27. Poison
Premessa:
In questo capitolo verrà trattato il delicato tema della violenza fisica, in particolare violenza di genere.
Se vi ritenete sensibili a questo tipo di argomenti, vi consiglio di interrompere la lettura dopo la conversazione di Desirée e Isaac. Troverete un breve riassunto nella nota in fondo al capitolo.
Grazie per la comprensione, abbiate sempre cura di voi <3
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IT: veleno
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31 maggio 2023
Larvotto, Principato di Monaco
«Il Principato è il suo regno e lei è la nostra moderna Cleopatra» esordì lo speaker del Jimmy'z, mentre sostavo sulla soglia della discoteca in attesa di essere annunciata. «Desirée Aubert!» declamò.
I gioielli che mi ornavano il corpo tintinnarono al ritmo di ogni mio passo. Quella sera brillavo più dell'oro che riempiva il locale, sommersa da un tripudio di collane e nastrini tra le onde dei capelli acconciati.
Scegliere l'antichità come tema principale dell'ennesima festa al Jimmy'z fu un colpo di genio. Abbigliata come una novella Cleopatra, tra il rigido corsetto dorato e la morbida gonna bianca, mi sentii in cima al mondo. Il mio.
Afferrai la mano a Valentin e gli sorrisi, quando mi invitò a percorrere la pista fino al centro con lui, ma gli rivolsi uno sguardo glaciale, affilato e tagliente quanto la linea sottile di eyeliner realizzata da Juliette qualche ora prima.
Dinanzi agli occhi altrui, mi esibì come un trofeo di cui era orgoglioso. Si piazzò alle mie spalle e mi cinse i fianchi quando ci ritrovammo al centro degli invitati; la stoffa bianca della sua tunica, realizzata ad arte per richiamare la figura di Giulio Cesare – nonché amante della regina stessa –, mi accarezzò la schiena in parte scoperta.
«Non muovere un solo passo falso, reginetta» mi avvertì. Le sue labbra mi solleticarono il lobo dell'orecchio, che stuzzicò non un morso per marcare il territorio. «Non ti conviene cadere davanti a tutti».
La sua presenza e la sua vicinanza mi stavano raggelando, ma se non morii assiderata fu solo grazie a un pensiero che mi faceva ribollire il sangue di desiderio: Isaac e la sua iniziativa del weekend precedente, lo stesso uomo che mi scrutava nel buio di un angolo della sala.
Da lontano, le iridi celesti mi facevano riflettere su quanto la sua brama del mio corpo fosse un'arma a doppio taglio, per me. Una scappatoia dall'oppressione del mio fidanzato e un modo per indebolire l'inglese stesso, inducendolo a piegarsi al mio volere.
Mi aveva servito la vittoria su un piatto d'argento, insieme a un orgasmo proibito.
«E a te conviene evitare di fare lo stesso con la sgualdrina tedesca» lo redarguii. Con movimenti flemmatici e sensuali, gli infilai le dita tra i capelli e gli condussi il capo verso il mio collo. «Ricordati che posso rovinarti in un paio di minuti. Mi basterebbe mettere mio padre al corrente della verità».
«In quel caso, affonderesti anche tu» ribatté, la vena vendicativa continuava a pulsare. «Cadrai senza di me, amore» mi apostrofò.
Le sue braccia serpeggiarono fino a stringersi intorno alla mia pancia, il membro rigido che strusciò contro di me mentre la folla, ormai divisa in gruppi di amici intenti a ballare, smise di prestarci tutta la sua attenzione. Era il momento di mettere un punto alla recita, che Valentin concluse con una scia di baci umidi depositati sul collo nudo.
«Vado a prendere da bere» mi avvisò, le sue mani mi liberarono dalla prigionia. «Vuoi qualcosa?» propose.
Scossi il capo in un cenno di diniego e rifiutai l'offerta. Valentin annuì e, girando sui sandali da gladiatore, si avviò verso il bancone del bar. Riuscii a sfogare la tensione con un sospiro liberatorio solo quando lui non fu più nei paraggi.
Un groppo invadente, però, mi bloccava ancora l'ossigeno in gola, facendomi affannare. Qualsiasi luogo popolato da Valentin stava diventando un carcere, per me, e avrei dato la vita per evadere da quelle sbarre senza incorrere nelle conseguenze.
Eppure, la nostra relazione era una garanzia per il mio successo. Mio padre mi stava inducendo a crederci e non l'avrei deluso.
E all'improvviso, essere al centro della pista diventò soffocante. Sbattei le palpebre per rendermi conscia della realtà, quindi mi guardai intorno. Fu automatico avviarmi verso un angolo meno affollato della sala da ballo, dove i divanetti facevano da perimetro. Mi lasciai cadere su uno di essi, accavallando le gambe e sfregando una mano sul viso truccato. Uno sbuffo infastidito mi tradì, ma la semioscurità del locale mi protesse dagli sguardi altrui.
Era un pensiero strano, se concepito da me, ma ogni costrizione imposta per mantenere perfette l'immagine e la reputazione stava iniziando a starmi stretta. Una riflessione che portò a una presa di coscienza ben più pericolosa: la libertà che bramavo, io, l'avevo provata solo con una persona.
La stessa che si palesò proprio in quell'istante.
«Per dimenticare i dispiaceri». Fu così che Isaac entrò in scena, porgendomi una flûte di champagne. La afferrai, senza negarmi un primo sorso. «Non voglio insinuare che tu ne abbia, al momento, ma la tua espressione non mi sembra così... festaiola» dichiarò prima di sedersi al mio fianco.
Gli lanciai uno sguardo rapido per assaporare il fascino indiscutibile della sua presenza, e notai con piacere l'impegno nell'attenersi al tema della serata. Una corazza dorata gli rivestiva il petto, abbinata a stole di tessuto bianco e rosso che si rifacevano all'epoca romana.
Mi scappò un risolino che camuffai in un sorriso divertito, nel vederlo. Aveva involontariamente copiato l'idea del mio fidanzato, proprio lui che stava mettendo a repentaglio i miei equilibri.
Ingurgitai una seconda sorsata di alcolico prima di commentare. «Chiariscimi le idee» esordii, «se io sono Cleopatra e Valentin è Giulio Cesare, tu saresti...?»
Si rilassò contro lo schienale del divanetto e allargò le braccia su di esso. Sentii il calore della sua pelle sulla schiena, ma sorvolai sulla sensazione di desiderio che provavo nei suoi dintorni.
Scrollò le spalle con indifferenza, come a sottolineare un'ovvietà indegna di spiegazione. «Marco Antonio, naturalmente» illustrò. «L'amante preferito della regina d'Egitto, nonché...»
«Tu non sei l'amante di nessuna Cleopatra» precisai, interrompendolo e riferendomi alla nostra situazione in bilico tra il bisogno proibito l'uno dell'altra e il rischio di perdere tutto.
«I fatti parlano diversamente, Daisy» affermò. Lente, le sue dita mi accarezzarono i capelli e iniziarono a giocare con una ciocca, attorcigliandola alle falangi.
Mi schiarii la voce ostacolata dalla tensione e finii lo champagne in un sorso per rinfrescarmi la gola. Riuscii a divincolarmi da lui fingendo di accomodarmi meglio sul divanetto.
«Quei fatti sono errori, Woodward. Sbagli irripetibili» asserii.
Nascose un ghigno dietro la flûte mezza piena che stringeva tra le dita della mano libera. «Touché».
Tentai di troncare la conversazione abbandonando il mio calice sul tavolino, ma fu l'altro gemello, a riuscirci: Michael, con un sorriso arguto stampato sul volto, si avvicinò a noi stretto in un ridicolo costume da faraone. Trattenni una risata, di cui un accenno scappò dalle labbra.
«Mi stai umiliando, regina?» derise il mio gesto. Brusco, rubò la flûte ancora mezza piena al fratello e ne ingurgitò un sorso copioso. «Mi sono impegnato per rispettare il tema. Avrei potuto indossare una delle mie giacche con le paillettes, ma l'inconscio mi suggeriva di accontentarti» spiegò, per poi fingere una carineria e sollevarsi il nemes che riadagiò sul capo pochi secondi dopo. «Mi duole che un intento così nobile venga preso in giro, e che tu possa preferire un... romano», ed emulò il dolore portandosi il palmo al petto. Dedicò un'occhiata truce a Isaac.
«Un romano che, divorato dal desiderio e dal legame con la sua Cleopatra, si è suicidato per lei» precisò allora l'uomo al mio fianco. Un brivido mi accarezzò la spina dorsale, e mi sentii trafitta dallo sguardo eloquente che mi scagliò.
Michael, senza abbandonare il sarcasmo, finse di asciugarsi una lacrima. «Commovente» commentò. «Non vedo l'ora di assistere a un avvelenamento di coppia, dopo che avrete bevuto l'acqua stagna di Port Hercule».
Alzai gli occhi al cielo in reazione alla sua impertinente ironia; lui, comprendendo la mia poca volontà di portare avanti lo scambio di battute, si guardò intorno per studiare il locale.
«Oh» quasi esclamò all'improvviso, quando il suo silenzio diventò troppo piacevole per essere vero. «Romano traditore a ore dodici...» mormorò. Mentre si accingeva a finire lo champagne, indirizzò i nostri sguardi di fronte a noi.
Le scintille d'ira zampillarono come mai prima di allora.
Valentin, incurante dei dintorni e della mia presenza, cingeva il fianco di Erika e seguiva i movimenti del suo bacino a ritmo di musica. La stava spogliando con gli occhi, stringendo un drink tra le mani, e lei non sembrava comportarsi diversamente.
Al diavolo il contegno, pensai. Non avrebbero macchiato la mia reputazione in quel modo.
Piantai il tacco dei sandali sul pavimento e mi alzai in piedi come una furia, pronta a scontrarmi contro i miei nuovi nemici. Poco importava degli invitati o dell'immagine: non sarei stata derisa da chi, l'umiliazione, la meritava più di me.
«No». Scossi il capo, contrariata. «Davanti a tutti proprio no» emisi un risolino nervoso.
I passi svelti generarono un martellio incessante sovrastato dalla musica. Ad ampie falcate, guadagnavo un metro al secondo, fin quando una mano non mi strinse il polso e mi obbligò a voltarmi. Barcollai, ma mi stabilizzai non appena incrociai le iridi celesti di Isaac.
«Lasciami» gli ordinai tentando di divincolarmi con uno strattone, ma lui rinsaldò la presa.
«Non ti permetterò di fare una scenata davanti a tutti» controbatté. «Non ne vale la pena di far indignare qualche stupido giornalista per discutere con lui» provò a dissuadermi prima di additare Valentin con sdegno.
«Non me ne frega niente, Isaac» lo folgorai con lo sguardo, il ringhio pronunciato a denti stretti. «È in pubblico con un'altra» sottolineai. «Anche se non intervenissi, sarebbero poche le bocche che resterebbero chiuse».
Ostinato a mantenere il pieno controllo sulle mie azioni, iniziò a compiere dei passi indietro che il mio corpo seguì senza interpellare il cervello. Lenti, come se non li stessimo realmente muovendo.
«Daisy» tentò ancora di ammansire la mia testardaggine. «Che il tuo fidanzato sia uno stronzo, credo che l'abbiano capito anche i muri» dichiarò. «È chiaro che lo stia facendo apposta per metterti in cattiva luce» proseguì, «non cascarci».
«Ma lo farà anche se non gli dico nulla!» strillai, ormai lontana dal centro della pista. Seguirlo era un automatismo. «Non posso permetterglielo».
«Desirée» insistette, stentoreo, inchiodandomi sotto l'attenzione delle sue pupille. Mi lasciò il polso solo quando ebbe la certezza di potermi controllare per proteggermi, senza l'intenzione di limitarmi. Avevamo raggiunto la zona dei bagni, dove la musica arrivava ovattata ed era possibile conversare. «Potete discuterne a porte chiuse, Cristo» imprecò. «Sei abbastanza intelligente da capire che reagire qui, stasera, farà incazzare tuo padre e causerà un'ondata d'odio che rovinerà la credibilità dell'azienda. Ed è esattamente ciò che vuole Valentin» perseverò.
Annaspai e dovetti sorreggermi alla parete, quando centrò il punto debole che aveva imparato a conoscere in quelle settimane. Nervosa, mi passai le dita della mano libera tra i capelli acconciati e socchiusi le palpebre.
Ero stanca di quella situazione. Sfinita dal peso del mio futuro ruolo di amministratore delegato, dall'immagine immacolata dell'azienda di papà, dalla sua opinione di me e dalla disfunzionalità del rapporto tra me e Valentin. Una lista che si sommava alle mie scarse energie fisiche del periodo, un fardello che si sfogò sul mio viso con una lacrima solitaria di cui a stento mi accorsi.
«Sto deludendo mio padre a causa sua» realizzai, abbassando il capo. Quando lasciai ricadere il braccio lungo il fianco, l'attenzione ricadde sull'anello che portavo al dito e il cuore bruciò. «Sto rischiando di buttare via tutto per lui» ammisi, ma la voce tremò, accompagnando la vista offuscata.
«E allora perché non...» Isaac riprese a insistere con le sue domande, ma si arrestò per calmare l'impeto e prendere un respiro. Accorgendosi dei miei tremolii, mi afferrò il polso per la seconda volta. «Vieni con me» propose, spalancando la porta del bagno maschile con la mano libera. Non mi opposi e lo seguii fin quando non fummo barricati all'interno.
Fu un gesto che mi fece sentire protetta. Tra le mura di quella piccola stanza, che mi difendevano dagli sguardi e dalle dicerie altrui, non potei che ringraziare tacitamente Isaac per la sua idea.
Era una fatica mentale che si stava trasformando in prostrazione fisica, quella che Valentin mi causava. La paura di non essere abbastanza intelligente o portata per il mio ruolo, il terrore di aver bisogno di lui per farcela. Stavo mettendo in discussione persino la mia autostima, che non era mai mancata.
Da quando, nella mia corazza di ferro, c'erano così tante crepe?
Un'altra lacrima mi solcò il viso, a simulare un altro taglio. Stanca, mi sedetti sul piano sospeso dei lavandini e cercai di concentrarmi solo sui respiri calmi di Isaac.
Dinanzi a me, passeggiava avanti e indietro per mettere in ordine le parole da proferire. Quando mi notò seduta con lo sguardo perso nel vuoto, tuttavia, si fermò per studiarmi il viso e avvicinarsi. Raccolse l'ultima lacrima con il dito, sporcandosi di fondotinta, e lo asciugò sulla stola bianca senza temere le macchie.
«Il fondotinta sul bianco, Isaac...» scossi il capo e mi lasciai scappare un risolino sinceramente divertito, nonostante gli occhi lucidi. «Stai attento».
Fece spallucce e mostrò un sorriso. «È un pezzo di stoffa, non ne va della mia vita» commentò. Dopodiché, prelevò un fazzoletto dal dispenser e lo inumidì sotto il getto d'acqua. Me lo portò al viso e rimosse il mascara colato. «Inizio a pensare che tu abbia un serio problema con il vino. Ogni volta che bevi, finisci in lacrime» sdrammatizzò.
Mi lasciai cullare dalle carezze dei suoi polpastrelli che, nel loro essere insignificanti, mi donarono un barlume di conforto. Contribuì anche il silenzio in cui ci rifugiammo, mentre lui perlustrava la stanza con lo sguardo e io giocherellavo con le dita sulle cosce e il capo chino.
Tuttavia, nonostante il sollievo temporaneo, il peso che gravava sul mio cuore non si alleggerì.
Della mia vita – una continua festa di lusso sfrenato, cascate di denaro e scintillante perfezione – non rimanevano che i festoni sgualciti su un pavimento bagnato dalle lacrime; una maschera e un cuore spezzato facevano loro da contorno.
La consapevolezza più dolorosa era che, a rovinare l'eterna celebrazione, era il mio futuro marito. Il medesimo che mi pugnalava senza mai macchiarsi di sangue.
Deglutii un nodo alla gola e ricacciai indietro il pianto. Isaac mi aveva già vista in difficoltà, aveva già superato alcune barriere a cui avevo permesso di crollare, ed era abbastanza. Forse era troppo, troppo oltre i limiti del nostro rapporto.
Lo guardai con la coda dell'occhio mentre appoggiò la schiena al muro, protetto dalle braccia conserte e trincerato in un mutismo riflessivo.
«Perché non ne parli con tuo padre?» curiosò all'improvviso.
Drizzai la spina dorsale e lo resi il centro della mia attenzione. Anche quel quesito fu in grado di farmi rabbrividire, ma evitarlo avrebbe lasciato trapelare troppa vulnerabilità.
Dopo un sospiro, presi coraggio. «Il padre di Valentin è una persona troppo importante per non inglobarla nell'ecosistema dell'azienda, e suo figlio lo sarà altrettanto» spiegai, incurvando le spalle per la stanchezza. «Sarebbe una perdita significativa e, sapendo quanto papà tiene alla crescita del suo impero, non posso rappresentare un ostacolo» proseguii. «Non posso mettermi in mezzo, non per queste... frivolezze» minimizzai.
«Frivolezze?» quasi sbraitò, la dimensione delle sclere raddoppiata per l'attonimento. «Oltre al tradimento, che è l'aspetto meno grave di questa relazione, lui...»
La voce gli morì in gola, trasformandosi in un sussurro che sfumò, ancora una volta, nel silenzio. Senza alcuna spiegazione, arrivò persino a chinare il capo.
«Lui?» lo interrogai. «Cosa stavi per dire, Isaac?»
Anche le mie parole uscirono tremule, frutto della paura che lui avesse compreso la verità. Che avesse scoperto della violenza, del dolore che Valentin mi infliggeva senza che io potessi o volessi ribellarmi.
«Niente» liquidò la conversazione. «Niente, scusami» ribadì.
La sua volontà di tergiversare mi rasserenò. Assecondandolo, tentai di allentare la tensione.
«Parliamo di qualcos'altro» quasi lo implorai. «Non possiamo trarre nulla di positivo da quell'argomento, credimi» aggiunsi, scossa da una risatina nervosa.
Lui annuì, ma impiegò una manciata di secondi per ricomporsi. Tornò a guardarmi dopo il breve tentennamento.
«Forse è il momento meno opportuno per farlo, ma perlomeno siamo soli» premise. «Devo proporti una cosa e tu mi devi ancora un favore, dopo la fuga a Cannes». Raddrizzando la spina dorsale, lo attenzionai e lo invitai a proseguire con un cenno della mano. «Per farla breve: sono stati organizzati due eventi di beneficenza, uno a Venezia e uno a Parigi, in date ravvicinate. Un'asta e una raccolta di beni per le famiglie in difficoltà» spiegò. «Però... mi serve un partner» concluse.
Interdetta, continuai a guardarlo senza proferire una singola parola. Non avevo mai partecipato a un evento di beneficenza, più per scarso interesse che per avidità, e l'idea di farlo in due delle città più belle del mondo mi allettava.
In sua compagnia, per giunta.
«E probabilmente ti farebbe bene stare lontana da qui per un po'» aggiunse, timoroso, con un filo di voce.
La sua affermazione mi scaturì un'altra fitta al cuore, che si propagò e dolse a ogni respiro. Faceva male perché aveva ragione. Avrei potuto rimettere in ordine il soqquadro della mia mente solo se l'avessi fatto altrove.
Senza Valentin, senza Erika, senza mio padre.
«Quando dovremmo partire?» indagai.
«Domani» mi informò. «Andremo con il jet privato di mio padre. Dopodiché, da Venezia andremo direttamente a Parigi in treno».
«Domani? E in treno?!» esclamai. «Tu vuoi portare me in treno?!»
«È l'Orient Express, Daisy. Non è una tragedia» ridacchiò.
Feci spallucce, indifferente al fascino di una vecchio convoglio restaurato. «Ti prendo sulla fiducia» gli concessi.
«Quindi? È una conferma?»
«Solo perché ti devo un favore e mantengo le promesse, Woodward» accettai, saltando giù dalla superficie del lavandino. «Usciamo da qui?» gli domandai, voltandomi verso di lui. «Non voglio dare nell'occhio o che la gente pensi che io sia sparita» ammisi.
Acconsentì alla mia richiesta, riprendendo la parola: «Inizia a uscire, io ne approfitto per andare in bagno» mi comunicò.
Annuii e, finendo di fronte a lui con un passo, allungai una mano per tentare di smacchiare la stola.
«Credi che un po' di fondotinta mi renda meno uomo?» ridacchiò, stirando alcune pieghe del tessuto. E l'attenzione, mio malgrado, ricadde sul suo sorriso. Sulle labbra che mi avevano sfiorato senza baciarmi, lasciandomi annegare nel desiderio. «Non sono fatto per questi pregiudizi, Daisy».
«Non ne ho dubbi» gli restituii la risata, «ma mi dispiace che ti sia dovuto sporcare per colpa mia» dichiarai, lasciando cadere il braccio lungo il fianco. Gettai un'occhiata alla porta del bagno. «Ti aspetto fuori» lo informai, quindi, approcciando la maniglia.
«Il tempo di darmi una sistemata e sono da te» replicò.
Nello stesso momento in cui lui superò la soglia dei servizi, io varcai l'uscio e mi ritrovai nel corridoio deserto. La musica vi giungeva ovattata, insieme al chiacchiericcio degli invitati; cullata da quel sottofondo, mi avvicinai a uno specchio per controllare le mie condizioni.
Il mascara che mi aveva macchiato le rime cigliari si era ormai asciugato, impossibile da rimuovere, e i miei capelli si erano spettinati a causa dei bruschi gesti dovuti al nervosismo. Ero inguardabile, ben lontana dalla mia solita perfezione, e tentai di sistemare almeno l'acconciatura prima di tornare tra la folla.
Una voce famigliare, tuttavia, mi congelò sul posto. Dai miei occhi scomparve lo scintillio riacceso da Isaac e l'espressione divenne glaciale.
«Da quando ti isoli alle tue feste?» mi domandò Valentin, avvicinandosi con finta disinvoltura. «È da almeno mezz'ora che ti cerco» ammise, poi.
Sfogai l'agitazione in una risata fredda e sarcastica, che fece irrigidire la sua mascella. «Eri in buona compagnia, sbaglio?» azzardai. «E comunque, avevo bisogno di stare un po' da sola» confessai.
Gli rivelai solo una parte della verità, conscia che sapere della mia breve fuga con Isaac lo avrebbe mandato su tutte le furie.
«Da sola» sbottò, anche lui scosso da un risolino finto. Un altro paio di passi gli permise di raggiungermi, benché non lo degnai di alcuna occhiata, continuando a concentrarmi sul mio riflesso. «Guardami, Desirée» ordinò perentorio.
Mi rifiutai di sottomettermi ai suoi ordini. Anche se un carattere più obbediente non avrebbe scatenato la sua ira, era costretto a convivere con i miei difetti principali: la ribellione e la testardaggine.
«Ti ho detto di guardarmi!» sbraitò, poi, afferrandomi per la mandibola e spingendomi contro la parete del corridoio. Barcollai, stordita dalla repentinità del gesto, ma gli scoccai un'occhiata di rimprovero pochi istanti dopo. «Sei in uno stato pietoso, che cazzo hai combinato?» indagò. «Sei stata con quel bastardo?!»
Ancora vittima del dolore dovuto all'urto, scrollai le spalle per sciogliere i nervi e smisi di sostenere il contatto visivo. Una piccolissima parte di me pregò affinché Isaac uscisse da quel bagno, ma non accadde.
«No, a differenza tua» esalai in un mormorio, che però non mancò di decisione.
«Sto parlando di te» ribatté, duro. «Non cambiare argomento, non ne hai il diritto».
«Eri tu che stavi ballando con Erika davanti agli occhi di tutti! Eri tu che ci stavi mettendo in cattiva luce, Valentin!» latrai.
Con forza e rapidità, concentrò la forza sulla mano che strinse attorno al mio collo. Esercitò una stretta dolorosa che mi tolse il respiro, lasciandomi annaspare mentre compivo il tentativo di liberarmi. Mi sottomise al suo controllo e mi impose il silenzio.
«Chiudi la bocca, Desirée, sono stato chiaro?» sussurrò, la voce graffiata da un ringhio. Rinsaldando la stretta, mi ferì la carne con le unghie. «Ora rispondimi: che cazzo stavi facendo? Te lo stavi scopando?» continuò, imperterrito, a interrogarmi.
Priva di ossigeno, non riuscii a proferire verbo e mi limitai a negare scuotendo il capo. Per una delle poche volte in cui gli stavo concedendo la verità, implorai che mi credesse.
Anche la mia maschera di durezza, però, iniziò a sciogliersi. Strinsi le palpebre per la morsa di dolore in cui mi aveva imprigionata e le lacrime sfuggirono senza controllo, inumidendomi la pelle fino al collo e sfiorandogli le dita. Non ero intoccabile come volevo mostrarmi, non se posta alla sua mercé.
«L-Lasciami» riuscii a sibilare. «Per favore, Val» lo supplicai.
Non avevo abbastanza forze per allentare la presa. Con il digiuno che mi imponevo per seguire al meglio la dieta e soddisfare le aspettative di Céline, insieme agli scarsi bocconi che ingerivo in compagnia per non destare sospetti, ero debole e le gambe iniziarono a tremare. Tra sfinimento e dolore, anche la vista si offuscò.
Non contento del male inferto, caricò un pugno e me lo sferrò allo stomaco, facendomi affannare per il dolore. Solo allora mollò la stretta, e rovinai a terra in preda alla nausea mista alle lacrime e ai singhiozzi.
«Sei la puttana più vergognosa di tutta Monaco» sputò senza alcun ritegno, «e una completa delusione per tutti». Mosse, poi, alcuni passi e si allontanò definitivamente il corridoio.
Mi lasciò sola, ridotta a uno straccio abbandonato sul pavimento, in compagnia dei singulti che si mescolavano alla musica ritmata. La mia mano compiva il disperato tentativo di alleviare il dolore massaggiando lo stomaco mentre, a fatica, recuperavo il respiro perduto e tossivo.
Ogni volta che voleva farmi del male, era sempre peggio della precedente. Gli insulti peggioravano, le percosse aumentavano, e io non potevo che trasformarmi in una vittima passiva dei suoi sfoghi. Silenziosa, ingenua, tollerante.
Solo perché temevo che, tirando fuori la voce, avrei deluso tutti e causato ulteriori problemi.
Nella mia testa, che urlava tra i singhiozzi, rimbombava un'unica richiesta d'aiuto. Inconsciamente, pregai che Isaac varcasse quella soglia fin quando non lo fece. Era una macchia di colore per i miei occhi annebbiati dalle lacrime, ma lo riconobbi nell'immediato quando si fiondò da me.
«Desirée» mi scrollò per farmi riacquisire la lucidità. «Desirée» insistette. «Daisy, che cazzo ti ha fatto?»
Seminando un campo di brividi, mi accarezzò il braccio scoperto e si arrestò una volta arrivato al polso, senza però scindere il contatto fisico.
«Lascia perdere» lo esortai, quindi mi sforzai di asciugare le lacrime man mano che il dolore si dissipava. Lui, tuttavia, si intestardì e mi sollevò il mento per controllarmi. Alla vista dei rossori sul collo, trasalì e io sospirai. «Isaac, davvero, non è niente».
«Non è niente?!» si scaldò, pronto a rialzarsi. «Quel bastardo ti riduce in questo stato e hai il coraggio di giustificarlo? Si merita una fottutissima denuncia» sbottò.
Nel momento in cui lottò per alzarsi e andare a cercarlo, lo fermai afferrandogli il polso. Lo strinsi con le poche forze rimaste, implorandolo di rimanere con me invece di allontanarsi.
Io, che avrei dovuto detestarlo e indebolirlo.
«Per favore» mormorai ancora. «Resta qui. Ho bisogno di uscire, ti prego».
Iridi celesti contro iridi nocciola, una lacrima solitaria che rivolò sulla mia guancia mentre la voce usciva spezzata. Se mi ero ridotta a supplicarlo di rimanere con me per trascinarmi via da quell'inferno, significava che ero divorata da una paura più grande di me.
Un timore con cui avrei dovuto convivere in eterno.
Isaac assottigliò le labbra e mi guardò; l'espressione si ammorbidì, lui divenne comprensivo e compassionevole. Con un lieve cenno del capo, annuì.
«Andiamo a prendere un po' d'aria, allora» acconsentì.
Alle sue parole, fu ineluttabile liberare un sospiro di sollievo. Mi aiutò ad alzarmi, rimandando liti e risse a un secondo momento, e mi accompagnò fino all'esterno del locale. Si premurò persino di non attirare lo sguardo di Valentin, proteggendomi dalle sue grinfie.
E, quando fui investita dalla fresca brezza marina, finalmente mi sembrò di tornare a respirare. Il corpo si vestì di brividi, i miei polmoni si riempirono d'aria pulita.
Ero stanca di soffrire per le iniezioni letali del suo veleno, nonostante qualcuno fosse lì per diventare l'antidoto.
Ma perché devi esserlo proprio tu, Isaac?
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Nota dell'autrice
Ciao a tutti amici, come state? <3
Ecco qui il ventisettesimo capitolo di AD! Spero di star recuperando in termini di attesa e tempistiche, giuro che arriveranno dei capitoli pregni di scene significative e mi divertirò di più a scriverli (tradotto in: ci impiegherò meno tempo).
Ritengo però doveroso fare un piccolo riassunto per chiarire le idee. Oltre al rapporto tra Valentin e Desirée che continua a sgretolarsi, nonostante loro fingano la perfezione, abbiamo finalmente la conferma che i nostri protagonisti partiranno a breve. Un viaggio che toccherà Italia e Francia e che li vedrà sempre più vicini, tra intimità e confessioni.
Siete pronti a conoscere ancora meglio i nostri protagonisti? Io non vedo l'ora di raccontarvi le loro storie.
Nel frattempo, ci tengo a sapere la vostra opinione sul capitolo e sulla storia fino a questo punto. Attendo il vostro parere e vi ringrazio!
Ci vediamo nel prossimo capitolo <3
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