11. Patriarcat
IT: patriarcato
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26 aprile 2023
Montecarlo, Principato di Monaco
Sotto il cielo improvvisamente plumbeo dovuto all'imprevedibilità del clima primaverile, strinsi le mani attorno al volante della Lamborghini. Dannata ora di punta, quasi imprecai. Avevo insistito affinché potessi recarmi al pranzo al Louis XV in totale autonomia, ma mi pentii della mia scelta non appena mi immisi nel traffico del Principato.
Ero in ritardo per il primo incontro con il vertice della piramide Woodward, nonché il mio avversario principale, Damian. Se i figli si limitavano a farmi percepire il peso della pressione lavorativa, lui era in grado di instillare, goccia dopo goccia, un timore che mi chiuse lo stomaco. L'unica fonte di rassicurazione fu realizzare che papà sarebbe stato lì con me.
Sfruttando il tempo concessomi dall'ingorgo che regnava sulla strada da Saint Roman a Montecarlo, studiai l'impeccabilità del mio riflesso nello specchietto retrovisore. Intravedevo solo il mio viso lasciato scoperto dai capelli, raccolti in una crocchia bassa e ordinata, e il bavero della giacca color crema. Avevo indossato un tailleur per giocare con l'immagine, sperando di suscitare un effetto di autorevolezza nei miei rivali.
I minuti trascorrevano sul computer di bordo e il mio nervosismo incrementava. Conoscendo gli uomini del mio ambiente, sapevo che non avrebbero atteso un minuto di troppo ad accomodarsi, che io fossi presente o meno. Soprattutto se, come quel giorno, la loro mentalità fosse stata influenzata da Valentin.
Sospirai, ricordandomi della sua presenza poco opportuna e non richiesta. Tuttavia, percepii il sollievo non appena scorsi gli edifici eleganti che accerchiavano la piazza del casinò. Svoltai quindi a sinistra, in direzione dell'Hotel de Paris, davanti a cui spensi il motore. Un valet in uniforme scura ed elegante si avvicinò all'auto, aprì la portiera con un gesto cortese e io scesi dal veicolo, consegnandogli le chiavi così che potesse parcheggiarlo. Lo ringraziai limitandomi a un cenno del capo, e in pochi minuti sfrecciò via a bordo della Lamborghini più conosciuta della zona.
L'assenza di volti conosciuti all'esterno della struttura confermò i miei sospetti: nessuno dei partecipanti alla riunione aveva avuto la pazienza di aspettarmi, ritenendomi una presenza di poco conto. Sapevo, però, che il mio ingresso solitario sarebbe stato ancora più notevole. Salii i gradini con quella convinzione, raggiungendo così la lobby dell'hotel.
Nel silenzio, il ticchettio delle mie décolleté basse sul marmo lucido riecheggiò e attirò l'attenzione dei presenti. La maggior parte dei dipendenti mi conosceva, dimostrandolo con un saluto e un sorriso accennato.
Mi avvicinai all'ingresso del ristorante stellato a passo lento, delusa dalla mancata accoglienza degli invitati, benché sicura che la mia posizione privilegiata li mettesse in soggezione. La soluzione fu procedere a testa alta, ma l'ennesimo intralcio ostacolò quell'intento.
«Se la galanteria è d'altri tempi, credo di essere nato nell'epoca sbagliata» asserì una voce maschile e profonda, a cui associai immediatamente il proprietario. Era alle mie spalle, impegnato a diminuire la distanza che ci separava.
Girai sui tacchi, che quel giorno non mi concedevano la solita altezza che mi permetteva di sfidarlo con un semplice sguardo. Tuttavia, incrociai le braccia al petto per schermarmi dalle sue iridi azzurre e i suoi tatuaggi pervasivi che spuntavano dalla giacca del completo nero. Mi munii di un ghigno eloquente, da cui trapelavano le intenzioni bellicose sul mio territorio.
«Isaac» proferii a denti stretti, fingendo uno stupore ormai scemato. «Il tuo è un tentativo di dimostrarti migliore di chi siede già al nostro tavolo?» lo interrogai.
