So here I am, are you ready?
La sveglia. Il venerdì. La pioggia. Il freddo. Il vento. Le lezioni. L'inizio del fine settimana. L''inizio del mio non-weekend perché lavoro. La parte peggiore della giornata sembrava essere l'assenza di acqua calda in casa con conseguente mancanza di doccia: la doccia di mattina per me rappresenta il primo caffè della giornata per alcuni.
Sembrava fosse finita qui, ma mai domandarsi "Cosa potrebbe mai andare storto più di così?" perché la sfiga è sempre dietro l'angolo, è come un gattino che attraversa la strada nel momento in cui devi passare con la macchina.
È un normale venerdì, molto banale, in cui mi destreggio tra le varie aule e le lezioni pomeridiane in università, sempre accompagnata dalla mia amica spilungona:
"Domani sera vieni alla festa che fanno al Sound?", ovvero un localino in centro per gente molto molto chic. Grazie ma no, grazie.
"No Ali, lavoro". Odio il fatto che, nonostante siamo amiche da tempo, spesso si dimentichi i miei impegni, quello che dico, ciò che mi piace e robe simili. Non capisco mai se sia svampita o solamente menefreghista.
"Oh, giusto. Giusto. Beh, datti malata allora, così possiamo andarci insieme. Io ci vado!" ovvio che lei ci vada, lei va a qualsiasi tipo di festa, o di festini. Non l'ho mai vista un venerdì o un sabato sera a casa, mai, nemmeno in periodo esami oppure con un tempo atmosferico terribile. Una volta aveva partecipato a una delle tante baldorie pure con l'influenza. Fortunata lei, io anche solo con un semplice mal di testa mi rintano nel letto, sotto alle coperte e chi si è visto, si è visto.
"Magari la prossima volta, dai" la prossima volta un cazzo, penso tra me. Finalmente siamo arrivate all'ultima lezione della giornata, che altro non è che il laboratorio di Critica cinematografica, così, forse, Alice la finisce di parlare delle sue serate di baldoria.
Le ultime file rappresentano il posto di coloro che si fanno letteralmente i cazzi loro, delle persone che non vogliono stare sotto agli occhi inquisitori dei professori oppure di quelli che si, partecipano alle lezioni ma si distraggono la maggior parte delle volte. Al contrario, i primi posti sono sempre occupati da persone che stanno attente la maggior parte del tempo, vogliono farsi notare dai professori e sono quelli che studiano di più. Ecco perché a me piace stare nel mezzo: nelle file centrali il livello di attenzione è equilibrato al livello di distrazione, la concentrazione del prof sulla mia persona è limitata e, al centro, non ti senti perennemente fissato da qualcuno o escluso da altri. Ma, a differenza di me, la rossa dagli occhi azzurri come il ghiaccio preferisce sedersi dietro con il gruppo di amiche che io definisco "le pettegole" e fidatevi che lo sono davvero. Non sanno farsi i cazzi propri. Assurdo.
"Ehi Ali, tu vai in fondo ora?" le chiedo fermandomi sulla porta dell'aula, per averne conferma.
"Si, lo sai che non mi piace stare in mezzo ai secchioni e ai nerd" risponde lei, con un'espressione abbastanza schifata.
"Chi ti dice che sono tutti nerd e secchioni?"
"Mah, hai ragione: i secchioni siedono davanti, dove ti metti tu c'è la gente comune, i nerd e le persone banali. Io vado dietro con le altre, così magari trovo anche qualche ragazzo carino", puntualizza facendomi un occhiolino. Non bado alla frase finale, le piace divertirsi, ormai ci sono abituata e non la giudico. Mi piacerebbe che si trovasse un ragazzo carino che la renda felice e le dia sicurezza come Riccardo fa con me da qualche mese a questa parte e sono sicura che prima o poi troverà la persona giusta.
"Io di quale categoria farei parte?" le chiedo, più curiosa che infastidita. Ho imparato a passare oltre i suoi commenti...superficiali.
"Gente normale, ovvio" risponde ridendo "anche un po' nerd, devo dire. Insomma, con tutti i libri e i film che ti guardi. Tra maghi, vampiri e streghe, non ci capisco più niente", aggiunge, alzando gli occhi al cielo. Non le do torto, ma nemmeno ragione.
"Dai spilungona, andiamo a scegliere i posti" le sorrido.
"Nah, il mio posto me lo stanno già tenendo occupato" ovvio "ci vediamo all'uscita. A dopo" mi dice, prima di salutarmi con un bacio sulla guancia e correre (letteralmente) verso il fondo dell'aula, mentre io, con più calma, mi scelgo uno dei posti in mezzo.
