* PROLOGO *
Vedo solo oscurità. Non un piccolo corpo luminoso nella volta celeste o proveniente dalle città sotto di me. Solo un leggero chiarore dietro folte e grosse nubi scure.
Il riflesso del finestrino mi rimanda un'immagine di me leggermente distorta. Mi fisso negli occhi gonfi di stanchezza, concentrandomi su qualsiasi cosa riesco a mettere a fuoco pur di non cedere al sonno.
Avevo già notato alla partenza lo sporco del vetro: impronte di gocce lasciate dalla pioggia rimasta su l'enorme veicolo, asciugata troppo in fretta per cadere a terra e che aveva appresso a sé la polvere cumulata.
Oramai ho osservato ogni più piccola forma creata; sulla parte più bassa, verso destra, mi era sembrato di vederci addirittura l'immagine di un gatto stilizzato. Mi chiedo se non avessi svalvolato visto che ora non riesco più a focalizzarla.
Rinuncio nell'intento e lascio che il mio sguardo abbandoni il finestrino per poggiarlo sul mio ventre. È un gesto che ormai faccio ritmicamente da quando solo salita sull'aereo e ho lasciato l'India. Mi aiuta a calmarmi, perché delle volte ho l'impressione che l'ansia che mi pervade possa farmi esplodere il cuore.
Il mio respiro rallenta leggermente e appoggio il capo sul poggiatesta del sedile. Sono racchiusa in una bolla di spossatezza. Sento il corpo reclamare quel tanto agognato riposo che non gli consento da due giorni.
Non vorrei, ma gli occhi si fanno sempre più pesanti. Li costringo a tenerli aperti il più possibile. Non posso dormire.
Non posso risultare vulnerabile...
Alla fine, però, tutti i miei sforzi sono vani. Mi lascio andare, finendo in un limbo senza sogni.
Poco tempo dopo mi sveglio di soprassalto. Il cuore batte forte, tanto che mi sembra di sentirlo in gola. Ho il respiro affannato e una piccola goccia di sudore mi bagna la fronte.
Non riesco a comprendere quanto tempo sia passato; fuori è ancora buio, quindi deduco forse un paio d'ore.
Gli altri passeggeri stanno ancora tutti dormendo. L'unica sveglia, oltre al pilota e alle hostess, sono io.
Abbasso lo sguardo sulle mie gambe, ed è allora che mi accorgo di una mancanza. Sento il cuore perdere un battito. Avevo un bambino tra le mie braccia, ne ho la certezza, ed ora è sparito.
Dalla mia bocca esce un urlo di terrore, mentre mi tolgo la coperta dalle gambe e viro il capo automaticamente verso destra, nella vana speranza di vederlo. Poi mi alzo dal sedile, tremante e continuando a gridare per ottenere aiuto.
Molte delle persone presenti si svegliano allarmate, temendo chissà quale disastro e morte orrenda hanno la sfortuna di vivere.
Bastano pochi attimi, e i loro occhi sono su di me, una giovane donna in mezzo al corridoio del loro veicolo, tremante e piangente, totalmente in preda al panico. Ma a me non importa. Devo ritrovare il bambino.
Passano alcuni secondi e due hostess - una ragazza parecchio giovane con occhi blu celeste e capelli biondo paglia, e una donna più anziana, direi verso un'età simile a quella di mia madre, con sguardo scuro e una capigliatura tendente al grigio - mi vengono in soccorso. Sento una di esse poggiarmi la mano sulla spalla nel tentativo di tranquillizzarmi, ma ogni tentativo è vano.
Continuo a borbottare frasi che per loro devono risultare senza un apparente senso logico visto che continuano ad osservarmi confuse, anche se nella mia mente risulta chiaro quello che sto urlando: "il mio bambino, dovete aiutarmi a trovare il mio bambino".
Dopo numerosi tentativi, sotto gli sguardi attoniti degli altri passeggeri, una di loro, quella più anziana, riesce a calmarmi tenendomi per le spalle. Mi osserva fisso, con quello sguardo scuro che mi mette soggezione, finché non pronuncia le fatidiche parole con una calma disarmante.
«Signora, non ci sono bambini su questo aereo.»
Apro gli occhi violentemente, ma il riflesso di una luce mi colpisce e sono costretta a richiuderli. Ci riprovo una seconda volta, con più cautela. Sbatto le palpebre e, finalmente, inizio a distinguere le forme e i colori degli oggetti che mi circondano.
Sospiro sollevata: era solo uno strano sogno.
Sento sfiorarmi una spalla e solo allora mi accorgo che il signore seduto accanto a me, un uomo distinto, vestito con un tweed marrone, barba scura molto curata, e occhi chiari e limpidi, mi sta parlando.
Al suo tocco, la mia ansia torna a farsi sentire e le mie orecchie hanno difficoltà a comprendere quello che dice. La mia mente, invece, elabora il movimento delle sue labbra, abilità acquisita in quegli anni in India, e capisco che mi sta dicendo di essere giunti al capolinea.
Mi tranquillizzo un po'.
Faccio un cenno di assenso automatico e cerco di mettermi in una posizione più comoda di quella in cui mi trovo, anche se non mi è semplice.
«L'India è bella, ma tornare a casa ha tutto un altro sapore. Non è vero?» È di nuovo quell'uomo a parlare; mi giro verso di lui, turbata dal fatto che stia cercando di instaurare una conversazione con me.
Mi ero ripromessa di non parlare con nessuno, di non attirare attenzioni di sconosciuti su di me.
Quell'uomo non sembra cattivo, ma ho imparato presto che la gente mostra solo ciò che vuole e non si può mai conoscere le loro reali intenzioni basandosi dal modo in cui si pongono, si vestono o ti parlano.
Dopo un tempo che sembra infinito, finalmente trovo il coraggio di rispondere un semplice «sì».
«Lei perché è stata in India? Viaggio di piacere?»
A quella domanda il mio nervosismo cresce. Non capisco il motivo di quelle domande.
Ripeto un «sì», ma questa volta più flebile, e distolgo gli occhi da lui sperando di concludere la conversazione.
La cosa funziona.
Toglie anche lui gli occhi da me e si mette comodo, seguendo gli ordini del capitano per la discesa verso l'aeroporto di Bruxelles.
Ritorno a guardare fuori dal finestrino, scorgendo i tetti delle case da lontano.
Sospiro di nuovo: ora la mia vita è questa, non posso più tornare indietro e cambiare il passato, ma continuo a chiedermi se il mio gesto è stato intelligente.
Come farò da sola e senza un lavoro? Chiedere aiuto ai miei genitori è impensabile: per la loro sicurezza è meglio tagliare i rapporti, perciò devo riuscire a cavarmela...
Arriccio le labbra e corruccio la fronte con determinazione, per darmi forza. In un modo o nell'altro ce la farò. Non posso arrendermi adesso.
Se sono arrivata fino a qui, se sono riuscita a tornare, tutto andrà per il meglio.
Ora sono a casa, mi ripeto.
Ora sono al sicuro.
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Eccoci qui, catapultati in questa nuova avventura!
Che ne dite, vi piace questo inizio? Un bel po' di mistero aleggia dietro questa donna di ritorno dall'India...
Fatemi sapere la vostra opinione al riguardo con commenti e stelline ✨.
Noi ci vediamo al prossimo capitolo 😎💕!
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