19. Interdiction
IT: divieto
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13 maggio 2023
Saint Roman, Principato di Monaco
Era inevitabile riflettere sull'accaduto degli ultimi giorni, mentre mi aggiravo per la cabina armadio in cerca degli abiti per il Festival di Cannes che Céline aveva fatto recapitare a casa mia.
Il vestito, a essere sincera, era l'ultimo dei miei pensieri. Al centro della mia mente c'erano la proposta di Valentin, i gesti di Isaac e l'azienda.
Ero imprigionata nelle nozze organizzate per volontà altrui e nelle sensazioni contrastanti derivate dalle provocazioni dell'inglese. Da un lato, una rabbia che bruciava silenziosa per la poca libertà che ancora possedevo; dall'altra, la confusione al ricordo della pelle d'oca che mi rivestiva quando, a sfiorarmi, era il mio rivale.
Accantonando gli interrogativi, tuttavia, restava la certezza che avrei dovuto azionare i miei freni inibitori cosicché la relazione tra me e Valentin diventasse più pacifica. La sua presenza era un rischio costante, per me, ma l'avrei resa piacevole moderando i miei esibizionismi e placando i miei istinti.
E, soprattutto, dovevo mettere un punto ai miei comportamenti impudici.
Forse, se fossi migliorata, Valentin mi avrebbe amata oltre i suoi scatti d'ira; forse, gli errori erano solo i miei.
La verità era che mi ero rintanata nella cabina armadio solo per sfuggire al primo problema che avrei dovuto affrontare: Marcel. Se l'obiettivo era quello di sopprimere il mio carattere libertino, il nostro domestico rappresentava un ineluttabile punto di partenza. Ignara di che valore attribuisse al nostro sesso occasionale, non sapevo se la mia iniziativa l'avrebbe deluso, ma si trattava di un obbligo morale.
Scossi il capo, incapace di sostenere quel carico di crucci e responsabilità. Il silenzio che regnava nell'attico era un urlo assordante per la mia mente attiva. Papà non era lì per intrattenermi con le sue chiacchiere sul lavoro e mamma era ripartita quella stessa mattina. La solitudine era pesante quanto le pressioni a cui ero sottoposta ma, mentre ero intenta a sistemare un lungo abito da sera sul ripiano dell'isola centrale, un fruscio riuscì a distrarmi.
Proprio Marcel, come per un meschino gioco del destino che si burlava di me, sostava sulla soglia della cabina armadio. Indossava la solita livrea elegante che gli copriva il corpo magro, e dall'assenza dell'attrezzatura per la pulizia dedussi che stesse eseguendo un semplice giro di ricognizione delle singole stanze.
Accorgendosi di me, arrise bonario. Era sempre allegro nonostante il lavoro stancante e, nel brillio che si accese nelle sue iridi cenerine, scorsi la speranza di concedersi uno sfogo.
Quella non sarebbe stata l'occasione giusta.
«Mademoiselle, non credevo fossi qui» esordì, muovendo un passo all'interno della stanza. Ricambiai il suo sorriso accennandone uno, seppur meno gioioso. «Nessun impegno, oggi?» indagò.
Mi appoggiai all'isola con il bacino, incrociando le braccia sotto il seno. La confessione che dovevo tirare fuori non era tanto gravosa per l'ipotetica reazione del ragazzo, quanto per l'idea che mi sarei privata di uno sfogo che stava diventando essenziale.
Feci spallucce in risposta al suo quesito. «La mia routine è un po' scombussolata dai preparativi per la fashion week e il Festival di Cannes» spiegai.
Marcel non si arrese ai pochi metri che ci dividevano e li coprì con un altro paio di passi. A separarci, ora, solo una decina di centimetri che colmò accarezzandomi il fianco prima di cingerlo, stringendomi a sé.
«Tuo padre non è in casa...» mi informò, benché lo sapessi già.
Una volta accertatosi che ne fossi a conoscenza, chinò il capo verso di me e iniziò a ricoprirmi il collo di teneri baci. Il piacere che ne derivò mi fece socchiudere le palpebre, ma il raziocinio entrò in azione al primo gemito: piantandogli un palmo sul petto, mi avvalsi di tutta la mia forza per spingerlo indietro senza fargli del male. Lui non sembrò rispondere ai miei comandi.
«Marcel» sussurrai, trattenendo un ansito. «Marcel» continuai, esercitando una pressione maggiore che finalmente lo allontanò.
Tornò a guardarmi, l'espressione pregna di confusione. Il baluginio che regnava nelle sue sclere si era affievolito, rimpiazzato dall'attonimento dovuto al mio gesto inaspettato. Sfarfallò le ciglia incredulo, in attesa di una spiegazione intrappolata nel nodo che mi occludeva la gola. L'ansia mi stava dilaniando, ma non potevo dimostrarmi negligente dinanzi a un dovere.
Era una delle tante regole di papà.
Presi un respiro per schiarirmi le idee e lo rilasciai per farmi coraggio, quindi mi schiarii la voce. Dovevo affrontarlo, liberarmi di quel peso prima di lasciarmi schiacciare.
«Dimenticati del sesso» sputai con schiettezza. Farlo guardandolo negli occhi, tuttavia, non fu semplice. «Non può andare avanti» aggiunsi, atona.
Le sue labbra, assottigliate in una linea dritta, si schiusero appena per lo stupore. Non sapeva come replicare, ma si sforzò di trovare le parole giuste per fronteggiare la perdita della sua unica distrazione dal lavoro.
«Cosa stai dicendo, Desi?» domandò. «In tutti questi mesi non è stato un problema e ora, improvvisamente, lo è diventato? È così?» insistette.
Sfidai i battiti accelerati con un sospiro. Ero stata diretta, ma la sua reazione mi terrorizzava. Anni e anni di perfezione avevano forgiato in me la paura di deludere gli altri. Ero diventata un'accontentatrice seriale incapace di negare, anche quando il prezzo era la mia serenità.
«Marcel, ascoltami» lo pregai, senza alterare il tono. «So che te lo sto dicendo senza alcun preavviso, ma le cose sono cambiate negli ultimi giorni e... Devo trovare una soluzione il prima possibile. Per ora, l'unica sembra quella di chiudere qualsiasi cosa ci sia tra noi» sentenziai.
«Dio, Desirée, sii chiara» ribatté nell'immediato. «Cos'è successo?»
Alzai la mano a mezz'aria, sperando che fosse sufficiente come spiegazione. I diamanti preziosi di cui era composto l'anello scintillarono, impossibili da ignorare, e attirano il suo sguardo in cui i punti interrogativi si moltiplicarono.
«Io e Valentin ci sposiamo. Ieri sera mi ha fatto la proposta» mormorai nel silenzio calato fra noi.
«E tu hai avuto davvero il coraggio di dire "sì"?» sbottò.
La perspicacia di Marcel si stava rivelando un ostacolo in quella discussione. Non era stolto, e nei mesi passati aveva collegato il mio tradimento nei confronti di Valentin a qualcosa di instabile. Una gabbia troppo stretta da cui cercavo una scappatoia, una fuga che lui aveva iniziato a rappresentare.
Mi aveva messa a nudo più volte e ne ero consapevole, tanto che chinai il capo e mi concentrai sulle venature irregolari del parquet. Mortificata, giocherellai con l'anello incriminato.
«Dovevo» farfugliai, riducendomi a un sussurro.
«E hai fatto una grandissima cazzata» commentò.
In cuor mio sapevo che aveva ragione, ma non potevo permettermi di distruggere gli equilibri per le mie paure e i miei problemi. Potevo gestirli, risolverli con il tempo.
Marcel arretrò di un passo, allontanandosi definitivamente da me. «Se non hai altro da dire, torno a fare il mio lavoro» asserì.
La mia risposta venne a mancare, perché ero ancora pietrificata dal modo diretto in cui mi aveva detto di aver sbagliato. Il silenzio fu quindi una conferma, per lui, che indietreggiò fino a lasciare la stanza.
Per sfuggire al rammarico, mi obbligai a concentrarmi sui vestiti che stavo sistemando in precedenza, anche se era difficile farlo con il principio di dolore che sentivo al petto.
Avevo trascorso anni a lavorare affinché anche il mio cuore fosse perfetto, privo di una singola crepa. Eppure, quel giorno sembrò perdere la prima stilla di sangue.
Allontanare Marcel dalla mia vita non faceva male, vista l'assenza di forti sentimenti tra noi, ma aveva l'amaro sapore della perdita.
Stavo accontentando Valentin diventando una fidanzata migliore per non rovinare il nostro matrimonio, ma mi era stata strappata via la libertà di scegliere. Ed era vero, avevo il carattere perfetto per ribellarmi, ma non ero così forte quando a dettare legge era mio padre.
Un fastidioso rivolo caldo mi solcò la guancia, tracciando un percorso irregolare fino a insinuarsi nell'angolo delle labbra. Era già successo la sera precedente e Isaac mi aveva scoperto. La sensazione di essere così trasparente era terrificante: bramavo solo la solitudine, ma non potevo averla. Spaventata, mi affrettai ad asciugare la lacrima nel momento in cui lo squillo del citofono riverberò nell'intero attico.
Udii i passi di Marcel, quest'ultimo diretto ad accogliere la chiamata del portiere della Tour Odeon. Mormorò qualche frase che non recepii per via della distanza, ma poco dopo alzò la voce: «Mademoiselle, è il signor Woodward. Lo stava aspettando?»
«Fallo salire e accompagnalo qui» gli ordinai.
Fantastico, pensai. Mancava solo lui all'elenco delle mie pene.
Mi avvicinai all'armadio per distrarmi, issandomi sulle punte dei piedi scalzi per prelevare il completo che Céline aveva scelto per Isaac. Non si era sbizzarrita, stranamente: per concedere a entrambi di fare la stessa figura sul tappeto rosso, aveva optato per un classico Dior, che adagiai sulla poltrona posta nell'angolo della stanza.
Per me aveva scelto un abito cipria, medesimo marchio, dal taglio semplice per lasciarmi libera di sperimentare con gli accessori.
«Buon pomeriggio, Daisy». La voce profonda di Isaac echeggiò nella cabina, dopo aver picchiettato sullo stipite della porta per annunciare il suo arrivo. «Ho il permesso di addentrarmi nel tuo castello?» chiese, ironico.
«Hai già invaso il mio regno» appurai con altrettanto sarcasmo, prima di voltarmi e incrociare il suo sguardo fisso su di me. «Accomodati» gli concessi.
Fece pochi passi avanti, studiando i dintorni con curiosità. I suoi occhi vagarono per l'intera stanza, dall'isola vitrea alle singole ante dell'armadio. Quel giorno il disordine regnava sovrano, ma a lui non sembrò importare. Si comportò con disinvoltura anche se non conosceva l'ambiente, rimboccando le maniche della camicia bianca; i tatuaggi furono esposti senza alcun ritegno, calamita per la mia attenzione che tentai di distogliere.
Mi concentrai, piuttosto, sui cassetti che contenevano i miei innumerevoli gioielli, rivolgendo a Isaac un mero: «Siediti pure». Ravviandomi una cioccia di capelli, quindi, decisi di spiegargli il programma del pomeriggio. «Céline ha scelto gli abiti insieme a una stylist e me li ha mandati qui. Dobbiamo provarli e capire se c'è bisogno di qualche modifica, così da lavorarci in tempo» illustrai, intenta ad afferrare la scatola color panna di una parure firmata Bulgari.
La aprii dopo averla appoggiata sulla superficie dell'isola, rivelandone il contenuto: una collana girocollo tempestata di diamanti scintillò quando la sollevai per guardarla, tanto che attirò anche l'inglese ora seduto alle mie spalle.
«Meravigliosa» dichiarai emozionata dalla sua bellezza, riponendola sullo strato di velluto nero, accanto ai due bracciali abbinati.
«Brilla più del tuo futuro con Valentin» commentò lui, derisorio. «A proposito, avete posato perfettamente per le foto che sono uscite sul Monaco-Matin di oggi» aggiunse. «Le nostre sono più belle, però. Hanno un che di... proibito, Daisy».
Una scarica di brividi imperversò lungo la mia spina dorsale, costringendomi a irrigidirmi. Mi voltai verso di lui nell'immediato, le azioni rapide dettate dall'allarmismo: svelta, agguantai il cellulare e mi affrettai a consultare la pagina web del quotidiano. Contava già centinaia di ricondivisioni, ma scorsi irrequieta per leggere il contenuto.
L'immagine che ritraeva me e Valentin durante la proposta era la prima a comparire, seguita dalla didascalia che ogni monegasco attendeva. Niente era più urgente di sapere le novità sulla coppia che avrebbe avuto in mano quasi l'intero fatturato del Principato, nonché la gestione pressoché totale di quest'ultimo.
"È confermato: le nozze più chiacchierate del Paese, seconde solo a quelle del principe Alberto II e della principessa Charlène nel 2011, si terranno nei prossimi mesi.
A rendere questo matrimonio una certezza sono stati proprio i diretti interessati. Desirée Aubert, figlia dell'imprenditore multimilionario Jules, e Valentin Lamothe hanno dato spettacolo con una proposta da sogno, durante una serata sulla terrazza del Pavyllon, ristorante stellato dell'inimitabile Hotel Hermitage."
La continuazione mi fece ulteriormente rabbrividire, farcita di falsità che mi stavano divorando le viscere. Davanti allo schermo del cellulare, tentai di mantenere un'espressione neutra.
"L'emozione dei futuri coniugi è stata percepita dall'intero locale, sorpreso dal gesto inaspettato. Presenti anche il padre, amministratore delegato della Société Aubert, la madre e i fratelli Woodward della Woodward Entertainments, azienda britannica in competizione con la società monegasca."
L'emozione. I giornalisti accaniti che si guadagnavano da vivere con gli ultimi gossip succosi davano per scontato che essa fosse positiva, che i miei sorrisi fossero sinceri. Ignoravano, tuttavia, ciò che nascondevo abilmente.
Proseguendo con la lettura dell'articolo, mi resi conto che era interrotto da un'altra fotografia. Scattata nella penombra di una zona poco illuminata della terrazza del Pavyllon, raffigurava me, Isaac e il nostro momento da dimenticare. I respiri mozzati, l'agitazione, la sigaretta e il suo odore di tabacco che mi aveva dato alla testa. Non avevo idea del perché io non mi fossi ribellata al suo tocco, ma diedi la colpa all'annebbiamento dovuto ai pensieri ossessivi. La penna di quegli avvoltoi, però, non aveva avuto pietà di noi.
"È proprio con uno dei gemelli che Desirée è stata colta in flagrante dopo il fidanzamento ufficiale.
Pare che i due si stessero intrattenendo con atteggiamenti intimi, troppo vicini per trattarsi di un mero fraintendimento.
Ma se questa fosse una strategia della giovane imprenditrice per indebolire l'avversario?
D'altronde, la monegasca gioca con la sua immagine da tempo immemore."
Bloccai lo schermo e gettai il cellulare sul ripiano dell'isola, lasciando intravedere la mia esasperazione. I dannatissimi giornalisti. Affamati di verità e millantatori di bugie da quattro soldi. Mi chiedevo quante pressioni in meno sarebbero gravate sulle mie spalle, se le loro parole non fossero mai esistite.
«Aspetto il giorno in cui quella testata fallirà» sbottai, tornando a concentrarmi sui vestiti sparsi in ogni angolo della cabina armadio.
«Non ti piaceva essere al centro dell'attenzione?» ammiccò Isaac, alzandosi dalla sedia e compiendo un paio di passi per avvicinarsi a me. Si chinò in avanti, inchiodò i gomiti sulla superficie del mobile che ci separava. Lasciami respirare, lo implorai mentalmente. Farlo in sua presenza stava diventando complesso, senza alcun motivo apparente. «Mi ricordo che, se i riflettori non puntano su di te, tendi a offenderti...» abbassò la voce, e un ghigno spuntò sul suo viso.
«Evitiamo di perdere tempo» sviai, afferrando le finte spalline trasparenti dell'abito rosa, utili per appenderlo. «Dior Haute Couture» illustrai con fierezza, ostentando il vestito, quindi indicai il suo completo adagiato sulla poltrona poco distante. «Anche tu indosserai Dior, per la cronaca. Céline ci teneva che il nostro red carpet fosse umile, ma d'effetto».
«Definisci "umile"» mi schernì, allontandandosi dall'isola per dirigersi verso il completo nero.
«Oh, le scarpe sono lì» lo ignorai, indicando un'anta spalancata dell'armadio. «Nella scatola blu» spiegai.
Lui non replicò e afferrò la scatola del medesimo marchio, adagiando con cautela il completo sul braccio opposto. «Dove posso cambiarmi?» chiese.
Feci spallucce, indifferente. «A patto che tu ci metta meno di dieci minuti, puoi andare dove ti pare» dichiarai. «Qui accanto c'è un bagno, comunque» lo informai. «Non vorrei che ti stancassi percorrendo i corridoi chilometrici del mio castello, sai» lo provocai, sfruttando la sua precedente affermazione.
«Preferisco stancarmi in altri modi, Daisy» replicò con prontezza, azzerando le mie capacità di risposta. Fiero della sua impresa, approfittò del mio mutismo per dirigersi fuori dalla cabina armadio, alla ricerca del bagno in cui si sarebbe cambiato.
Non appena fui da sola, liberai un sospiro. Isaac stava maturando una bizzarra abilità nello zittirmi, provocazione dopo provocazione, come se mi avesse studiata talmente bene da sapere come sottrarmi le frasi. Ero abituata ad avere l'ultima parola nelle conversazioni, che esse fossero frivole o meno, ma lui, con il suo freddo umorismo inglese, mi aveva soffiato il ruolo.
Scossi il capo: non potevo lasciare che il pensiero delle sue azioni nei miei confronti prendesse il sopravvento, quindi mi concentrai sull'abito sontuoso che mi chiamava a gran voce.
Era un capolavoro di alta sartoria, più di ogni altro vestito che avessi mai indossato. La seta color cipria era morbida al tatto, e creava un perfetto contrasto con la mia carnagione olivastra. Céline, per quanto il suo modo di lavorare fosse ansiogeno, non sbagliava mai. Così mi spogliai senza perdere tempo, pronta a godermi la preziosità di quell'abito unico nel suo genere, e mi sistemai dinanzi allo specchio posto accanto alla poltrona.
Lo indossai, lasciando che mi scivolasse addosso mentre lo sollevavo fino a coprire il seno. Era talmente bello da mozzare il fiato. Con la zip posteriore ancora aperta, risultava largo all'altezza del petto, ma mi accinsi a chiuderla. Tentativo dopo tentativo, però, l'impresa sembrava impossibile: la cerniera era incastrata nel tessuto.
Lasciai cadere le braccia lungo il corpo, arrendendomi, ma il pensiero del vestito fu subito rimpiazzato. Studiai il mio corpo centimetro per centimetro, soggiogata dall'onnipresente voce di Céline che mi torturava per diletto. Dalle curve pronunciate del seno e dei fianchi alle cosce piene nascoste dal vestito, iniziai a percepirmi come un ammasso di difetti da correggere. Poi notai le clavicole sporgenti, controllai il diametro dei polsi con le dita, e una morsa stretta mi aggredì lo stomaco.
Se la mia agente avesse avuto ragione? Se la mia immagine non fosse stata abbastanza perfetta per svolgere il suo compito nella maniera migliore?
Sbuffai sconfitta, ma lo feci nel medesimo istante in cui Isaac comparve nel mio campo visivo attraverso il riflesso nello specchio.
Mi pietrificai, nel vederlo. Il completo nero che indossava, ancora privo della cravatta, non era molto diverso da quelli che aveva mostrato nel primo mese trascorso nel Principato. Eppure, in quelle vesti, ebbe la capacità di immobilizzarmi per un paio di minuti. Sguardi incatenati e una sensazione inspiegabile che appesantiva il petto, accelerando i battiti.
Non era solo il completo di alta qualità, a farmi quell'effetto. Erano i tatuaggi fitti sui dorsi delle mani, che gli risalivano gli avambracci e si nascondevano timidamente sotto le maniche lunghe; era la sua imponenza, la statura che mi superava più del solito per l'assenza dei tacchi.
«Hai bisogno di una mano?» mi domandò. Mosse alcuni passi nella mia direzione, senza attendere una risposta.
Annuii, ridestandomi dai pensieri.
Mi raggiunse nel silenzio di quell'attimo e si piazzò alle mie spalle, studiando il retro dell'abito. Armeggiò con la zip bloccata e i suoi polpastrelli, ruvidi e caldi, entrarono a contatto con la mia schiena. Tocchi sporadici che generarono una scarica di brividi, e che non si interruppero quando sollevò la cerniera con cautela, fino a chiudere l'abito e farlo aderire al mio corpo. Il suo sguardo, quindi, finì sulla mia immagine riflessa, togliendomi un respiro che mi sforzai di recuperare.
«Daisy, Daisy...» Mi punì con un altro sussurro a fior di pelle, spostando i miei capelli su un'unica spalla. Scoprì il collo, su cui si infranse la carezza del suo fiato bollente. «Sono quasi dispiaciuto del fatto che Valentin non possa vederti, quella sera» dichiarò.
«Smettila» gli ordinai con un filo di voce. «Lui ha tutto ciò che tu puoi solo ammirare da lontano. Molto lontano» sottolineai, affrontando il contatto visivo a cui mi sottrassi.
Mi allontanai, la gonna ampia e liscia mi fece da strascico mentre mi avvicinavo all'armadio per prelevare la cravatta per lui. Era semplice, nera come il completo, e la strinsi tra le dita finché non tornai al centro della stanza.
Scappando da ogni sua provocazione, stavo solo dimostrando di essere una codarda che prendeva in giro se stessa: Isaac non era ignorabile, soprattutto quando si divertiva a giocare sporco.
Era un divieto da non rispettare, una regola da infrangere. Contro ogni legge morale.
Lui non sembrò arrendersi: passo dopo passo, si riavvicinò a me come se la conversazione non fosse finita. Non smetteva di guardarmi, languido dinanzi a me e, quando la nostra vicinanza si fece estrema, mi costrinse allo spazio stretto tra il suo corpo imponente e l'isola di vetro.
Con i palmi inchiodati ai miei lati, mi guardò dall'alto, la differenza di statura duplicata.
Non era la prima volta che finivamo con il lambirci a vicenda solo per sfidarci, ma il mio cuore la registrò come un'esperienza mai provata. Scalpitava, rendeva i respiri irregolari, e mi costrinse a fingere freddezza per non cedere al suo fascino magnetico.
«Se il completo veste bene, dobbiamo aggiungere la cravatta» lo informai, affrontando a testa alta le sue iridi celesti.
Lui, però, non mi considerò. «Sei davvero convinta che io non sia in grado di avere ciò che ha lui...» bisbigliò.
Chinò il capo per azzerare la poca distanza che ancora intercorreva tra noi, facilitandomi l'impresa di annodare la cravatta per distrarmi dalle sue parole. Gli alzai il colletto della camicia, entrando in contatto con la pelle calda del suo collo.
«Stai peccando del desiderio della donna altrui...?» lo stuzzicai.
«Sono capace di prendere ciò che è tuo e, di conseguenza, anche ciò che è suo, se solo volessi» continuò.
Non replicai, intenta a sistemare le due estremità della cravatta prima di procedere con la serie di intrecci. Una volta compiuto il nodo, lo strinsi portandolo all'altezza del collo per saldarlo, ma le mie mani non si staccarono dalla stoffa liscia. Rimasero in quel punto, mentre sollevai lo sguardo per ritrovare il suo, ancora incollato al mio viso.
Le punte dei nasi si sfioravano, le labbra percepivano la carezza del suo fiato a ogni parola o respiro. Incredibilmente vicini, ora che il destino non ci voleva lontani.
«Sarei già caduto ai tuoi piedi, se non fossi quanto di più proibito io abbia mai incontrato» ammise, lasciandomi attonita. Tuttavia, mantenni l'espressione neutra, colorata solo dalla battaglia che ci incatenava l'una all'altro.
Esercitando una forte stretta sulla cravatta, la arrotolai attorno alla mia mano per poi tirarla verso di me, attirandolo nella mia direzione. Lambii la sua bocca con la mia, senza però toccarla.
«Spero che tu cada così in basso da non rialzarti, Woodward. Indebolirti è la mia missione e ci sto riuscendo» dichiarai con orgoglio.
Dalle iridi alle labbra, fu il viaggio del mio sguardo sul suo volto, con i respiri accelerati e i battiti impossibili da calmare. Ci sentivamo a vicenda, petto contro petto, nei nostri ansiti. Come la sera precedente, eravamo troppo vicini per resisterci senza perdere il controllo e troppo lontani per arrenderci a un'attrazione che stava serpeggiando nelle nostre menti, subdola e tentatrice.
Sei un azzardo vietato, un gioco rischioso che porta alla dipendenza. Una sfida a cui non cederò, con troppa perdita e poca vincita.
Ero così concentrata su di lui, da ridestarmi solo nel momento in cui compì un movimento repentino, allontanandosi da me. Rialzò la testa in uno scatto, puntando lo sguardo verso la porta della cabina armadio alle mie spalle. Quel gesto improvviso mi allarmò e, voltandomi, la mia ansia ottenne una giustificazione: Marcel sostava davanti a noi, mentre io stringevo ancora la cravatta di Isaac tra le dita. Tentennando, la lasciai andare.
La confusione regnava sul volto del domestico, che scosse il capo. Era sorpreso dal modo in cui l'avevo rifiutato per stare alle provocazioni del mio rivale principale, consapevole del futuro matrimonio aggiunto alle carte avverse sulla tavola della mia vita.
«Sta arrivando tuo padre, mademoiselle» annunciò atono, prima di dileguarsi.
Scombussolata dall'accaduto – il contatto fisico inopportuno e ammaliante con il britannico e la comparsa inaspettata di Marcel – allontanai Isaac da me, spingendolo all'indietro. Non incontrai più il suo sguardo: la vicinanza era stata abbastanza per farmi perdere la lucidità, e mi imposi di agire razionalmente senza cedere agli istinti.
«Va' a cambiarti» gli ordinai, camminando nella stanza senza una meta solo per aumentare la distanza tra noi. Per distrarmi, iniziai a sistemare i vestiti che popolavano la cabina. «Riportami il completo, lo terrò qui con il mio vestito» aggiunsi.
Non proferì verbo e obbedì alla mia richiesta. Sembrava meno teso di me, i lineamenti del viso erano rilassati, il passo disinvolto quando uscì dalla stanza per recarsi nel bagno. Mi spogliai nel silenzio che lasciò alle sue spalle, tornando a indossare degli abiti più comodi.
Ero un fascio di nervi, un insieme di nodi di terrore che mi irrigidivano e dolevano all'altezza della gola per la consapevolezza di star sbagliando tutto.
Troppo vicina a Isaac, troppo lontana dalle mie responsabilità. La cosa peggiore era che non avevo motivo di comportarmi in quel modo: non era l'inglese ad attrarmi, ma l'idea di conquistare un territorio confinato che mi era stato vietato. Era l'istinto di rompere le catene che mi imprigionavano nella mia vita, di sfuggire alle costrizioni.
Isaac era un mero tentativo di trovare una libertà che non mi era concessa.
Scappai dai pensieri solo riordinando la cabina armadio, sistemando ogni vestito nello scomparto a cui apparteneva. Il turbine di riflessioni non si arrestò e continuò a esagitarmi, ma perlomeno riuscii a tenere i piedi saldi a terra, senza permettere alla mia mente di compiere voli pindarici nelle autocommiserazioni.
Il rumore dei passi di Isaac tornò a farmi compagnia pochi istanti dopo, quando superò la soglia della stanza e il mio sguardo finì su di lui, ancora una volta. Il completo era appeso al suo braccio, perfettamente piegato, e lo adagiò sulla superficie dell'isola senza pronunciare parola alcuna.
«Vestiva bene?» ruppi la tensione glaciale formata tra noi. «O devo chiedere a Céline di farlo adattare?»
«È perfetto» dichiarò, incrociando le braccia al petto e lasciandosi cadere contro lo stipite della porta.
La sua attenzione non mi lasciò, le pupille calamitate dalla mia figura. I tatuaggi di nuovo in vista spuntavano sotto il tessuto semitrasparente della camicia bianca, ma spostai la concentrazione quando si inumidì le labbra con la lingua prima di provare a intavolare una conversazione.
«Sai, Daisy–»
«Signor Woodward, che piacere trovarla qui». Fu mio padre a interromperlo, con il solito sorriso vivace.
Voltandosi verso di me, tuttavia, abbozzò un'espressione più seria. Dobbiamo parlare, recitava senza la necessità di proferire parola. E, scovando Isaac in mia compagnia, sapevo già su quale elemento si sarebbe focalizzata la discussione. Il Monaco-Matin, le foto pubblicate, gli atteggiamenti ambigui dell'inglese.
Non potevo neanche rivelargli il motivo della sua presenza in casa nostra. Mio padre non sapeva che sarei andata al Festival di Cannes con lui, né tantomeno che avrebbe rimpiazzato Valentin. Confessarglielo sarebbe stato difficile, ma quella non era la sede opportuna.
«L'ho invitato per parlare dell'azienda e di alcune attività di minore importanza che potrebbero rientrare nelle trattative con la Woodward Entertainments» mentii, tentando di distrarlo. «E ne stavo approfittando per sistemare i miei vestiti. Il beneficio di essere multitasking» scherzai, ma gli rivolsi un sorriso per risultare credibile.
«Se posso permettermi, Desi» esordì senza sbilanciarsi. Rimandò ogni questione importante al momento giusto. «Dovresti permettere a Isaac di vivere il Principato a trecentosessanta gradi, soprattutto ora, che siamo nel pieno degli eventi» consigliò. Addentrandosi nella stanza, si accomodò sulla poltrona, assumendo la consueta posizione di comando da cui trasudava il potere e l'autorevolezza insiti nella sua persona. «Che ne dici di invitarlo alla fashion week e al Gran Premio?» suggerì.
L'idea di stare accanto a Isaac così spesso era terrificante. Ne sarebbe conseguita una serie di provocazioni e situazioni scomode che non avrei saputo gestire. Ero coinvolta in un conflitto interiore in cui i miei obblighi si scontravano con l'ardente volontà di non sottomettermi a essi, e il britannico era il primo che mi avrebbe portato a perdere.
Io, che vincevo sempre.
