Desideri malsani e notizie strazianti
10. Desideri malsani e notizie strazianti
3 mesi dopo...
Passeggiare sembrava essere diventato l'unico modo per poter schiarirmi le idee in pace, senza il costante bisogno di trovare un angolo vuoto della casa in cui nascondermi.
Con papà e Pepper che continuavano a farmi domande stupide come: Stai bene? Hai mangiato oggi? Hai dormito bene?
Ormai la risposta era più che chiara: no.
Non stavo bene, tutte le emozioni dentro di me si stavano ribellando contro la mia volontà di andare avanti e dimenticare il passato. I miei sensi di colpa mi impedivano di mangiare e i miei sogni erano sempre riguardanti l'unica persona che in qualche momento sarebbe stata capace di rendermi felice.
Peter Parker.
Dopo essermi ripresa dal mio piccolo coma, decisi che era mio dovere andare ad informare la zia di Peter della sua sparizione. Ma il destino fu talmente crudele da far sì che anche lei scomparisse, in qualche modo sperai che lei fosse con lui da qualche parte nell'aldilà (?), non sapevo neanche se fossero davvero morti tutti oppure finiti in qualche strano limbo.
Non ci misi tanto a fare la mia prima cazzata. Infatti, la finestra della casa di Peter era lasciata sempre aperta in modo che lui potesse rientrare tranquillamente durante i suoi orari di sorveglianza da Spider-Man, ed era anche abbastanza nascosta da far sì che nessuno si accorgesse in caso qualcuno decidesse di entrare da lì.
In poche parole, mi introdussi in casa sua e mentirei se dicessi di non aver passato lì gran parte delle mie giornate. Stando nella sua camera riuscivo a sentire ancora il suo profumo, era l'unica cosa che mi ricordava di lui.
Quello e tutte le felpe/maglie che avevo rubato dal suo armadio. Anche in quell'esatto momento avevo indosso la sua felpa con il logo della sua scuola, era in qualche modo confortante sapere di avere qualcosa di lui che non fossero le sue ceneri riposte con cure in un vasetto nella mia camera.
Per quanto potesse suonare strano, non riuscivo proprio a lasciarmi il passato alle spalle, dimenticarmi di lui e di tutte le emozioni che mi aveva fatto vivere in meno di 24 ore.
D'un tratto sentii il mio telefono vibrare, quando lo accesi notai un messaggino da parte di papà che mi chiedeva di rientrare perché era tardi e aveva bisogno di parlarmi urgentemente.
Sospirai e risposi con un "arrivo" per poi rimettere il cellulare in tasca. Mi guardai attorno nel parco in cui ero entrata e decisi di andare a sedermi un attimo su una panchina.
Le mie gambe erano ancora abbastanza deboli e a volte avevo qualche problema a respirare, mi capitava di avere degli attacchi di panico che potevano essere leggeri o devastanti.
Passai la mano sulla mia fronte sudata e iniziai a prendere dei respiri profondi. La mia vita era un casino e tutto questo era successo a causa di Thanos... Il fatto che fosse morto non mi aiutava, però, a sentirmi meglio.
Il mio telefono iniziò a vibrare insistentemente e fui costretta e prenderlo per rispondere alla chiamata di papà. "Pronto?" risposi stanca.
"Dove sei?" chiese lui senza giri di parole. "Ho bisogno che torni subito a casa, dobbiamo parlare."
"Gesù Cristo." sbottai. "Ti ho detto che sto arrivando! Se vuoi parlarmi della data del matrimonio allora lascia stare, fissalo quando vuoi." Mi alzai dalla panchina per sgranchirmi le gambe.
"L'abbiamo già fissato." Replicò lui velocemente, mi bloccai sentendo la bocca secca. Non pensavo avrebbero seriamente deciso la data senza di me nonostante io fossi contraria all'idea. "Dobbiamo dirti una cosa più importante, vedi di non metterci troppo."
Alzai gli occhi al cielo, papà sembrava essere l'unico disposto ad andare avanti con la sua vita. A volte questa cosa mi dava sui nervi, come poteva pensare ad un matrimonio come se niente fosse. "Sto. Arrivando." Scandii bene per poi chiudere la chiamata e spegnere il cellulare, mi stavo comportando da bambina e in fondo lo sapevo benissimo di non essere d'aiuto in una situazione del genere, ma avevo appena 16 anni e stavo letteralmente impazzendo.
Allungai il passo e imboccai la strada di casa, speravo di poter raggiungere Natasha per vedere se aveva fatto qualche progresso insieme a Carol e Nebula, ma i miei piani avrebbero dovuto aspettare qualche ora, avevo bisogno di capire cosa stava succedendo di tanto importante a casa mia.
**
"Era ora." Fu la prima cosa che sentii una volta messo piede nel salotto.
"Non farmi tornare fuori." Lo avvisai, i miei nervi non erano abbastanza saldi da poter affrontare un litigio con lui in quel momento. "Cosa c'è di tanto importante?" andai a sedermi sul divano sentendo i miei muscoli urlare dalla stanchezza.
Papà e Pepper vennero a sedersi sulla poltrona davanti a me, rimasi a guardarli confusa mentre loro si tenevano per mano e si lanciavano degli sguardi preoccupati. Sembrava una di quelle scene nei film in cui stava per essere rivelato il più grande mistero delle serie, come la presenza di una gemella malvagia o il fatto di essere stata adottata. Pepper sospirò stanca. "Tesoro, vogliamo farti sapere che ti vogliamo molto bene." Partì lei, corrugai le sopracciglia.
Ok, la cosa stava iniziando ad inquietarmi.
"Esatto, so che ultimamente siamo stati in conflitto... è la felpa di Peter?" Chiese lanciandomi uno sguardo triste, alzai le spalle non volendo rispondere. "Comunque, voglio semplicemente dirti che ciò che è successo non ha niente a che vedere con te e che per me sarai sempre la mia bambina."
"Mhm... mi state dando in adozione o cosa?" Cercai di scherzarci su, ma loro sembravano davvero seri. "In senso, non state pensando di darmi via, vero?"
"No." Rispose subito papà. "Non lo farei mai per tutti i soldi del mondo." Mi rassicurò velocemente. Annuii più confusa che mai per poi guardare Pepper.
Lei mi prese la mano e mi guardò negli occhi. "Sono incinta." Disse per poi farmi un mezzo sorriso.
"Eh?" Chiesi sperando di aver sentito male. "È uno scherzo? No perché non è divertente." Puntai un dito contro entrambi, ma guardandoli non li vidi ridere o annuire alla mia domanda, stavano fermi a guardarmi con facce preoccupate. "Oh no, no no no no." Mi alzai in piedi e portai le mani tra i capelli. "Vi sembra il momento adatto per avere un bambino?" Urlai.
"Lo sappiamo-" provò Tony ma lo interruppi subito.
"No che non lo sapete! Metà della popolazione è andata, ci ritroviamo in un mondo diverso da quello in cui siamo cresciuti! Cosa succede se domani scopriamo che c'è un modo per riportare indietro tutti? Non sarebbe stato meglio aspettare?" Sbuffai. "Non posso crederci, mi sembra di star parlando con due bambini."
"Calmati un attimo!" Papà si alzò in piedi. "Noi siamo gli adulti qui, la responsabilità è nostra e se a te non sta bene quello è un problema tuo." Disse duramente facendomi bloccare sul posto, poi sospirò addolcendo lo sguardo. "È un periodo buio per tutti, un bambino va visto come un miracolo e non una cosa cattiva." Provò a convincermi. "Pensaci, non sarebbe bello avere un fratello o una sorella?" Chiese con un sorriso soddisfatto.
Mi allontanai da lui come se la sua sola presenza mi avesse scottata. "Vado in camera mia." Dissi semplicemente per poi camminare velocemente via. Non riuscivo a crederci, il mio unico pensiero da ormai 3 mesi era cercare di aiutare gli Avengers nelle loro ricerche per trovare un modo per far tornare tutti indietro e papà, il grande IronMan, che doveva essere il primo a pensare a come salvare l'umanità, stava a casa a sfornare bambini.
Era totalmente assurdo.
Una volta dentro la mia stanza decisi cosa fare, ormai era chiaro che papà Stark aveva altri interessi e io non ero d'accordo con nessuna delle sue priorità. Presa da un impeto d'ira aprii il mio armadio e iniziai a lanciare tutti i vestiti sul mio letto, poi presi la mia valigia d'emergenza e l'aprii iniziando a spostare i vestiti dal letto a questa.
"Cos'è tutto questo rumore?" Tony entrò nella stanza e si bloccò non appena vide quello che stavo facendo. "Renata, cosa sta succedendo?" Chiese preoccupato.
"Vado a vivere da mamma." Sputai velenosa lanciando un paio di scarpe nella valigia.
"Tesoro, la mamma è sparita insieme agli altri..." mormorò lui, mi girai di scatto verso di lui. "Come pensi di fare?"
"Ho le chiavi di scorta del suo appartamento." Alzai le spalle. "Ho 16 anni, mi manca poco ai 17 e visto che il mondo è in chaos non c'è nessuna autorità che possa vietarmi di andare a vivere da sola." Spiegai brevemente chiudendo la valigia con uno scatto veloce.
"Preferiresti davvero andare a vivere da sola piuttosto che stare con la tua famiglia?" Chiese quasi con le lacrime agli occhi. Poggiai la valigia a terra e iniziai a camminare verso l'uscita, mi fermai di fronte a lui.
"Sì." Risposi fermamente. "Ci vediamo al matrimonio." E detto ciò lo sorpassai.
I tempi ormai erano cambiati, il ché comportava un cambiamento drastico anche da parte mia.
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