L'aula è ancora vuota, ma sono sicura che presto si riempirà. Insomma, Critica cinematografica è uno dei laboratori più interessanti che ci siano in questo semestre e tutti, bene o male, chi per carriera e chi per piacere personale, è inglobato nel mondo del cinema. È un'arte ed essa accomuna gli uomini fin dalla notte dei tempi: la pittura, la fotografia, il cinema, la musica, la danza, la lettura, la poesia, i murales...sono tutte forme d'arte, una diversa dall'altra e ognuna rappresenta, in un modo completamente suo, ognuno di noi. Per me l'arte è una sorta di carta d'identità personale. Avete presente il documento di riconoscimento, no? Tutti noi ne possediamo uno, per legge, e sopra ad esso veniamo descritti: altezza, colore dei capelli, colore degli occhi, data di nascita, segni particolari e bla bla bla. L'arte esprime la nostra identità, indica cosa ci appassiona, su quale forma i nostri cinque sensi vengono attratti di più, come vogliamo usufruire del nostro tempo libero e cosa ci estranea dal mondo esterno quando siamo da soli, nel silenzio più totale, e vogliamo restare senza pensieri.
Nel bel mezzo della mia riflessione, sento una voce femminile poco distante da me chiedermi "Ehi, posso sedermi qui vicino a te?". Mi giro e la guardo: è poco più alta di me, capelli lunghi corvini con delle ciocche fucsia, occhi nocciola, piercing al naso e rossetto viola. Gonna e collant neri con una maglietta fucsia. A completare il look degli stivali da motociclista neri con le borchie. Stravagante, mi piace. Un modo per esprimere sé stessa, esattamente come l'arte permette di fare.
"Ma certo!" le rispondo, sorridendo.
Dopo essersi sistemata, si gira per guardarmi, mi tende la mano e con un sorriso mi dice "Piacere, sono Elettra"
"Ciao, Emma"
"Figo. Entrambi i nostri nomi iniziano con la E" esclama entusiasta. Mentre accende il computer, mi metto ad osservarla un attimo per capire se l'ho già vista in giro o se frequenta il mio anno.
"Ehi, tu frequenti il secondo?" le chiedo dopo un attimo, mentre sto avviando anch'io il mio pc, "Non credo di averti mai vista."
"Oh, no. Sono del terzo. Il secondo e il terzo anno spesso hanno corsi o laboratori mutati, quindi è facile beccarsi in giro!"
"Ah ecco, ora mi è più chiaro"
Cadiamo in un silenzio, non imbarazzante, mentre aspettiamo l'arrivo del professore. Silenzio che viene spezzato quando la sento pronunciare "Dio, spero che quando si sposerà non si farà attendere così tanto dalla sua ragazza..."
"Parli del professore?" le domando stranita.
"No no, di un mio amico." Si ferma un attimo a guardarmi prima di aggiungere "Ti crea problemi se si siede vicino a noi? Anche lui è del mio stesso anno."
"Ma no, anzi, più siamo e meglio è"
"Ok, perfetto. Ti avviso, a volte può risultare un po' stronzo, ma nella realtà è un caro ragazzo. Anche se si fa desiderare davvero tanto" commenta, sospirando.
Io non posso fare altro che ridere alla sua battuta.
"Siete amici da tanto?" le domando, curiosa.
"Una vita, letteralmente. Siamo vicini di casa da quando lui si è trasferito a vivere nella casa a fianco alla mia quando avevamo quattro anni e tempo poco siamo diventati amici".
"Deve essere bello avere un'amicizia così lunga" le rispondo con aria sognante.
"Si, devo dire di si" aggiunge lei, sorridendo. Poi si volta a guardare verso la porta e aggiunge "Ed eccolo arrivato il bell'addormentato".
Non riesco a capire al volo di chi stia parlando fino a quando non vedo avvicinarsi alle nostre sedie una chioma castana con capelli spettinati sparati in aria, jeans, maglietta e giacca in pelle nera, un sorriso furbo e due occhi verdi. Molto verdi. No, Dio, ti prego no!
"Ohi" dice lui, salutando Elettra.
"Ehi, bell'addormentato. Che fine hai fatto?" gli chiede mentre lui si siede al banco vicino a lei. Non mi ha ancora notata e spero non lo faccia da qui al resto dei miei giorni.
"Non mi partiva la macchina, che due coglioni!" spiega, sbuffando.
"Portarla dal meccanico una buona volta?" chiede lei con tono ironico.
"Fino a quando si accende, non noto alcun problema evidente" le risponde lui mentre tira fuori un quaderno e una penna.
"Convinto tu. Comunque, lei è Emma. È del secondo anno" gli dice, indicandomi. No, no, no. Il pavimento può, gentilmente, aprirsi e risucchiarmi al suo interno?
Lui alza la testa, si gira, mi guarda attentamente e dopo avermi riconosciuta mi dice, sorridendo:
" Guarda chi c'è: ehi, bambolina!"
Dopo un attimo di esitazione, dico "Axel..."
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