«Non ce n'è bisogno, papà» negai nell'immediato, scuotendo il capo per sottolineare la contrarietà. «Isaac vorrà avere del tempo libero da trascorrere con sua figlia, non coinvolgerlo in queste frivolezze» lo invitai. «Sono eventi di poco conto» aggiunsi.
«Insisto» asserì, incapace di sostenere obiezioni, puntando lo sguardo sul diretto interessato. «Alla fashion week sfilerà anche Desirée e, per quanto riguarda il Gran Premio, posso procurarvi i pass per accedere al paddock e all'hospitality. È il momento più iconico dell'anno per il Paese, non accetto un "no" come risposta» illustrò.
Mi lasciai sfuggire uno sbuffo per il disappunto, ma mio padre non lo udì. Isaac, al contrario, annuì per cogliere l'occasione.
«Per me non ci sarebbe alcun problema» affermò.
«Oh, Desi» s'illuminò mio padre all'improvviso, dopo il suo sproloquio. «C'è la possibilità che tu possa sventolare la bandiera a scacchi al traguardo, alla fine della gara. Te la senti?»
«Dovrei festeggiare un vincitore che salirà sul podio per sprecare litri di champagne, dopo aver assistito a ottanta noiosissimi giri di macchine che ogni anno bloccano le nostre strade?» ironizzai, alzando gli occhi al cielo. «Lo farò solo per aumentare la mia visibilità» sentenziai.
«Bene, è deciso» dichiarò, rialzandosi dalla poltrona. Passo dopo passo, tornò ad avvicinarsi a Isaac. «Le va di bere qualcosa? Posso mostrarle la mia piccola cantina» gli propose.
Rilasciai un sospiro di sollievo, nella speranza che Isaac accettasse. La solitudine era l'unica cosa di cui necessitavo, dopo la carrellata di informazioni e l'occhiata minacciosa rifilatami da mio padre.
«Va bene» accettò. «In effetti, iniziavo a sentire la gola secca» commentò.
«Allora ti lasciamo sola, Desi. Se hai bisogno, ci trovi al piano di sotto» comunicò papà, ancora accanto all'inglese.
Annuii senza degnarlo di una risposta, troppo concentrata a sistemare le décolleté sui vari ripiani dell'armadio. Non vidi il momento in cui mio padre oltrepassò la soglia della stanza, concedendomi un istante di illusorio silenzio. Proprio quando credevo di essere in completa solitudine, infatti, una voce profonda mi catturò.
«A quanto pare, liberarmi di te sarà più difficile del previsto, Daisy».
Più spaventosa di quell'avvertimento, però, fu la parte di me che si rivelò soddisfatta di quella certezza.
No, non liberarti di me, urlava contro la mia volontà.
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Nota dell'autrice
Ciao a tutti e buon sabato, come state? <3
Eccoci qui con il diciannovesimo capitolo!
Lo ammetto: non è il mio preferito (anzi, forse è quello scritto peggio), ma ci sono alcune scene interessanti che coinvolgono i nostri protagonisti. Tuttavia, la protagonista di questo capitolo è sicuramente Desirée: il suo pentimento nei confronti degli sbagli che è convinta di compiere nei confronti di Valentin e, al contempo, la sua voglia di sfuggire alla rigidità a cui è sottoposta sono due aspetti contradditori. Uniamoli, poi, alle paure instillate dalle parole di Céline e dei giornalisti...
Secondo voi, come reagirà la nostra principessina a questo carico di pressioni? Vi basti sapere che nei prossimi capitoli la troveremo quasi sempre con Isaac (e ben presto, purtroppo, anche con Valentin in una situazione non molto piacevole). Un connubio di avvenimenti che la porteranno a prendere delle scelte ben precise e su cui vi lascio speculare...
Inoltre, si avvicinano i due momenti più iconici della Costa Azzurra: il Festival di Cannes e il Gran Premio di Monaco! Non vedo l'ora di scrivere quei capitoli, in cui Desi e Isaac saranno molto (molto!!!) vicini 👀
Detto ciò, approfitto di questo spazio per dirvi che non so cosa ne sarà degli aggiornamenti del sabato d'ora in poi. A breve inizierò a lavorare (pregate per me) e devo adattarmi di conseguenza, quindi vi farò sapere su IG cosa riuscirò a fare.
Nel frattempo, sabato prossimo dovrebbe rimanere tutto regolare.
Vi aspetto...
IG & TikTok: zaystories_
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Note informative
L'abito di Dior Haute Couture che indosserà Desirée al Festival di Cannes (nonché lo stesso indossato nella stessa occasione da Bella Hadid nel 2018)
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