16. Proximité
IT: prossimità
✧✧✧
8 maggio 2023
Montecarlo, Principato di Monaco
Forse la mia permanenza nel Principato si stava rivelando... divertente.
Fu il mio pensiero costante mentre, uscendo dall'imponente portone dell'Hermitage, mi accingevo a percorrere Avenue des Beaux Arts per l'ennesima volta. Il tragitto si era trasformato in una routine, ma quel giorno avrebbe potuto rivelarsi un'altra occasione per importunare Desirée e migrare verso la fine del mio soggiorno.
La possibilità mi era stata servita proprio da Jules che, per mezzo di una semplice email, mi aveva invitato a partecipare alla conferenza stampa volta a presentare la stagione teatrale successiva. E, anche se avrei preferito trascorrere del tempo con mia figlia senza dedicarmi al lavoro, la pressione di mio padre era assidua e mi aveva costretto a partecipare. D'altronde, anche il Grand Théâtre de Monte Carlo rientrava nei nostri interessi aziendali.
Coprii quei pochi metri che mi separavano dal One Monte-Carlo stringendo una sigaretta che, di tanto in tanto, mi portavo alle labbra. Ne approfittai per rilassarmi e distendere i nervi, e la spensi solo nel momento in cui raggiunsi l'entrata del centro congressi. Nei pressi degli edifici moderni che mi circondavano, sostava una piccola quantità di persone che dedussi fossero alcuni dipendenti di Jules.
Abbandonato il mozzicone sulla sommità di un cestino della spazzatura, varcai la soglia dell'atrio dove il chiacchiericcio era ben udibile, curiosando con lo sguardo tra le vetrate limpide e le decorazioni contemporanee.
«Mi piace l'audacia con cui ti presenti qui, pronto a conoscere l'ennesima fonte di guadagno che non sarà mai tua». Alle mie spalle, l'asserzione decisa di Desirée mi portò a voltarmi nella sua direzione.
Quel giorno non spiccava nella sua esagerazione, ma era stranamente sobria: un tailleur nero e attillato le evidenziava le curve e le risaltava, mentre i capelli castani le ricadevano sulle spalle in onde perfette. Al polso, era appesa una borsa bianca.
«E io amo il coraggio con cui lo affermi, Daisy» ribattei. Sul mio volto comparve un ghigno frutto del diletto: adoravo stuzzicarla e infastidirla, soprattutto dopo che era stata lei, a iniziare quella battaglia di provocazioni. «Se sono qui, è perché so che un giorno mi riguarderà» aggiunsi.
Non fui sorpreso quando, all'improvviso, Valentin si aggiunse a noi. Faceva la sua figura accanto a Desirée, il completo gessato abbinato al tailleur della ragazza; l'apparente assenza di difetti della coppia fu sottolineata dalla mano che lui le avvolse attorno al fianco. Lei ricambiò il gesto sfiorandogli il petto coperto dalla camicia.
«Woodward, non molli neanche se risenti delle conseguenze» ammiccò, gli occhi puntati nei miei. Desirée non commentò la sua frase, ma si dimostrò in tacito accordo appoggiando la testa alla sua spalla; socchiuse le palpebre, inspirò il forte profumo maschile. «Valoroso, da parte tua».
«Almeno quanto lo è fingere, nel tuo caso» rilanciai, l'indice che si alternò tra le due figure per rimarcare il mio riferimento alla loro relazione - i problemi erano esposti sotto la luce del sole, nonostante fossero convinti di vivere in zone d'ombra.
Il biondo strinse il pugno lungo il fianco, assottigliò le labbra, ma si esimette dal replicare quando Desirée si separò da lui. Sembrò aver percepito la tensione, che allentò iniziando a produrre il suo ticchettio in direzione della sala in cui a breve si sarebbe tenuta la conferenza.
Io e Valentin non potemmo che seguirla come due schiavi alla sua mercé - distinti solo dal fatto che lui lo fosse davvero, contrariamente a me - e raggiungemmo il portone imponente e spalancato della sala. Una targa posta all'esterno ne indicava il nome: Salle des Arts.
Entrarvi fu un piacere per gli occhi, un balsamo che districò i fitti nodi dei miei nervi. Nonostante fosse un ambiente del tutto artificiale e privo di qualsiasi valore artistico, le colonne dorate e i dettagli scintillanti di pareti e soffitti ricordavano lo stile del casinò che, non potevo negarlo, era un capolavoro architettonico degno di tale definizione.
Desirée percorse lo spazio tra le sedie ordinate fino a raggiungere la prima fila, su cui campeggiavano i segnaposti per indicare le sedute riservate con i relativi cognomi. Fu sorprendente e ironico trovare il suo tra il mio e quello di Valentin.
«Accomodatevi» ci invitò con falsa cortesia. «Io devo andare da mio padre», e indicò Jules alle sue spalle, intento a parlare con alcuni suoi collaboratori, «ma torno tra poco. Non litigate come bambini e, soprattutto, mantenete un certo decoro. Non lo chiedo per salvaguardare la vostra reputazione, ma la mia» ordinò. Non aggiunse altro alla sua indicazione, quindi si voltò aggiungendo un sussurro: «Che quest'agonia finisca presto».
«Autoritaria» la canzonai con ironia e una punta di disprezzo, guadagnandomi un'occhiata torva da parte di Valentin.
«Chiudi la bocca» mi ammonì.
Invece di prenderla sul personale, risi della sua prepotenza e alzai le mani per manifestare la mia innocenza. Non mi importava nulla della sua fidanzata, perché il mio unico obiettivo era portarla all'esasperazione e quel gioco si stava rivelando... piacevole.
L'attesa fu noiosa e il mio sguardo si perse tra i faretti scintillanti della sala e i sorrisi ampi che Desirée dedicava ai dipendenti dell'azienda - dubitavo che ne conoscesse il nome, pur essendo il loro futuro capo. Conversava con loro affiancata da Jules, la sicurezza insita nella gestualità, rappresentando un'inevitabile magnete per la mia concentrazione.
Tornò a sedersi dopo una decina di minuti quando suo padre, dando inizio alla conferenza, si sistemò dietro un leggio trasparente su cui giacevano dei fogli con le informazioni che avrebbe letto. La figlia, accomodandosi tra me e Valentin, accavallò le gambe e gli dedicò tutta la sua attenzione quando l'uomo si schiarì la voce. Nella sala ormai piena calò il silenzio, e i presenti si focalizzarono sulla figura dell'amministratore delegato.
«Buon pomeriggio a tutti e benvenuti alla conferenza annuale riguardo alla prossima stagione teatrale del Grand Théâtre de Monte Carlo» dichiarò, allargando le braccia in un gesto teatrale. Dialettica e movimenti costituivano il suo punto forte. «Prima di iniziare, mi piacerebbe precisare che si tratta di una giornata importante» premise. «Infatti, in sala è presente mia figlia Desirée Aubert, futura erede della società». Udendo l'annuncio, la ragazza si alzò in piedi beandosi dell'altezza conferitale dai tacchi e salutò i partecipanti, tra conoscenti e persone ignote. «E di Valentin Lamothe, figlio del signor Lamothe, un azionista fondamentale per l'azienda». Anche Valentin si profuse in saluti e i presenti lo accolsero.
Era evidente che quella del ragazzo fosse una scalata sociale per ambire alla punta della piramide, per brillare accanto a Desirée e non vivere nella sua ombra. La cosa peggiore, però, era che Jules glielo permettesse.
Tuttavia, erano questioni di cui io ero ignaro. Non sapevo nulla dei loro affari famigliari e non rientravano nei miei interessi, quindi mi concentrai sulla continuazione del discorso.
Jules abbassò lo sguardo sui documenti posti sul leggio, captandone le informazioni.
