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2- Wild nights out in Amherst - Notti brave ad Amherst

1865

"Se solo potessi impedire a un cuore di spezzarsi...",

2022

ma ormai non si può fare nulla ed è questo il punto. Povera ragazza, queste le mie prime riflessioni del mattino mentre mi crogiolo oziosamente nel pieno tepore del caffè che inebria l'aria per le vie della mia nuova città. L'odore dei cornetti è tanto, quasi quasi faccio un salto da Nikki's.
Dò uno sguardo rapido alla finestra perdendomi tra i raggi timidi del sole che si schiudono all'aurora, è finalmente domenica.
Mi fermo un attimo ma non troppo, è felicemente relax. Che bello, non dovrò sentire sveglie che incalzano nè tanto meno ordini dati da qualsiasi altro capo canzonatorio fuorché me stessa.

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Arrivo da Nikki's, ormai uno dei diners più cult della zona. Ogni volta che vi accedo sembra ritornare che so, agli anni '60? Già, è proprio così anche se non so il vero motivo di questa mia mera impressione. Sarà per il pavimento minimal a scacchi di tutte le tonalità di grigio o i quadretti in stile Mondrian, i divanetti in pelle rossa lucida o addirittura il jukebox, il drive in esterno e i vinili neri appesi alle pareti. La musica soffusa s'irradia a ogni ora, le canzoni evergreen sono le austere padrone dell'ambiente. Ad esempio ora le note dei R. E. M. investono le mie orecchie, I'm losing my religion but not the music of my time.

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Prendo il primo bus che mi porta dritto dritto sulla Pacific West Coastway, ho finalmente deciso di fare tappa a Santa Monica Beach. Sarà strano ma è assolutamente vero, nel giro di un mese non ci sono mai stata prima d'ora.

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Dopo una breve camminata sul molo prendo posto su una panchina del luna park, vorrei tanto fare un giro sul Carosello o sulle montagne russe ma non ho la borsa adatta per poterlo fare. Sarà per un altra volta, continuo a replicare mentre boccheggio adesso che il vento ha iniziato la sua ritirata al di là delle colline steppose che dividono il centro urbano dalla zona costiera. Molte le barche attraccate alla banchina e la gente che ancora prende il sole. Le palme immobili fungono solamente da ombrelloni, il loro movimento eolico si è ormai placato.

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Volgo le spalle al mare rapita da un paio di bambini che gustano il gelato del chiosco, sono realtà che ho scorto negli innumerevoli sceneggiati che trasmettevano tra Netflix e il televisore.
Sono sulla scena di Lucifer o di Beverly Hills 90210, quest'anno son sicura che lo ricorderò a vita.

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Un tintinnio attira improvvisamente la mia attenzione, è la suoneria del mio cellulare e chi se no? È la musica che parte ogni volta che ricevo una chiamata, schiaccio il pulsante verde e inforco l'aggeggio tra la scapola e l'orecchio, chino il capo. Chi sarà mai?

"Pronto?" chiedo in un filo di voce.
"Buongiorno, Dottoressa Willis... scusi il disturbo, so che è domenica ma ho bisogno di Lei! Sono Dorothy Gale, torni subito alla base!" ordina, cosa vorrà mai?

Non mi capacito affatto e faccio in modo di essere nuovamente da lei il primo possibile.

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"Mi dispiace, Freya... condoglianze!" sbuffa telegrafico Ryan, rimango allibita.
"Che dici, Ryan!" esclamo badando poco a quel mucchio di parole, cosa?
"Quella ragazza che è morta ieri era tua sorella!" sopracciglia sollevate e bocca spalancata, non credo ai miei occhi.
"Si, è vero... guardi, è proprio per questo se L'ho chiamata... ecco, mi ha anticipata lui!" irrompe la donna "E non è stato un nazista..." continua, gli occhi incollati sullo schermo del computer.
"Già, Keith ha fatto tutto... ecco il solito e tutto per sottrargli l'anello e questo perchè?" Paul interviene, poi si raschia la gola.
"E adesso dov'è?" chiede ancora la nera.
"Ehilà, buongiorno a tutti!" una voce matura irrompe nell'ambiente, mi volto ed è lui.
"Papà!" esclamo.
"Ehi, ciao figliola... che ci fai qui? Non mi dire..." chiede con lo stesso tono, poi si avvicina.
"Chi non muore si rivede!" mormora Paul, ancora non riesco a capire.
"Papà? Allora possiamo darci del "tu"? Adesso tua figlia lavora per noi, quindi lasciaci in pace, per favore!" aggiunge Dorothy prima sussurrando poi risoluta.
"Ero venuto giusto così, per vedere come andavano le cose... ok, scusate... tolgo il disturbo, ciao... cara, ci vediamo dopo!" conclude in un altrettanto bisbiglio e sparisce dalla mia visuale, e così strano vedere in giacca e cravatta chi da sempre si è mostrato girare in casa indossando una tuta sportiva nera dal marchio nike o cose simili e quindi poco attraenti agli occhi di chi si ferma magari a parlare con lui.
"Torniamo a noi, dicevamo?" la voce ruvida della nuova amica è la sola cosa animata che risuona d'ora in poi.
"Allora... ah, già... di Keith, ora è... nel 1865 ad Amherst, la seconda città del Massachussetts... la guerra civile americana si è appena conclusa..." torna a parlare Paul.
"Ok e cosa succede?" irrompe ancora lei.
"Si... è l'anno esatto in cui la poetessa Emily Dickinson si rinchiude ufficialmente in casa, ormai dirada le uscite e veste solo di bianco... so tutto di lei si può dire poiché è una delle mie preferite eroine di sempre..." arrivo io.
"Eroina?" è la volta di Mel.
"Si, perchè non deve essere vista come avviene da sempre, la fanciulla schiva e per cui anche trascurata da tutti e non trattata anche dai posteri... anzi, lei è ribelle... la classica donna antivittoriana, detesta i lavori donneschi e persino il matrimonio... per lei la vita da moglie significa solo questo e perché dargli torto?" chiarisco "Emily Dickinson si contrappone alla previttoriana inglese Jane Austen che anche ammiro, questa è più dimessa anche se è quasi se non addirittura proprio contemporanea alla poetessa del New England... le eroine Austeniane non vanno oltre il limite, un po' come anche quelle delle sorelle Brönte, la signora Heathcliff e Jane Eyre... ma torniamo a Emily, questa nacque da una famiglia piuttosto benestante poiché il padre era avvocato... era la secondogenita di tre fratelli, nella sua famiglia erano un maschio che era il primo poi lei e una sorella più piccola di tre anni... è nata nel 1831 ed è morta nel 1887 di nefrite... nella sua vita ha viaggiato poco, solo due gite sono passate alla storia... soffriva di irite, c'è chi dice oggi che era affetta anche da epilessia e per questo poi dovette presto rinchiudersi in casa... all'epoca, la medicina e la psicologia contemporanee erano agli albori e non si sapeva quanto adesso e soprattutto riguardo a cose simili e che includono la sfera mentale, aveva appena una trentina d'anni quando lo fece... anche l'amore... lo stesso che cantò tanto... non fu assai facile per lei, anzi... due furono gli uomini che ammirò di più, platonici per lo più... uno morì e l'altro non ricambiava... ma comunque c'è da aggiungere e concludo... c'era una persona in particolare, solo quella che le fece battere il cuore più di qualunque altro... due, una non era una vera e propria persona e l'altra non era un vero e proprio uomo... la prima era..." continuo.
"Dio!" ripiomba Ryan, come sempre il solito buffone.
"A parte, giusta questa osservazione... lei ebbe, si... un'educazione religiosa, ha scritto di questo ma quello di cui parlo non è lui... c'entra un mondo immateriale che va al di là di tutto ma non è questo, è la morte che lei tanto vedeva e cantava... l'altro era Susan, una donna e all'epoca era un tabù amare una persona dello stesso sesso e per non parlare se era la persona più vicina a te e da sempre poi... la sua migliore amica sin dall'infanzia, la sua cognata perché quest'ultima sposò il fratello ma fu un matrimonio combinato non autentico come lo intendiamo noi...  la tua metà che sposa tuo fratello, basta pensarci... non so come fece eppure ci riuscì come fu abile a mantenere il segreto di quell'infatuazione... anche Susan contraccambiava il sentimento, lei che vedeva casa in tutto quel che riguardava Emily avendo perso tutta la sua famiglia prematuramente..." aggiungo.
"Vieni, Freya... prima di assegnarti il compito dobbiamo parlare..." suggerisce Dorothy, io annuisco prendendo posto vicino a lei "No, è meglio di là" continua e un timido sorriso si fa ancora una volta strada sul suo volto.

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"E così Emily era omosessuale, davvero? Ecco, perchè anch'io lo sono e immagino che cosa difficile... lo era già per me quando ero giovane..." sgrano gli occhi al segreto.

Mi guardo intorno, siamo in quella che oserei definire "mensa".
Torno a guardarla e l'abbraccio dolcemente, mi dà una pacca su una spalla e il che mi fa realizzare che devo andare.

"Vestita così? Non faccio la figura dell'altra volta!" borbotto in un modo alquanto grottesco da farla sorridere più a lungo del suo dovuto, da una donna risoluta quanto lei mi pare totalmente strano.
"Seguimi, su!" annuisce ricomponendosi ma con fare più caloroso, è decisamente deliziosa.

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"Qui potrai trovare tutto ciò di cui hai bisogno, ci sono vestiti per tutte le epoche storiche... di qua, là è reparto uomo..." la seguo.
"Ma è un negozio!" esclamo, lei sorridente un'altra volta.

Non dico una parola per quanto estasiata sia. Annuisce.

"Dovresti provare questo!" richiama la mia attenzione, alzo il capo e mi ritrovo un abito decisamente principesco.

Un'altra missione mi aspetta, assai remota nel tempo ma non completamente da casa.

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Sollevo il vestito imperiale e mi affretto ad entrare nella sfera, questione di poco e replico l'azione anche se stavolta lo faccio al contrario. La gonna color cipria è immensa e sembra non finire mai, ho paura di cadere se solo quei due fannulloni dei miei compagni mi dessero una mano verrebbe tutto più facile ma nessuno lo pensa e son costretta a fare tutto da sola.
Scivolo giù dal mezzo magico mettendo piede in vaste distese erbose.
Sembro Cenerentola che si prepara al ballo. Immensi arbusti secolari sembrano guardarmi minacciosamente dall'alto ma io non ho paura so che sono immobili e che non possono farmi niente.

"Signorina Willis, capo diplomatico... a Lei la parola!" mi offre campo libero Ryan, il suo sorriso chiaro e perlato al tempo stesso mi illumina il sentiero pur non essendo ancora totalmente notte. Non lo è decisamente affatto, sbircio l'ora segnata sul suo orologio da tasca appeso all'elegante panciotto blu oltremare ed è appena mezzogiorno.

"Allora, amici... il nostro piano è far si che Emily non si rinchiuda in casa, in primis... in secundis, che diventi famosa prima del tempo di morte come abbiamo già visto..." cerco di spiegarmi più chiara che posso.
"Anche se non dobbiamo combattere, dobbiamo starci attenti..." giunge Mel.
"Lo dici tu, Mel... non hai sentito, siamo giunti fin qui anche per fermare Keith!" lo avverte Ryan con il suo solito eroico fare da puro guerriero, non si scompone mai.
"Allora, ragazzi... siamo pronti, andiamo!" stavolta sono io a pormi al di sopra di tutti.

Usciamo dal bosco che sembra interminabile, un profumo di muschio sembra otturarmi le narici ma il che però è puramente fantastico. Fitti rami e altrettante foglie mi piovono sul capo fino alla fine, finché non trovo una via d'uscita in mezzo a un'infinita varietà di verde che emette frescura. All'estremità del sentiero scorgo una casetta in legno di un rosso Tiziano. Sporge dai fiori, l'erba e il prato.
Adesso potrei riuscire a vedere il sole ma è letteralmente impossibile per via delle nubi che attraversano il cielo, non v'è mai luce all'infuori di quella emessa dalle ginestre e dalle edere rampicanti qua e là per i viali insabbiati e pietrosi ancora privi d'asfalto. Questa è tutta aria tersa e salubre, iodata pur essendo lontani più di mille miglia dalla veduta di un possibile mare.
Sento vociare di bimbi, mi affaccio un po' di più e trovo una famigliola di colore che sembra rincorrersi in allegria. Lo fanno per quei bambini o perché la guerra è finita e hanno ritrovato la pace? Saranno veramente felici, quei? Avranno smesso finalmente di soffrire?
So che la vita non è facile da qui a queste e specialmente se sei uno di loro.
Intravedo un gruppo di quelle donne parlare tra loro. Una ha i capelli corti e mossi, cosa insolita almeno per noi occidentali del XIX secolo. Ha un sorriso alquanto perfetto, coccola il più piccino. La più anziana ricama all'uncinetto, sono proprio curiosa di vedere come si fa. Un uomo è seduto sul prato, incomincia a masticare e reca in mano un grappolo d'uva. Di Emily nessuna traccia e chissà dove sarà. Magari in vetta alla sua stanza in preda a qualche sua solita rima imperfetta ma non a chi ovviamente è puro di cuore. Starà leggendo un libro o scorrendo su una pellicola di qualche immagine illustrata o ancora disperdendosi in qualche profumo speziato che sa di camelie o tisana agli eucalipti selvatici come il suo animo che non smette mai arrendersi tanto meno quando piove. Starà tessendo un quadro tra le pagine del diario che terrà custodito all'ombra di un raggio di candela. Fiumi di inchiostro inonderanno quelle pagine ingiallite e la quale fatica non è mai sprecata poichè è irresistibile piu che mai.

"Prof Willis, dai... Freya, che aspetti?" mi incita Mel.
"Shhh o ci sentiranno!" ribatto io, l'indice sinistro sulle labbra invitandolo a fare silenzio "C'è gente e si spaventerà!" continuo.

Alza le mani facendo segno di aver capito.

"Se siamo dove so io, siamo a un passo dal tutto... al di là di questi rovi dovrebbe essere là casa di Emily mentre a destra quella del fratello e di Susan..." cerco di essere puntuale.
"Bello quel gazebo circolare!" complimenta il soldato a bassa voce.
"Padiglione? Eh? Ah, già! Da quell'angolazione dovresti vedere meglio di me e tu lo sai..." aggiungo.
"Andiamo, su... entriamo in azione!" persiste nel farmi segno il tipo in tweed blu.

Rido, lo faccio a squarciagola.

"Chissà cosa penserà Emily come vedrà il nostro Ryan, crederà che la sua seconda fiamma sia tornata all'attacco... due sono le cose o lo amerà per la seconda volta o s'infurierà e io conoscendoti, caro... sai, credo più nell'altra..." farnetico.
"Ma sta' zitta, io piuttosto credo che sarebbe stato meglio indossare l'uniforme..." mormora.
"Basta studiare i piani per una buona volta e piuttosto, agiamo!" ordina il terzo e così facciamo.
"Ecco..." echeggia ancora una volta il bianco passando all'azione, credo gli sia venuta in mente una nuova idea o almeno lo spero visto che è il primo a muoversi.
"Ehi, ragazzi! Non credo ai miei occhi, due bianchi con un nero... staranno diventando tutti buoni qui!" odo distrattamente, trattengo le risate.
"Mah, non illuderti... sarà un loro schiavo!" soggiunge un'altra voce, Mel inizia a ridere e io lo fulmino.
"Mel, che ti ridi? Sembra brutto comportarsi così!" lo ammonisco.
"E che non vedi, tutti mi danno del..." schiocca la lingua sul palato.
"Signori, cosa volete!" aggrotta la fronte la donna più tarchiata.
"No, tranquilli... siamo tre di voi e non vi facciamo del male, piuttosto siete contenti?" Ryan cerca di tranquillizzarli.
"E di cosa?" chiede ancora questa con la stessa espressione di prima.
"Come di... che l'anno scorso è finita la guerra!" ribatte il bianco.
"Ah, si!" la anticipa colui che credo dovrebbe essere il marito.
"Comunque, mi ha mandato qui il generale che si sentiva con Emily Dickinson e non so se la conoscete ma l'ha fatto per controllare la zona!" irrompo io cambiando discorso.
"Ah, si... Amy!" interrompo.
"Va tutto bene? È questo che vuole sapere..." aggiro il problema.
"O è per lei semmai, che so... magari per convincerla ancora di più a pubblicare le sue poesie o chissà se anche le sue lettere..." ancora la donna.
"No, non vedi che sono dei ficcanaso... anzi quello là, ora che ci penso... è un farabutto, è l'uomo che gliele aveva prese!" adesso il marito indicando il soldato che incomincia a ridere sotto i baffi.
"Ryan!" lo fulmino.
"E si è pure cambiato il nome!" riprende l'uomo.
"Non so di chi stiate parlando..." soggiunge il soldato.
"E fa pure lo gnorri!" replica l'ex schiavo.
"No, mi spiace ma lui non c'entra niente con quella faccenda... non è quello che..." vengo interrotta.
"E lei lo copre pure, questo vuole l'harem!" l'uomo non desiste.
"No, davvero!" replichiamo in coro.
"Va bene!" sbuffa.
"Togliamo il disturbo, arrivederci... signori!" concludo allontanandomi, prendo sotto braccio i due che sono con me.

Mi volto indietro e vedo una graziosa fanciulla vestita di nero, le mani incrociate sul grembo e i capelli legati sul retro in una sorta di cignon. Aggrotta la fronte, ci ha visti e ci guarda strano. Chissà chi sarà mai, la vedo avvicinarsi e sembra quasi riconoscerla. Ma si, lei è Susan Dickinson, la cognata di Emily oltre che amica di una vita e amore tormentato. Il viso candido della giovane donna sembra corrucciato e non solo per l'insolita nostra apparizione. Sembra fremere di dolore e ci credo se solo penso a quanti cari abbia perso. Non ha visto altro che morte e sin dalla sua tenera età, rammento bene ogni passo della biografia della scrittrice impavida come siamo soliti ricordarla noi tutti che venuti siam dopo di lei. Rammentiamo ogni singola cosa e anche del suo prossimo abitando non troppo distante da lei trattandosi di appena una manciata di metri di prato all'inglese o di neve negli inverni più gelidi e bui di una terra simile che io ben so quanto sia difficile abitare.

"Pensavo fossero i miei amici ma di voi non so minimamente nulla! Oh, mamma mia... chi siete?" queste le sue prime parole, poi fa spallucce.
"No, tranquilla e comunque possiamo diventarlo..." aggiunge Ryan che strizza un occhiolino, lo fulmino anche stavolta.
"No, grazie i miei già bastano..." borbotta ritornando sui suoi passi.
"Davvero, tranquilla... noi non facciamo male..." arriva la volta di Mel.
"Anzi, semmai lo portiamo via..." ancora l'altro.
"Basta, ragazzi! Ciao, cara! Lascia stare loro, sai come sono i ragazzi... forse non ti sei accorta di me!" richiamo l'attenzione.
"Come siamo?" riecheggia il bianco, lo ignoro "E chi saresti tu?" continua.
"Il mio nome è Grace Donovan, vengo da Boston... piacere!" lo ignoro, il mio tono è deciso.
"Il piacere è tutto mio, Susan Dickinson... veramente questo è il cognome di mio marito..." mi tende la mano
"So chi sei!" un leggero cenno di capo in avanti, ancora più risoluta di prima.
"Cosa? E come?" rimane allibita, li sento ridere.
"Siete amica e cognata di Emily, il suo vero amore..." sbuffo.
"Ma chi siete, sto sognando..." si guarda intorno, scuoto la testa in segno di no.
"No, stai vivendo e forse è la prima volta in tutta la tua esistenza... secondo me è l'unica in assoluto o almeno finora e se non cambierai come questa non ne avrai più!" aggiungo, rimpicciolisco il taglio degli occhi per rincarare il mio atteggiamento rigido e composto "Non aver paura, non lo sa né lo saprà nessuno al di fuori di noi o almeno per adesso... forse fino a quel giorno in cui qui non ci sarà nessuno di così familiare per tutti noi... lo so che tempi difficili sono questi e che mondo soprattutto è questo, una realtà regnata solo da tabù e quindi poi segreti e so di essere in grado di mantenerli..." una parola dietro l'altra, poi un'interruzione a causa sua.
"Ma, taci... devo entrare o sarà tardi per preparare la cena..." borbotta infastidita.
"Aspetta, non ho finito... forse un giorno, anzi no questo è sicuro... un giorno quando tutto questo sarà finito o almeno in parte, quando qualcuno di noi non ci sarà più, tutto si saprà ma non ora... certo, alcune cose o almeno vorrei che si sapranno subito e che andranno diversamente da come si prospettano... che superaste l'amara tristezza degli infiniti lutti che vi hanno più volte tormentato negli anni e che trionfassero nel vostro amore che sa di moda, uscite e poesia..." la fermo per un braccio.
"Ma chi sei, una strega?" il suo muso si fa sempre più corrucciato, mi strattona la mano cercando di divincolarsi dalla presa.
"No, sono una futura fan di Emily..." cerco di spiegarmi come meglio possa.
"Una... cosa?" le sue labbra sottili e struccate sembrano deformarsi.
"Una lettrice di Emily, ho letto la sua prima poesia edita e mi è subito piaciuta... è talentuosa, direi ma è ovvio che non mi vorrei fermare a questa unica e sola ma andare oltre, ne leggerei volentieri altre... ci saranno, lo credo e lo so... sono anch'io un'artista... sto studiando per diventare una critica conservando da sempre una vena artistica e vorrei fare, perché no... anche, che so... magari un lavoro a più mani..." cerco di chiarire.
"Ah, davvero? Aspetta un secondo, Grace! Emily, venite pure voi se volete!" sospira, un timido sorriso sembra calmarle l'espressione.

Sembra più leggera, almeno per ora o un po' di più.

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Una dimora gialla in legno dalle persiane verdi ci appare davanti, è proprio lì che abita la famiglia Dickinson. Susan bussa alla porta principale, sembra una casa delle bambole ed è decisamente incantevole. Si volta verso di noi, nessuno sta nella sua pelle. Improvvisamente quella si apre e appare a tutto spiano una ragazza che subito ci sorride.

"Susan, mi meraviglio di te!" incomincia a farle il terzo grado.
"Più o meno, piacere, mi chiamo Grace Donovan... lui è Archie Blake e questo si chiama Ernest Wilde!" anticipo quest'ultima.
"Il piacere è tutto mio, Emily... prego, entrate e fate come foste tutti a casa vostra! Disponetevi tutti in soggiorno che vi preparo una tazza di tè e torno subito da voi..." non spreca altro tempo.
"Sappiamo chi sei!" annuisco irrompendo.
"E chi sarei io se non "nessuno"?" sputa sorridendo.
"Finiscila, adesso ti spieghiamo tutto..." conclude Susan.

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"Ma è deliziosa, grazie!" esclamo posando la tazza in ceramica blu cobalto sul tavolino in noce alla mia destra, le campanile sopra disegnate mi regalano una certa tranquillità.
"È tisana alle erbe selvatiche, ce n'è un'altro po' se vuoi... l'ha preparata mia madre, lei è la cuoca di questa casa e mia sorella l'assistente mentre io la pecora nera e vagabonda..." vocalizza con il suo solito modo di fare teatrale, come fanno a definirla noiosa se è veramente una testa dura di ironia mista a pepe.

Io proprio non lo so!

"No, quello è tuo fratello... tu sei la poetessa!" interviene Susan trangugiando l'ultimo goccio rimasto, ridiamo tutti in coro.
Ah, già... si o almeno in parte lui, comunque... chi siete voi?" replica Emily allisciandosi il vestito "o no, va stirato... mamma!" continua urlando disperata, è decisamente una macchietta e il che mi piace da morire.
"A proposito di poetessa!" fa di nuovo Susan facendo un rapido segno verso la mia direzione invitandomi sotto voce a parlare, mi schiarisco la voce prima di farlo.
"Si, allora... io sono un'aspirante critica dell'arte di Boston, non so se hai mai sentito parlare di me..." vagheggio con le parole.
"...no, dunque?" il suo vocione si fa sentire bene, il sopracciglio alzato è una sua solita routine.

È così sicura, altro che me!

"Ecco, la tua poesia è deliziosa... dolce e anche più di quella tisana, ho letto quella già edita e mi è decisamente piaciuta... vorrei leggerti ancora o forse non ci credi, certo... dovresti pubblicarne altre, pensa che mi hai colpito sin da subito e anche prima di vederti qui... volevo venire già da tempo e ho esitato finché ho potuto... sai, eri proprio come immaginavo anzi se non addirittura meglio... continua così e ascolta, esci e non chiuderti... non vestirti sempre di bianco, poi... inoltre sarebbe bello fare anche qualche cosa insieme... qualche pezzo a quattro mani, voglio dire... che ne pensi?" è un discorso il mio che sembra non finire mai.
"Hai visto, che ti dicevo? Sono veramente fantastiche!" ride Susan.
"Ok, basta voi! Chi lo fa mai, tutti a dire così... comunque sai una cosa? Hai sbagliato, dovevi farlo prima... perché non l'hai fatto?" si schiarisce la voce cambiando discorso, mi mette KO.
"Credimi, lo farai se non mi ascolti e ti convinci..." replico, incurva il muso in segno di incredulità "e poi senti, c'è dell'altro ma ne parleremo dopo o meglio non qui o qualcuno potrebbe sentirci..." mi guardo intorno, i fiori del vaso posto alle mie spalle emanano un certo odore che riesco ben a definire: sono calle bianche, uno dei miei tipi preferiti.
"Ancora e cosa? Dai, sono curiosa!" insiste, gli occhi spalancati e quell'aria da lolita non la lasciano mai in pace.

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È notte inoltrata già da un pezzo, il cielo si è ancora una volta riempito di stelle. La luna ci guarda da lassù quasi fosse il guardiano dell'universo, in un certo senso lo è o almeno per chi non crede nelle piú pure leggi dell'astrazione.

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Sollevo il capo in alto, stasera basterà tutto questo a illuminarci la via. È fantastico vedere il mondo da questa latitudine, era da un po' che non lo facevo e tremendamente mi mancava. La natura è la sola cosa che ci circonda o prevalentemente è solo questa che ci abbraccia. Alti boschi e case basse sono i soli inquilini di questa realtà che ci osserva dalla più elevata delle prospettive. Qui è un paradiso, il posto ideale per l'ispirazione e solo così poteva nascere una come lei. Vorrei rimanere per sempre ma sento che il nostro tempo sta per scadere, il mio lo sta per fare. Che peccato, continuo a ripetermi mentre sento gli altri intonare una dei più belli e altrettanto antichi stornelli patriottici che non mi stancherò mai di ascoltare. Forti come la nostra nazione d'altronde che mai si arrenderà.

"Intanto, ragazzi, che ne dite di un falò?" mi propongo ridacchiando, sono raggiante come non mai.
"Ottima idea, Grace!" irrompe Susan, schiocca la lingua sul palato strizzando al tempo stesso un occhiolino in segno di condivisa approvazione.

"La vostra è un'ottima idea ed è lei ad aver ispirato noi!" sparo tutta festosa.
"Si e cioè?" chiede lei di nuovo accigliata.
"La vostra relazione, semplice! In fondo te l'avevo detto anche prima, no o non te ne sarai già dimenticata?" il mio tono è lo stesso di prima.
"Alla vostra relazione!" esclama il bianco stappando una bottiglia di birra che aveva stipato nello zaino poco prima di approdare qui.
"

Alla vostra relazione!" ripete l'altro facendo la stessa cosa.
"Alla vostra relazione!" ribatto all'ultimo io accompagnata dalla medesima azione.

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"Buonanotte, ragazze, è stato un vero un piacere!" intono abbracciando ciascuna di loro per l'ultima volta, annuisco con la più piena risolutezza prima di farlo.
"Beh, ragazzi! Sbaracchiamo... si è fatto tardi ed è giunta l'ora di tornare alla base, che ne dite! Credo che anche per questa volta abbiamo dato!" sospira tutto di un tiro Mel con un battito di mani.
"Ah, mi starei per sempre in questo Paradiso... è poi, per non parlare di questa brezza che sa di primule anche se ancor la bella stagione è lontana..." sorrido beata.
"Certo, Mel!" annuisce l'altro senza mostrare un minimo di accordo.
"Davvero, Ryan! Che hai, non mi sembri tanto convinto!" il tecnico aggrotta la fronte! Il sopracciglio sollevato ne è la prova piú evidente.
"Non ti starai forse dimenticando di Keith!" controbatte il bianco.
"Se ci fosse stato si sarebbe già fatto vedere o non pensi?" e fa lo stesso l'altro alzandosi in piedi "Dai, pigrotto... andiamo!" continua aiutandolo ad alzarsi in piedi.

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Ci accolgono tutti quanti con un applauso mai ricevuto prima d'ora. È il nostro dovere e poi non credo sia stato chissà cosa.

"Bravi, siete stati grandi!" il sorriso di Dorothy, come mi mancava, come se non lo faceva.
"Ryan, che hai?" chiede Peter.
"Keith, non l'abbiamo trovato... sarà scappato un'altra volta?" chiede l'altro sbuffando, il primo annuisce "E dove, stavolta?" continua adirato più di prima.
"2022, America... sala mensa ed è appena tornato!" sbuffa con un leggero cenno di capo indicando l'altra stanza.
"Oh, bastardo! Gliela farò pagare!" digrigna ancora il soldato.
"No, sta' fermo! Tu non fai proprio nulla!" lo freno io che avevo origliato tutto.
"Si, certo invece e come se lo farò!" conclude reprimendo tutto a pugni stretti, un sorriso beffardo cosparge il suo volto.

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Torno a casa stanca e come se non bastasse la trovo pure piena, mi viene incontro mia madre che mi saluta e sorride raggiante più del sole nel suo abito rosso scollato vertiginosamente sul retro. Il mi sguardo cade sul suo anulare sinistro, guarda caso non indossava più la fede. Che avrà combinato mai e ancora stavolta?

"Che fine ha fatto la tua relazione con papà?" chiedo da vera impertinente.
Vai c'è il tuo ragazzo di là che ti aspetta!" sbraita inducendomi a sbuffare, cambia sempre discorso quando non le conviene.

Fidanzato, si ma se nemmeno lo conosco?

Apro la porta della mia stanza e trovo un ragazzo spaparanzato sul mio letto, Dylan Cooper ovvero la mia eterna rabbia. Servito e riverito, non lo smetto mai di ripetere e sentenziare. Vergogna, non ho altre parole! La sua tuta in viscosa bluette dell'Adidas accarezza le mie lenzuola, fortunatamente che ha levato le scarpe. Il mio letto è sacro come un tempio, è quest'ultimo che amo anche più di ogni ragazzo al mondo ma come ogni cosa che mi appartiene. D'altronde, sarà anche un bel moro dagli occhi azzurri ma non c'è nulla che so di lui e come ho fatto a prenderlo non lo so. Sarà forse stato per il semplice fatto che piaceva a mia madre? Già, proprio così. Uff, sicuro. Eh si, basta che è contenta lei e va tutto bene come deve andare. Come devo fare ad andare avanti così, certo, giuro che non ce la faccio proprio più!

"Amore!" echeggia la solita cantilena con la sua voce che scarseggia di virilità, chissà se sarà mai diventato giovanotto.

È quello che mi chiedo sempre io.

"Amore, un corno! Senti, scendi immediatamente da lì che dobbiamo parlare!" sentenzio.
"No, dai... vieni pure tu!" mi prega quasi fosse un cucciolo di chiwawa indifeso, ora chenci penso gli dò l'osso e vediamo se si calma.

Ma va là, bonfonchio.

"Non farmelo ripetere ancora! Forza, sono stanca dopo una lunghissima giornata di lavoro finita solo ora! Smettila adesso che devo riposare! Finalmente lo posso fare se solo me lo permetti!" sono decisamente ardente come un fuoco.
"Che sei, però!" questa è l'ultima cosa che dice prima di lasciarmi finalmente campo libero, i soliti occhi dolci è l'ultima immagine che in quella sera mi rimane di lui.

Che patetico, mormoro.

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Chiudo e apro gli occhi e mi ritrovo nella mia più religiosa tranquillità.

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Poso il capo sul cuscino soffice quasi fosse l'erba o la poltrona di casa Dickinson, è ugualmente soffice e setosa, mi viene da abbracciarla così forte. Profumano entrambe di nuovo, di mimose e di primavera, sanno di casa.

Sento automaticamente come se quella strana voglia di chiudere gli occhi mi travolgere nella sua stessa energia, lo faccio e tutte quelle immagini tornano puntualmente a spremermi mente, ora piano e poi veloce. Sembra un film dai più sfarzosi toni, gli stessi che rivestivano le interminabili carrozze incrociate in tarda serata. Si aggiravano per strada, sembravano rincorrersi per le rue del centro non molto distanti dal punto di inizio in quanto era poco oltre la chiesa che aveva inizio la parte alta della città. Calessi vanno e automobili vengono ma tuttavia quel senso di infinito è sempre presente, lo colgo nell'ecosistema e nella vita cittadina che respira quell'aria che solo lì non osa appassire. Ancor meno si permette di farlo tutta l'area che vi ruota attorno. Gli edifici coloniali sopravvivono tuttora ignorando ogni guerra o altra atmosferica fatalità, neppure la morte sembra scalfirli. È una natura astratta ma in qualche modo percepibile, questa. Le abitazioni non si sono mosse nemmeno di un millimetro quadro, sono intatte e puntualmente rumoreggiano tra le foglie scosse da quello stesso vento leggiadro che mi scalfiva i polmoni riportandomi in vita, la stessa che ho da sempre desiderato, la vera. Lo faceva in un'altra dimensione. E poi c'è quella casa e i suoi mattoni sono Lattei, Smeraldi e lucenti. Ogni cosa è perfettamente come l'avevo lasciata. E, no. Non tutto ma almeno in parte, si. Lo è, altroché se no. Perchè di anni ne sono passati ma non radi e anche quella che chiamo casa non è esattamente come prima. Perchè dietro quella porta non vi sono più le pareti raggianti di un tempo, il quadro dei tre fanciulli non si erge più in cima all'imponente camino in stile georgiano nella sala da pranzo dagli stucchi cerulei e bianchi o dalle lunghe sfilate di carta da parati in stile floreale e dai più svariati e strani colori, solo allora tutto questo cambiava senza avere mai una fine. Perchè quella che definisco casa non conserva più una casa vera. Adesso tale casa non è più una casa a tutti gli effetti ma al di là di quelle persiane si nasconde un vero e proprio museo, sarà stata per opera mia o no?
Sbaglio? Forse. I tempi sono cambiati e ogni cosa puntualmente l'ha fatto, probabilmente il resto è solo puro frutto della mia immaginazione e nulla di tutt'altro. Anche la moda è cambiata e ciò è quello che giustamente mi rende più triste, preferivo quella di un tempo dato che la consideravo eleganza pronta a non svanire mai. Minigonne dappertutto eppure io colgo ben altro, corsetti in pizzo e un paio di chignon scuri distinguersi tra tutta una folla di gente diversa e altresì uguale. Ebbene, si. Perché infin dei conti anche se ci perdiamo in mezzo a tanto ritroviamo sempre il coraggio e il modo di uscirne per poi imbucarci di nuovo ma stavolta verso la via del ritorno. È per il nostro sogno, quello americano. Casa.

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