Scrollò le spalle, come se fosse ignaro della situazione a cui mi riferivo. «Migliore dell'uomo medio nel mondo degli affari, questo è sicuro» affermò con sicurezza, insaccando le mani nelle tasche. Compì un altro paio di passi per avvicinarsi a me. «Senza dubbio, sono superiore all'individuo che etichetti come il tuo fidanzato» mi provocò.
L'istinto di sopravvivenza rimontò in me, per preservare la mia immagine e quella della coppia. «E futuro marito» aggiunsi, ostentando un sorriso fiero. «Manca solo l'ufficialità, per tua informazione».
«Deduco quindi che sarà un vero dispiacere, per lui, quando ci presenteremo al tavolo insieme» ribatté.
Sgranai gli occhi, in una dimostrazione poco contenuta dell'attonimento dovuto alla sua proposta. Feci sfarfallare le ciglia, incredula, senza distogliere l'attenzione da lui. Con il capo leggermente chino, le sue iridi celesti mi trasformarono nel loro potente magnete.
«Io non entrerò nel ristorante con te, se questo è il motivo per cui hai aspettato qui» lo rimbeccai. «Non per andare al tavolo dove siede anche il mio ragazzo, Woodward».
«Va bene» dichiarò con una bizzarra solennità. Le sue suole sfiorarono il pavimento liscio e immacolato, quando lui si accinse a superarmi. Passo dopo passo, con estrema flemma, raggiunse il portone d'ingresso del Louis XV e vi si parò dinanzi; lo seguii con lo sguardo. «Vuoi rimanere lì e continuare a fare una brutta impressione con i tuoi ospiti, o preferisci entrare adesso con me e degnarli della tua presenza?» Alzò un gomito, in un tacito invito ad affiancarlo, ma mostrai ulteriore ritrosia nei suoi confronti. «Prometto che non causerò alcuna crepa alla tua reputazione di cristallo» giurò.
Forse, la mia renitenza sarebbe apparsa come un atteggiamento infantile, se non nascosta. Quello fu il primo elemento in grado di farmi riflettere sulla proposta di Isaac, giustapposto a un favore ancora segreto di cui avrei dovuto metterlo al corrente di lì a poco. Lui rappresentava l'unico modo di presentarmi al Festival di Cannes, motivo per cui sarei risultata incoerente se mi fossi tirata indietro.
A malincuore, con l'ego segnato da una ferita, accettai. Come conferma, solo i passi che mossi nella sua direzione e la mano che saldai attorno al suo gomito. Uno sbuffo mi tradì, evidenziando la mia scarsa convinzione.
«Saggia decisione, Daisy» mormorò con voce roca, le labbra rosee pericolosamente vicine al mio orecchio. «Un sentore di pace fa sempre buona pubblicità a due famiglie rivali» affermò, iniziando ad addentrarsi nel lusso del locale, tra ornamenti dorati e pareti bianche.
La sala principale del ristorante pluristellato rispecchiava l'appariscenza del quartiere di Montecarlo, con il suo soffitto affrescato e i bassorilievi che rilucevano sotto il lampadario circolare dai piccoli cristalli. Le finestre perimetrali accoglievano il pallore della giornata uggiosa, affacciando sulla prestigiosa piazza del casinò gremita di turisti. Proprio attorno a un tavolo lungo e imbandito, su cui brillava l'argenteria lucida, gli uomini di quella nuova cerchia erano già accomodati.
Fu come cadere nella fossa dei leoni, vagliata dai loro sguardi, ma ignoravano che la vera belva stava per raggiungerli.
«Salutate mio fratello e il suo insopportabile buonismo» commentò Michael, il tono tinto dal suo consueto sarcasmo. Il suo ghigno intriso d'ironia ci diede il benvenuto. «E la sua dama» ammiccò, la voce ora più profonda.
Il fratello del mio rivale sedeva accanto a un uomo dalla somiglianza spiazzante, se non per la presenza dei segni dell'età. Damian Woodward, il vero capo desideroso di sottrarmi ogni bene che mi spettava e che portava il mio nome.
Lo ignorai, ma divenni la vittima di un'altra occhiata furente: quella di Valentin, che mi seguì mentre mi separavo da Isaac per accomodarmi di fronte a lui. Mio padre era al mio fianco, nella dominante posizione del capotavola, direttamente davanti a Damian.
L'unica sedia vuota per Isaac, tuttavia, rimase quella accanto a me. Strinsi i denti e cercai di non concentrarmi sulla sua figura tanto imponente quanto fastidiosa, che si accomodò di fronte al fratello.
Sospirai e deglutii, poi sollevai il capo. Incrociai prima lo sguardo del mio fidanzato, trincerato in un silenzio da cui traspariva la seccatura dovuta al mio arrivo con Isaac, e di mio padre da cui, in compenso, trapelò un intento rassicuratore corredato dell'accenno di un sorriso.
«Damian» esordì lui, spostando l'attenzione sull'uomo all'altro capo del tavolo. «Le presento Desirée, mia figlia e futura CEO della Société Aubert» dichiarò. La fierezza, quando nominò la posizione tanto agognata, tornò a defluire in me e mi restituì il coraggio. «Desirée, Damian Woodward» concluse la presentazione, indicandolo con un gesto pressoché impercettibile della mano.
Sul viso scavato dalla mezza età riportava le fattezze ereditate da entrambi i figli: l'angolo della mandibola ben definito, labbra rosee disegnate ad arte, la barba curata benché già ingrigita. L'unico elemento a distinguerlo dai gemelli era la coppia di iridi scure, imperscrutabili.
«Piacere mio» dichiarai con decisione, le pupille incollate alle sue. «E benvenuto nel Principato di Monaco».
Rimarcarlo era sempre un bene, considerato il dominio che il mio cognome esercitava in quel territorio circoscritto.
L'uomo ricambiò il convenevole attraverso un sorriso tirato e un tacito ringraziamento, nonostante un cipiglio dubbioso che non nascose, ma mio padre non lasciò che il silenzio calasse sulla tavolata. Si alzò in piedi, compiendo movenze teatrali con cui introdusse il pranzo imminente.
«Ora che siamo tutti qui riuniti, mi piacerebbe darvi il benvenuto nel più importante dei nostri venticinque ristoranti» proclamò. «Il Louis XV fa parte della prestigiosa struttura dell'Hotel de Paris, uno dei migliori hotel del mondo, e vanta di tre stelle della Guida Michelin» proseguì, le braccia allargate per indicare la sala circostante. Con la sua mania di protagonismo aveva attirato gli sguardi degli altri presenti, che lo ascoltavano con estremo interesse e rapimento. «Ci tenevo, inoltre, a farvi assaporare l'impeccabile cucina mediterranea degli chef Alain Ducasse e Emmanuel Pilon, che hanno conferito a questo ristorante l'eccellenza che lo caratterizza». La sua loquacità era coinvolgente, tanto da portare Damian ad annuire alla sua spiegazione, invitandolo a continuare con estrema curiosità. «Il nostro infallibile staff avrà l'onore di deliziarvi con il menù Déjeuner Riviera, che vi offrirà una degustazione dei migliori piatti e vini del territorio».
Terminò di decantare il prestigio degli Aubert e dei nostri servizi con un sorriso che esprimeva cordialità, quindi tornò a sedersi. Dritto di fronte a lui, dallo sguardo di Damian Woodward trapelavano interesse e curiosità, i medesimi sentimenti che nemmeno Isaac nascondeva. Michael, d'altro canto, dimostrò distacco e indifferenza.
Gli occhi di Valentin erano incollati a me, nella manifestazione di un'attenzione perforante. Analizzavano ogni mio movimento o atteggiamento, aspettando con trepidazione un motivo per umiliarmi o schernirmi, velando i suoi intenti con il sarcasmo. Solo per un breve istante, le sue pupille piombarono su mio padre.
«Per lei, ricordati del menù vegetariano» gli rammentò, fingendo galanteria. «A quanto ne so, sta seguendo una dieta piuttosto ferrea» asserì.
La sua affermazione lasciò che un gelido silenzio aleggiasse nell'aria, coperto solo dal tintinnio di calici e argenteria che riecheggiava nel salone principale del ristorante. I commis si destreggiavano lesti tra i tavoli, ma io mi concentrai solo sul ragazzo che sedeva dinanzi a me.
«Sono perfettamente consapevole di ciò che devo mangiare» ribattei in un sussurro, evitando di attirare l'interesse dei britannici che ci affiancavano. «E posso ricordarlo a mio padre senza il tuo aiuto, non credi?»
«Desi» mi ammonì papà, la voce stentorea ma moderata. «Abbiamo degli ospiti. Valentin cercava solo di essere cortese, non prendertela con lui».
Arricciai le labbra in segno di disappunto, ma lasciai che il nervosismo scemasse con una scrollata di spalle. Mi ricomposi, assumendo una postura retta, pronta a manifestare l'autorevolezza che di lì a poco mi sarebbe servita per presentare l'azienda al trio inglese.
Il personale di sala introdusse il menù, iniziando con un antipasto che deliziò il palato dei presenti. La spiegazione della composizione del piatto aveva rapito i Woodward, la cui concentrazione diventò il mio appiglio per adempiere al mio compito di futuro capo. Uno sguardo eloquente di mio padre bastò a darmi il via libera.
Mi pulii le mani con un tovagliolo che passai anche sulla bocca, prima di schiarirmi la voce.
«Mi piacerebbe cogliere l'occasione per approfondire alcuni aspetti finanziari della Société Aubert, vista la presenza di voi potenziali acquirenti di alcune proprietà» esordii, seria e vogliosa di dimostrare le mie salde conoscenze nel campo. Forse apparivo come una ragazzina viziata agli occhi dei più superficiali, ma nascondevo un archivio di dati e certezze inconfutabili. «Fondamentale è sicuramente l'aumento del nostro fatturato, che nell'ultimo trimestre è incrementato del sette percento, sfiorando i centodiciassette milioni di euro» spiegai.
«Virgola trentadue» precisò Valentin con saccenteria. Si beccò un'occhiata torva che sperai lo incenerisse, in una tacita supplica di metterlo a tacere. «Sii precisa, amore» mi consigliò.
Esalai un sospiro che tentai di nascondere, ancora mirata dagli inglesi. Riacquisita la stabilità, mi accinsi a proseguire: «I nostri ricavi sono aumentati esponenzialmente grazie al casinò e ai servizi di hôtellerie, per cui ringraziamo i nostri infallibili dipendenti. Ad oggi, l'azienda ne conta quasi cinquemila» esplicai, sottolineando l'importanza delle strutture per cui i Woodward nutrivano un maggior interesse. Damian mi attenzionava, le pupille che saettavano dalla mia figura al suo piatto. «Sul fatturato, il nostro reddito netto ammonta a centosei milioni di euro, pronti a essere investiti in tutte le migliorie possibili per i nostri servizi» continuai. «Si tratta di uno degli aspetti più importanti, se consideriamo l'aumento del costo del venduto pari al venti percento da dicembre a marzo».
Un commis si infiltrò per presentare il primo piatto e servirlo, mantenendo in auge il gusto e l'olfatto dei commensali. Una cameriera mi servì quindi una pietanza vegetariana, che lasciai intatta dinanzi a me con la scusa di farla raffreddare. Mi limitai a piluccare con la forchetta, senza assaggiarne un solo boccone.
L'ennesima interruzione, tuttavia, giunse da Damian. L'uomo abbandonò le posate ai lati del piatto e si dedicò a me per soddisfare la sua repentina curiosità.
«Avete intenzione di investire su altre strutture e di ampliare la vostra offerta anche oltre i confini del Principato?» domandò, accarezzandosi la barba curata con i polpastrelli. «Il luogo su cui vi focalizzate è senza dubbio un paradiso fiscale privo di eguali, ma il territorio europeo può essere una fonte fiorente di guadagno, non credete?»
Il suo era un tentativo di indagare circa la presenza di ulteriori occasioni da soffiarci, ma non mi lasciai scalfire: la sua determinazione non mi intimoriva, bensì era un carburante per la fiamma della mia. A testa alta, gli rivolsi un sorriso fiero e mi preparai a replicare.
«Nei prossimi mesi stimiamo un aumento dei guadagni, ragion per cui sono in corso delle trattative per l'acquisto del Palace des Neiges a Courchevel, una meravigliosa località sciistica nel cuore della Savoia» illustrai. «Parliamo di un prestigioso hotel a cinque stelle che rientrerebbe nella nostra rosa di alberghi di lusso» commentai con estremo orgoglio.
«Un hotel di quella portata significa un aumento del personale. Non avete paura che un'azienda migliore della vostra possa gestire meglio un numero più grande di dipendenti?» si intromise Michael, abbandonando il suo sarcasmo; esso venne rimpiazzato da una rara serietà. «La questione dei salari e del benessere dei lavoratori è incisiva sulla credibilità della vostra realtà, soprattutto nel terziario, in cui si è inevitabilmente esposti al pubblico».
«I nostri dipendenti sono soddisfatti delle loro condizioni, questa è una delle certezze di cui possiamo vantarci» replicai nell'immediato, gesticolando nell'aria per sottolineare le mie affermazioni. «I nostri salari sono tra i più alti del settore, visto il costo della vita in un luogo esclusivo come il Principato di Monaco, e vengono rimodulati con cadenza trimestrale per preservare un potere d'acquisto pressoché eccellente».
La nostra conversazione era intervallata dai camerieri che descrivevano i piatti di cui era composto il menù, e dalla conseguente degustazione degli stessi. Il pranzo dunque proseguì pacificamente e senza interruzioni, finché non fu Valentin a schiarirsi la voce; dopo aver preso un sorso d'acqua dal suo bicchiere, si accinse a diventare parte della discussione.
«Desirée si è dimenticata di aggiungere che la Société Aubert sta diventando un tesoro anche per gli investitori: nel prossimo semestre si stima un aumento del valore delle azioni in borsa del trenta percento, che arricchirà ulteriormente le persone interessate e rimarcherà il prestigio dell'azienda» precisò, mosso dalla superiorità di cui si nutriva al fianco della mia figura.
Sospirai, seccata dalla sua mania di correggere le mie affermazioni. Valentin era ben conscio del fatto che il suo essere un uomo incrementava la sua credibilità, ma ignorava che brillasse di luce riflessa: la sua importanza era solo dovuta al nome che dominava nel luogo in cui viveva.
Isaac, all'improvviso, sembrò ridestarsi dal suo silenzio. Per tutta la durata dei pasti aveva taciuto, prigioniero della gabbia in cui era stato costretto a soggiornare, ma le sue pupille saettarono su di me con repentinità. Era curioso, una scintilla gli impreziosiva le sclere.
«Sono dei dati interessanti» commentò con serietà, senza scomporsi nemmeno per accennare un sorriso compiaciuto. «Ed è per questo che la Woodward Entertainments vuole battersi per appropriarsi di parte delle strutture. Gestire una fonte inesauribile di ricavi in un posto turistico come questo manterrà la nostra situazione finanziaria stabile, privandoci del rischio di perdite significative».
Fu strano sentire una dichiarazione così razionale, da parte sua; aveva accantonato l'ironia con cui soleva schernirmi da giorni per abbellirsi agli occhi del padre, implorando per la sua fierezza. In parte la stimolò, l'orgoglio deducibile dallo sguardo rifilatogli da Damian.
A risvegliare la mia avversione, tuttavia, fu l'intervento del fratello. Michael si raddrizzò sulla sedia, puntò i gomiti sul tavolo e raggrinzì la tovaglia, sputando sulle norme del galateo. Mi guardò e dipinse un ghigno sul suo volto, che si distingueva da quello di Isaac solo per le intenzioni malevole che ne trapelavano.
«È una realtà enorme, chérie. Sei sicura di riuscire a gestirla da sola?» mi canzonò, palesando l'intento di sminuire il mio sesso. «Credi che tra scarpe e borse, nella tua testa, ci sia abbastanza spazio per accogliere le mansioni di un amministratore delegato?»
Valentin rise, dilettato dall'asserzione pregna di maschilismo. Indicò Michael con un dito, prima di riprendere la parola. «Questo è il motivo per cui la affiancherò» dichiarò. «In realtà, potremmo giocare d'astuzia con il suo bel visino. Attirerebbe migliaia di persone».
Damian e mio padre si scambiarono un'occhiata ricca di sconcerto, ma quest'ultimo non aprì bocca per difendermi. La mania di preservare la sua immagine e di mantenere linda la sua reputazione superava di gran lunga l'istinto paterno che avrebbe dovuto esercitare.
Al diavolo i loro commenti sessisti. La presenza dei capi non mi precluse dal liberarmi del solito contegno. Con un sorriso che simboleggiava l'apice della mia antipatia nei confronti dei Woodward, feci stridere la sedia all'indietro e mi alzai in piedi; puntai i palmi sul bordo del tavolo per piegarmi in avanti, lo sguardo incollato al moro e al biondo diventati complici della mia umiliazione.
«Dubito che tra i vostri testicoli ci sia quello spazio, sapete?» li questionai, retorica, sorridendo dinanzi all'attenzione di entrambi, ora caduta sulle curve del mio seno. «Siete pregati di avvisarmi, qualora doveste trovarlo. Io ho finito di perdere tempo con i vostri pareri non richiesti» sentenziai, per poi allontanarmi definitivamente dal tavolo.
Lasciai che il mio ticchettio riecheggiasse nella sala, i cui presenti avevano assistito alla scena in religioso silenzio, e superai il portone del ristorante stellato a testa alta. L'eccellenza del pranzo era stata sostituita da un gusto dolceamaro depositato sulla lingua: la dolcezza dell'aver ribattuto nel modo giusto e senza timori, l'amarezza della mancata fiducia nella mia persona.
I dubbi e le paure riguardo il mio futuro posto in quell'azienda erano tanti, e nel profondo avrei apprezzato che almeno Valentin – almeno il mio ragazzo – avesse creduto in me, spronandomi a diventare la versione più efficiente di me stessa. Tuttavia, la verità era un'altra: a lui importava l'ascesa sociale, e il mio cognome era una garanzia per rendere la scalata meno ripida.
In cerca di una distrazione, approcciai il locale dritto di fronte a me. Dal lato opposto della lobby dell'Hotel de Paris, infatti, spiccava l'ingresso del Bar Américain, che mi accolse non appena lo raggiunsi.
L'atmosfera tranquilla aiutò a sciogliere i fasci di nervi da poco formati, tra luci soffuse e un lieve chiacchiericcio che sovrastava le melodie jazz. I colori caldi degli arredi contribuirono a calmarmi durante la mia passeggiata in direzione del bancone, a cui mi sedetti nella disperata ricerca di un digestivo per scongiurare il fastidio che provavo allo stomaco.
Dietro al bancone ligneo spiccava la figura di una ragazza bionda, abbellita da un gilet nero e un papillon. All'interno della società, la sua presenza era ormai famigliare: riconobbi subito i suoi occhi cenerini incorniciati dalle ciglia folte, oltre al suo sorriso smagliante.
«Ciao Geneviève» la salutai, gentile. «Come procede?» le domandai.
«Signorina Aubert, buon pomeriggio» ricambiò il saluto. «Tutto alla perfezione» replicò, ostentando la sua serenità. «Posso offrirle qualcosa?» continuò, poi, intenta a riordinare una serie di calici cristallini.
Accavallai le gambe sullo sgabello di pelle scura, dedicandole tutta la mia attenzione. «Il miglior digestivo che hai» risposi nell'immediato.
Geneviève non si fece attendere. Con movimenti sapienti maturati dall'esperienza nel settore, prelevò un bicchierino da amaro e lo posizionò dinanzi a me. Occupò la mano libera con una bottiglia scura, di cui versò il contenuto nel piccolo recipiente.
«Un bel Jefferson la farà sentire leggera come mai prima d'ora» mi assicurò. «Si tratta di uno dei più pregiati, direttamente dalle coste–»
Fu uno stridio a interromperla, generato da uno sgabello che venne presto occupato da una presenza imponente. Un completo nero da cui spuntavano tatuaggi intricati mi affiancò, e l'uomo mormorò un semplice: «Uno anche per me, grazie».
La sua comparsa mi spiazzò, considerata la velocità con cui indovinò il posto in cui mi ero rifugiata. Comunicai l'attonimento con un silenzio gelido, che calò sul bancone mentre Geneviève si accingeva a riempire un secondo bicchierino.
Nel tentativo di rompere quella lastra di ghiaccio, mi schiarii la voce e affrontai il suo arrivo inaspettato.
«Provi un profondo divertimento nel disturbarmi ogni volta che mi siedo in un bar» dedussi. «Sbaglio, Woodward?»
«Non ti sbagli» convenne. «Infastidirti è uno dei miei passatempi preferiti, soprattutto se posso chiamare in causa qualche punto debole che rallenti la tua corsa al successo, Daisy» mi schernì.
Alzai gli occhi al cielo, seccata dalla sua strategia. Se credeva di potermi affondare mirando alle mie fragilità, ignorava la mia propensione a nasconderle sotto strati di perfezione.
Reclinò il capo all'indietro per inghiottire l'amaro in un sorso e io emulai i suoi movimenti, guadagnando un forte bruciore alla gola che impiegò una manciata di secondi a dissiparsi.
Fui tradita da un sospiro simile a un ringhio, che acuì ancora di più l'attenzione riservatami da Isaac; mi scrutò, le iridi celesti che apparivano più scure a causa della scarsa illuminazione. Con la coda dell'occhio lo scorsi intento a leccarsi le labbra per assaporare le ultime gocce alcoliche, labbra che in seguito si distesero e produssero un risolino.
«Vorrei conoscere la tua fonte di diletto, monsieur» lo canzonai. «Illuminami».
Nonostante il mio fosse stato un invito sarcastico, lui non perse tempo ad accoglierlo.
«Diventare parte della tua vita è come essere uno spettatore di un circo in prima fila» replicò con estrema sincerità. Assottigliai le labbra per palesare il mio rincrescimento. «Ti mascheri per nascondere le tue crepe, ignorando che il travestimento non può coprire tutti i difetti» asserì.
«Esigo una parafrasi, Shakespeare» lo rimbeccai.
Acconsentendo alla mia richiesta, si voltò verso di me, rimanendo accomodato sullo sgabello. «Prima o poi qualcuno ti spoglierà delle tue bugie, Daisy» ammiccò, «e quel giorno è più vicino di quel che credi».
La sua provocazione fu seguita dal tintinnio del bicchierino che lui riappoggiò sul bancone, gesto che riprodussi. Non si era ancora privato del suo ghigno, ma questo scomparve quando una terza voce riecheggiò nella sala semivuota del Bar Américain.
«Casualmente in compagnia del nostro carissimo terzo incomodo» dichiarò Valentin, avvicinandosi a noi. Isaac gli scoccò un'occhiata truce, un misto tra seccatura e ira, ma ciò non impedì al biondo di raggiungerci. «Tuo padre ti stava cercando, andiamo» ordinò perentorio.
«Non sarà un problema, se tornerò tra qualche minuto» obiettai.
«Ho detto che devi venire con me, Desirée» insistette. «Ora».
«Digli che arrivo tra poco» replicai. La sua presenza era irritante e mi riportava alla mente il suo commento, ancora vivido nella mia mente; i minuti trascorsi non erano serviti a cancellarlo. «Stavo cercando di–»
Sussultai quando le sue dita si strinsero attorno al mio gomito. Valentin mi strattonò con tutta la forza che possedeva, facendomi barcollare una volta scesa dallo sgabello, e dalle sue labbra fuoriuscì un ringhio furioso: «Adesso vieni con me e la smetti di fare storie, sono stato chiaro?»
Isaac impiegò una misera frazione di secondo ad accorgersi della scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. L'atteggiamento di Valentin fece esplodere la sua rabbia e la sua mano tatuata intervenne per separarmi da lui. Il suo tentativo di difesa nei miei confronti mi spiazzò, tanto da lasciarmi trincerata in un silenzio gelido, le pupille incollate alla sua figura.
«Prima di tutto, non ti azzardare a toccarla in quel modo con le tue fottutissime mani» sputò, iracondo. «Immagino che tu abbia una bassissima autostima, se la tua priorità è assicurarti che lei sia vittima del tuo controllo» lo canzonò senza far scemare il carattere stentoreo della voce. «E poi, il compito di infastidirla spetta a me. Tu dovresti assecondarla, invece di diventare il complice di mio fratello e dei suoi commenti sessisti».
«Non immischiarti in faccende che non ti riguardano, Isaac» ribatté Valentin. Compì un passo per azzerare la distanza che ancora li separava, si divincolò dalla stretta del britannico e lo guardò negli occhi, sfidandolo senza timore. «È la mia ragazza e sta alle mie regole, è chiaro?»
«L'unica regola a cui devi pensare ora è quella di allontanarti da qui» gli intimò quindi Isaac, approfittando del mio silenzio dovuto all'attonimento. Puntò due dita verso l'uscita del bar, indicandogli la direzione consigliata per evitare pessime conseguenze. «Non ti permetto di ripetere un gesto del genere. Non in mia presenza».
Valentin fu scosso da una risata sarcastica, che mi gelò il sangue nelle vene. Complice fu anche il modo in cui tornò serio. «Lei non ha bisogno della tua protezione» affermò prima di indietreggiare. Avvalendosi del suo campo visivo fattosi più ampio, mi guardò. «Io e tuo padre ti aspettiamo nella lobby. Non perdere tempo» concluse, duro.
Le suole rigida delle sue scarpe colpirono le assi del pavimento e generarono un rumore sempre più lontano, che scemò quando superò la soglia del locale. Calò un silenzio piacevole, che tuttavia diede vita a un turbine di pensieri capaci di annebbiarmi la mente.
Isaac aveva assistito ai risultati dell'indole aggressiva di Valentin. Era stato lui stesso a evitare altri episodi spiacevoli con la sua prontezza, ma perché? Quali erano le ragioni dietro quell'azione? Perché si era interessato alla mia situazione complessa, quando proprio lui era incaricato di mettermi in difficoltà?
«Stai bene?» mi ridestò, attenzionandomi; la sua voce si abbassò e si colorò di premura. Sentivo i suoi occhi addosso, lo sguardo calzava come un abito stretto, pertanto mi sforzai di non guardarlo e rimasi pietrificata. «Desi» mi richiamò, abbandonando il solito nomignolo.
«Valentin ha ragione» dichiarai. «Non ho bisogno della tua protezione. Fatti gli affari tuoi, Woodward. Sei qui per l'azienda, non per me» gli rammentai.
«Eppure, non ho sentito alcuna lamentela quando ho evitato che lui facesse di peggio» continuò imperterrito.
Sbuffai, visibilmente infastidita, e concepii la fuga come unica soluzione alla nube di riflessioni che lui aveva sollevato. «Io penso alle mie relazioni e tu alle tue» sentenziai. «Ci vediamo» presi commiato, iniziando ad allontanarmi da lui. Il ticchettio dei tacchi bassi fu il sigillo della nostra conversazione.
«Faresti bene a ricordarti quello che ti ho detto poco fa» si raccomandò, tornando ad accomodarsi sullo sgabello scuro. Non avevo smesso di essere una calamita per le sue pupille, un potente magnete per le sue iridi azzurre che mi perforavano.
«Quale delle tue tante convinzioni infondate?» indagai, ma non lo degnai della mia attenzione. Lasciai che ammirasse la mia schiena.
«Qualcuno ti spoglierà delle tue bugie prima o poi, Daisy».
E mi allontanai, ma nella mera compagnia di un brivido che serpeggiò lungo la mia spina dorsale.
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Nota dell'autrice
Buongiorno amici, come state? <3
Dopo due settimane senza alcun aggiornamento, ecco finalmente il capitolo 11. Scusate l'assenza dello scorso sabato, ma il FRI mi ha tenuta occupata per tutta la giornata.
Ma siamo qui! E con noi ci sono finalmente delle interazioni interessanti tra Desirée e Isaac, come abbiamo visto nell'ultima parte del capitolo. Vediamo un Isaac che inizia a stuzzicare e infastidire la nostra principessina monegasca, ma anche un certo istinto di protezione che lo spinge a compiere un gesto inaspettato. Vi dico solo che ciò è collegato a un aspetto del suo passato... Vi viene in mente qualche teoria?
E poi abbiamo assistito al solito carattere peperino della nostra Desi, che ormai abbiamo imparato a conoscere bene. La sua sarà una lotta continua contro questa cerchia di uomini opprimenti, che culminerà con un episodio non troppo gioioso... Lascio a voi l'immaginazione (ricordate che architetto sempre il peggio del peggio).
Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia tenuto compagnia. Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate!
La settimana prossima (incrociando le dita di riuscirci in tempi record) vi lascerò qualche indizio circa le azioni compiute da Isaac in questo capitolo, oltre a uno scorcio più ampio sulla sua famiglia complicata.
Vi aspetto... <3
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Note informative
Ristorante Louis XV
Bar Américain
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