«La prossima stagione teatrale si svolgerà da novembre ad aprile, e l'offerta sarà la più ampia nella storia della Société Aubert» spiegò, accompagnandosi con un sorriso fiero. «Tra poco, la direttrice artistica Cecilia Bartoli scenderà nei dettagli dell'organizzazione, ma lasciate che vi dia qualche anteprima». Il suo caduco silenzio fu colmato dal fruscio delle pagine che scorse davanti a sé. «Quest'anno, il nostro teatro sarà felice di ospitare concerti coristici, spettacoli lirici d'alto livello e svariate opere. Inoltre, siamo lieti di accogliere una novità: il musical inglese Il Fantasma dell'Opera del compositore Andrew Lloyd Webber. Dopo il successo riscosso a Broadway e nel Regno Unito, andrà in scena nel Principato di Monaco nel mese di dicembre, prima ancora di approdare sul territorio francese».
Dalle espressioni facciali di Jules trapelava la felicità di aver organizzato una stagione così ricca, mentre dalle mie traspariva un eccessivo patriottismo nel sentire le sue lodi nei confronti del Regno Unito. Era casa mia, e mi mancava nonostante le contraddizioni che vivevo spostandomi da South Kensington a Hackney.
Scuotendo il capo, riportai la concentrazione a Montecarlo, abbandonando i miei viaggi mentali per le strade londinesi. Jules aveva blaterato un'altra serie di informazioni che non avevo appreso e, nel momento in cui tornai a guardarlo, si accinse a presentare la direttrice artistica menzionata in precedenza.
«Lascio la parola a madame Bartoli, pronta a illustrarvi per filo e per segno ogni opera presentata durante la stagione».
Si avvalse del suo fascino estremo e dedicò un sorriso gentile alla donna, quindi liberò il leggio per concederle lo spazio necessario.
La direttrice impiegò un paio d'ore a introdurre i vari spettacoli offerti dalla società, di cui ascoltai in religioso silenzio ogni particolare.
Se a mio padre interessava anche quel frammento della Société Aubert, avrei fatto di tutto per farglielo avere. Conoscerne anche i dettagli più insignificanti era il primo passo.
✧✧✧
Uno stridio annunciò l'alzarsi collettivo dei presenti una volta finita la conferenza. Alcuni si diressero all'uscita e altri si trattennero per chiacchierare con Jules e la direttrice.
Copiando la massa, liberai la sedia nel momento in cui anche Desirée e Valentin lo fecero. Il biondo la strinse a sé come aveva fatto prima di recarci nella sala, rimarcando i confini della sua proprietà privata e allontanandola dalla minaccia che rappresentavo ai suoi occhi, quindi le stampò un bacio sulla tempia.
«Vorrei prendere un po' d'aria, il caldo inizia a farsi sentire» le comunicò. «Vieni anche tu o resti con tuo padre?» chiese, invitandola a uscire con sé.
Desirée perlustrò i dintorni con lo sguardo, inchiodando le pupille sul padre e su di me per una minima e impercettibile frazione di secondo, e ne approfittò per divincolarsi dal ragazzo.
«Rimango qui» rispose. «Ogni occasione è buona per imparare qualcosa di nuovo» si giustificò, accennando un sorriso.
Valentin le baciò le labbra con dolcezza, annuì e la salutò in un sussurro. Fu strano da parte sua non esercitare alcuna pressione su di lei, non comportarsi con autorevolezza, ma la recitazione era doverosa dinanzi a metà dei membri significativi della Société Aubert.
Desirée, ora sola, manifestò l'intenzione di raggiungere il padre ancora coinvolto in chiacchiere, ma fu la mia voce a imporle di fermarsi. Nonostante mi desse le spalle, si immobilizzò per ascoltarmi.
«Sarà incoerente con le mie lamentele, ma la vostra azienda non smette di stupirmi» ammisi, muovendo passi lenti per avvicinarmi a lei. Avevo le mani in tasca, a prova di contatto fisico. «Mi commuove il fatto che abbiate inserito un musical britannico. Mi scalda il cuore» ironizzai.
Roteò gli occhi al cielo e la sua esasperazione fu esilarante, ma contenni il divertimento camuffandolo dietro un sorrisetto. Incrociò le braccia al petto per evidenziare il disappunto.
«Da appuntare tra le decisioni che non prenderò quando sarò al posto di mio padre» sentenziò.
«Oppure tra quelle che prenderà la Woodward Entertainments quando gestirà il teatro al posto vostro» rilanciai.
Dalle sue labbra uscì uno sbuffo - nonché l'ennesima dimostrazione di quanto la sua classe fosse finta e ostentata, soprattutto quando perdeva la pazienza.
«Ti piace avere l'ultima parola, eh?» mi schernì. «O la battuta pronta, ma questo si addice di più a tuo fratello».
«Ognuno ha il suo pregio», feci spallucce.
«L'unico pregio di cui potete vantarvi è l'immensa quantità di difetti che avete» ribatté.
Ferita profonda per l'ego.
La nostra conversazione l'aveva distratta da ciò che ci accadeva intorno, tanto che, quando Jules si incamminò all'esterno della sala senza smettere di parlare con i colleghi, lei si affrettò a racimolare i suoi averi per seguirlo. E, siccome la cavalleria era insita nella mia natura da quando avevo memoria, la aspettai.
Studiò i dintorni alla ricerca di qualcosa che mi era ignoto. Lo fece con estrema calma, virtù che scomparve nel momento in cui sgranò gli occhi.
«Isaac, ti farò una domanda molto semplice» dichiarò, regolando il respiro ora accelerato. «Hai visto una borsa bianca nelle ultime ore?»
«Era appesa al tuo polso prima di entrare, perché?»
«Perché è sparita!» sbraitò, iniziando ad agitarsi. Pestò i tacchi sul pavimento, procedendo nella sua disperata caccia al tesoro e passando al vaglio ogni singola sedia. Il nervosismo culminò con le dita che si infilò tra i capelli. «No, no, no...»
«Desirée» tentai di fermarla. «Tutte le persone che lavorano qui ti conoscono. Se trovassero una borsa e vedessero i tuoi documenti, non ci penserebbero due volte a restituirtela per evitare il licenziamento in tronco. Non avrebbero il coraggio di rubarla» razionalizzai. «E poi, è solo una borsa» constatai. Feci spallucce per la banalità del problema, guardandola mentre lei mi lanciò un'occhiata truce dall'angolo della sala. «L'importante è il contenuto, no?»
«Non è solo una borsa, Isaac» rispose con una punta di aggressività. «Voi uomini non capite nulla!» strillò. «È una Birkin in pelle di coccodrillo da duecentomila euro. Vale più di tutti i tuoi organi messi insieme» mi fulminò.
«Povero coccodrillo» commentai sarcastico, nascondendo un'altra risata.
«Aiutami a cercarla, invece di parlare di cose che non conosci» mi ordinò, continuando a setacciare ogni centimetro del pavimento.
Mi piegai al suo volere solo per la soddisfazione di compiere un gesto gentile, e iniziai a controllare nei posti in cui lei non aveva cercato: alcune sedie addossate alla parete, le zone accanto al leggio ora riposto, le aree dove venivano conservati altri pezzi di mobilio. Della borsa - della sua preziosa Birkin - non c'era traccia.
«Guarda nel bagno» mi consigliò, indicando una porta aperta a lato della sala. «Forse l'ho lasciata lì in un momento di distrazione».
Seguii le sue indicazioni e mi avvicinai al bagno. Entrai in un antibagno ampio e luminoso, con un divanetto grigio posizionato a pochi metri dalla coppia di lavandini tirati a lucido. Eppure, non trovai la borsa né lì e né nella zona toilette.
«Dimmi che è qui» mi pregò, sfinita dalla ricerca, appoggiandosi allo stipite della porta. Incrociò le braccia e socchiuse le palpebre per calmarsi, costringendosi a prendere respiri profondi.
«Niente da fare» risposi, lasciandomi cadere sui cuscini morbidi del divanetto.
«Che stai facendo? Ti arrendi?» domandò a raffica, camminando svelta verso di me. «Quella borsa è un vero e proprio investimento, Isaac. Non puoi ignorare il problema!»
«Non lo sto ignorando, sto pensando a una soluzione» le spiegai. «Conosci questo posto meglio di me, com'è possibile che tu non sappia dove hai lasciato una borsa da duecentomila euro? E se l'avesse presa Valentin?»
«Valentin non se ne fa nulla di una Birkin» replicò.
«Ma del contenuto, d'altro canto...» ipotizzai, immaginando le possibili azioni del ragazzo.
«Cristo, taci» mi comandò. Raggiungendo il divanetto, si arrese e si sedette al mio fianco, seppur a debita distanza. Si coprì il viso con le mani e sfogò un lamento. «Era un regalo di papà» mormorò con la voce ovattata, i palmi che le nascondevano il volto.
«Chissà perché non nutrivo alcun dubbio a riguardo» cercai di sdrammatizzare.
«Era il regalo del mio diciottesimo compleanno» precisò.
«Non era la Lamborghini, quello?»
«La Birkin era sul sedile della Lamborghini» chiarì.
«Capisco».
Finsi di annuire perché, in realtà, non la comprendevo. Io avevo festeggiato il mio diciottesimo compleanno tra le mura ammuffite dell'appartamento di mia madre a Hackney, non avevo ricevuto gli auguri da mio padre e sicuramente non mi aveva fatto un regalo, se non l'indifferenza totale.
Il silenzio calato tra di noi le concesse di spremersi le meningi per trovare la borsa tanto preziosa, le mani che ancora le coprivano il viso e che, poco dopo, fece ricadere sulle sue cosce. Si alzò dal divanetto in maniera brusca, percorrendo la scarsa metratura dell'antibagno con passi furiosi.
«Sono una stupida» si vittimizzò, tornando a tirarsi i capelli con le dita. «Come ho fatto a perderla?» chiese più a se stessa, che a me. «Ce l'avevo in mano!» alzò il tono all'improvviso, sferrando un pugno alla porta della stanzetta per sfogare la tensione.
Non fu una saggia scelta. La porta, risentendo del colpo, si mosse e si serrò con un tonfo, rivelando un foglio affisso sul retro: "Non chiudere", recitava.
«No» mormorò Desirée, realizzando l'accaduto. «No, no, no...» Con insistenza, artigliò la maniglia e tirò verso di sé senza ottenere risultati soddisfacenti. L'uscio rimase serrato nonostante i suoi tentativi, e lei si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi per la speranza perduta. «Fantastico» farfugliò. Aderì con la schiena alla porta, l'espressione corrucciata in bella vista.
«A meno che qualcuno non venga ad aprire, hai tutto il tempo che vuoi per setacciare ogni angolo di questo bagno» le comunicai con un sorrisetto divertito dalla sua seccatura. «Il tuo coccodrillo tornerà» la rassicurai.
«Se ti sbranerà, lo ringrazierò».
«Quanta cattiveria...» continuai a canzonarla.
Mi abbandonai contro lo schienale del divano, perdendomi con lo sguardo nell'arredo minimal della piccola stanza. I colori erano accoglienti e l'ambiente, nel complesso, era fin troppo piacevole per essere il bagno di una sala convegni.
«Considerando le ultime vicissitudini, ritroverai quella borsa tra un paio d'ore» asserii. «Qualcuno la fotograferà e ti menzionerà su Instagram. Dovresti averci già fatto l'abitudine», scrollai le spalle.
Desirée arricciò le labbra lucide di gloss, contrariata. «E pensare che quella questione mi infastidisce, ma mai quanto te».
«Amo i primati» commentai.
Mi distrassi per prelevare un foglio di carta assorbente dal distributore al mio fianco, che avrei usato per ingannare il tempo nell'unico modo in grado di rilassarmi: disegnare. Dalla tasca interna della giacca, quindi, estrassi una penna e mi appoggiai al bracciolo del divanetto. Non era una superficie ottima, ma mi permise di arrangiarmi e di realizzare uno schizzo istintivo.
«Notizia dell'ultimo minuto: quelle storie riguardano anche te» mi ricordò, riportandomi alla mente la frase che aveva incrinato la sua reputazione.
Champagne e film d'autore con Isaac Woodward.
Mi resi ancora più comodo accavallando le gambe, mentre la mia mano iniziò a riportare sulla carta le due torri del casinò di Montecarlo. Non sapevo perché lo stessi ritraendo, se non per la sua innegabile bellezza architettonica.
«E dimmi, Daisy» iniziai a replicare. I miei occhi saettarono su di lei e si incollarono alla sua figura; le sue iridi verdi ricambiarono nell'immediato. «Quali film dovresti guardare con me?» le chiesi, di conseguenza.
Anche se tornai a focalizzarmi sul disegno improvvisato, a cui aggiunsi alcuni effetti d'ombra stratificando l'inchiostro della penna, potei accorgermi del momento in cui deglutì, presa alla sprovvista. Spostò lo sguardo altrove, come se avesse voluto sfuggire alla domanda, ma la sua contrastante indole decisa la portò a rispondermi.
«Potrei avere un invito in più per un evento...» borbottò, vaga.
«Hai la mia attenzione» le concessi, pur continuando a disegnare. Con minuziosa attenzione, riportai anche i minimi particolari dell'edificio che avevo memorizzato.
«Si tratta del...» Fece una pausa, prima di continuare. Era tentennante e lo si deduceva dal modo in cui iniziò a giocherellare con il suo anello scintillante. «Del Festival di Cannes» concluse.
La dimensione delle mie sclere raddoppiò per l'incredulità. Il Festival di Cannes, uno degli appuntamenti cinematografici più importanti del mondo. E Desirée ne possedeva un invito, come se non fosse stato estremamente esclusivo. Dal modo in cui la guardai abbandonando il disegno, con le palpebre spalancate, trasparve tutta la mia sorpresa.
«Mi stai invitando al Festival di Cannes?» quasi esclamai, entusiasta pur mantenendo la neutralità del tono. Non ero un cinefilo, ma era un evento così rilevante da lasciarmi senza parole.
Lei fece spallucce. «Sempre ammesso che tu voglia venire».
Riportai la concentrazione sul disegno per distrarmi dal carico di quell'informazione, mentre nella mia mente si profilava un'ipotesi che originò l'ennesimo ghigno.
«Fammi indovinare: il tuo fidanzatino ti ha dato buca?» curiosai.
«Ha degli impegni a Parigi con suo padre, ma non sono affari tuoi» liquidò la questione. «Allora? Accetti l'invito?» chiese, spazientita. «È per l'ultima serata, il ventisei maggio. Torneremmo a Monaco il ventisette, giusto in tempo per il Gran Premio» spiegò.
L'idea di trascorrere un paio di giorni in un'altra città della Costa Azzurra non suonava pessima alle mie orecchie, nonostante la compagnia discutibile. Tuttavia, era un'occasione troppo imperdibile da sprecare per orgoglio.
«Verrò, a patto che non saltino fuori foto compromettenti come quella di qualche sera fa, al casinò» accettai, piantando i primi paletti limitanti. Sarebbe stato un bene per entrambi, se quella serata fosse rimasta segreta.
«Sono solo foto, non hanno importanza».
Ormai distratto dalla conversazione, abbandonai il disegno e la penna sul divano e mi alzai, muovendo una manciata di passi nella sua direzione. Non mi avvicinai troppo, ma mi appoggiai contro il lavandino per stare comodo, le braccia incrociate al petto e lo sguardo che, di tanto in tanto, incontrava il suo.
«Ho avuto un'impressione diversa, quando sono uscito dopo aver ritirato i soldi» confessai, con il capo ora chino per affrontare il discorso senza imbarazzo. Ero genuinamente curioso e, come le avevo promesso, ero allettato dalla possibilità di spogliarla delle sue bugie. «Diciamo che le tue urla e quelle di Valentin non erano proprio... silenziose, ecco».
«Non stavamo parlando di te» rispose, dura, evitando di entrare nel mio campo visivo.
«Mi sorprende» ribattei nell'immediato, movimentato dal suo assiduo mentire. «Lui non nasconde il suo odio nei miei confronti: mi guarda male, scatena le risse... O ha qualche problema di rabbia, o crede che io possa diventare una minaccia. Visti i trascorsi, ho modo di pensare che la seconda opzione sia corretta».
Per sfidarmi, Desirée assunse la mia stessa posizione e le sue braccia funsero da scudo. «Non è l'unica persona rissosa, qui» puntualizzò, difendendolo.
Cogliendo il suo riferimento alla discussione che avevo avuto con mio padre al Caffè Milano e a cui lei aveva assistito dal suo yacht, mi irrigidii. Per quanto fastidiosa, aveva ragione: i miei scatti d'ira e quelli di Valentin non erano tanto diversi e, a malincuore, dovetti ammettere a me stesso che questi ultimi erano un nostro punto in comune.
«Con la differenza che Valentin mi detesta senza motivo, mentre io ho le mie ragioni per avercela con mio padre» rettificai la sua opinione infondata. Le scoccai un'occhiata corredata da un ghigno, pronto a difendermi dalle sue accuse per mezzo di un'altra canzonatura. «Attenzione, attenzione: Desirée Aubert si impiccia nelle mie questioni. Si sono invertiti i ruoli, vedo».
«Sei insopportabile» ringhiò, allontanandosi dalla porta a cui era stata appoggiata fino a quel momento. Impaziente di uscire dal bagno e ritrovare la sua borsa, iniziò a camminare avanti e indietro nella stanzetta con frenesia. «Possiamo concentrarci su ciò che dobbiamo davvero fare, invece di perderci in chiacchiere? Penso di stare per impazzire» decretò, aumentando la velocità del passo. «Ti prego, trova un modo per uscire da qui e scoprire dov'è la mia maledettissima Birkin» mi implorò.
Tra le sue suppliche scorgevo anche un bagliore di speranza. Voleva mettere fine al supplizio che la mia compagnia non richiesta rappresentava, contrariamente a me che, rassegnato all'idea di dover trascorrere altro tempo in attesa di un aiuto, assunsi una posizione più comoda. Rilassai le spalle, stiracchiai le gambe e inchiodai le mani al bordo del lavandino come sostegno.
Desirée stava aspettando una risposta che non ottenne. Ero disattento e i miei pensieri non riguardavano la sua borsa, motivo per cui tentò di ridestarmi dalla trance: «Ti sto pregando, Isaac, io che-»
In una frazione di secondo, la distanza tra noi si azzerò e lei si interruppe per piombare nel silenzio. Incespicò nei suoi stessi piedi, forse a causa della camminata distratta e dei tacchi che indossava, ma non cadde a terra grazie alla prontezza dei miei riflessi. Fui lesto nell'afferrarla per le braccia ed esercitare la mia forza su di lei, anche se ciò significò ritrovarla a pochi centimetri dal mio viso.
Finimmo petto contro petto, tra ansiti e labbra schiuse; le sue, lucide e carnose, mi catturarono e accelerarono i miei respiri. Sfioravo la sua giacca con i polpastrelli mentre le sue mani erano ferme sul mio petto, congelate in una tensione tanto glaciale da bruciare e culminare in palpitazioni incontrollabili. Mi guardava, le iridi nocciola che diventarono un tutt'uno con le mie celesti quando rialzai lo sguardo.
Nessuno dei due proferì parola, messi a tacere dalla lontananza assente e da una prossimità inaspettata. Privi dell'abilità di parlare, ma perfettamente capaci di guardarci senza una ragione che non fosse una banale e superficiale bellezza esteriore.
Hai una perfezione peccaminosa, Daisy. Sei un demone tentatore circondato da sudditi adoranti, ma io non voglio cedere alla tua natura ammaliante. Non mi inginocchierò al tuo cospetto, mentre siedi su un trono che brucia di falsità.
Il suo fiato caldo era una carezza dannata e il suo profumo era un diabolico connubio di desiderio e seduzione, ma non potevo cascarci. Ne era consapevole anche lei che, invece di esibire provocazioni nei miei confronti per indebolirmi, si allontanò spingendosi all'indietro, le mani ancora premute sul mio petto.
«Scusa» si dispiacque in un sussurro pressoché inudibile.
Fui costretto a distogliere l'attenzione dai suoi occhi, che tuttavia cadde su un elemento ben più interessante. Un livido violaceo le colorava parte della tempia destra, sparendo all'attaccatura dei capelli, ma non potei esimermi dall'indagare.
Avevo un ottimo fiuto per i campanelli d'allarme e, nonostante avrebbe potuto trattarsi di una mia mera ipotesi errata, gli effetti scaturiti da quella ferita del passato erano molto più insistenti dell'astio che intercorreva tra noi.
Non mi feci scrupoli nello sfiorarle il mento per voltarle il capo, così che io potessi studiare l'ematoma senza accontentarmi di averlo visto di sfuggita.
«Che è successo?» le chiesi.
Lei si ritrasse nell'immediato, infastidita, e compì un ulteriore passo indietro. «Pavimenti scivolosi» si giustificò, esibendo un sorriso di circostanza. «Il nostro domestico aveva appena finito di pulire e io ho avuto la brillante idea di scendere le scale in quel momento. Errore mio».
E le fiamme della falsità continuarono a bruciare.
«Come l'errore di lasciare una tiara di diamanti nel bagno del Jimmy'z, sì» ribattei.
Un'occhiata bastò a fulminarmi. «Non è affar tuo».
Avrei gradito il tempo di rispondere, se non fosse stato per uno scatto che attirò entrambi. Con nostra grande sorpresa, la porta dell'antibagno si aprì, rivelando la figura di un addetto alle pulizie del centro congressi. A identificarlo era senza dubbio la livrea abbellita dal logo inconfondibile della Société Aubert.
L'uomo sulla cinquantina guardò Desirée, poi me. Era visibilmente confuso, stranito dalla nostra presenza in una stanza che sembrava chiusa e vuota, e chissà quali ipotesi aveva concepito.
«Mademoiselle, suo padre la sta cercando» le comunicò, nascondendo l'attonimento e camuffandolo in un tono neutro. «E ha trovato la sua borsa all'ingresso» aggiunse.
Desirée emise un sospiro di sollievo così intenso da farmi temere che svenisse, ma sul suo volto comparve un sorriso smagliante.
«Grazie» gli disse, sull'orlo della commozione, con le mani giunte in segno di riconoscimento.
Non attese oltre e corse via, con la serenità riconquistata e la sua Birkin ad aspettarla. La imitai e uscii dall'antibagno, porgendo un cordiale saluto all'addetto e augurandogli un buon lavoro, ma incapace di liberare la mente.
L'improvvisa vicinanza di Desirée diventò un pensiero ossessivo, come se il suo profumo e il suo sguardo penetrante mi avessero soggiogato - che mi avessero irrigidito, invece, era innegabile.
La permanenza nel Principato si stava rivelando divertente, senza alcun forse.
Quella fu la conclusione a cui giunsi.
✧✧✧
✧✧✧
Nota dell'autrice
Ciao a tutti e buon sabato amici, come state? <3
Dopo due settimane, finalmente abbiamo il sedicesimo capitolo, ma spero di essermi fatta perdonare con la piccola parentesi interessante che ho inserito... La vicinanza di Desirée e Isaac si fa sempre più tesa, ma preparatevi ai problemi che sorgono all'orizzonte 👀
Nel prossimo capitolo scopriremo una cosa che accadrà a breve e che li avvicinerà ulteriormente, ma nel frattempo godetevi questo accenno di conoscenza. I due hanno parlato di alcune questioni che abbiamo affrontato negli scorsi capitoli, iniziando a guardarsi dentro... Ma ci sono ancora molti strati da superare ;)
Detto ciò, grazie per aver letto il capitolo e, come sempre, aspetto una vostra opinione.
Ci vediamo sabato prossimo! <3
IG & TikTok: zaystories_
✧✧✧
Salle des Arts, One Monte Carlo
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro