Capitolo 4
Jonathan' s pov
"Vieni Jonathan, sediamoci qui"-mi dice Christine, trascinandomi verso un tavolo al centro della mensa.
La seguo, anche perché non mi lascia alternative.
Al tavolo verso cui ci dirigiamo sono già seduti quattro studenti-"Ragazzi, vi presento Jonathan...Jonathan, loro sono Kara, Edward, Thomas e Brady"-mi dice, indicando uno ad uno i presenti-"ciao"-rispondo, guardando ognuno di loro negli occhi.
Christine prende posto tra Kara e Brady, e con uno sguardo mi indica il posto tra i due ragazzi rimanenti, di cui ho già dimenticato i nomi.
"Ciao Jonathan, sei nuovo in questa scuola? Non mi pare di averti mai visto"-mi chiede il ragazzo con i capelli castani, leggermente tendenti al rosso-"si, vengo da Los Angeles"-rispondo, portandomi alla bocca quello che la cuoca mi ha consigliato e messo sul vassoio, senza aspettare il mio consenso.
Dopo alcune domande di circostanza, finalmente arriva quella a cui mi piace di più rispondere -"Fai sport?"-mi domanda Brady-"si, faccio basket da quando avevo sette anni"-ribatto, mangiando un altro po' di quello che credo sia riso e patate. Edward solleva il suo sguardo su di me-"fantastico, io sono il capitano della squadra di basket della scuola...che ne dici di fare le selezioni per entrare nella nostra squadra?"-mi domanda sorridendo. Se anche a Londra gli studenti giocano a basket, questa città non è poi così male.
"Certo, mi farebbe piacere, quando si terranno le selezioni?"-domando, sinceramente interessato-"domani alle quattro nella palestra principale, quella in fondo alle scale"-mi risponde. Lo ringrazio e penso che finalmente avrò la mia occasione per dimostrare quanto conta per me questo sport, per cosa ho sacrificato gran parte della mia vita.
"Hai lezioni nel pomeriggio?"-mi chiede Christine, cogliendomi di sorpresa.
"Non lo so"-rispondo, prendendo l'orario scolastico dalla tasca del jeans.
Lo osservo, cercando di non sbagliare la riga della tabella-"no, oggi pomeriggio sono libero"-rispondo, riponendo il foglio in tasca-"perfetto, ti va di riaccompagnarmi a casa?"-mi domanda civettuola-"va bene"-dico, non volendo essere scortese.
I minuti passano velocemente.
Christine parla con Kara, mentre Brady, Edward e il ragazzo biondo ridono e scherzano su qualsiasi cosa.
Decido di inserirmi nella loro conversazione-"sono convinto che la squadra che avremo quest'anno sarà migliore di quella degli anni precedenti"-dice Brady felice-"si sono d'accordo con te"-ribatte deciso il ragazzo biondo...credo si chiami Thomas-"vedremo domani"-dice Edward, placando un po' il loro entusiasmo.
"Da quanto tempo giocate a basket?"-domando, posando la forchetta sul tovagliolo-"io da quando ho iniziato il liceo"-risponde Thomas-"da quando avevo dieci anni"-dice Edward-"da due anni...all'inizio non mi piaceva"-dice sincero Brady.
"Jonathan, che ne dici di andare?"-mi chiede Christine, alzandosi dal tavolo e interrompendo la conversazione in cui mi ero appena inserito -"si, andiamo"-dico alzandomi e salutando tutti-"ciao Jonathan, ci vediamo domani in palestra"-mi saluta Edward, insieme a Thomas e Brady-"a domani"-dico, voltandomi e seguendo Christine fuori dalla mensa.
Margot' pov
Saluto Jane ed esco dalla mensa.
"Beata te che non hai nessun corso pomeridiano oggi"-mi dice scocciata-"mi dispiace Jane, almeno non è educazione fisica"-le dico per consolarla-"già"-risponde ridendo-"a domani"-mi saluta abbracciandomi-"a domani"-ripeto, accennando un sorriso.
La congedo e vado verso l'uscita.
Mio fratello ha gli allenamenti di basket oggi, quindi sono costretta ad andare a casa da sola.
Che noia.
Devo camminare da sola, alle tre del pomeriggio, per tre quarti d'ora, senza cuffie per la musica.
Fantastico.
Le urla dei ragazzi fuori dalla mensa mi distraggono.
Cosa hanno da urlare?
Assolutamente niente.
Esatto. Che fastidio.
Guardo la folla, disgustata.
Troppo caos. Mi gira la testa.
In un angolo, intravedo Christine: sta salendo sulla moto di un ragazzo, con il viso nascosto dal casco.
Quella ragazza non smette mai di stupirmi.
Un giorno la vedi con un ragazzo, due giorni dopo la vedi con un altro.
Lei è falsa, e lo è a tal punto da essere contornata da amici.
