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The Man

La prima volta che ho messo piede in una biblioteca, sono rimasta ferma a guardare quegli immensi scaffali, senza nemmeno sbattere le palpebre.

Ovviamente questo ricordo non è mio, ma di mio padre, che all'epoca mi accompagnava con i miei zii e cuginetti a far visita ad un suo vecchio zio, abbastanza ricco da avere in casa sua una biblioteca degna di questo nome. E, mentre tutti gli altri bambini, come qualsiasi creatura tra i tre e i sei anni d'età, si divertivano a toccare ogni oggetto strano o luccicante in quello studio, io mi ero incantata davanti ai libri. Al che, sempre a sentire mio padre, suo zio gli avrebbe detto: "Occhio, regazzi', che questa è sveglia. E le regazzine sveglie so' sempre più toste da gesti'".

Non so quanto ci sia di vero in questa storia, né tantomeno con quale tono il mio prozio abbia pronunciato quella frase - anche se, per quei pochi ricordi che ho di lui, l'avrà sicuramente detta nel modo più amorevole possibile - ma non si può dire che mio padre non l'abbia preso in parola: sono cresciuta con molti più libri di quelli che avrei potuto leggere e capire alla mia età, insieme ad una quantità commuovente di enciclopedie illustrate per ragazzi e un papà che, per quanto spesso assente, era sempre pronto a rispondere a tutte le mie domande e a spiegarmi in parole semplici quello che la mia mente di bambina non riusciva a cogliere all'istante.

Ben presto Hai staccato la testa a tuo padre divenne uno sfottò non solo per indicare quanto fossimo simili fisicamente, ma anche per sottolineare quanto avessimo in comune dal punto di vista caratteriale, come il modo di discutere e l'isolamento di cui siamo capaci quando abbiamo un libro in mano. Non sono una figlia di papà, ma sicuramente sono figlia di mio padre e questo, più di ogni altra cosa al mondo, sarà la mia tortura più grande.

Perché, per un uomo che mi ha cresciuta per essere intelligente e forte come lui, ne esistono mille altri che non perdono occasione per sottolineare quanto non stia bene che una donna si comporti così, come se il mio essere biologicamente femmina mi impedisca di avere lo stesso valore di un maschio.

Ma la cosa peggiore è che non sono solo certi uomini a parlarmi così: nonostante tutte le lotte, tutti gli scontri, nonostante tutti i bei discorsi sulle pari opportunità, ci sono molte donne che pensano ancora che l'unica via per cui io, Narnia, possa essere davvero felice e soddisfatta sia quella della maternità. E la prima a parlarmi così è proprio la mia, di madre, che da un lato va vantandosi di quanto sia fiera della mia indipendenza, ma dall'altro mi ripete costantemente che, anche se raggiungerò gli obiettivi di carriera che mi prefisso oggi, non sarò mai davvero completa senza dei figli.

Ed è la stessa donna che ha preteso da me l'impossibile dal punto di vista accademico e, allo stesso tempo, che fossi in grado di tenere la casa e suo figlio in sua assenza, ma non si azzarda nemmeno a chiedere a mio fratello di fare qualcosa perché è piccolo - quasi diciotto anni - o perché è maschio o perché io sono la primogenita. La stessa donna che si aspetta che sia io, non noi, io e lui, a prendermi cura di lei quando sarà vecchia, perché sua figlia sono io. E penso che, finché non si eclisserà l'idea che debbano essere le donne quelle a prendersi cura degli altri, nessuna di noi sarà davvero libera di essere se stessa.

Quindi mi fermo e mi guardo indietro e mi rendo conto di quanto mio fratello, l'ometto di casa, abbia sempre avuto una vita più facile rispetto alla mia, una vita in cui non è mai stato chiamato stronzo o frigido o autoritario solo per aver mantenuto il punto in una conversazione. O ancora di quanto ora gli vengano riconosciuti quegli stessi meriti ed elogi che io, alla sua età, per quanto sua pari d'intelletto, non mi sarei mai neanche potuta sognare perché era scontato che fossi quella intelligente, quella che studia, come se il mio diritto allo studio mi imponesse di brillare per poter anche solo essere ammessa tra i migliori in qualcosa.

E a volte mi ritrovo a ringraziare il destino per non avermi fatto nascere donna sul serio, per il mio essere a metà tra i due generi, perché non essere così femminile aumenta la considerazione che gli uomini hanno di te, come se amare il rosa o prendersi cura di se stesse sia indice di scarsa capacità mentale e superficialità.

E lo trovo fortemente ingiusto perché essere come un uomo, nel senso di essere considerate e rispettate come un uomo, non dovrebbe implicitamente spingere una persona a rinnegare la propria femminilità, a nascondere la propria essenza solo per affermare la genialità delle sue idee.

Così come non è giusto che qualcuno si azzardi a farmi mansplaining su dei codici che ho scritto io solo perché indosso una gonna, o che un professore mi accusi di essere troppo emotiva perché, davanti alle sue urla e alla sua aggressività in sede di esame, ho osato tacere per un istante prima di ricominciare da capo l'ennesima dimostrazione corretta. O, ancora, che le mie amiche debbano essere assolutamente impeccabili per essere ritenute valide, mentre ai loro colleghi è richiesto il minimo indispensabile per essere elogiati. O che avere una sessualità sia visto come una debolezza, perché i maschi sono una distrazione, mentre la virilità e il successo di un uomo si misurano anche in base a quante donne si porta a letto - perché, naturalmente, l'essere queer non è minimamente contemplato in questo discorso folle.

E nel pensare a tutto questo durante l'ennesima lezione di Storia Greca, tenuta dall'ennesimo professore uomo che insegna l'ennesima disciplina di quasi soli uomini, in un'aula invasa dai gessi di artisti anch'essi solo uomini, mi è tornata in mente una lezione della mia amatissima - e temutissima - professoressa di greco e latino del liceo su Atena.

A pensarci bene, alla luce di quanto detto finora e della misoginia intrinseca del mondo greco, a cui in parte sono salvi solo gli Spartani, è strano che la divinità del sapere, della saggezza e della strategia sia una dea. Una dea, sì, ma non una donna, perché Atena rappresenta tutto quello che una brava donna greca non doveva essere, ovvero una persona colta e istruita, non solo in ambito pratico, ma anche nelle belle arti e nella guerra, una donna in grado di ragionare da sé e i cui consigli potevano primeggiare su quelli degli uomini. Una donna con un carattere forte e capace di vendicarsi in maniera atroce dei torti subiti, una vergine, una che non è né moglie né madre, bensì una donna guerriera che sa tenere testa ad Ares, il dio della guerra, e tirare a suo piacimento le fila della battaglia.

Una dea che è ben lontana dalla donna invisibile greca, senza voce, senza diritti, senza istruzione, senza alcuna aspirazione se non quella di essere una moglie e una madre esemplare, perché tutte le Medea, le Ipazia e le Aspasia erano disprezzate nel migliore dei casi e assassinate nel peggiore.

Perché, in questo mondo di uomini fatto per gli uomini, farsi spazio come donne senza perdere una parte di sé è tremendamente difficile ed io, che non sono disposta né a tacere né a piegarmi, non posso fare a meno di chiedermi se non sarebbe davvero stato meglio nascere senza ambizioni oppure nascere uomo. Perché, di certo, il prezzo di essere una donna con delle ambizioni sarà versare sudore e sangue per essere riconosciuta e rispettata come se fossi mio fratello. Come se fossi un uomo come loro.


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