petto. Cosa nascondeva Algol? Perché non voleva che lo toccassi? Lanciai uno sguardo al mio polso. Ero certa che mi avesse lasciato il segno rosso della sua stretta, ma non era così. Non c'era nessuna bruciatura e io mi sentii una sciocca per aver controllato. Procedemmo nel buio, in silenzio. Le stelle brillavano. Mia madre amava osservarle, da bambina me le mostrava e mi raccontava i miti che ognuna di loro nascondeva, come una scatola magica. Ora cercai in loro la risposta alla mia domanda. Chi era davvero Algol? E perché mi sentivo così quando c'era lui? Le stelle ovviamente non risposero, ma una parte di me sospettò che stessero ridendo. Beh, io non ci trovavo nulla di divertente.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Che ne pensate di Algol? Nel prossimo capitolo la conversazione prosegue (in realtà si tratta di un singolo capitolo che ho dovuto dividere per motivi di lunghezza).

A presto

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