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Una scatola nera, piccola, leggera.
Simone se la rigira tra le mani, la soppesa, infine la odora. Plastica dura.
Una targhetta apposta sulla parte anteriore le dona una piccola nota di colore. Su uno sfondo rosso, la scritta gialla fiammeggiante riporta il titolo dell'opera contenuta al suo interno.
"Attimi di perdizione".
Simone ci passa un dito sopra, segue le lettere, ne traccia i contorni.
Prima di andare a stendersi sul letto, si affaccia in corridoio. Nella casa regna il silenzio. Gli unici suoni che riesce ad udire sono gli uccellini in giardino e le cicale che gracidano potenti nelle prime ore del pomeriggio. La sospensione si mescola al calore secco e opprimente dell'estate, mentre che la mente si svuota insieme alla casa e un unico pensiero si tramuta in urgenza nella sua testa.
Il corpo lo asseconda, così chiude la porta, gira la chiave nella mandata e limita ogni accesso nella grotta che si sta costruendo attorno a lui. A passi lenti e misurati, Simone raggiunge il giradischi. Solleva l'asticella, preleva un disco a caso, un vinile di Fabrizio de André del '67. Il lato A gira fino ad essere colpito dalla punta che lo squarcia, e così rilascia non sangue, ma musica.
Le prime note lente di Via del Campo riempiono i vuoti di quella camera. Ogni corda che vibra si insinua tra uno spazio e l'altro della stanza, tra i suoi oggetti, tra i suoi pensieri. E Simone, che si rilassa e chiude gli occhi, è pronto.
Si accosta al letto, si getta su di esso strafalciandosi. Il rumore delle molle si unisce alla voce calda che riecheggia nella stanza.
Simone allunga una mano e riafferra la cassetta. Guarda con confusione il soffitto. Indeciso sul da farsi, rigira la scatola di plastica tra le dita lunghe e la accarezza, ripensando al momento in cui, da lontano, l'ha adocchiata al mercatino dell'usato di Via Sannio, immersa tra vestiti e abbandonata a se stessa.
Poche lire lasciate sul palmo del signore sdentato che gliel'ha venduta, e curioso come un bambino, è tornato quasi correndo a casa.
La poggia sulla pancia e poi, ridestato da quello stato ipnotico, allunga una mano verso il comodino. Lì, nel primo cassetto, giace silenzioso l'amato walkman. È piccolo, scuro, un filo lo collega alle cuffiette dello stesso colore grigio.
Preme un pulsante e, con uno scatto, si apre l'apposito cassetto. Con un po' di difficoltà, la inserisce al suo interno. La mano un po' gli trema, mentre, azionando il lettore, porta le cuffie alle orecchie.
La voce di de André, in quel momento, si silenzia.
"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior" è l'ultima strofa che giunge alle sue orecchie.
Una voce adulta, matura - Simone presume abbia sulla sessantina - introduce il contenuto di quella cassetta.
Di seguito verrà letto il racconto "Attimi di perdizione" della raccolta Peccatum, pubblicato nel 1950 dalla vincitrice di premi letterari Luna Lessi, donna ribelle ed indipendente dall'intelligenza sopraffina. Criticata per le tematiche portate nei suoi romanzi, resta l'esempio più potente di desiderio di libertà e di affermazione dell'individualità sessuale della donna. Le donne provano piacere, amano il sesso e amano il potere di scegliere.
Simone blocca per un attimo la cassetta. Si guarda intorno circospetto, timoroso di poter essere osservato da qualcuno all'interno della sua stessa camera vuota. Si rende presto conto che l'unica compagnia in quel momento è quella della voce che, indisturbata, continua la sua canzone.
Il racconto sarà letto da Manuel Ferro, giovane attore e doppiatore.
Simone si sistema meglio sul letto, afferrando il cuscino e posizionandolo maldestramente sotto il collo.
Un breve silenzio gli permette di udire le note finali della canzone che continua il suo viaggio solitario tra le pareti. Il suo personale viaggio con Manuel Ferro, invece, è in procinto di iniziare.
Quando tornai a casa, quella sera, ogni cosa era immersa nel buio. A me pareva strano, poiché era ora di cena, ritrovarmi accolto solamente dal silenzio all'interno della mia stessa abitazione. Dopo una giornata di lavoro, dopotutto, un uomo ha bisogno del sorriso della moglie pronto ad accoglierlo. Se la aspetta ai fornelli, quantomeno, indaffarata nella realizzazione certosina della ricetta preferita dall'amato marito. Oppure intenta a rattoppare un pantalone strappato. O, ancora, affaccendata a pulire quella tenda, o quell'armadio, o quella poltrona rossa e blu.
Senza fare troppi giri di parole, insomma, non aspettavo altro quando rincasai, se non quello. Eppure, il silenzio regnava sovrano e un principio di paura si accese all'interno del mio petto.
- Amore? – provai a chiamarla, tutto ad un tratto preoccupato.
Amore.
Simone si focalizza su quella parola, mentre il racconta continua indisturbato nella descrizione della casa, del corridoio lungo, lunghissimo, che porta alla loro camera da letto.
Eppure, Simone resta bloccato su quella parola. Detta con quella voce. In quel modo.
Il corridoio pareva essersi rimpicciolito proprio dinanzi alla porta che, chiusa, lasciava passare lame di luce sottilissime. Il cuore prese a pulsarmi nel petto, con violenza, mentre che il pavimento spingeva sotto i miei piedi e io perdevo ogni senso della ragione. Quei sospiri, quei versi, quei suoni non potevano che essere il segno tangibile e la prova ineluttabile del tradimento di mia moglie. Disperato, portai le mani al volto, quasi piagnucolai come un bambino tra di esse. Ricordo come se fosse ieri la sensazione di impotenza che mi divorava le carni, mi rivoltava le budella e la nausea, quel disgusto orripilante che si aggrappava con le unghie alle pareti del mio allora forte stomaco. E infine, quando tutte queste emozioni da miserabile si esaurirono, e io restai da solo con la litania sua nelle orecchie, una rabbia furente partì dalla pancia per impadronirsi di ogni mia terminazione nervosa. Il prurito al pensiero di ciò che le avrei causato, il piacere di vederla debole, piangente, disperata ai miei piedi, le suppliche che mi avrebbe rivolto affinché io non la lasciassi: quel piccolo piacere, per un breve istante, fu superiore alla sofferenza stessa.
E io, in quel momento, mi compiacqui di me stesso.
Simone cerca di concentrarsi sulle parole del testo, cerca di seguire la descrizione della porta, del pomello in ottone, del fascio di luce che colpisce in volto il protagonista del racconto, fino a quasi accecarlo. Ci prova con tutta la forza di volontà che gli appartiene, e tuttavia...
Tuttavia non riesce a non focalizzarsi su quella voce. Probabilmente è il calore che emana. Lo sente sulla sua pelle, sui bicipiti scoperti che, d'un tratto, si vestono di pelle d'oca. Non è tangibile, non è visibile, ma si lascia investire da essa.
Una mano scivola lungo il suo addome. Prende a giocherellare col tessuto leggero che lo copre. Lo solleva appena, e un dito sfiora la sua pelle. Sotto i polpastrelli sente la peluria morbida della sua pancia appena sotto l'ombelico. La sua mente lo inganna, perché, nell'attesa che il racconto lo descriva, lo convince ad immaginare la donna che, dall'altra parte della porta, geme dal piacere.
Immagina i seni, il sedere tondeggiante, il bacino sinuoso. È tutto un inganno, ma è troppo presto per parlarne.
La scena che mi ritrovai dinanzi superò ogni mia fantasia o immaginazione. Una donna, stesa sul letto, gambe divaricate e due dita inserite nella sua vagina, con l'altra mano si sfiorava il clitoride intensificando il piacere. Rimasi interdetto, immobile sulla porta come uno stoccafisso. Credo che impallidii, anzi ne sono sicuro. Impallidii senza vergogna, sbiancai come un fazzoletto, persi ogni dignità. Ed infine, al limite del respiro, sussurrai il suo nome. Immersa com'era nel suo piacere nemmeno se ne rese conto. Allora alzai la voce e lei si sollevò. Finalmente mi guardò. E tutto il pudore femminile ruppe l'incantesimo. Trascinò le lenzuola bianche su di lei, celò ogni atto peccaminoso che l'aveva macchiata, tremò sotto lo sguardo duro del caro marito, ossia di me medesimo. In quel momento, un pensiero mi sfiorò per la prima volta: le donne erano capaci di masturbarsi. E peggio ancora, le buone donne, le donne di famiglia, le donne pure e caste, ebbene anche loro potevano essere rapite da pensieri lascivi?
Fu per me più difficile da accettare del tradimento stesso. Come una furia le urlai contro, le accostai i peggiori epiteti e lei smise di piangere. Si sollevò sul letto, mi fissò e con occhi taglienti mi disse – Io col mio corpo faccio ciò che voglio. E sì, mi piace provare piacere, mi piace scopare, mi piacciono tutte queste cose, e non me ne vergogno più -.
Simone sussulta insieme alla voce che, in quel momento, prende una breve pausa enfatica. Sente il respiro del ragazzo che si trascina ed emette un leggero suono. Un verso gutturale.
Si rende conto, in quel momento, che la mano è scesa sui suoi boxer e ha preso ad accarezzare la leggera protuberanza che si sta formando.
Simone rivede il corpo nudo della donna nella sua mente. Per qualche assurdo motivo, la immagina bionda, con un seno abbondante e un sedere un po' piatto. Gli occhi azzurri lo osservano da dietro le lenzuola che erge davanti al suo volto a mo' di scudo.
La mano stringe intorno alla sua erezione. Il tessuto che la copre, però, rende quelle sensazioni ovattate. E allora scivola sotto di esso. Sfiora la pelle, poi stringe forte alla base e, con lentezza, raggiunge la punta e col pollice inizia ad accarezzarla dolcemente. Lasciandosi guidare dal piacere chiude gli occhi, e così il racconto continua.
- Te piace scopà?- chiesi rapito da uno stato febbrile che mi trascinò fin sotto il suo viso. Lei annuì, innocente, pareva una bambina.
- E me piace che me tocchi, e me piace che fai di me ciò che vuoi -.
A me bastò quella frase, quella semplice frase, per abbassarmi i pantaloni e spingere la sua testa contro le mie mutande. Lei fu agile, docile e servizievole. La osservai dall'alto della mia posizione, la vidi inglobare il mio pene e strozzarsi sulla punta quasi dolente. Il calore si impossessò di me, ed io mi lasciai possedere.
Il tono del ragazzo asseconda i gesti. E mentre, con dovizia di particolari, descrive l'atto sessuale che si sta consumando tra le parole di quel racconto, sembra che il piacere stia cogliendo anche lui di soprassalto.
Per cui quel suono si abbassa, diventa ruvido, graffiato e graffiante, cocente. Scotta le sue orecchie, il collo che si fa rosso. Si trasmette al suo corpo, fin giù nel bassoventre. E fuoriesce dalle labbra purpuree di Simone in forma di lamento. In forma di gemito. In forma di supplica.
- Te piace rcazzo mio nbocca, n'è vero? – chiesi ormai lontano da ogni controllo morale.
- Apri sta bocca, per bene, aprila -.
Simone obbedisce. Apre la bocca, quasi la spalanca. Con urgenza porta tre dita presso quell'apertura e affonda nella sua stessa gola. Sbatte contro il palato, a tratti vomita dallo sforzo, stringe con forza le labbra intorno ad esse e geme. Geme, mentre le dita dell'altra mano, che giocano tra il suo pene e i testicoli, accelerano la loro corsa.
- Te piace succhiarlo, vè? –
Simone annuisce disperato, rilascia un verso di assenso e lascia che la mano segua il moto della testa che non si esaurisce nella richiesta. È solo in quel momento che si rende conto, aprendo gli occhi umidi, che nessuna donna è presente nella sua mente. Nessun seno morbido, nessun polso delicato, non un capello lungo caduto per sbaglio sul suo corpo e attaccato ad esso per il sudore.
L'immagine della donna pallida dagli occhi vitrei svanisce come polvere nella sua mente, si volatilizza, evapora via come se non fosse mai esistita. Al suo posto vi è lui, inginocchiato, la bocca intorno alla lunghezza dell'uomo che gli tira i capelli e lo accompagna nei movimenti.
La voce del ragazzo si abbassa di qualche tono nei momenti di maggiore tensione, e Simone lo immagina a sfiorarsi anche lui, mentre legge quelle parole: con una mano regge tremante la pagina del libro, con l'altra si accarezza l'inguine. Le labbra violacee toccano appena il microfono, lo accarezzano. E lui, per un istante, chiude gli occhi.
Ma ciò che più lo eccita è immaginarlo lì, nei panni del protagonista, mentre con una mano gli afferra la testa. Le sente quelle mani dietro la nuca, le sente premere contro di lui per annegare sulla sua erezione.
Un battito d'ali di farfalla: Simone chiude gli occhi, le ciglia si incontrano e si allontanano e un cristallo liquefatto sfugge via dai suoi occhi; timido, consumandosi su se stesso, scende lungo il collo, gli bagna la maglietta.
- Te stai a bagnà tutta, guarda come stai a bavà -.
Con un fazzoletto cacciato dal taschino mi permisi di asciugarle un lato della bocca, per poi raccattare le lacrime che per il piacere le bagnavano il volto dolce. Il fazzoletto così imbrattato venne scaraventato dall'altra parte del letto.
Sentivo il calore umido della sua bocca riscaldarmi, stringermi il pene, stimolare il piacere che mi pizzicava la punta, la metteva in tensione. Vidi le vene gonfie riempirsi ulteriormente, la punta rossa turgida e fui quasi pronto a venire, mentre lei con la mano piccola e delicata mi massaggiava e sfiorava il glande con le sue labbra. – Oh – mi lasciai sfuggire nel momento in cui lei risucchiò la mia carne nella sua.
- Oh – fu l'unico verso che emisi.
Oh.
Manuel recita quella litania come se fosse egli stesso all'apice del piacere. E – Cazzo – sussurra Simone a denti stretti, quando lo ascolta.
Cazzo, sto per venire, pensa.
- Cazzo, sto per venire – mi lasciai scappare dalle labbra schiuse e quasi piansi come un bambino. Mi allontanai di getto, col timore di consumare tutto nella sua bocca, e le ordinai di voltarsi.
- Voltati – grugnii a denti stretti, mentre con la mano continuavo la piacevole tortura.
Lei mi sorrise maligna, compiacente, e si voltò. Con le mani allargò le natiche e attese il membro turgido dell'amato marito.
Simone si volta. Con una furia nuova, sconosciuta, abbassa i pantaloncini e i boxer e li lascia a metà coscia. Il cuscino viene afferrato e posizionato sotto il suo addome. Così facendo si solleva, mentre lo spazio che corre tra il bacino e il materasso gli permette di infilare la sua mano per continuare l'atto di masturbazione che lo fa tremare.
Aprii una mano dinanzi al volto, ci sputai sopra e vidi la saliva scorrere lungo le linee interne, quelle della vita, o almeno così dicono.
- Posso fa' tutto ciò che voglio de te, è così? – le chiesi.
- Ogni cosa – mi rispose lei in una lagna disperata.
Dunque, mi avvicinai, passai la mano tra le natiche, inumidii, poi infilai due dita. Lei tremò come una foglia sotto di me.
Simone allontana la mano dal suo pene, la porta alle labbra e ci sputa sopra. Riscende lungo il corpo, fino al suo membro. Lo stringe, ma non la muove. È il corpo a muoversi contro di essa, mentre il rumore del materasso in molla, inudibile alle sue orecchie, si unisce all'attrito bagnato che rilascia piccoli suoni come gemiti del suo corpo.
Quando mi parve adeguatamente pronta ad accogliermi, mi impuntai sul letto e le ginocchia vi affondarono. Il pene svettante si avvicinò all'orifizio stretto, mi avvicinai senza accompagnarlo con le mani. Il contatto col corpo morbido di lei mi eccitò al tal punto che mi lasciai sfuggire un verso acuto che mi imbarazzò.
Fu lei, con la sua inedita intraprendenza, ad allungare una mano verso la schiena, piegandosi, per raggiungere la mia erezione e inserirla tra le sue natiche morbide. Si lamentò, e ciò mi fece fermare un attimo, per darle il tempo necessario di abituarsi... e abituarmi. Era stretta, calda, eccessivamente calda, e sentivo le sue pareti interne premere contro l'erezione che pulsava e che ad ogni suo movimento mi esortava a rilasciare ogni piacere dentro di lei.
Simone scopa la mano come se ci fosse qualcuno, sotto di lui; finché, all'udire di quelle parole, non si accorge che un forte desiderio si fa impellente e che, se non esaudito, potrebbe non venire. L'erezione sta già perdendo il suo vigore quando – Oh.
Una delle sue dita, con più precisione l'indice, preme timido tra le due natiche, fino a incontrare l'orifizio rugoso e immacolato. Lo accarezza prima, mentre solleva leggermente il posteriore. L'altra mano, nel frattempo, è ancora ferma intorno alla sua erezione. La quale, al solo sentirsi sfiorare su quell'apertura tanto sensibile, si gonfia nuovamente, svetta e infine gli pulsa tra le dita pallide.
- Non c'hai idea de quanta voglia de scopatte che c'ho... -.
Al suono delle mie parole, mia moglie spinse contro di me. Mi inglobò tutto, mi inghiottì in quella cavità opprimente, mi fece ascendere al luogo più alto che c'è. Su, in paradiso. Poi si allontanò. Abbassai lo sguardo per osservare il mio pene fuoriuscire lento da lei, la quale si allargava ad ogni movimento. E poi di nuovo dentro, il culo contro di me, contro il bacino, contro la peluria che mi abitava il pube.
Simone lo immagina mentre il suo pene entra dentro di lui. Grande, scuro. Le dita incontrano l'orifizio, premono contro di esso e, lente, si insinuano tra quelle pareti che non hanno mai conosciuto. Un lamento di dolore gli sfugge dalle labbra rosa, ma presto si tramuta in solo piacere, puro piacere.
Inizia così il moto sincronizzato della sua mano dentro e fuori di lui, mentre col bacino spinge contro il pugno chiuso sul letto, e con le dita dell'altra mano affonda sempre più a fondo dentro di lui, con sempre più intensità.
- Te voglio scopà forte – sussurrai al suo orecchio, vedendola smaniare sotto di me.
- Scopami – sussurra Simone.
I movimenti sono sempre più disperati e immagina quelle labbra al suo orecchio.
Labbra carnose, scure, che gli mordono un lobo.
No, cambia idea.
Ora sono più sottili, più chiare, ma il resto del volto è una tinta ambrata calda che gli riscalda la vista.
Come brilla, sotto il sole, Manuel, mentre senza alcun controllo lo scopa.
I capelli biondi e lisci sono come quelli della moglie. A Simone piacciono, vorrebbe tirarli, vorrebbe sentirli addosso.
Finché non si rende conto che forse, ricci, sarebbero più eccitanti. Che sarebbe bello perdere la mano tra i suoi capelli scuri, non riuscire a captare più le dita chiare tra la coltre di ricciolini che gli abitano il capo.
Una foresta di pensieri.
Il naso aquilino, greco, lo immagina sotto di lui mentre, in ginocchio, si posiziona sul suo viso - e su sua stessa richiesta.
Eppure, mentre Simone ondeggia su quel volto tanto perfetto, sente la curva dolce di un naso quasi all'insù, possente ma sinuoso, forte ma armonioso.
Com'è bello perdersi tra le onde del mare, mentre lo fissa estasiato e si perde nelle sfumature azzurre dei suoi occhi.
Onde blu che si trasformano presto in distese di terra scure, dove da piccolo, a casa della nonna, si stendeva sotto il sole di fine estate per osservare la migrazione degli uccelli.
L'ultima pennellata, nella sua mente, è quella che traccia le linee del suo corpo: mingherlino, ossuto, più basso di lui.
Quel sorriso sfacciato a decorargli il volto piccolo è l'ultima immagine che vede prima di venire improvvisamente tra le sue dita. I suoi liquidi macchiano le lenzuola fresche del letto, che dovrà lavare prima che il padre se ne accorga.
Si accascia stanco su di esse. Sente l'addome bagnarsi, inumidirsi, mentre quei liquidi si uniscono al sudore.
Respira a fatica, i capelli sono bagnati, specialmente sotto le cuffie, dalla quale il racconto continua ad essere letto con quella voce. Simone le allontana, e la voce di Manuel si fa sempre più distante, fino a quasi sparire.
Si rende conto che le dita sono ancora dentro di lui, allora le estrae. Un po' gli brucia, a tratti gli fa male. Si abbraccia al cuscino, gli occhi grandi osservano le cuffie scure che sono davanti a lui.
Nell'aria non si sente nessun suono. La casa è ancora vuota.
Il cinguettio e il gracidare non hanno cessato di colorare l'atmosfera della loro presenza. De André ha smesso di cantare da un pezzo, e a riprova di ciò vi è il rumore graffiante e ripetitivo dell'asticella contro il disco esaurito, ma che continua a girare.
Simone si volta, preme un pulsante sul walkman e con un "click" viene estratta la cassetta.
La osserva un attimo, prima di portarsela al petto e piangere.
Le lacrime scorrono lungo il suo viso, finiscono nelle orecchie, coprono ogni suono.
E nella frenesia del momento, improvvisamente, un sorriso gli spunta sul viso; e i singhiozzi del pianto diventano una risata fragorosa, sincera.
Simone ride. Lo fa, finalmente, dopo troppi anni.
Simone ride, e lo fa come non ha mai fatto prima.
Grazie Luna Lessi, pensa.
Grazie Manuel.
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Note
Salve scusate per la schifezza ringrazio redastras e actionratio per avermi aiutata a plottare questa storia che io ho poi rovinato. Le ringrazio inoltre per avere sempre la pazienza di leggere tutto ciò che scrivo in anteprima e per sopportare le mie lagne.
Alla prossima , con affetto
Nanni
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