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Ho cura di papà come lui ha cura di me.


Mycroft chiacchierò con il fratello, le prime luci della sera illuminavano il cortile.

Mandò giù, suo malgrado, un aperitivo poco alcolico che gli aveva portato Sieger. Al momento imputò il torpore che ne seguì con la bevanda, ma si rese conto pochi minuti dopo che quello stordimento avvertito in auto preannunciava qualcosa di temibile.

La stanchezza, per aver lavorato fino a tardi per riuscire a ritagliarsi tre giorni interi con Miles, cominciò a farsi sentire. Aveva saltato la cena più di una volta, arrivando a Baker Street alle undici di sera.

Sherlock lo aveva redarguito per aver lasciato spesso solo Miles e per i suoi continui ritardi.

Ma lui si era impuntato e aveva perseverato, ora sentiva di aver sbagliato. Lo stress e la tensione gli stavano provocando una di quelle emicranie di cui soffriva un paio di volte l'anno, e in quei giorni lui aveva spinto molto.

Si sentì un imbecille, consapevole che avrebbe rovinato il compleanno di Miles proprio quella sera a cui teneva tanto.

Sprofondò ancora di più sulla poltrona. Le tempie che pulsavano dolorosamente. Cercò di resistere, ma era consapevole che non avrebbe retto.

Mesi prima, all'arrivo di Miles, aveva scoperto che anche il figlio aveva ereditato lo stesso disturbo. Aveva avuto un episodio doloroso e lui, benché fosse impacciato e novello padre, lo aveva aiutato a superarlo.

Si strinse le tempie, cercando di resistere.

"Che hai Myc? Non dirmi che ti sta arrivando un'emicrania!" Sherlock, da buon fratello, se ne era accorto subito.

"Temo di sì. Puoi aiutarmi con Miles? Non voglio rovinargli la serata, fallo stare con te. La bicicletta che tanto desiderava è nascosta in caldaia, è rossa il suo colore preferito." Si massaggiò la fronte, ma era tutto inutile.

Sherlock si stizzì. "Gliela darai domani, non cambia nulla. Devi riposare! Ti avevo avvertito di non lavorare troppo, ora lo stress ti presenta il conto."

Mycroft socchiuse gli occhi. "Volevo avere più tempo per stare con lui, invece ho peggiorato le cose."

Sherlock non infierì vedendo il fratello abbattuto. "Sta tranquillo, a mio nipote ci penso io. Dove sono le tue medicine?" Sapeva che le portava sempre con sé in caso di una crisi.

"Nella ventiquattrore in ingresso." Si alzò discreto per andare a recuperarle.

John, che li aveva visti chiacchierare fitti, si avvicinò e capì. Prese posto sulla poltrona.

Guardava preoccupato il maggiore degli Holmes. "Stai bene?"

Mycroft annuì lentamente, Watson si assicurò che fosse il solito attacco di emicrania gli appoggiò la mano sul ginocchio intuendo il suo rammarico.

"Devi prendere le medicine, dormire e rilassarti, non ti devo spiegare nulla di più."

Mycroft spostò lo sguardo sui due cuginetti che si divertivano in cucina, si fece scuro in volto.

"È un bambino, si distrarrà giocando. Lo sa cos'è l'emicrania, e capirà."

Cercò di tranquillizzarlo, Holmes si disperava per dover abbandonare il figlio.

Sherlock era tornato con le pillole e un bicchiere d'acqua.

Fin da bambino, Mycroft, aveva patito per quelle emicranie acute, lo avevano portato da uno specialista, e col tempo era riuscito a gestirle. Ma un paio di volte l'anno, quando era stressato, il problema si ripresentava.

Unica soluzione era l'isolamento e il silenzio al buio nella sua camera. Così com'era successo al nipote mesi prima.

Ingoiò le pillole, ogni movimento gli costava fatica. Era come se la sua sensibilità fosse quadruplicata.

Si alzò, ma prima cercò con gli occhi Miles. "Spero la prenda bene, digli che vado a riposare. L'ho lasciato solo tutta la settimana e ora gli combino anche questa." Mormorò contratto, passandosi la mano sulla fronte.

Sherlock sospirò. "È un bambino intelligente e sensibile. Capirà." Lo vide stabile e lo lasciò andare in camera a riposare.

Mycroft salì le scale con una lentezza da bradipo, tenendosi al corrimano.

Non si accorse che Miles lo aveva intravisto dalla cucina. Insospettito si alzò rapido, assicurandosi che Rosie fosse al sicuro e corse dal padre.

Lo zio non fece in tempo a fermarlo.

"Papà?" Lo afferrò per la manica. "Dove vai?"

Lo guardò col faccino accaldato e capì subito quando vide il volto sofferente del padre. "Hai male alla testa? Come quando succede a me?"

Mycroft si voltò lentamente, dentro la sua testa c'era uno sciame d'api che ronzava sempre più forte.

"Temo di sì, piccolo, devo riposare un po'"

Non si chinò perché non avrebbe retto allo sforzo.

"Passa la serata con gli zii e con tua cugina, torno appena sto meglio." Cercò di sorridergli, ma ne ottenne una smorfia.

Sherlock era salito di un paio di gradini, toccò la spalla magra del nipote.

"Lascialo andare a riposare, ha lavorato un po' troppo, le medicine lo faranno star bene in fretta." Fece un sorriso rassicurante, che servì a poco.

Miles non ci pensò un solo istante, prese letteralmente suo padre per il braccio e lo aiutò a salire.

"Zio, sto con papà. Ho lasciato Rosie da sola, digli che finisca il disegno. Scusami."

Lo guardò con una serietà inaspettata che stupì i due Holmes.

Mycroft cercò di dissuaderlo. "È solo un'emicrania, sai bene cosa devo fare per farla passare."

"Per questo non ti lascio, tu sei stato con me quando l'ho avuta."

"Ma è il tuo compleanno e sono un adulto, posso stare da solo." Strinse le labbra preso dal dolore.

"Io vengo con te."

Caparbio, il bambino lo strinse forte, lo aiutò a salire. Il padre, troppo stanco, guardò Sherlock disperato e lasciò che suo figlio lo accompagnasse.

Il detective sorrise vedendo il volto del fratello. "Sei sicuro Miles? Niente torta stasera? " Lo studiò con attenzione mentre sorreggeva con le sue poche forze il peso di Mycroft.

"Sì, zio, e poi è domani il 26 febbraio. Io ho cura di papà come lui ha cura di me."

La sua affermazione li lasciò senza parole. Il detective accarezzò la testa riccia del nipote.

"Bene, allora sai cosa fare, mi fido di te."

Annuì risoluto e Mycroft troppo offuscato non disse più nulla, ma il cuore gli andava a mille, incapace di capire cosa spingesse il bambino a sacrificarsi per lui. I sentimenti erano un vero mistero per quel uomo di potere che li aveva da sempre banditi dalla sua vita.

Il piccolo lo scortò fino alla camera che gli indicò il padre.

"Miles, non devi restare per forza..." Il vecchio Holmes fece un ultimo tentativo.

"Papà, so cosa devo fare." Mycroft lo osservò, il visino accigliato, le labbra strette nello sforzo di aiutarlo. Sorrise, anche se gli costò una fitta acuta e si arrese senza condizioni.

Lo spinse sul letto, lo fece sedere, lo aiutò a svestirsi. Piegò bene la giacca come piaceva a lui, gli slacciò la cravatta, sbottonò la camicia e il gilè con le manine impacciate.

Holmes lo aiutò cercando di non muoversi troppo.

La testa gli martellava incessantemente, Miles lo vide chiudere gli occhi e corse ad abbassare le luci.

Prese un asciugamano dal bagno, un bicchiere d'acqua e lo posizionò sul comodino vicino alle medicine che il padre aveva tolto dalla tasca.

"Come sai queste cose?" Mycroft lo osservava stupito, il figlio gli sorrise con un'espressione orgogliosa.

"La mamma era spesso ammalata, stavo con lei e ho imparato."

Holmes, che indossava la camicia e i calzoni, fu spinto delicatamente sotto la trapunta, il bambino si impegnò a coprirlo e a sistemargli i cuscini.

"Mettiti di fianco papà."

Parlava a voce bassa per non urtarlo, Mycroft obbedì, sprofondò nel letto, con gli occhi chiusi.

Lo sentì trafficare sulla sua fronte intorpidita, lasciò che gli coprisse gli occhi e le orecchie con l'asciugamano per proteggerlo dai rumori e dalla luce.

Cercò di non lamentarsi per non impensierire il figlio, ma la nausea e le fitte erano feroci.

Il piccolo spense completamente la luce. Solo dalla finestra, che dava sul giardino, le tende lasciavano filtrare un fioco bagliore che illuminava la stanza. Si coricò, senza scuotere troppo il letto, dietro suo padre.

Holmes sentì il corpicino del figlio addossato alla sua schiena. La guancia di Miles era appoggiata tra la nuca e il collo. Il braccino infilato sotto il suo, la manina sul petto.

Si quietò, cercò a tentoni quella del bimbo e la strinse forte. Un tepore riconoscente lo avvolse.

"Miles...grazie." Biascicò due parole, gli occhi chiusi sotto la benda improvvisata e si abbandonò alla cura di un bambino di sette anni.

L'uomo della "governance", quello burbero che reggeva la sorte di mezza Inghilterra, si sentiva più piccolo e più bisognoso di lui.

Miles lo sentì tremare. "Mi dispiace, papà, ti sei stancato tanto per colpa mia. Scusami.

"Holmes mormorò stancamente. "Non restare sempre con me, vai di sotto a festeggiare. Se mi addormento, figliolo, scendi e sta con loro. Quando mi sentirò meglio verrò anch'io."

Si sentì stringere più forte. "Ho promesso alla mamma che mi sarei preso cura di te. Come tu fai con me."

La finestra si illuminò di un biancore insolito, il piccolo fu percorso dallo stupore e vibrò.

"Che c'è?"

"Papà, c'è la luna piena, è tutto così luminoso."

Il bambino gli scostò la benda di fortuna e il vecchio Holmes guardò la bellezza di quel momento, la stanza risplendeva in un riverbero luccicante e proiettava giochi d'ombra misteriosi.

Miles respirava più forte, pieno di meraviglia. Mycroft, non resistette molto alla luce, socchiuse gli occhi trafitto dallo spasimo, il piccolo lo sentì sussultare.

"Ti passerà presto." La manina si strinse più forte. "Quando avevo l'emicrania, la mamma mi cantava delle filastrocche. Posso farlo anch'io? Lo farò sottovoce."

Il padre annuì. "Va bene."

Sussurrò la sua prima canzoncina. Incespicava in qualche parola che non ricordava. Mycroft per un po' lo aiutò bisbigliando la parola mancante. Finché quel sussurrare armonioso e costante placò l'emicrania. L'uomo di ghiaccio, si addormentò abbracciato al suo piccolo figlio.

Il bambino lo sentì abbandonarsi, la mano forte del padre allentò la stretta, scivolò giù.

Si zittì, sorrise compiaciuto.

Guardò verso la finestra, le tende si muovevano per uno spiffero che entrava attraverso il vetro leggermente aperto.

Era felice di essere nel lettone con Mycroft.

Il suo papà aveva fatto l'impossibile per stare con lui, ma anche quel papà così particolare si ammalava come tutti gli altri.

Si ripromise di non farlo stancare più e di essere comprensivo.

Un soffio di vento mosse i rami del vecchio abete che picchiettò sulla finestra.

Miles ebbe la sensazione che Amanda, la sua mamma, fosse lì.

"Ciao mammina, hai visto? Si è addormentato. Ho fatto come ti ho promesso. Ci prendiamo cura di noi." Sussurrò sbadigliando, vinto dalla stanchezza.

"Tu ora, fallo guarire in fretta perché gli voglio bene, lui è un papà speciale che sa tante cose."

Sfiorò con un bacino leggero la guancia di Mycroft, che si agitò un po'.

Non gli importava molto che fosse il suo compleanno e nemmeno della fame, ne aveva mangiati di biscotti mentre giocavano con la nonna.

Stava bene abbracciato al suo papà, non avevano mai tempo per stare insieme. Avrebbero festeggiato domani e sarebbe salito sul calesse degli Holmes e si sarebbe divertito con Rosie.

Aggrottò la fronte e si convinse che chiederlo era un suo diritto, infondo era il suo bambino e lei era stata la sua mamma.

Con un filo di voce, mormorò guardando la finestra sfavillante.

"Mammina lo so che potevo finire in una casa per bambini orfani e ora ho una famiglia molto grande, ma vorrei chiederti un regalo lo stesso. Potresti chiedere a Gesù di farmi avere più tempo per stare insieme a papà? Non mi importa della bicicletta, in cambio ti prometto che sarò ubbidiente e mangerò la minestra di verdure anche se non mi piace."

Miles chiuse gli occhi, si accoccolò meglio vicino alla schiena di Mycroft che riposava quieto. Si addormentò sereno. Più tardi sarebbero scesi insieme a mangiare una fetta di torta, ne era sicuro.

Perché sentiva che il suo papà speciale stava meglio. 

 Sapeva che Amanda, la mamma amorevole volata in cielo troppo presto, non lo avrebbe mai deluso. 

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