*1*
Il sole stava penetrando il vetro della finestra come una spada, lanciandosi sul foglio dove Alain stava lavorando. Le lettere e le parole iniziarono a risultargli confuse, ma sapeva che la colpa non era tutta di quel fascio di luce che si allungava anche sul suo viso. La notte prima era rimasto sveglio fino ad un orario improponibile, dormendo poco più di un paio d'ore. E così era accaduto anche nelle notti precedenti, per tutta la settimana.
Quel riposo così ripudiato, ora lo stava richiamando a gran voce. Andava avanti solo con l'aiuto del caffè, ma il suo corpo si stava abituando e ormai non dava più l'effetto sperato.
Staccò lo sguardo dalla scrivania, stropicciandosi gli occhi non prima di aver tolto gli spessi occhiali blu scuro. Si alzò dalla sedia con schienale imbottito e rotelle, e si avvicinò alla finestra alla sua destra, quella che dava direttamente sul tavolo e stava creando i maggiori problemi di luce.
La aprì facendo subito entrare una ventata di aria invernale, perfetta come rigenerante. Si sporse quel poco che bastava per assaporare al massimo quel cambiamento d'aria. La città sotto di lui si espandeva senza fine, ma da dove si trovava era impossibile riuscire a scorgerla bene.
Palazzi alti come grattacieli si stagliavano davanti alla sua visuale. Composti per un novantacinque percento da sole facciate a vetri, nascondevano al suo interno uffici di aziende più disparate.
Un tram tram di persone vestite in giacca e cravatta o con abiti formali correvano senza freno per Boulevarden.
Solo una cosa stonava in quel miscuglio simile a un branco di formiche tutte uguali: un giubbotto con cappuccio, nero come la notte.
Lo sguardo di Alain si soffermò a lungo su quella figura. Con la schiena appoggiata al muro e le mani nascoste nelle tasche sembrava che stesse aspettando l'arrivo di qualcuno, ma nessuno aveva intenzione di fermarsi. Le altre persone ignoravano l'individuo; solo qualche turista lanciava una fugace occhiata. Per il resto risultava come invisibile.
Alain sapeva il motivo. Gli abitanti della città si erano talmente abituati alla vita frenetica, da aver imparato ad ignorare tutto ciò che non reputavano importante.
Lui no, nonostante vivesse lì da, ormai, una decina d'anni, l'ansia che aleggiava in Boulevarden e, soprattutto, negli uffici del Aalborg Journal, gli stava stretta.
Per carità, adorava il suo lavoro! Adorava scrivere e informare la gente su ciò che avveniva nel loro paese e nella loro città.
Necessitava, però, anche di passare del tempo fuori da quelle quattro mura, con il suo migliore amico e la sua ragazza, Agnes.
Il vortice dei suoi pensieri, che lo stava portando allo sfrenato desiderio di passare una buona serata in compagnia dopo quel duro lavoro, si fermò di colpo quando notò che lo sconosciuto con il giubbotto aveva alzato la testa verso la sua direzione. Non poteva dirlo con assoluta certezza - la distanza era decisamente troppa per un miope come lo era lui - ma sentiva sulla pelle che lo stava osservando a sua volta. E un'altra sensazione gli percorse le vene quando costui abbassò il capo, si allontanò dal muro, e si mischiò con le poche persone che ora frequentavano via: quella di essere stato l'interesse principale della figura incappucciata.
Si sporse un altro po' dalla finestra per la curiosità di vedere dove si dirigeva, quando una voce dal tono autoritario per poco non lo fece cadere di sotto dalla sorpresa.
«Bucher, vedo che ci stiamo riposando...»
Alain sobbalzò violentemente, staccandosi dal cornicione della finestra come se avesse appena preso fuoco.
«Signor Heller!» Il giovane si rivolse al suo capo tornando alla posizione eretta e sull'attenti come un soldatino.
«Stavo solo prendendo un po' di aria...» borbottò a mo' di scusa.
L'uomo di fronte a lui alzò il mento, osservando il giovane con le sopracciglia inarcate.
Foster Heller non si poteva definire di certo un esempio di bontà. Con il suo metro e novanta torreggiava sui dipendenti come un avvoltoio: di una magrezza quasi non umana, la testa pressoché pelata - resistevano solo pochi ciuffi ai lati delle orecchie - e il naso acquilino, la similitudine era più che azzeccata.
Era solito vestire con capi molto eleganti, neutri, sempre ben stirati nonostante vivesse da solo. Anche quel giorno non fece eccezioni: mocassini grigi ai piedi da cui si intravedevano dei calzini neri; pantaloni dal disegno scozzese sui toni del grigio; giacca abbinata e maglietta nera.
«Spero tu sia a buon punto con l'articolo» disse Heller allargando la bocca in un enorme sorriso, non sufficiente però a nascondere la sua falsità. Era palese che non aspettava altro che un passo falso di Alain.
I suoi piccoli occhi scuri scrutavano il ragazzo con sfida, ma Alain non si fece intimidire.
«Certo» esclamò con soddisfazione. «È pronto per la stampa.»
Si avvicinò alla sua scrivania muovendo il mouse del computer. Lo schermo si illuminò mostrando un foglio di Word.
Voleva dire qualcos'altro, una frase che lo facesse apparire ancora più sicuro sul luogo lavoro svolto, ma la presenza di Heller dietro di sé gli mise soggezione e la mente si bloccò.
«Ottimo.» Il sorriso dell'uomo si trasformò in una smorfia. «Ma prima di passarlo in stampa è meglio che gli dia un'occhiata io.»
Il viso di Alain si oscurò; sapeva che, fintanto fosse stato il signor Foster a controllare i suoi lavori, niente di suo sarebbe stato pubblicato.
Quando il suo capo lasciò l'ufficio, Alain si fece cadere sulla sedia. In quell'ultimo mese il suo nome era finito sul Aalborg Journal solo una volta, per un articolo sulla chiusura di alcuni negozi rinomati in città. Mezza facciata della penultima pagina del giornale, subito dopo i necrologi. Per volere del signor Heller era stato tagliato gran parte di ciò aveva scritto, facendolo passare per "eccessivamente prolisso".
La sua pazienza stava raggiungendo il limite. Per un attimo pensò di cancellare tutto, eliminare quel lungo lavoro durato settimane, licenziarsi addirittura. Andarsene da quel posto, in un giornale che lo avrebbe finalmente apprezzato e in cui poteva esprimere tutto il suo potenziale.
Era un pensiero ricorrente nell'ultimo periodo, ma non aveva il coraggio sufficiente per passare all'azione. Era il suo sogno dai tempi dell'università lavorare per il giornale più famoso e importante di Aalborg, quella città che aveva adorato dal primo momento in cui ci aveva messo piede.
Aveva dovuto faticare per arrivare fin lì, ed era ormai un anno che si ostinava a ritagliarsi un posto. Era ancora tentato a credere che, se avesse mostrato grande talento, prima o poi anche Heller avrebbe dovuto chinare la testa e fare un passo indietro. Forse, però, era una speranza troppo irrealistica.
Si riprese solo all'arrivo di una email: "Pranzo, solito posto". Cancellò subito la chat - una precauzione che gli era stata chiesta ancora all'inizio di quella frequentazione -, indossò la giacca blu scuro, in pendant con i pantaloni, e uscì dall'ufficio.
Il "solito posto" era un bar quasi in periferia, molto lontano dal giornale e poco frequentato, l'unico sicuro in cui si poteva pranzare in tranquillità e senza essere visti da occhi conosciuti.
All'inizio tutto quel mistero gli piaceva, ma ora iniziava a essergli opprimente.
Eppure non poteva fare altro: erano quelle le condizioni che aveva accettato.
****
Eccomi con il nuovo capitolo ❤️!
Abbiamo conosciuto, oltre al protagonista Alain, anche un'altra figura non particolarmente simpatica: Foster Heller, il capo-redattore del giornale.
Ci sono già però alcuni misteri: lo sconosciuto con il giubbotto con cappuccio nero, e quell'ultima mail che è arrivata ad Alain.
Non dimenticate di lasciarmi un commento e una stellina 🌟, così saprò se il capitolo vi è piaciuto 🥰!
Alla prossima 😘.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro