1. Le stelle non dovrebbero risvegliare i demoni
Una stella cadente.
Guardo la scia luminosa che fende il cielo, sinuosa, e penso a qualcosa da chiederle.
La verità è che non lo so nemmeno io che cosa cerco dalla mia vita, figuriamoci se una stella a miliardi di chilometri di distanza può conoscere il mio desiderio.
Osservo il cielo, quello spettacolo trapunto di infiniti spilli iridescenti che mi ero ripromessa di non guardare più. Mi appare improvvisamente davanti agli occhi la traccia luminosa che vidi tempo fa, presentandosi in una visione distorta. Oscura per un attimo il mondo davanti a me, mi riempie gli occhi di stelle molto più infinite e luminose di quelle che già stavo osservando, poi tutto torna come prima.
Sospiro, chiudendo gli occhi. È così, ormai. Da quel fatidico giorno sono passati due mesi. Due mesi trascorsi a domandarmi se sono sulla giusta strada, due mesi che le visioni mi tartassano ancora più frequenti. L'unica risposta che ho ottenuto è una semplice, elementare sensazione di vuoto freddo che mi colma l'animo: non so dire se questo sia dato dal fatto che mi sento in colpa.
Da quando ho tradito Levi, Hanje, Erwin e tutta la mia famiglia del Corpo di Ricerca, quelle stelle che mi sono sempre state di aiuto e che hanno rappresentato degli spunti per ricordare chi ho amato sembrano brillare meno intense, come a rimproverarmi. E l'unica cosa che sono capace di fare contro di loro è chiudere gli occhi, urlando nella mia mente "zitte, zitte, zitte!", perché non posso sopportare, insieme al resto, gli sguardi di rimprovero di un'amica neutrale come la notte.
Mi sembra di rivivere la serata in campagna che ebbi tempo fa, quella in cui vidi per la prima volta l'orrore che aveva compiuto mio padre. Ero con Levi su una collinetta, con la stessa identica brezza che mi sfiora i capelli questa sera e l'uguale peso che ho nel cuore in questo momento. Con un'altra delle mie visioni, avevo capito come mai lui era così freddo: anche lui, da piccolo, aveva avuto due importantissimi amici che ha perso quando sono stati assassinati da una banda criminale nella Città Sotterranea dove abitavano. La bambina lo chiamava sempre "fratellone". Come me.
Da quel momento in poi ho capito tutti i suoi comportamenti, ci siamo riappacificati dopo secoli di ostilità reciproca. Ma ho anche appreso che il reale assassinio di due innocenti bambini è stato opera di mio padre, Duran Inochiki.
Quello stesso padre che adesso, a qualche metro di distanza da me, è sepolto sotto strati e strati di terra che nasconde alla mia vista il suo corpo vuoto e senza vita. Riapro gli occhi puntando lo sguardo sulla tomba, decisa a non allontanarmi in preda all'istinto di vomitare come succede di solito. Non è niente di speciale: il terriccio è gettato alla bell'e meglio sulla cassa di legno bucherellata che contiene il suo corpo, mentre una pietra tutta scheggiata recita la scritta "Duran Inochiki, onorevole compagno caduto nella battaglia per il bene superiore". Non che i suoi compagni di squadra lo stiano ricordando come un eroe: a fargli visita ogni tanto ci sono solo io, che gli porto i fiori che trovo qui in giro quando vago per le campagne in cerca di un modo per evadere dal mio tormento. Non so se realmente si meriti di più oppure se è questa la giusta punizione per tutto il male che ha fatto da quando abbiamo lasciato il futuro, ma non mi sento in grado di giudicarlo: in fondo, sono la stessa persona che avrebbe ucciso anche uno dei suoi ex più cari amici pur di vendicarlo, se solo Shojiro non mi si fosse parato davanti per portarmi via con sé e con il resto della squadra antiuomo, composta dai compagni di mio padre.
Levi. Il suo nome mi crea un vuoto nello stomaco, ancora una volta. Mi sento... confusa. Ogni volta che penso a lui mi si ripresenta nella mente il suo sguardo addolorato, l'ultimo che mi ha puntato addosso prima che la porta del distretto di Stohess si chiudesse tra di noi, suggellando ulteriormente la mia decisione. Quando ci penso, interpreto quegli occhi grigi in un modo diverso: mi chiedo se per lui sono morta, se è meglio che sia così, se io voglio che sia così. E poi, insieme ai suoi occhi, insieme a tutte le parole che mi hanno accompagnato in questi anni, lo rivedo per intero, un ragazzo che si è macchiato di tanti, troppi omicidi... sarebbero esagerati anche se parlassimo di un vero e proprio criminale, cosa che Levi non è, dato che opera in nome del "bene". O forse sì? Non va forse contro ogni etica uccidere qualcuno? Ma, d'altronde, non c'è nessuno qui che non si sia macchiato di questo peccato. Ai miei occhi, di certo, non si presenta più come l'amico di una volta: non posso pensare a lui, quando l'ho visto con i miei occhi mentre trucidava senza pietà migliaia di uomini, bestie, titani, quando ha trafitto mio padre con i suoi rampini. Al ricordo del tappeto di cadaveri nella piazza, la mia vista si appanna, riportandomi a scatti nel turbinoso mondo delle visioni, che si alterna a spezzoni della tomba che mi tiene lì impalata, che mi fa sentire il sapore del sangue che mi riempie la bocca e immaginare che il corpo sepolto di fronte a me sia quello di Levi e non di mio padre... Buoni, cattivi, buoni, cattivi...
Mi ritrovo a boccheggiare a gattoni sull'erba fresca, con il sudore che mi cola giù per la fronte e il sapore di sangue ancora in bocca, un urlo che lotta per uscire dalla mia gola e il cuore che batte all'impazzata. Succede sempre così, quando ci penso. Ho paura di Levi, un sacro terrore che mi smuove le viscere e cerca di spingermi, ogni volta, ad alzarmi, prendere un coltello e volare a Trost per accoltellare il mio ex capitano, per avere quella vendetta che tanto desidero e porre fine ai miei rimpianti. C'è qualcosa che mi fa credere che tutto questo finirà solo uccidendo Levi.
E invece sono qui, intrappolata e sorvegliata ventiquattr'ore al giorno per assicurarsi che io non scappi cercando di fare proprio quello che il mio istinto mi ordina. Dicono che potrei compromettere "la Missione", anche se si rifiutano categoricamente di parlarmi di qualsiasi progetto abbiano in mente.
Cerco di calmarmi e di riprendere fiato, mentre con il corpo scosso dai tremiti mi allontano dalla tomba degli orrori, per andare invece a fare una passeggiata tra queste campagne desolate. Questo è uno dei motivi che più mi sta aiutando a rinsavire, dato che le passeggiate sono più efficaci di una tisana contro i miei istinti omicidi. Inspiro la fresca aria primaverile, illuminata dal lieve bagliore della luna, mentre sotto ai miei stivali scricchiolano le pietruzze del viale sterrato. In tutto questo quasi rimpiango i comodi scarponi della mia vecchia divisa da soldatessa dell'Armata Ricognitiva; quelli che mi hanno dato con la nuova uniforme della gendarmeria mi stanno stretti e sono tra le cose più scomode che abbia mai indossato.
Alle volte mi stupisco anche io dei pensieri idioti che il mio cervello elabora per cercare di distrarsi da ciò che non vuole ricordare. Invano.
Quel giorno Shojiro ha lasciato la mia mano solo dopo essersi accertato che ci fossimo tutti sistemati al sicuro. A dire il vero non riesco a ricordare per bene i dettagli: l'unica cosa che mi resta è la sensazione di buio, di smarrimento, di inutilità, di vendetta che ho provato, insieme al calore della mano di Shojiro che si irradiava su per il mio braccio e arrivava al cuore, senza che però riuscisse a riscaldarlo. Ma che cosa ho fatto, le parole che mi hanno rivolto, sono rintanate da qualche parte del mio cervello, incapaci di rivelarsi. È come se, dopo aver visto quegli occhi sconsolati, avessi inconsapevolmente deciso di staccare la spina per evitare di sopportare altro.
I giorni sono passati irrequieti: ogni soffio di vento, ogni raggio di sole, ogni piccola cosa che vedevo mi riportava a mio padre, a Levi, alle mie due vite, fondendo tutto insieme per creare un vortice di paura e insicurezza che mi faceva tremare incontrollabilmente e lanciare degli urli improvvisi, per scacciare le voci che avevo in testa. Una volta ho distrutto una ciotola di ceramica contro la parete della sala da pranzo, rischiando di colpire Shojiro, quando ho sentito un tocco accidentale sul braccio; forse è proprio per questo che mi hanno rinchiusa nella mia stanza... per evitare che la mia instabilità uccidesse qualcuno che non fosse Levi.
Non ho sentito nulla, durante quella prigionia. Passavo il mio tempo stesa sul letto, a fissare le travi del soffitto come quando sono rimasta paralizzata per la visione, a reagire alla presenza di Shojiro che passava ogni giorno semplicemente fissandolo. Per fortuna non faceva nulla che potesse scatenarmi qualcosa dentro: si limitava a rimanere seduto sul letto, con lo sguardo perso fuori dalla finestra, mentre io lo fissavo. Non ha cercato di consolarmi come quel giorno davanti alla tomba di Petra, forse intuendo che qualsiasi contatto fisico avrebbe provocato in me una reazione istintiva che avrebbe potuto fargli male. Eppure la sua presenza non mi rassicurava affatto: sembrava invece che intensificasse le visioni, gli incubi e i sussurri che mi dilaniavano la testa.
È stato lui stesso, ad un certo punto, a smettere di entrare nella mia stanza. Non lo vedevo più, non lo cercavo più e lui sembrava volermi stare lontano. Ho scoperto solo dopo aver cominciato ad origliare le conversazioni della mia squadra che ha subito una specie di trauma, che lo ha chiuso in un ostinato silenzio.
Poi, circa un mese fa, mi sono risvegliata da sola. Non appena mi hanno detto di aver mandato qualcuno a recuperare il cadavere di mio padre e degli altri morti, sono uscita dalla casa per vagare per le campagne, trovando il novello cimitero mossa da un qualche istinto che non so spiegare.
Non so se essere loro grata per non avermi fatto rivedere il cadavere un'ultima volta, ma credo sia stato meglio così, dal momento che anche a distanza di tutto questo tempo non mi riesco a controllare, distruggendo occasionalmente un qualche oggetto o perdendomi per gli immensi campi e rimanendo lì finché qualcuno non mi viene a recuperare per portarmi a casa. Ancora. E ancora. Non ho nemmeno ancora visto Eren o Historia, ma non mi sento assolutamente pronta ad un passo del genere. Ho paura di far del male a loro e a tutti quelli che mi circondano. Non voglio trasformarmi in un mostro per colpa sua.
Non so come, non so perché, alle prime luci dell'alba mi ritrovo nel mio letto, avvolta in delle lenzuola che non mi ricordo di aver mai preso. Ma per ora non posso farci nulla. Questa è la nuova Sumire Inochiki, o meglio, un pallido spettro che cerca di prendere il suo posto mentre lei lotta contro se stessa. È il meglio a cui posso aspirare ora, quindi mi alzo e cerco di andare avanti come ogni santissimo giorno, nell'attesa che succeda qualcosa che mi distrugga o mi faccia rinascere definitivamente.
Spazio Arienty
E buonasera amici! O, per lo meno, quella gente che ha deciso di continuare a seguirmi in questo viaggio. Spero tanto di non deludervi con questo secondo volume, sappiate che sono sempre qui per un parere. Vi ringrazio per aver scelto di continuare e di non abbandonarmi, anche perché ho tante belle cose in serbo per voi :D. Sasageyo, alla settimana prossima!
-Arienty
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