Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 6

Margot's pov

Sto camminando per le strade affollate di Londra, diretta al mio parco.

Città di carta l'ho finito due giorni fa, quindi ho portato un altro libro da leggere.
Tiro fuori le cuffie e faccio partire un po' di musica. Si può scappare dal mondo esterno solo costruendone uno in cui nessuno può entrare.
Continuo a camminare, ansiosa di arrivare alla mia panchina e di leggere.

Da lontano, riesco già ad intravedere l'entrata del parco. Mi affretto a raggiungerla, ad entrare e ad imboccare il solito sentiero.

Come sempre, non c'è quasi nessuno.
Percorro velocemente la stradina alberata, per poi sbucare nella zona ovest.

Vado spedita verso la mia panchina, togliendo le cuffie dalle orecchie e riponendole nella borsa.

Mi guardo intorno, osservando il paesaggio isolato intorno a me.
Le persone non vengono mai qui, forse c'è troppo silenzio.
Forse le persone non amano il silenzio.
Forse vogliono stare in compagnia, perchè hanno paura di stare da sole e di sentire l'eco dei propri pensieri.

Forse hanno paura del nulla, del vuoto.
Forse hanno paura di perdersi, in mezzo alla solitudine.
Forse sono terrorizzati dall'idea di affondare e di non avere nessuno che possa aiutarli.

Forse non tutti sono come me.
Forse sono io quella strana.
Forse sono io quella che non ha paura di ciò che invece dovrebbe temere.
Forse sono io che ho paura delle cose sbagliate, di quelle che agli altri non fanno paura.

Ma pazienza, ognuno ha i propri mostri sotto il letto.
I miei li ho trasformati nella mia forza, perché anche le paure possono tornare utili.
Le paure non devono risucchiarci, ma salvarci. Può sembrare strano, ma le paure rappresentano ciò che siamo e non dobbiamo mai permettere a noi stessi di autodistruggerci, non dobbiamo lasciare che i mostri vincano le nostre difese.

Dobbiamo farli diventare nostri alleati contro il mondo reale. Alla fine, non sono i mostri e gli scheletri nell'armadio che devono spaventarci, ma le persone che abbiamo davanti.

I mostri non ce li scegliamo noi, ci capitano e basta, siamo costretti ad accettarli.
Le persone, invece, le scegliamo.
Possiamo scegliere da chi farci ferire, da chi allontanarci, possiamo scegliere chi trattenere nella nostra vita, possiamo scegliere chi amare.
Non dobbiamo fare la scelta sbagliata.

Dobbiamo scegliere con attenzione chi ci sta intorno, perché se sbagliamo, se chi abbiamo scelto ci ferisce, allora non avremo scampo.
Dovremo ammettere di aver sbagliato, prendendoci la responsabilità delle nostre scelte, accettando che la punizione che ci è stata inflitta ce la siamo procurati da soli e che ce la siamo meritata.
Io ho paura del dolore, io ho paura di non farcela.

Ho paura che i miei mostri mi tradiscano, trasformandosi in avversari, ho paura di perdere il controllo su di loro. Ho paura di dare troppo di me agli altri, di consegnare loro qualcosa che non possono gestire. Qualcosa che mi appartiene e che potrei non riavere mai più indietro. Del resto, è così che funzionano i rapporti umani: dai per ricevere, ma non sempre restituisci ciò che non ti appartiene e ti viene restituito ciò che invece è tuo da sempre.
Per questo rinuncio all'idea di partecipare al gioco, mi accontento di stare a guardare.
Se non partecipi, non corri rischi.
Io odio i rischi, perché  non sai mai cosa ti capita dopo, cosa ne consegue.

A volte mi sembra di guardare gli altri esultare, piangere, arrabbiarsi, contorcersi dal dolore, vivere. Cerco di non lasciarmi coinvolgere, ma c'è sempre una piccola parte di me che vorrebbe buttarsi nella folla, sentire il sapore di quelle risate, di quel dolore, di quella rabbia. Da qualche parte in me qualcosa vorrebbe muoversi e uscire da questo stato di apatia in cui a volte precipito. Vorrei imparare a giocare, ma soprattutto vorrei imparare a perdere, ad accettare la sconfitta. Vorrei che qualcuno mi insegnasse a superarla. Solo imparando a perdere si impara a non aver paura di giocare.

Jonathan's pov

"Fratellone, sono a casa!"-mi urla Jane dal piano di sotto.

La sento salutare Maggie, per poi salire le scale ed avvicinarsi alla mia camera.
Bene, ora sono spacciato.

"Ciao!"-dice, spalancando la porta e facendo irruzione in camera mia.

"Ciao Jane"-la saluto annoiato.
Mi guarda con un sorriso inquietante sul viso...si prospetta qualcosa di orribile.

"Senti, mi chiedevo se volessi accompagnarmi a fare shopping...ho davvero bisogno di un nuovo guardaroba"-dice guardandomi.

Ecco, lo sapevo che era qualcosa di orribile.

"Non se ne parla nemmeno"-rispondo, spaventato solo al pensiero di doverla accompagnare in ogni maledetto negozio di Londra.

"Dai ti prego...avrei voluto andarci con un'amica, ma mi sono resa conto di non averle chiesto il numero. Ti prego"-dice avvicinandosi e facendomi il labbruccio.

"No Jane, tu sei la persona più indecisa che io conosca, mi chiederai continuamente pareri su quello che deciderai di provarti e la mia testa scoppierà"-spiego, cercando di non guardare il labbruccio.

"Ti prego"-chiede ancora, spalancando gli occhi e facendo lo sguardo da cane bastonato.

Cerco di resisterle, ma quando fa quella faccia è letteralmente impossibile dirle di no.

Sbuffo sonoramente, sapendo di essere costretto ad accompagnarla.

"Va bene, però se dovessi scocciarmi non ti aspettare che rimanga con te"-dico, alzandomi dal letto e mettendomi le scarpe.

"Si, tranquillo. Grazie Jonathan"-dice schioccandomi un bacio sulla guancia.
"Mmh"-rispondo, allacciando la seconda scarpa.

Esce dalla mia stanza, probabilmente per mettersi il giubbotto.
Indosso anche io il mio, dato che nonostante sia solo settembre ci sono dieci gradi, pochissimi in confronto ai venticinque di Los Angeles.

Pazienza, tanto ci si abitua anche a questo.
Scendo al piano di sotto, salutando Maggie e raggiungendo Jane vicino alla porta d'ingresso.

"Andiamo"-dice lei eccitata, aprendo la porta e uscendo.
La seguo, chiudendomi la porta alle spalle.

"Dove vuoi andare?"-le domando. La guardo riflettere come se stesse prendere la decisione più importante della sua vita. "Perché non andiamo al centro commerciale?"-propone lei, con lo sguardo ancora accigliato.

"Si, mi sembra una buona idea"-rispondo. Tanto mi annoierei lo stesso altrove.

"Perfetto, allora andiamo"-dice, avviandosi con il suo passo svelto e poco elegante.

La seguo, raggiungendola in poco tempo.
Per tutto il tragitto nessuno dei due dice una parola, siamo troppo immersi nei nostri pensieri per tornare nel mondo reale.

Chissà cosa ha fatto tutto il giorno, con chi è stata, di quale amica stava parlando poco fa.

Chissà se le è piaciuto il suo primo giorno di scuola.

Un'insegna luminosa mi riporta alla realtà.
O meglio, alla triste, macabra realtà nella quale io sto accompagnando mia sorella a fare shopping.

"Siamo arrivati"-mi informa Jane, sorridendo felice.
"Già, me ne sono accorto"-rispondo, ormai rassegnato.

Mi prende per mano e mi trascina all'interno del centro commerciale, dirigendosi subito in un negozio d'abbigliamento.

Non appena entriamo, mi lascia la mano e si fionda nel reparto femminile.
Si avvicina al primo stand, esaminando ogni singolo capo presente su di esso.

Non appena arriva all'ultimo, torna indietro e prende una serie infinita di magliette, vestiti e pantaloni.

In fatto di shopping, Jane è quasi inquietante.
La osservo prendere una manciata di vestiti dal secondo stand, per poi farmi cenno di seguirla.
Le vado incontro, cercando di stare al suo passo.

Arriviamo ai camerini in poco tempo.
"Ora, io provo queste cose e tu resti qui...non fare entrare nessuno"-mi ammonisce, sfrecciando verso il camerino e chiudendosi la porta alle spalle.

"Va bene"-rispondo, anche se Jane è già entrata.
Mi siedo sulla sedia grigia vicino al camerino in cui è appena entrata mia sorella, per poi tirar fuori il cellulare.

Cerco di ammazzare il tempo con i giochi virtuali, ma ad un certo punto anche quelli diventano noiosi.

Dopo venti minuti, Jane si decide ad uscire dal camerino-"prendo questi"-dice, indicando la massa di vestiti proprio dietro di lei-"queste invece no"-dice, alludendo alle due magliette che ha fra le mani.

La guardo allibito-"ora, tu mi dai una mano a portare queste cose alla cassa mentre io poso queste altre"-dice velocemente.

Sbuffo sonoramente, per poi andare a prendere i vestiti che Jane ha scelto e avviarmi verso la cassa.

Mia sorella mi raggiunge pochi secondi dopo, estraendo dal portafoglio la carta di credito di mamma e porgendola alla cassiera.

Quest' ultima guarda annoiata la moltitudine di vestiti che mia sorella ha deciso di comprare, trucidandoci con uno sguardo omicida.

Inizia a guardare i cartellini, digitando i prezzi di ciascun capo sulla calcolatrice.

Dopo una serie di interminabili secondi, finalmente alza gli occhi-"sono 275 sterline"-dice, afferrando la carta di credito che Jane le aveva dato.

"Ecco a voi. Grazie e buona giornata"-ci congeda, dandoci la busta stracolma di vestiti-"arrivederci"-risponde mia sorella, uscendo dal negozio.

"Bene, ora posso ritenermi soddisfatta...devo solo fare un salto in un altro negozio e poi possiamo tornare a casa"-spiega, andando a passo spedito verso il secondo negozio.

Mi fermo a guardare l'insegna del negozio in cui Jane ha intenzione di entrare.

No.
Tutto ma non questo.
Non il negozio della roba intima.

"Jane, io non mi muovo da qui"-la avverto, con tono deciso.

"Mmh, va bene, però aspettami"-risponde, entrando nel negozio.

Stai calmo Jonathan, non puoi uccidere tua sorella.

Invece vorrei tanto farlo.

Invece no. I tuoi genitori ti diserederebbero.

Non mi importa, non l'accompagnerò mai più a fare shopping.

Ma è tua sorella.
La piccola e cara Jane.

Piccola e cara un corno.

Lascio stare la mia coscienza e inizio a camminare avanti e indietro, davanti al negozio di intimo, sperando che Jane faccia presto.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro