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13. Traîtresse

Premessa:
In questo capitolo saranno presenti riferimenti al peso corporeo con un'accezione non sana. Se siete sensibili a questo tipo di argomenti, vi prego di non procedere con la lettura e di consultare la nota finale.
Prendetevi sempre cura di voi <3

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IT: traditrice

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28 aprile 2023
Monaco-Ville, Principato di Monaco

«Tre settimane alla Fashion Week!» esclamò Erika entusiasta, saltellando nel corridoio semivuoto dell'università.

Avevo appena terminato l'incontro con il relatore della mia tesi di laurea, durante il quale avevamo discusso di alcuni dettagli con il fine di ottimizzarli e ultimarli. Solo una volta uscita dall'aula avevo incontrato Erika, in pausa dalle lezioni del suo master.

Nonostante fosse primo pomeriggio, il silenzio aleggiava accompagnato dalle lezioni che provenivano dalle aule serrate. Solo il ticchettio delle mie immancabili décolleté era ben udibile, nella gioiosa compagnia della mia amica.

«Non vedo l'ora di vedere ogni singola sfilata» dichiarò, senza arrestare l'andatura allegra. Le onde rosa le rimbalzavano sulle spalle. «Le collezioni di quest'anno sono stupende» aggiunse.

L'evento che la animava era la Monte-Carlo Fashion Week, il più importante appuntamento con la moda sul territorio. Per il decimo anno di fila, la Chambre Monégasque de la Mode stava per organizzarla e i preparativi fervevano. Tra marchi emergenti che cercavano visibilità e celebrità pronte a indossare i loro capi, esso rappresentava l'ennesimo impegno nell'agenda del periodo primaverile.

«Pronto? Terra chiama Desirée». Erika cercò di ridestarmi dai miei pensieri. «Te ne sto parlando perché voglio più informazioni possibili» continuò. «Céline ti ha detto qualcosa? Parteciperai anche quest'anno?» mi interrogò curiosa.

Era da quando avevo raggiunto la maggiore età che la mia presenza alla Fashion Week era imprescindibile: papà spendeva fior di quattrini per assicurarsi la mia partecipazione e garantire all'azienda un pubblico più ampio. Che fosse sfruttamento della mia immagine, poco mi importava. Si trattava di un'occasione perfetta per nutrire il mio ego già smisurato, il cui unico compito era quello di conferirmi potere.

«Sì, Rika, parteciperò» confermai. «Céline si è accordata con un brand che ha una collezione fantastica da presentare. La sfilata sarà alla Collezione di Automobili» la informai. «Se vuoi venire, chiedo a mio padre di procurare dei biglietti in più».

Sfilare in un luogo prestigioso come la Collezione di Automobili del Principe di Monaco era più di un onore, più di una soddisfazione. Tutto il Principato riponeva la sua massima fiducia nel sovrano e non c'era sensazione migliore di essere la protagonista in un luogo che gli apparteneva interamente, dalle pareti alle vetture esposte.

«Dopo anni di amicizia, mi sembra il minimo» ironizzò. «Perché non inviti anche il tuo amico inglese?» ammiccò, poi. «Una passerella davanti ai suoi occhi è perfetta per metterlo al tappeto».

Sbuffai per la consapevolezza che, se non l'avessi fatto io, sarebbe stato mio padre a renderlo partecipe. La relazione lavorativa che voleva instaurare con Isaac era basata su chiacchiere e carinerie, perché lui, il solo e unico Jules Aubert, sapeva incantare con i suoi modi cortesi.

«Che io lo voglia o no, sarà lì» confessai, sconfitta.

Tornai a illuminarmi, tuttavia, quando mi ricordai della scena a cui avevo assistito la sera precedente a Port Hercule. Una rissa improvvisa con il padre davanti a un intero ristorante non era dimenticabile, specie se il colpevole era lui, il mio rivale principale.

Con un ghigno nato dalla mia astuzia e la mia indole da serpe velenosa, quindi, decisi di rivelarlo a Erika. «Ha iniziato a macchiare la sua reputazione, sai?» le domandai retorica. «Ieri sera io e Valentin abbiamo cenato sullo yacht e lui, che era con suo padre e suo fratello al Caffè Milano, si è divertito a fare a pugni davanti a tutto il dehors. Se lo raccontassi a mio padre, sarebbe una buona ragione per far crollare la credibilità dei Woodward» ipotizzai.

«Conserva questa informazione e usala a tuo vantaggio» mi consigliò. «Man mano che farete conoscenza, affonderai il coltello nella piaga e lui demorderà, tornerà a casa questo supplizio giungerà al termine» spiegò.

Passo dopo passo, io ed Erika raggiungemmo la piccola area esterna del campus, che consisteva in una semplice terrazza arredata con tavolini e circondata da alberelli ornamentali. Il sole era tornato a splendere dopo le ultime giornate uggiose, e decidemmo di godercelo accomodandoci.

«Anche se parte di me vorrebbe farlo, non mi va di giocare di cattiveria» ammisi, facendo spallucce per l'incertezza. «Preferirei che l'azienda ne uscisse indenne perché sono capace di trattare, non perché ho compiuto un'azione infame» continuai a confessare, giocherellando con il diamante dell'anello di Valentin.

«Non è cattiveria, Desi, è furbizia» commentò. «E hai tutti i modi di sfruttarla, se consideriamo che a Cannes sarai da sola con lui» mi ricordò, ma abbassai il capo. Isaac era ancora ignaro del Festival, e io faticavo a trovare l'occasione giusta di informarlo. «Gliel'hai chiesto, vero?» indagò quindi Erika, preoccupata dal mio cipiglio fattosi serio all'improvviso.

«Non ancora» mormorai, ottenendo uno sguardo ammonitore. «Giuro che lo farò presto, Rika. Non guardarmi così».

Alzò le mani per dimostrare la sua innocenza. «Non sono affari miei, puoi farlo quando vuoi» mi rassicurò. «Ma dovresti darti una mossa e dirlo anche a Val, sai? Non credo che voglia scoprirlo da solo» ipotizzò.

L'idea di comunicare a Valentin che avrei trascorso una notte con un altro uomo in un'altra città generò un brivido che serpeggiò lungo la mia spina dorsale e la rizzò; sulla sedia scomoda, assunsi una posizione eretta, quasi come se avessi già sentito la paura di rivelarglielo.

Le sue reazioni erano imprevedibili e forse, in parte, la colpa era anche della mia ostinazione.

Erika, cogliendo il mio accenno di tracollo, mi afferrò una mano e ne carezzò il dorso. I suoi occhi attenti calamitarono i miei.

«Valentin ti ama» esalò con dolcezza, abbassando il tono per la presenza di alcuni studenti. «Sa quanto ci tieni a quell'evento e non sarà un problema se ci andrai con un altro. Si fida di te» mi assicurò.

Il suo tono pacato riuscì a farmi dubitare dei miei stessi timori. Era probabile che Valentin ci tenesse a me e che io fossi la sola a sbagliare nella nostra relazione; che, come diceva lui, avrei dovuto smettere di ergermi su un piedistallo e lasciarmi oscurare dalla sua ombra.

La mia posizione, però, mi invogliava a fare il contrario. Volevo brillare senza che la mia luce si spegnesse, senza che fosse lui a adombrarla.

«Spero sia comprensivo» mi augurai, ritirando la mano che la mia amica stava accarezzando. «D'altronde, andare con Isaac è mera strategia. Anche Val è coinvolto nel giro degli affari, dovrebbe capirlo».

Apprezzavo le sue parole e realizzai che, probabilmente, l'amicizia che univa me ed Erika poteva essere più di un semplice rapporto. Avrei potuto trarne la forza di superare i momenti di incertezza, sfruttando la sua capacità di proferire le frasi giuste in ogni circostanza.

Mi piaceva essere indipendente, ma un briciolo di fiducia e un pizzico di ausilio non avrebbero guastato.

Dubbiosa, mi alzai dalla sedia che avevo occupato. Mi sistemai la spallina della tracolla affinché non cadesse, reggendo il cellulare nella mano libera, quindi riportai la mia concentrazione su Erika.

«Io vado, Rika» iniziai a congedarla. «Oggi Céline deve mostrarmi alcuni capi per la sfilata. Che sia meno frustrata del solito...» pregai, divertita.

«Va bene, Desi. Ci vediamo mercoledì sera al Jimmy'z?»

Sopraffatta dai pensieri, quasi mi ero dimenticata che la prossima festa fosse imminente. Ringraziai il cielo per essere affiancata da persone che non vedevano l'ora di prendere parte a serate così esclusive.

Annuii con un cenno del capo. «Tema inferno» sorrisi con fierezza. «Sorprendimi».

«Sarò più che sorprendente, prinzessin» mi apostrofò nella lingua madre. «Pretendo di vedere i vestiti in anteprima» aggiunse, strizzando l'occhiolino.

«Ti terrò aggiornata» le promisi. «A presto, Rika» la salutai, indirizzando i passi verso il corridoio che mi avrebbe portata all'uscita dell'università.

«A presto» mi congedò con un sorriso.

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Tornai a casa nel tardo pomeriggio, dopo aver svolto gli impegni della giornata a Montecarlo.

L'ascensore della Tour Odeon emise un tintinnio giungendo all'attico e le porte si spalancarono sul grande salone, da cui udii una conversazione colloquiale e un paio di risate allegre.

Fu il mio ticchettio a interromperle. Con i tacchi che colpivano le assi del parquet lucido, mi avvicinai alla fonte di giovialità: fu sorprendente trovare Céline e mio padre sul divano, una accanto all'altro, che chiacchieravano sorseggiando un calice di champagne.

«Ciao» li salutai entrambi, stranita.

Avevo sempre saputo che papà e Céline parlassero di lavoro, che la loro relazione professionale fosse caratterizzata da un certo distacco. Quel pomeriggio, tuttavia, li trovai quasi... affiatati, e il sospetto si fece strada in me.

«Ciao, ma belle. Tutto okay?» mi domandò mio padre.

Scrollai il capo per svegliarmi dalla trance improvvisa, evitando di generare il dubbio circa le mie supposizioni infondate. «Sì, sono stata a Montecarlo tutto il pomeriggio. Voi?»

«Céline è appena arrivata» mi informò. «Io ho sistemato gli ultimi dettagli della conferenza per la stagione teatrale, che si terrà a breve».

La conferenza che aveva menzionato si sarebbe tenuta qualche settimana dopo nel centro congressi del One Monte-Carlo, il nostro complesso di edifici più recente. L'ennesimo evento a cui anche Isaac avrebbe preso parte, pronto a pungolare il mio ego.

«Allora» esordì Céline, alzandosi per abbandonare la flûte sul tavolino da caffè, «sei pronta? Velvet Pink Banana ha selezionato dei capi stupendi per te. Non vedo l'ora di farteli provare» strepitò con un sorriso smagliante. «Marcel li ha già portati nella cabina armadio al primo piano. Se non hai bisogno di niente, possiamo andare» aggiunse.

Ancora confusa dalla confidenza che sembrava avere con papà, annuii e iniziai a dirigermi verso la scalinata. Allontanandomi dal salone riuscii a udire solo parte delle parole che si scambiarono prima che Céline mi seguisse, ma nessuna di esse confermò le mie ipotesi.

Arrivammo al primo piano in un paio di minuti. Quando iniziai a percorrere il corridoio in direzione della cabina armadio, però, la donna alle mie spalle mi invitò a fermarmi. Mi voltai per guardarla.

«Chérie, è un problema se ti chiedo una cortesia, prima di provare i vestiti?» mi domandò. Senza capire le sue intenzioni, scossi il capo. «Vorrei che andassimo in bagno e ti pesassi. Sono molto curiosa di vedere gli effetti della dieta» dichiarò. «Sai, per me sei una cavia: avendo un così bell'aspetto da curare, se i miei esperimenti funzionano su di te li ripropongo anche agli altri» sorrise, fiera.

La sua schiettezza mi fece venire il voltastomaco, soprattutto se relazionata ai commenti spiacevoli che si era lasciata scappare il giorno del servizio fotografico al casinò.

«Prima porta a destra» mi arresi, tuttavia, indicando il primo uscio del corridoio. «I primi risultati ti sorprenderanno, vedrai» le assicurai, poi, fingendo un sorriso che la convincesse.

Entrammo insieme nel bagno, nel quale io mi avventurai per trovare la bilancia. Marcel la sistemava sempre all'interno della cassettiera, sotto il mobile marmoreo del lavandino, esattamente dove la trovai.

La posizionai sul pavimento prima di lanciare un'occhiata a Céline, quasi le stessi chiedendo come dovessi procedere.

«Spogliati» ordinò, il tono privo di prepotenza.

Seguii la sua indicazione e mi sfilai i tacchi. Iniziai a privarmi del blazer nero che avevo indossato tutto il pomeriggio, dopodiché seguirono i pantaloni del medesimo colore, che abbandonai sulle striature della pavimentazione marmorea come se non ne conoscessi l'effettivo valore. Insieme a essi, anche la borsetta.

Per pochi secondi, il tempo parve cristallizzarsi e le mie pupille si incollarono al mio riflesso nello specchio imponente.

Speravo che Céline non desse voce ad altre opinioni negative e indesiderate, che il mio corpo fosse come ero abituata a vederlo io: privo di difetti, conforme al ruolo che dovevo ricoprire.

Mi ero sempre impegnata affinché fosse così.

Schiarendomi la voce per distruggere il groppo alla gola che mi impediva di parlare, salii sulla bilancia. Le cifre digitali cominciarono a salire mentre, nervosamente, mi torturavo un polso circondandolo con le dita; mi sforzai per far sì che la punta dell'indice sfiorasse il pollice.

«Cinquantatré» mormorai. Fu una delle poche volte in cui l'incertezza superò la sicurezza in me stessa, ma tentai di mascherarla agendo con neutralità.

«Mh». Céline si dimostrò pensierosa, arricciando le labbra in un broncio. «Credi di riuscire a perderne una decina? Non in vista della sfilata, ma... nelle prossime settimane, perlomeno».

Sgranai gli occhi per una frazione di secondo, quanto bastò per riacquisire la lucidità e la calma. L'impresa che mi chiedeva di compiere era impensabile, ma l'accondiscendenza preveniva la nascita di altri problemi.

«S-Sì» annuii, ma un balbettio sfuggì al mio controllo. «Dovrei farcela».

La verità era che non lo sapevo, e l'incertezza era la peggior sensazione che potessi provare. Volevo soddisfare le aspettative di Céline perché ci teneva a sfruttare la mia immagine al meglio, consapevole che ciò avrebbe garantito un'ottima pubblicità all'azienda.

«Continua con la dieta e gli allenamenti» mi consigliò, «vedrai che sarai in perfetta forma, soprattutto se consideriamo la tua partecipazione al Festival di Cannes». Captando il mio sguardo confuso, si affrettò a informarmi: «Me l'ha detto tuo padre poco fa».

Ignorando la sua confessione, mi accinsi a scendere dalla bilancia e a recuperare i vestiti dal pavimento. Non persi tempo per indossarli e, senza proferire un ulteriore lemma, uscii dal bagno e mi diressi alla cabina armadio. Céline mi seguì in silenzio e chiuse la porta alle nostre spalle.

«Allora» ripresi la parola, adagiando il completo e la borsa sulla sedia posta nell'angolo della stanza. Mi guardai intorno, la luce del lampadario che pioveva sull'isola centrale dedicata ai gioielli su cui lasciai il cellulare. «Sono curiosa di vedere ciò che indosserò alla sfilata, ne va della mia reputazione» scherzai con un sorriso, attendendo che la donna mi mostrasse i singoli capi.

Céline marciò verso due delle ante serrate e le spalancò nell'immediato, rivelando una serie di appendiabiti.

Appesi a questi ultimi, regnavano sovrani due completi e una sorta di vestito color panna dal tessuto semitrasparente. La donna fu svelta nel voltarsi per prelevare il primo tailleur, composto da una giacca e un paio di pantaloni a palazzo grigi, abbinati a un top a fascia del medesimo colore.

Dopo un'altra manciata di passi nella mia direzione, mi porse i capi stirati alla perfezione, invitandomi a indossarli.

«E le scarpe?» le chiesi, ignara.

«Avrai dei semplici tacchi argento che saranno uguali per tutte le modelle, ma devono ancora arrivare» spiegò. «Avanti, inizia a provare il tailleur».

Non attesi oltre e mi infilai il top a fascia, che riuscì a contenere il mio seno prosperoso a fatica. Forse Céline aveva ragione; forse, la vera perfezione era quella che intendeva lei.

Seguirono i pantaloni e la giacca, che non mi causarono alcun problema. Il riflesso che vedevo nelle ante specchiate era quello di un corpo dalle forme ben delineate, le curve messe in evidenza dalla tonalità chiara del completo. Solo la lunghezza del pantalone si beffava della mia bassa statura, ma un paio di décolleté sarebbe stata la soluzione.

Céline mi camminò intorno, flemmatica, e mi analizzò ponendo minuziosa attenzione ai dettagli. La vidi intenta ad annuire: quella fu la massima dimostrazione di approvazione nei miei confronti.

«Mi piace» commentò, senza sbilanciarsi. Quindi si avvicinò ulteriormente a me, le mani che salirono fino ai miei capelli per unirli in una finta coda bassa. «Il viso dovrà essere scoperto e il trucco leggero, ma suppongo che di questo se ne occuperà Juliette» dedusse.

«Mi fido solo di lei» ammisi. «Non sarà la prima volta che lavorerà per la Fashion Week, non preoccuparti» la rassicurai, scrollando un granello di polvere dal bavero della giacca. Studiando il tailleur, la mia mente elaborò un quesito, frutto dell'interesse: «Credi che possa tenerlo?» Continuai a osservarlo da ogni angolazione, soddisfatta dal modo in cui vestiva la mia figura. «È davvero-»

Non finii di pronunciare la frase e mi voltai immediatamente, quando la porta della cabina armadio si spalancò all'improvviso. Fu mio padre a comparire sull'uscio, la postura rigida e l'espressione seria.

«Pretendo di sapere cos'hai combinato, Desirée» dichiarò, perentorio.

Sgranai gli occhi, la sorpresa dovuta alla sua affermazione dura. Il dubbio era evidente sul mio viso perché la mia coscienza era pulita, ma dal modo in cui serrò un pugno lungo il suo fianco capii che non si trattava di uno scherzo.

Era successo qualcosa, e quella consapevolezza mi allarmò.

«Cosa?» mormorai confusa, avvicinandomi a lui a piedi scalzi. Tra le dita, stringeva il suo cellulare. «Cos'è successo?» indagai.

«Dimmelo tu» mi ordinò.

Fui travolta dalle iridi nocciola con cui mi scrutò, che non si separarono da me per un singolo secondo, e deglutii un groppo generato dall'ansia.

Céline si guardò intorno, attonita quanto me, ma camminò verso la porta della stanza per defilarsi. «Vi lascio soli» farfugliò, dedicando un sorriso rassicurante a mio padre. La porta si richiuse alle sue spalle e il silenzio teso tornò a capitanare.

«Mi spieghi di cosa si tratta?» gli domandai, ormai impaziente. Sentivo il cuore martellare nel petto, animato dalla paura di aver infranto involontariamente la mia immagine da figlia modello.

«Guarda con i tuoi occhi» mi invitò, freddo, porgendomi il cellulare.

Solo concentrandomi sul display capii la gravità della situazione, il dito che iniziò a scorrere con frenesia nella speranza che si trattasse di un incubo.

Centinaia, se non migliaia di commenti tempestavano l'account Instagram dell'azienda, ma a farmi risalire la bile fu il loro carattere diffamatorio. Un'ondata di utenti si era riversata contro di me, esprimendosi con gli aggettivi peggiori e asserendo che avrei causato il fallimento della nostra realtà imprenditoriale.

Più scorrevo, più il disprezzo aumentava. Le etichette erano molteplici, ma erano due a prevalere: falsa e traditrice.

Non ne comprendevo il motivo. Sì, avevo compiuto azioni sbagliate e continuavo a farlo, ma ero brava a mentire. La mia reputazione era scintillante, se vista dall'esterno. Quegli utenti, però, non la pensavano così.

«Sul tuo profilo la situazione non è tanto diversa» aggiunse papà, che incrociò le braccia al petto per sottolineare la sua autorevolezza.

Continuai a leggere le manifestazioni di disgusto, ignorando la sua affermazione. Tra le accuse, anche quella di essere una pessima fidanzata, seppur decontestualizzata.

Sentivo un peso allo stomaco e un luccichio sulle sclere nel realizzare che quell'odio era riversato su di me. Le ciglia sfarfallavano nel tentativo di evitare di piangere per il nervosismo, e al contempo le mani tremavano reggendo il cellulare.

Avevo messo in cattiva luce non solo me stessa, ma l'azienda per cui mio padre lavorava giorno e notte, trattandola come un diamante prezioso di cui prendersi cura. Aveva sempre dato il massimo per assicurarmi un futuro radioso e garantirmi un lavoro per non lasciarmi sul lastrico, ma un errore di cui non mi rendevo conto stava sotterrando ogni possibilità da lui creata per me.

«È inutile che continui a leggere, Desirée» proseguì con la stessa durezza siderale, riafferrando il cellulare con un gesto brusco. «I commenti aumentano sempre di più. L'unico modo di evitarli sarebbe disattivarli».

«Ma io non ho fatto niente!» strillai in preda all'esagitazione. «Non ho fatto nulla, papà, te lo giuro» mi ritrovai a supplicarlo, le lacrime che mi offuscarono del tutto la vista.

La mia paura più grande era quella di deluderlo, rovinando la sua opinione di me e del mondo che aveva costruito nonostante le difficoltà.

Era un brutto sogno che si stava tramutando in realtà.

«Non devi giurarlo, devi solo sistemare tutto» sentenziò. «Sei adulta, ormai. Prenditi le tue responsabilità».

Nella voce fredda si nascondeva una vena di delusione che serpeggiò in me, trafiggendomi il cuore. A evidenziarla furono i passi che lo allontanarono da me, conducendolo nel corridoio oltre la stanza.

«Papà, aspetta...» lo supplicai, afferrando il mio cellulare e seguendolo a piedi nudi, svelta. «Ascoltami un attimo».

«Che cos'hai in testa?!» sbraitò, impegnato a scendere le scale in direzione del salotto. «Credi che tutto questo sia un gioco? Che ti sia tutto dovuto?!» proseguì adirato, voltandosi nella mia direzione quando scesi l'ultimo gradino. «Questa è una cosa seria, Desirée» puntualizzò, additando i suoi dintorni per indicare la realtà di cui era a capo. «Non puoi infangarla con i tuoi capricci».

«Perché non mi dici cosa intendi, invece di urlare?!» rincarai la dose, camminando verso di lui.

«Ti stanno dando della traditrice e della falsa, Cristo! Cos'hai combinato?! Hai tradito Valentin sapendo di doverlo sposare? Hai messo in circolazione delle voci su di lui?! Dio, Desirée, spero solo che tu-»

Si interruppe per sfogare un violento attacco di tosse, coprendosi la bocca con la mano. Quella libera finì sul suo petto con l'intenzione di calmarsi, ma il rumore riecheggiò in tutta la stanza.

«Papà, che cos'hai?» mi allarmai, accorrendo a lui. Lo spavento aumentò le lacrime e una mi solcò la guancia, solitaria. «Papà, rispondimi...»

Riuscì a riconquistare la tranquillità dopo alcuni secondi infernali, ma si prese altro tempo per schiarirsi la voce. Nel frattempo, scosse il capo per rassicurarmi.

«Non è niente, Desi» farfugliò. Mi scoccò un'occhiata che, seppur caduca, gli concesse di accorgersi della lacrima. La spazzò via con il pollice. «Tesoro, sto bene...» mormorò, intimorito dalla mia stessa preoccupazione. «Scusa se ti ho urlato contro, era... era il panico, okay? Va tutto bene» continuò a rincuorarmi, stringendomi a sé con un braccio. Mi protesse contro la sua spalla. «Qualsiasi cosa sia successa, so che non metteresti mai in pericolo l'azienda. La risolveremo, promesso» sussurrò con il mento appoggiato sulla mia testa, la voce ovattata. Con dolcezza, mi lasciò un bacio tra i capelli.

Avevo iniziato a singhiozzare senza essere in grado di controllarmi. La sua ansia aveva alimentato la mia, la mia l'aveva fatto con la sua; insieme ci eravamo ritrovati senza la nostra corazza di sicurezza, trincerati in un abbraccio nel silenzio di un salone troppo grande per il modo in cui la paura ci aveva rimpiccioliti.

«Scusami...» mormorai, ancora confusa dalla discussione improvvisa e in colpa per una questione che apparentemente non mi riguardava.

«Non fa niente, ma belle. Troveremo una soluzione» mi promise ancora. Il suo abbraccio si rafforzò, nella dimostrazione del conforto che solo lui sapeva infondermi. «Se stesse succedendo qualcosa di brutto me lo diresti, vero?» volle assicurarsi.

Annuii, ora rifugiata contro il suo petto, rifilandogli una menzogna più grande di me.

Dovevo nascondere i timori e le preoccupazioni come polvere sotto il tappeto. Mi sarei dovuta macchiare in segreto, evitando di sporcare anche lui.

Le mie tribolazioni non l'avrebbero toccato, e il modo migliore per dare voce a quella convinzione fu mentire, celare.

Si staccò da me quando ottenne la finta certezza come risposta al suo dubbio. Le sue mani si spostarono ai lati del mio viso, sulle gote umide, e le sue labbra mi accarezzarono la fronte con un bacio.

«Dimentichiamoci di tutto questo, va bene?» propose, retorico. «Sono sicuro che sia partito da una voce infondata e farò il possibile per metterla a tacere. Tra pochi giorni sembrerà che niente sia successo» giurò. In attesa di una mia risposta che non arrivò, proseguì per riempire il silenzio: «Va' a prepararti per la cena. Stiamo un po' insieme, stasera. Come quando eri piccola» abbozzò un sorriso.

Quell'accenno influenzò il mio e mi tranquillizzò il cuore, che si rilassò grazie ai respiri tornati regolari.

Sfiorando i polsi di mio padre, separai le sue mani dal mio viso e mi allontanai da lui. Il nodo alla gola era ancora troppo invadente per pronunciare una sola parola, ma obbedii al suo ordine e mi incamminai verso il bagno del primo piano per sistemarmi.

Gradino dopo gradino, fui capace di riconquistare un barlume di calma. La quiete totale era ancora un concetto remoto, ma sapevo che papà si sarebbe fatto in quattro per risolvere quel problema. Se Jules Aubert voleva una cosa, gli bastava schioccare le dita per ottenerla.

Provai a distrarmi sbloccando il display del cellulare che, tuttavia, mi mostrò l'elenco infinito di commenti. Non era possibile quantificarli e sospirai, nel vederli, ma non mi lasciai stringere dalla morsa del panico.

Le tempeste sono temporanee, ricordai a me stessa. Anche quelle di disgusto.

Ad attirare la mia attenzione, però, fu una menzione in una storia da un account sconosciuto. Privo di post, contava già qualche centinaio di follower.

Selezionai il messaggio, ora immobile nel bel mezzo della scalinata dell'attico. Su uno sfondo nero campeggiava solo una scritta bianca, che aveva attirato l'attenzione e generato l'odio generale.

"@desirée_aubert, quanto ti piace l'idea di condividere champagne e film d'autore con I.W.?"

L'utente velh.8 aveva iniziato a cimentarsi nell'opera della mia distruzione.

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Nota dell'autrice
Ciao a tutti e buon sabato, come state? <3
Sono miracolosamente riuscita ad aggiornare anche questo sabato :') Questo capitolo è stato un record, per me, abbozzato in 48 ore dal giorno dell'ultimo aggiornamento 💀 Spero che vi sia piaciuto lo stesso!
Andiamo con calma, perché qui sono contenute alcune informazioni che dovrete tenere a mente, in parallelo a quelle del capitolo precedente...
La scena in cui Desirée racconta a Erika di Isaac è cruciale: ci servirà per capire le intenzioni future della ragazza, e a questo proposito... Il titolo ha doppia valenza, oggi 👀
Ma il vero e proprio scandalo avviene nella seconda parte del capitolo, dove troviamo una Desirée impegnata in vista della Fashion Week. Con Céline, per lei, è sempre una battaglia: Desi è ancora presa di mira per il suo fisico, situazione che si protrarrà nel corso della storia. E poi abbiamo, per la prima volta, un Jules piuttosto adirato. Desirée è ora vittima di una pioggia di commenti sprezzanti, che scorrono come fiumi sotto i suoi post. Per una persona così legata ai social si tratta di una vera e propria condanna... Ne vedremo delle belle!
In questo capitolo vi ho disseminato tanti piccoli indizi e mi piacerebbe sapere la vostra, quindi... Via alle domande! Secondo voi, chi è l'utente velh.8? Chi sta torturando Desi? E, soprattutto, secondo voi l'attacco di tosse di Jules è casuale? E cosa c'è dietro il suo rapporto con Céline?
Sembra un insieme di segreti degni di una soap opera argentina, ma vi prometto che scioglieremo tutti i nodi. Tempo al tempo...
Sperando che il capitolo vi sia piaciuto e attendendo il vostro parere, vi dico che ci vediamo sabato prossimo (salvo imprevisti) per la nostra festa al Jimmy'z. Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate...

IG & TikTok: zaystories_

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Note informative

Prinzessin = princessa

Collezione di automibili di S.A.S. il Principe di Monaco

IUM (International University of Monaco)

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