24. Un suono diverso
Sabato 22 giugno
«Sorpresa!»
Vincent mi porge il dépliant di un albergo. Sembra parecchio lussuoso.
«Che cosa significa?» gli chiedo, intenta a leggere il piccolo opuscolo.
Lui ammicca. «Oggi pomeriggio dovrò essere a un'importante conferenza di lavoro» mi spiega. «Ho pensato che potresti venire con me.»
«Sul serio?»
«Sì. Ci daranno una bella camera, con un terrazzo panoramico. Mentre io sarò impegnato con la conferenza, tu potrai fare quello che vuoi: usare la piscina, passeggiare nel parco, farti fare un massaggio. Tutto quello che vuoi.»
«Wow...»
«E stasera potremo stare insieme. Potremo passare la notte in albergo.»
Non riesco a crederci. Dormire insieme?
Proprio come è successo con Henry. Potrebbe essere la volta buona per capire se le sensazioni che ho provato con lui, stretta al suo petto per tutta la notte, sia in grado di averle anche con Vincent.
«Mi piacerebbe molto.»
«Allora andiamo. Sbrigati, partiremo tra un paio d'ore.»
Finisco di bere il mio caffè, lascio qualche moneta sul bancone ed esco di corsa dal bar molto chic scelto da Vincent per fare colazione. Lui mi segue fuori.
Corro a casa a preparare i bagagli. Metto in borsa i vestiti più eleganti che ho, un costume e un libro da leggere nei tempi morti. In fondo, staremo in albergo soltanto per una notte: non servirà portarsi dietro mezzo guardaroba.
Diamine, Vincent! Perché non me l'hai detto prima?
Odio fare le cose all'ultimo minuto.
Faccio una doccia in fretta e furia, poi mi siedo sul divano in trepida attesa, la borsa stretta tra le mani e una gamba che dondola frenetica, il tallone che picchietta sul pavimento.
Manca poco alle undici. A breve, Vincent dovrebbe essere qui.
Col suo solito ritardo cronico, si presenta sotto casa un quarto d'ora più tardi di quanto concordato. Scendo, mi infilo in macchina e getto la borsa sui sedili posteriori.
«Pronta?»
«Certo.»
La Porsche corre lungo la strada di periferia in cui abito, diretta verso l'autostrada.
«Quanto ci vorrà?» chiedo.
«Poco più di un'ora, con i miei ritmi.»
«Ah, è vicino!»
Le mani di Vincent sul volante riescono sempre a provocarmi un brivido, proprio come le prime volte. Osservo il suo profilo assorto nella guida, gli poso una mano su una coscia.
«Ehi!» mi dice lui, sorridendo.
Restiamo in silenzio per un po', la musica in sottofondo che fa da colonna sonora al nostro viaggio.
«Come va?» gli chiedo poi. «Ci siamo sentiti poco, in questa settimana.»
Vincent guarda la strada. «Tutto alla grande. L'azienda cresce sempre di più, e venerdì prossimo ci sarà l'inaugurazione ufficiale dell'agriturismo.»
«Davvero? Finalmente!»
«Sì. Il personale è al completo e le stanze sono già prenotate, come hai visto.»
Eh sì. Vincent mi ha portato a visitare Villa Saint Mary un paio di giorni fa, per mostrarmi il suo nuovo, definitivo aspetto. È stato l'unico pomeriggio in cui ci siamo visti, questa settimana.
«Emozionato?»
«Un po'. È stato un bel lavoro. Ovviamente sarai tra gli ospiti d'onore, venerdì.»
Oh no, un'altra festa! Non ne posso più!
Aspetto qualche secondo, ma Vincent non dice nulla. Non mi chiede come sto né se va tutto bene. Non mi chiede come ho trascorso la mia settimana.
Come al solito, insomma. Non mostra interesse.
Però mi sta portando con sé. Passeremo la notte insieme. Io e lui.
Vincent, mi vuoi oppure no?
«Ascolta, Christine» mi dice poi, rompendo il mio silenzio interiore. «Mi scuso se non te l'ho detto prima, ma nella fretta non ci ho pensato. Ci saranno anche Albert e Nico alla conferenza.»
Ecco, ti pareva. I due colleghi prediletti di Vincent, sempre tra i piedi.
«Va bene» replico.
«Dopo l'incontro, ci sarà una cena servita nel ristorante dell'albergo. Sono invitati tutti i partecipanti e i loro accompagnatori. Ti va di condividere il tavolo con loro? Tanto io e te avremo tutta la notte per stare un po' da soli.»
«D'accordo.»
Il tempo a disposizione con Vincent si accorcia sempre di più. A volte ho la sensazione di doverlo elemosinare. Ma non glielo dico.
Per ciò che resta del viaggio, Vincent mi racconta degli ultimi successi ottenuti sul lavoro, parlando dei suoi soliti vini e scendendo in dettagli di cui non capisco nulla. Ma va bene così, anche perché non saprei di cos'altro parlare. Gli argomenti che mi stanno più a cuore e di cui vorrei discutere sono per lui fonte di nervosismo. Non mi chiede nulla e non mi va di rinfacciarglielo. So che si arrabbierebbe e non voglio rovinare la giornata di entrambi.
«Hai sempre qualcosa di cui lamentarti!» mi direbbe. «Smettila di comportarti come se stessimo insieme. E poi, non ti basta? Guarda dove ti sto portando! Guarda tutte le cose che faccio per te!»
Già, perché è vero. Vincent fa un sacco di cose per me: mi porta sempre a cena fuori, mi dedica i suoi sabati, mi porta con sé alle conferenze di lavoro.
Allora, perché continuo a sentire questo terribile vuoto nel petto?
Sono solo una viziata paranoica?
Con la testa appoggiata al finestrino, lo sguardo fisso sulla strada, mi lascio scivolare qualche lacrima silenziosa sul viso. Lui non si accorge di niente.
«Vincent» lo chiamo, quando i battiti del mio cuore si sono placati.
«Dimmi.»
Esito un istante. «Cosa pensi di me?»
Lui mi guarda. «Che cosa significa?»
«È solo un gioco, non preoccuparti» gli sorrido.
«Ecco... penso che tu sia una bella donna. Cordiale, equilibrata. E anche un'ottima amante» ammicca.
«Sul serio?»
«Sì. Tu, invece, cosa pensi?»
Sospiro. «Penso che mi piaci da morire, ma questo lo sai già.»
Vincent mi accarezza una coscia, in silenzio, e sorride.
Come previsto, in un'ora e dieci minuti arriviamo in albergo, una struttura immensa di un bianco accecante che si erge nel centro cittadino dominando ogni altro edificio. Poco distante dall'hotel, l'enorme palazzo del municipio sembra quasi una capanna di paglia, confrontato con la sua mole.
La hall da sola è grande quanto l'intera agenzia, arredata con fregi bianchi e oro tutt'intorno a noi.
Mi sento minuscola. Questi posti dovrebbero avere dei sistemi che permettano di sprofondare nel pavimento, se frequentati da gente normale.
«Camera E108» ci dice con garbo l'impeccabile responsabile della reception, consegnandoci le chiavi. Un secondo uomo in uniforme ci accompagna gentilmente all'ascensore, dove troviamo un terzo uomo.
Resto muta per tutto il tragitto. Di tutti i posti in cui sono stata con Vincent, questo è di certo il più lussuoso. Sono vittima di una soggezione tale da aver paura persino di fiatare, rivelando la mia pronuncia non proprio perfetta e le mie origini campagnole.
Non mi sono mai sentita così a disagio in vita mia.
Vincent mi prende sottobraccio. «Resisti, tra poco è finita» mi sussurra.
Deve averlo notato. In effetti, sto camminando in un modo così rigido che potrei sembrare un robot. Un robot coi nervi, però.
Una volta soli, nella camera che ci hanno riservato, lascio cadere la mia borsa su una poltrona e mi butto sul letto con un sospiro liberatorio.
«Aaah!»
Il materasso è praticamente perfetto: né troppo duro né troppo morbido, né troppo alto o basso. Le lenzuola sembrano così pregiate che ho l'impressione di averle irreparabilmente contaminate col solo contatto fisico.
«Bella, vero?»
Mi guardo intorno. Mi soffermo sui tendaggi, sulle ampie finestre dai vetri lucenti, sul terrazzino all'esterno, sui mobili di pregio.
«Sì, meravigliosa» rispondo a Vincent. «Sembra di stare in un castello.»
Lui mi raggiunge sul letto, si stende accanto a me. Mi accarezza una gamba, salendo oltre il ginocchio con un dito e poi tornando giù.
Presa dall'entusiasmo, lo bacio. Vincent ricambia, mi stringe, fa pressione sul mio ventre.
Il suo cellulare comincia a squillare.
Lui inclina il capo all'indietro, gli occhi chiusi. «No...»
Si alza e va a rispondere. È Albert, che lo avvisa di essere arrivato.
Che tempismo...
«Due minuti e sono lì» dice Vincent, poi riattacca.
«A che ora inizia la conferenza?» gli chiedo.
«Alle tre. Ma dobbiamo prima parlare di lavoro. Tu sei libera di fare ciò che vuoi: c'è una piscina, il ristorante, una palestra, un centro benessere e tanto altro.»
Vincent va in bagno a darsi una sistemata, mentre io indugio, ancora sul letto.
«Possiamo rincontrarci alle sette, così andiamo a cena tutti insieme.»
Mi decido ad alzarmi. «Sì, va bene. Ti aspetto.»
Ci salutiamo con un bacio fugace sulle labbra, poi Vincent scappa via.
E adesso?
È un afoso sabato di giugno, fuori c'è un bel sole e farei volentieri un bagno in piscina. Ma riuscirò ad arrivarci senza fare figuracce?
Potrei anche fare un bel massaggio rilassante, anzi a dirla tutta mi è quasi indispensabile. Ma sono così nervosa, qui dentro, che in soli trenta secondi riaccumulerei tutto lo stress perduto o diluito dalle mani degli addetti al centro benessere dell'hotel.
La palestra, poi... riesco a rendermi ridicola anche in quella sotto casa, figuriamoci in una struttura così di lusso.
Non so che cosa fare.
Credo proprio che passerò queste ore in camera, in compagnia del mio libro. Mi sento un'idiota, perché un'occasione simile potrebbe non capitarmi mai più in tutta la mia vita, ma il disagio è troppo: mi sento più impacciata di una nonnina in un negozio di articoli tecnologici.
Scrollo lo schermo del mio telefono. Ho aggiornato per messaggio sia Debbie che Flo, ho contattato mia madre per chiederle come sta, ho persino controllato l'agenda per fare mente locale su ciò che mi aspetterà al lavoro, nella prossima settimana.
Cos'altro posso inventarmi?
Decido di uscire sul terrazzino a godermi un po' d'aria. Fuori, lo spazio è ampio e ben organizzato: c'è un sottile tavolino in ferro battuto, corredato di tre sedie eleganti, un paio di divanetti da esterno, un ombrellone e qualche vaso fiorito, il cui verde dominante spicca sullo sfondo cittadino.
Mi sporgo verso l'esterno, respirando. Le balaustre, dalla solida struttura grigio scuro, sono costituite da vetri spessi che non spezzano la visuale, donando all'occhio una sensazione di piacevole continuità.
All'aria aperta mi sento subito meglio. Sprofondo su uno dei divanetti, col mio libro alla mano, e mi rilasso al sole.
Sì, credo proprio che non mi muoverò da qui.
Assorta nella lettura, quasi mi prende un colpo quando qualcosa di rosso mi sfreccia davanti, per fermarsi sulla pagina aperta.
«Ma cosa...»
È una coccinella!
Guardo i vasi accanto al tavolino, poco lontani da me. Credo che starà al sicuro, lì.
Faccio per spostarla dal libro e mi ricordo di Henry, in macchina, con lo sguardo puntato sul colletto della giacca, ormai quasi un mese fa. Come mi piacerebbe rivivere un'altra serata piacevole come quella...
«Ti manda Henry, non è vero?»
Senza soffermarmi sull'assurdità di ciò che ho appena detto – ho davvero parlato a una coccinella? – la fotografo ancora intenta a ristorarsi sulla pagina del mio libro. Poi invio la foto a Henry.
La sua risposta non si fa attendere.
«È un'abitudine, allora» mi scrive.
Il cuore mi si fa più leggero e mi sento un po' meno sola.
Ormai rassegnata a fare a meno di piscina, massaggi e quant'altro, trascorro un'ora piacevole a leggere e a messaggiare con Henry, Debbie e Flo.
Non scendo neanche per mangiare. Poco prima delle due, mi faccio portare il pranzo in camera: preferisco che sia un solo cameriere a entrare in contatto con il mio imbarazzo, piuttosto che la metà del personale dell'albergo.
Mi gusto il pasto da sola, seduta sul divanetto con il piatto sulle gambe. Cosa che mai avrei potuto fare, se avessi deciso di mangiare nella sala del ristorante.
Aaah! Che pacchia!
Nel frattempo, continuo a leggere.
Un'altra ora passa senza che neanche me ne accorga. Il conto alla rovescia scende a quattro.
Ancora quattro ore?!
Non ce la farò mai. Ma perché non mi decido a uscire?
Fuori, sul divanetto, nonostante mi sia sistemata sotto l'ombrellone comincia a fare troppo caldo. Me ne torno dentro e mi metto a frugare negli armadi, nei comodini e nella minuscola dispensa, per ammazzare il tempo.
Grandioso! Biscotti al cioccolato. Li divorerò entro mezz'ora.
«Divertiti anche per me» mi ha appena scritto Henry.
«Magari potessi. Qui è tutto così pomposo che mi vergogno anche solo di farmi vedere in giro» gli rispondo.
«Ti capisco». Mi manda una foto della sua scrivania. «Vuoi fare cambio?»
Che cosa? Sta lavorando anche di sabato? Con l'agenzia chiusa!
«Tu sei matto da legare.»
«Le scartoffie aiutano a non pensare. O meglio, a pensare convincendosi che si stia pensando ad altro.»
Dannato Henry. È un enigma vivente.
Nel grosso bagno della camera, troneggia al centro una di quelle vasche da bagno in stile moderno, con i bocchettoni per l'idromassaggio e mille piccole manopole che chissà cosa stanno a significare. Ha una strana forma ovale, piacevole da vedere.
Decido all'istante che la proverò.
Riempita d'acqua e di sali da bagno, è così invitante che sarebbe impossibile resisterle. Mi infilo al suo interno, godendo della temperatura perfetta, e metto in moto l'idromassaggio.
Una delizia. Altro che centro benessere!
Accanto ai due piccoli gradini ai piedi della vasca c'è un comodo piano d'appoggio, una specie di mensoletta dove poter appoggiare gli effetti personali. È qui che poso il mio libro, il telefono e il pacco di biscotti.
Leggere, mangiare e messaggiare mentre si è immersi nell'acqua di una vasca simile è un'esperienza che prima o poi, nella vita, tutti dovrebbero fare. I biscotti sono buonissimi, la mia lettura comincia a farsi interessante, le conversazioni con le mie amiche e con Henry si fanno sempre più fitte.
Mi sento bene, sì. Finalmente.
Con Henry, come al solito, la banale chiacchierata convenzionale del «come va» e del «che fai» si sposta ben presto su piani più elevati. Parliamo delle abitudini, delle emozioni, di ciò che pensiamo davanti a certi fatti del mondo.
Ormai il telefono è appiccicato alle mie mani, non lo poso neanche per pochi minuti, mentre l'acqua comincia a intiepidirsi. Sono presa, terribilmente presa dalla conversazione.
«Cosa pensi di me?» chiedo a Henry a un certo punto, proprio come ho fatto con Vincent.
Lui ci mette un po' a rispondere.
«Penso che tu sia Christine» mi scrive.
«Questo lo so» gli dico, un po' disorientata. «Voglio sapere quello che pensi, non come mi chiamo!»
«Te l'ho detto: penso che tu sia Christine. Il tuo nome è l'unica parola che conosco per descriverti. Nessun'altra parola sarebbe abbastanza precisa.»
Ho un piccolo tuffo al cuore. Ancora.
«Ci saranno migliaia di altre Christine, al mondo. Come la mettiamo?» gli scrivo poi.
«Nomi uguali possono avere un suono diverso.»
Spazio autrice
Una trasferta inaspettata per Christine!
Peccato solo che non se la stia godendo molto 😅
Se voi foste al suo posto, ospite di un hotel lussuosissimo con tutti i comfort possibili e immaginabili, quale sarebbe il primo luogo in cui vorreste andare?
A me piacerebbe molto sguazzare in piscina (ma anche la vasca in camera sarebbe un'ottima alternativa!) ed esplorare l'albergo alla ricerca di qualcosa che catturi la mia attenzione (tipo una biblioteca).
Nel prossimo capitolo Christine dovrà fare i conti con una situazione ancora più inaspettata!
A presto,
M.J.L.
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