14. Rose nere
QUESTO CAPITOLO È STATO UN PARTO
AIUTO
buona lettura kidz
[fa schifo ma o k e y]
«Sei bellissima»
E così Edoardo in un istante si ritrovò ad avere davanti un essere indefinito con la faccia rossa di un peperone, dei jeans attillati nuovi di zecca reduci dall'ultimo shopping selvaggio con Ilaria e una finta pelliccetta nera, e non riuscivo a capire se fosse qualcosa di buono o di ridicolo, o entrambe le cose al tempo stesso.
Decisi così di mascherare il mio imbarazzo cronico scoppiando in una risatina nervosa e dandogli un pugno sul braccio tipico della bulletta dentro di me.
Avevo ricevuto mille raccomandazioni da mia madre già tre ore prima di uscire, da mio padre via telefono, da Ilaria e da Sara di contenuto ovviamente differente, ormai le due sembravano essersi coalizzate contro di me, pronte a tendermi un'imboscata.
Ma l'unica che si trovava in mezzo e con crisi dilemmatiche ero io, Rebecca Maggi, detta Becca, Rebby e Reb, nessuno mi avrebbe chiamato con il mio nome per intero, ormai ci avevo fatto l'abitudine.
Con una scrollata di testa feci evaporare questi pensieri insensati e mi concentrai sul mio accompagnatore, partner o amico, che indossava dei semplici pantaloni neri, un giubbotto verde militare e una sua mano sfiorava continuamente la mia.
Cercavo di far finta di niente, di fingere che non mi accorgessi di quel gesto voluto o casuale che fosse, ma era piuttosto difficile nascondere la tremarella che si era impossessata di me.
Era un misto di agitazione, ansia, terrore, chiamate il 118, i pompieri, mago Merlino, ansia, Avada Kedavra, voglio Klaus e Damon come guardie del corpo, voglio Carl e le sue treccine, voglio un hamburger, un cheeseburger, il McDonalds intero..
«Rebecca?»
Oh cazzo, probabilmente mi stava chiamando da mezz'ora e io me ne ero accorta solo in quel momento.
«Mh?» domandai, con l'espressione più imbarazzata in assoluto della mia vita.
Solo dopo dieci secondi annotai il fatto stranissimo che mi avesse chiamato con il mio nome per intero, un punto per lui.
«Ti ho chiesto se va bene questo posto» rispose divertito con un accenno di risata schernitrice e pizzicandomi una guancia, facendomi inevitabilmente cascare nell'imbarazzo parte seconda.
Infine sbuffai e sorrisi su di giri, guardando ciò che avevo davanti: un bar-ristorante carino e moderno, giovanile e con luci soffuse qua e là, mi piaceva l'aria misteriosa, mi piaceva l'effetto vedo-non vedo.
«Approvo» affermai con i pollici in su, ridendo da sola della mia improvvisa infantilità.
«Meno male» rise e mi circondò le spalle con un braccio, accompagnandomi verso l'entrata a pochi metri di distanza.
All'interno un cameriere piuttosto giovane ci accompagnò verso un tavolino abbastanza nascosto, posto in un angolo strategico, o forse era solo la mia testa che lo percepiva così e faceva congetture infondate.
«Scommetto che hai fame»
Schioccai la lingua ormai abituata alle battutine di Edoardo, si divertiva a punzecchiarmi sul cibo e sul mio perenne imbarazzo, e a me andava bene.
«Si abbastanza» risposi allegra e dando un'occhiata al menù, ero indecisa tra la pizza con le patatine o passare direttamente ai dolci, cheesecake ai frutti di bosco, tiramisù e profitterols.
I veri dilemmi della vita.
«Hai deciso?» mi chiese, sempre con il sorriso sulle labbra.
«Mh» bofonchiai, con gli occhi che scandagliavano tutti quei piatti all'apparenza buonissimi.
«Io prendo una pizza» affermò, dandomi così un appiglio per prendere finalmente una decisione prima che spuntasse l'alba «anche io allora»
*****
Non capivo come mai quando arrivavo a tre quarti di pizza ero già strapiena e quindi mi toccava lasciare una fetta sul piatto, incapace di mangiare qualsiasi altra cosa, e pensare che stavo già pregustando uno di quei dolci.
Dispiaciuta, sospirai rumorosamente guardando il mio cibo e prima che Edo si mettesse a ridere di fronte al mio sconforto, due ragazzi affiancarono il nostro tavolo, guardandomi in modo perplesso e poi rivolgendosi direttamente al mio accompagnatore.
«Ehi Trec, non vieni alla festa di Gabbo?» domandò quello con i pantaloni della tuta e un cappellino in testa che nascondeva i capelli biondi, aveva un'aria simpatica e spaccona allo stesso tempo, ma subito provai ripugnanza davanti alla sua richiesta: insomma, Edo era uscito con me e di conseguenza non voleva andare alla festa, elementare Watson.
«Già, perché non vieni?» chiese l'altro, che indossava un parka verde militare e aveva un tatuaggio strano sulla mano.
Lo vedevo, sentivo i loro occhi su di me, ovviamente io ero l'ostacolo per cui il loro amico non poteva partecipare a quella cavolo di festa.
«Gabbo, sto con lei, non posso..»
«Non c'è problema, porta anche lei, tanto di posto ce n'è»
E tutte le mie sicurezze crollarono appena Edoardo acconsentì, senza neanche consultare il mio cervello che macchinava la forca per tutti gli essere maschili alpha.
«Lei è Rebecca comunque»
Ah ecco, pensavo si fosse dimenticato della mia esistenza per dare tutte le sue attenzioni a Federico detto Fedez, per il cappellino onnipresente, e Gabriele, detto Gabbo, quello con il parka verde.
Dopo aver abbandonato il ristorantino, ma soprattutto la mia cheescake, il tragitto verso la fantomatica festicciola si svolse in una fase di mutismo per me e logorroica per i tre moschettieri, E, F, G, pure in ordine alfabetico, più perfetti di così, solo la mia R era fuori dalle ship.
Non li ascoltavo, o meglio, la loro voce era solo il sottofondo dei miei pensieri contorti: cosa avrei trovato? chi avrei visto? cosa avrei fatto a quella cavolo di festa?
Già mi stavo incespicando, e non solo letteralmente, ma anche materialmente, infatti più di una volta uno dei tre bodyguard mi aveva salvato da un mio possibile sfracellamento al suolo.
Che gentili, se avessi potuto scegliere uno dei tre avrei deciso per..storsi la bocca quando la mia mente formulò un nome, ovvero una iniziale che non era presente tra quelle a disposizione.
Perché pensavo a Lore quando lui non era con me?
Come aveva fatto a instaurarsi così impeccabilmente tra i miei pensieri?
Perché cavolo ero così complicata?
Forse perché la vita aveva deciso di farmi continuamente uno sgambetto, ogni volta che varcassi una porta, ogni volta che fossi con Edo, ogni volta per trovarmi davanti Lorenzo e Vanessa, appiccicati come non mai, in una festa dove io mi ero semplicemente imbucata per puro caso.
Perché?
Perché ogni cosa mi perseguitava?
Perché ero uscita con Edoardo?
Per ritrovarmi mischiata ad alcool, fumo e chissà quali altre cose?
Tutto era al di sopra della mia portata, tutti erano di qualche anno più grande di me e io mi sentivo così fuori luogo che volevo scappare, e l'avrei fatto se qualcuno non mi avesse trascinato mano nella mano verso un angolo più appartato e meno affollato, anche se l'aria respirabile era la stessa.
Mia madre mi avrebbe uccisa, sottoposta a un terzo grado eterno, quindi dovevo assolutamente pensare a un piano B, e di certo non era fissare con insistenza gli occhi verdi e mezzi spalancati di Lorenzo e la sua mano che accarezzava quella della sua fidanzata.
Certo, perché avrei dovuto fare la terza incomoda?
La serata dei perché e delle zero risposte.
«Fumi?» uno dei ragazzi mi porse una sigaretta ma scossi la testa, mancava solo di aggiungere un altro vizio al mio elenco già vastissimo.
E nessuno si pose il problema di fumare davanti a me, in un luogo chiuso che avrebbe puzzato per anni.
Storsi la bocca e trattenni il respiro per poter parlare senza tossire «io vado fuori» magari l'aria fresca mi avrebbe dato la forza di tornarmene a casa.
«No aspetta, balliamo un po'» e di nuovo senza chiedermi il permesso, Edo mi afferrò per un braccio e mi portò poco più avanti dove dei ragazzi un po' brilli e un po' ubriachi già si prodigavano in danze non molto pudiche, oddio, io sarei morta di vergogna.
E mentre il mio cervello formulava possibili vie di fuga, un'altra coppia si aggiunse a quel ballo scatenato, confermando la mia morte prematura.
Edoardo mi ballava intorno, mi sfiorava i fianchi, faceva mosse strane simili a quelle degli altri, mentre io ero un palo, immobile, incapace di muovere il mio corpo a ritmo di quella musica troppo rumorosa e troppo alta.
Ero fuori posto e si vedeva lontano un miglio, e forse anche Lore l'aveva notato, perché mi guardava con uno sguardo strano, e gli occhi erano super dilatati.
Deglutii quando il corpo del mio partner si appiccicò al mio in un modo che non volevo e perché nello stesso istante Lore lo imitò, avviluppandosi su Vanessa, anche in modo più provocante e senza staccare i nostri sguardi.
Sarei potuta morire lì dentro.
Scappare era sempre l'unico modo per salvarsi, era una massima che non finiva mai di essere di moda.
Così mollai la mano di Edoardo, mi staccai dal suo corpo e senza guardarlo corsi come se fossi inseguita dalla polizia, folla ubriaca permettendo.
Ovviamente non ci volle molto perché il mio partner mi raggiungesse fuori in giardino e mi incollasse i suoi occhi scuri addosso.
Pochi istanti e mi sembrava che avesse letto ogni mio pensiero, ogni mia paura, ogni mia paranoia, come era possibile?
«Mi dispiace, okey?» asserì, dopo interminabili secondi di respiri profondi che mi fecero salire l'ansia alle stelle «non avevo programmato così la serata»
«E come l'avevi programmata allora?» incrociai le braccia al petto lanciandogli uno sguardo di sfida.
«In un altro modo ma..» fece una pausa e vagò con lo sguardo intorno a noi, per poi fermarsi in un punto basso «posso rimediare, mi hanno insegnato che nulla è perduto se si prova a ricucire tutto»
Inarcai un sopracciglio tra lo scettico e lo stupito, lui avrebbe dovuto ricucire il mio cuore e non sarebbe stato facile.
«Non avrei dovuto accettare l'invito a questa festa, non avrei dovuto portarti, ma ora siamo qui, io e te insieme e possiamo ricominciare da capo»
«Ricominciare da capo?» chiesi dubbiosa, e lo osservai mentre i suoi occhi iniziavano a brillare al chiarore della luna.
Oddio, era Edward Cullen?
«Sì, e posso ancora concludere come avrei voluto in ogni caso»
Aprii la bocca per parlare ma non ne uscì niente, una sua mano mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio mentre con l'altra mi porse un fiore, una rosa rossa, che a causa della scarsa luce io vedevo nera.
OhMioDio, nessuno mi aveva mai dato una rosa, perché succedeva tutto a me?
Non sapevo cosa dire, se dovevo dire qualcosa, o ringraziarlo.
Lui continuava a fissarmi in attesa forse di una mia reazione, ma quale?
«Non so cosa dire» confessai in un sussurro appena udibile mentre mi prese il volto tra le mani «allora non dire niente»
E mi sentii sprofondare quando appoggiò le labbra sulle mie.
LALALALA
+ringrazio Mine1509 per l'ideah❣
+come al solito, ho trovato la frase finale per questa storia ma non so bene cosa succederà prima XD
xoxo
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro