𝟑 - 𝕲𝖎𝖔𝖎𝖊𝖑𝖑𝖎 𝖉𝖎 𝖋𝖆𝖒𝖎𝖌𝖑𝖎𝖆 -
🌕 𝕽𝖞𝖆𝖓 🌕
È un po' che io e Lilah stiamo zitti, e l'abitacolo di quest'auto adesso sembra più stretto.
Non sono davvero arrabbiato con lei per non avermi detto di suo fratello, ma sono stanco di essere sempre l'ultimo a sapere le cose.
In realtà la presenza di un altro ragazzo mi dà un briciolo di sollievo. Non so che tipo sia Stefan, ma se riesco a farmelo amico ho un'occasione in più per salvare queste vacanze.
Sto ancora guardando gli alberi illuminati dal sole quando la macchina frena bruscamente, facendomi schiantare sul sedile davanti.
L'autista suona il clacson, Lilah si aggrappa alle sue spalle con il panico negli occhi.
Tutto quello che riesco a vedere quando spio da dietro la testiera del sedile dove sono incollato, è la figura minuta di un ragazzino che scappa dall'altro lato della strada.
Mi volto per chiedere a Lilah se sia tutto a posto e lei si sta coprendo gli occhi con una mano e tiene l'altra sul petto. Deve essersi spaventata.
«Ti sei fatta male?» le domando sporgendomi verso di lei per assicurarmi che non abbia sbattuto.
Lei allarga due dita e mi guarda attraverso la finestrella che ha aperto.
«Quello era mio fratello.»
Oh.
Mi viene da ridere.
«Che ci fa nel bosco?»
Questa è davvero la mia prima domanda?
«Cerca di farsi ammazzare.»
Lilah si mette a posto sul sedile mentre la macchina riparte a un'andatura più lenta.
Stefan.
Il fratello gemello di Lilah Pembroke, la ragazza che prende tutte A, che è sempre vestita bene e che i professori salutano con simpatia, è uno che corre nei boschi rischiando di essere investito.
Ne voglio sapere di più.
«Mi dici che tipo è?»
Lei sbuffa.
L'argomento sembra metterla a disagio e forse inizio a comprendere il perché non me ne abbia parlato dettagliatamente prima. Ma io voglio sapere con chi mi ritroverò a convivere per due mesi.
Lei sembra capirlo, addolcisce lo sguardo e inizia a parlare torturandosi le unghie.
«L'anno scorso ha rischiato l'espulsione perché ha trafitto la mano di Nathan De Marco con una matita.»
Allunga un palmo aperto sotto al mio naso e pianta l'indice proprio al centro.
«Aveva la matita ancora conficcata qui quando è arrivato al pronto soccorso.» deglutisco.
Non sapevo i dettagli di questa storia. Nathan non frequentava i miei corsi e avevo sentito soltanto voci di corridoio su questo incidente.
Beh, non mi sembra più tanto un incidente.
«Credo abbia bisogno di un esorcismo.» le viene da ridere mentre lo dice, e anche a me scappa un sorriso.
«Però è mio fratello. Siamo nati tenendoci per mano.»
L'ombra di un sorriso amaro le affonda gli angoli della bocca nelle guance.
«Gli voglio un mondo di bene, Ryan. Se provassi ad andare d'accordo con lui...» fa un'espressione difficile da interpretare, come se lei stessa non credesse fino in fondo a quello che dice, «non ha molti amici.»
Usa il tono di quando mi chiede qualcosa di importante.
So che è sincera, che ci tiene.
Non ti preoccupare, Lilah. Farò in modo che vada bene con lui.
Il pensiero di questa promessa passa in secondo piano nel momento in cui varchiamo a passo d'uomo i cancelli della tenuta Pembroke.
Schiaccio il viso contro il finestrino e bevo ogni rigagnolo di questa proprietà che riesco a catturare con lo sguardo.
Non ho mai visto niente del genere. Non da così vicino almeno, o con la prospettiva di avere accesso a tutto quanto.
Il giardino, ferito da questo lungo viale, si estende su un'area che potrebbe essere occupata da diversi campi di football.
Come facevo da bambino, mi proietto in ogni angolo: sotto quel bellissimo albero di pepe mi vedo mentre leggo un libro. In quel gazebo di ferro battuto mi immagino a fare merenda con Lilah accanto che studia. Di là, sulla riva del lago, faremo un picnic. Sarebbe bello.
Mentre ci avviciniamo mi rendo conto della maestosità di questa casa. Non riesco nemmeno a immaginare quanto debba essere bella all'interno.
Voglio esplorare ogni stanza.
Guardo tutto con la meraviglia di un bambino davanti alla sua giostra preferita, e quando mi volto mi accorgo che Lilah sta guardando me.
Proprio con quella stessa meraviglia negli occhi.
La macchina curva in uno spiazzo, e quando la noto è già troppo tardi.
Lei è già vicinissima allo sportello e mi sta guardando.
Thérèse Pembroke.
È diversa da sua figlia in quasi ognuno dei suoi lineamenti.
Ha il viso piccolo e appuntito, un sorriso molto più ampio di quello di Lilah. La fronte alta e le orecchie leggermente a sventola.
È bellissima senza essere davvero bellissima.
Mi aspettavo di vedere una lontana zia degli Addams, ma questa signora non ha niente di inquietante. È minuta e nonostante l'abbigliamento di tutto punto, è informale. Familiare.
Rincuorante.
Lilah scende velocemente dall'auto.
La vedo attraversare la nube di pulviscolo che abbiamo alzato con il nostro arrivo e gettarsi tra le braccia della mamma.
Si stringono, si baciano e io so perfettamente di star sorridendo come un cretino.
Esco anch'io richiudendo lo sportello alle mie spalle, e ora che sono in piedi mi rendo davvero conto di quanto sia minuta questa donna.
A occhio e croce sarà alta un metro e sessantacinque per poco più di cinquanta chili.
«Sono così felice che siate qui!»
Thérèse mi lancia un'occhiata e un sorriso complici, e io non mi sono mai sentito più accolto di così.
Non mi fissa i capelli, né gli occhi. Sembra non aver neanche notato qualcosa per cui io mi sono crucciato per giorni interi.
Inizio a pensare che quando Lilah mi diceva di stare tranquillo, aveva ragione. Anche stavolta.
Un uomo più anziano raggiunge la signora Pembroke e si piazza al suo fianco. È uno di quei signori che solo a guardarli in faccia fanno simpatia. Tiene in mano un ombrellino parasole finemente ricamato e me lo allunga.
Esito.
Lilah con un velocissimo movimento degli occhi mi fa capire che è per me.
Una premura che mi lusinga, ovviamente. Eppure non riesco a impedirmi di provare anche una punta di fastidio.
Sono stufo della campana di vetro che tutti mi calano addosso per tenermi protetto.
Per una volta vorrei rischiare per conto mio. Stramazzare al suolo.
Dissolvermi sotto il sole come una cazzo di medusa e diventare una pozzetta di schiuma.
Sono davvero così delicato?
Afferro l'ombrellino con un cenno del capo. Non so ancora bene come rivolgermi a queste persone.
Thérèse pare avermi letto nella mente e subito accorre verso di me appendendosi al mio braccio. I tacchi schioccano sulla ghiaia.
«Scusa se mi sono permessa, caro» mi parla a bassa voce come stessimo condividendo un segreto, «volevo camminare con te sottobraccio senza scottarmi.»
Quando la guardo, mi fa l'occhiolino.
Un'altra ondata di sollievo mi pervade.
Se queste sono le premesse, forse questa vacanza non sarà così spiacevole.
Come una punizione per i miei pensieri felici, un suono acuto, elettrico, fa vibrare l'aria intorno alla casa. Sussultiamo, tutti colti alla sprovvista. I miei occhi si spostano verso una grande finestra aperta al secondo piano, proprio alle spalle della signora Pembroke.
Un attimo dopo, quello che sembrava lo strillo di una banshee si trasforma in melodia.
È una chitarra elettrica.
La stanno suonando anche discretamente bene.
Una corda stride. Stona.
«Cazzo!»
Un urlo che nel silenzio si scandisce benissimo, e poi una cascata di risate. Una voce dice "vaffanculo" e un'altra risponde "succhiamelo."
Vedo Lilah spalmarsi una mano sulla fronte.
Le sue spalle si alzano e si abbassano in un profondo sospiro.
La signora Pembroke, invece, continua a guardarmi con questo sorriso stoico nonostante la mia espressione perplessa.
«Vogliamo andare?»
Thérèse solleva le spalle, si fa ancora più vicina e mi tira con sé in direzione del lago.
Io mi giro almeno tre volte verso quella finestra, ma qui nessuno sembra reagire.
Poi capisco. Questa è la loro tecnica: ignorano il poltergeist.
Ma se non ricordo male, più si ignora un poltergeist e più si attira la sua collera.
🌕🌕🌕
Quando dopo una buona mezz'ora Thérèse Pembroke si decide a farci entrare in casa, mi ha già mostrato praticamente tutto l'esterno della proprietà.
Lo sfarzo che ho visto mi rimarrà impresso nella mente per sempre.
Tra l'abitazione e la riva del lago si estende un padiglione lastricato con tavoli e panche disposte in circolo.
Mentre poco fa mi mostrava la vista da lì, Thérèse scherzando ha detto che immagina proprio in quel posto l'annunciazione del mio futuro fidanzamento con Lilah.
Stavo per vomitare.
Poi, per fortuna, siamo passati al suo preziosissimo roseto. Infine mi ha mostrato il capanno giù al molo e il giardino d'inverno.
Durante tutto questo tempo, quella chitarra non ha smesso un secondo di stordirci.
Neanche un secondo.
Lilah mi ha intrattenuto raccontandomi felici aneddoti della sua infanzia vissuti in ognuno di quei bellissimi luoghi. Tutto tra un'imprecazione e l'altra urlate sempre da quella finestra.
Adesso però siamo dentro casa, finalmente, e l'aria fresca mi dà un sollievo che mi rinvigorisce.
Davanti a me si estende una meravigliosa scalinata che dà ai piani superiori, e affisso al muro lì nel mezzo c'è l'enorme ritratto di un uomo in posa.
Dio mio, questa gente ha i ritratti di famiglia. Siamo a questi livelli di ricchezza.
La signora Pembroke si allontana da noi per controllare i preparativi del pranzo, dice. Lascia a Lilah il compito di mostrarmi il resto della casa.
A occhio e croce servirebbe mezza giornata per esplorarla tutta.
Lilah mi prende amorevolmente per mano, mi stampa sulla guancia un bacio che distende il residuo dei miei nervi tesi. Si complimenta con me per i modi gentili che ho usato con sua madre.
«È innamorata di te.» aggiunge tutta sorridente, mordendosi l'unghia del mignolo.
«Non sono stato troppo ingessato?»
«Sei stato perfetto.»
Nel frattempo ci siamo addentrati in uno stretto corridoio a volta.
Una porta aperta sulla sinistra mi offre un assaggio di quello che sembra essere uno studio, e il mio sguardo viene totalmente catturato da un quadro appeso sopra un antico scrittoio.
Lilah percepisce il mio interesse e mi accompagna dentro questa stanza che profuma di Romanticismo inglese.
È lo studio di suo padre, dice, ma io recepisco le informazioni soltanto come una musica ambientale. Sono catturato da altro.
Questo ritratto mi dà perfettamente l'idea che mi aspettavo di questa famiglia.
Una madre seduta su una poltrona di cui si vede poco e niente. I gioielli che le imbellettano collo e orecchie danno luce al suo volto sereno. Il marito dietro di lei tende una mano sulla sua spalla, ma le lascia gentilmente il primo piano.
E accanto a lei, uno a destra e uno a sinistra, ci sono i gemelli.
Due bambini sulla soglia dell'adolescenza che è difficile distinguere. Soltanto le trecce sulle spalle mi fanno riconoscere Lilah.
Ma a risucchiarmi completamente, è l'altro.
Stefan.
Il suo viso è una macchia bianca e tutto il resto è nero. Tanto da mescolarsi perfettamente con lo sfondo in ombra, cancellando i confini della sua figura.
Ha una mano indaffarata con i bottoni della giacca. Non so perché, ma mi immagino quel bambino lì, immobile, che scarica la tensione giocherellando con quel bottone.
I suoi occhi chiari sono, in realtà, un pozzo.
Mi perdo in quello sguardo morto, ipnotizzante. Mi risucchia come il canto di una sirena lì, dentro quelle pupille nascoste dietro sottili ciocche nere.
Tutti sembrano a loro agio in questa cornice, nelle loro pose didascaliche.
Lui se ne sta lì, un passo più a destra dalla poltrona di sua madre. Avvolto nell'ombra eppure luminoso.
Più di tutti.
Anche se sembra chiedere aiuto a chi lo guarda al di fuori della cornice.
È un qualcosa che mi scuote.
Lilah finisce di raccontarmi un aneddoto su quel quadro e sul fatto che le scarpette che aveva indossato le stavano troppo strette. Poi mi prende di nuovo per mano e torno alla realtà. Torno in questa stanza che abbandono subito con riserbo.
Riprendiamo il corridoio che si apre in un ampio salotto illuminato. Appena varco la porta, ho subito la sensazione che non siamo da soli.
C'è una presenza qui, da qualche parte. Un'energia soffocante che riempie la stanza e ci fa sentire quasi fuori posto. Come quando si entra per sbaglio in una tana, e si percepiscono occhi guardinghi dappertutto.
So per certo che anche Lilah sta provando la stessa cosa, perché si guarda intorno.
«Oh! Eccoti qui!»
La sua voce si carica di entusiasmo quando svolta un angolo. La raggiungo lentamente, non so chi o cosa aspettarmi lì dietro.
E poi lo vedo.
Addossato alla parete c'è un divano di velluto scuro, un verde tendente al nero, e sdraiato lì sopra con noncuranza c'è un ragazzo.
Ha le gambe divaricate, un piede poggiato sulla testiera, accasciato contro il muro.
Le suole degli anfibi sono luride.
I vestiti sgualciti.
Ha le spalle affondate in una catasta di cuscini e un libro aperto davanti alla faccia.
Quando lo abbassa, quel paio di occhi che ho visto nel quadro sbucano da dietro le pagine e mi trapassano come proiettili freddi.
Eccolo lì, quello sguardo. Lo riconosco come se lo stessi cercando da secoli. E non so il perché dal momento che l'ho visto la prima volta due minuti fa.
Sento una schicchera elettrica. So per certo che proviene da lui, e che l'abbiamo sentita entrambi.
Non parla.
Mi guarda per secondi infiniti. Pesanti.
È come un buco nero. Orbitando sul suo orizzonte il tempo muta la sua espansione. Si dilata.
Quando sposta gli occhi su Lilah vedo il suo sopracciglio tremare appena.
Poi scoppia a ridere.
Una risata esagerata che riempie la casa.
Si spalma una mano in faccia e con l'indice dell'altra picchietta sulla copertina del libro che stava leggendo.
Leggo il titolo: Fiori Per Algernon.
C'è un topolino bianco sulla copertina.
Ecco cos'è che lo fa ridere.
Sono io.
«Cazzo, Lilah», riprende lentamente fiato e si asciuga con un dito una lacrima all'angolo dell'occhio, «un topo da laboratorio?»
Si alza in modo sgraziato, avanza verso di noi facendo ondeggiare le spalle come se il suo stesso corpo non conoscesse il proprio peso.
C'è qualcosa di estremamente attraente nel suo incedere, e quando ce l'ho davanti, la sua aura si schianta contro la mia.
La schiaccia.
Quando l'ho conosciuta, ho avuto subito l'impressione che Lilah fosse cazzuta. Di polso. Una personalità difficile da governare.
Ma questo tipo qui la mette in ombra.
Mi gira intorno come uno squalo, sotto lo sguardo vigile della sorella che in questo momento ricorda una domatrice di leoni.
Sento i suoi occhi studiarmi. Scannerizzarmi senza l'ombra della vergogna. Avvicina la punta del naso alla mia spalla e inspira.
«Puzzi di...» annusa di nuovo, «arnica.»
Sì, la crema che uso ricorda quell'odore di erba.
Lancio un'occhiata a Lilah e, fortunatamente, lei coglie la mia richiesta d'aiuto e ha pietà della mia anima innocente.
Allunga il collo in direzione di Stefan e si batte le mani sulle gambe. Sembra stia richiamando un cane.
Quello perde ogni interesse verso di me e si fionda sulla sorella. La avvolge con le braccia e mi fissa minacciosamente da sopra le sue spalle.
È poco più alto di lei, e ora che sono stretti sembrano esser diventati una persona sola. Si fondono insieme nei corpi e nei colori.
Il bene che si vogliono si sprigiona in quel contatto tanto atteso da entrambi. Mi intenerisce, nonostante tutto.
Quando si staccano, lei rimane protetta sotto il suo braccio.
«Se ti chiami Algernon, mi butto dalla finestra.» parla con il mento puntato in alto. È più basso e più magro di me, ma è dieci volte più grande.
Sulle labbra ha ancora un residuo della risata di prima.
Scuoto la testa e gli sorrido. Più per cortesia che per altro.
«Ryan.» allungo la mano, «Sono solo Ryan.»
Il suo sorriso sparisce e la sua faccia diventa buia.
Mi torna in mente Lilah che si punta l'unghia nella mano, lì dove questo tipo ha infilato una matita nella carne di Nathan.
Non lo do a vedere che ho paura, ma quel baluginio nei suoi occhi mi fa capire che Stefan riesce a fiutarla. E io mi sento fottuto.
𝔖𝔭𝔞𝔷𝔦𝔬 𝔞𝔲𝔱𝔯𝔦𝔠𝔢
Buongiorno, cuori 💗
Abbiamo appena assistito al primo annusamento conoscitivo di questi due Pokémon selvatici 🐍🍃
Che ne pensate?
Nel prossimo capitolo dal pov di Stefan il nostro animale darà sfogo a una luuuunga serie di pensieri molto interessanti 😏💭
Pensate che metterà ancora più in difficoltà Ryan? 🚩🆘
Che domanda stupida... certo che lo farà!
Io vi aspetto nelle domande anonime e su IG (xophe_library) per parlarne insieme! 📢💬
Mi prendo un secondino in più per avvisarvi anche che abbiamo deciso di rallentare la pubblicazione a due volte a settimana 📆📖 così da permettere a tutti i nuovi lettori di recuperare Crush 🏈🌸 senza perdersi gli aggiornamenti di Brat 🌕🎸
In questo modo potremo stare insieme un po' di tempo in più! Quindi non disperate! 💞 ✨
Allora io vi do appuntamento a venerdì sempre alle 17:00 per il prossimo capitolo! 📖📚
Farò un altro sondaggio nelle storie per vedere se avete delle preferenze sui giorni! 🗓✅
Ora vi saluto e vi do anche un grosso bacio 🥰💋
Xò 🌼
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