Perché alla fine è sempre così che va a finire: le persone false sono quelle che hanno più amici, perché assumono un comportamento diverso a seconda di chi hanno davanti, per farsi piacere a tutti.
Che odio.
Ormai tutti sanno che tra me e Christine non c'è possibilità di interazione normale...la gente ficca il naso ovunque.
Molti pensano che io sia invidiosa, che io in realtà voglia essere come lei.
Credo che lo pensi anche la stessa Christine.
Io non fornisco alcuna risposta, e le persone saltano subito a conclusioni tutte loro, naturalmente sbagliate.
Io sto bene da sola, se avessi voluto avere degli amici avrei fatto in modo di averli.
Ma io non voglio nessuno, io non ho mai voluto nessuno.
Non ne ho bisogno.
Io basto a me stessa, sempre e comunque, ma evidentemente questo concetto è talmente bizzarro e strano per i nostri giorni che, se ne dovessi parlare con qualcuno, quest' ultimo non mi crederebbe. Perché per gli altri è normale avere amici, ridere e scherzare con loro, raccontare loro tutto ciò che si è davvero, le proprie paure ed emozioni.
Beh, per me non lo è.
Ormai non faccio nemmeno più caso alle voci che girano su di me. Sembra quasi che mi abbiano preso per un enigma da risolvere, un mistero da svelare.
Ma è proprio questo il punto: io non voglio essere scoperta, io voglio rimanere nel mio alone di mistero, così le persone non mi conosceranno mai per davvero e non potranno ferirmi.
Perché alla fine è di questo che ho paura: di rimanere ferita, di non trovare la forza di rialzarmi, di non riuscire a scappare dal dolore, di mostrare i miei sentimenti agli altri.
Io la mia forza non l'ho mai cercata, perché nessuno mi ha dato motivo di farlo.
Per cui, non posso sapere se la forza c'è o no.
E se non ci fosse affatto?
Meglio non rischiare.
Una spinta mi riscuote dai miei pensieri.
Comincio a camminare, non mi giro nemmeno per vedere chi mi ha spinto.
Mi stringo nella giacca, avanzando il passo.
C'è troppa confusione.
Non mi sento bene.
Cerco di non guardarmi intorno, di focalizzare l'attenzione sui miei piedi, che si muovono veloci sull'asfalto.
Troppe voci.
Troppe risate.
Troppi volti.
Non devo permettere alla paura di sopraffarmi.
Devo resistere, come resisto a tante altre cose.
Devo solo allontanarmi, solo allontanarmi da questa massa impazzita di persone.
Devo solo muovermi.
Ho paura.
Mi manca il respiro.
Troppe voci in testa, le orecchie fischiano.
No, un attacco di panico no.
Non qui.
Non con le persone che mi guardano.
Non ora, Margot, non ora.
Jonathan's pov
"Grazie Jonathan...sei stato davvero gentile ad accompagnarmi"-mi ringrazia Christine, schioccandomi un bacio sulla guancia.
"Prego"-rispondo, scostandomi da quel contatto troppo intimo, troppo immediato.
"Bene, ci vediamo domani?"-mi domanda, battendo le sue ciglia lunghissime-"certo, a domani"-ribatto, salendo sulla mia moto e facendo accendere il motore.
Mi guarda con un sorrisetto curioso sul volto, per poi voltarsi e incamminarsi verso la casa proprio dietro di lei.
Parto subito, facendo rombare il motore. Sento le ruote stridere sull'asfalto mentre sfreccio veloce verso casa.
Londra in questo momento non è altro che il suono dei clacson che mi dicono di rallentare, una massa indistinta di palazzi, non è altro che un dettaglio.
Ci siamo solo io e la velocità.
Purtroppo, sono costretto a fermarmi davanti al semaforo.
Mi guardo intorno, in cerca di qualcosa che possa momentaneamente distrarmi.
Sul marciapiede sinistro, una folla è accalcata su qualcosa.
Guardo meglio, concentrandomi sui volti dei presenti: sono studenti della London High School, riconosco la maggior parte di loro.
Probabilmente stanno solo facendo un po' di casino, giusto per far qualcosa.
Più avanti, una ragazza sta correndo, stringendosi nella giacca.
Sembra spaventata.
Dal cappotto, intravedo una ciocca rossa.
Solo una ragazza ha i capelli così rossi.
Solo la ragazza del parco.
Solo Margot Victoria Smith.
Ma perché sta correndo?
Perché ora sembra talmente terrorizzata da non riuscire a respirare in modo regolare?
Perché sta piangendo?
Di nuovo i clacson.
Mi giro di scatto verso il semaforo: verde.
Stanno aspettando me.
Mi stanno urlando di muovermi.
Io non riesco a mettere in moto.
Perché nessuno aiuta Margot?
Perché nessuno sembra accorgersi del fatto che non stia bene?
"Per quanto tempo hai intenzione di rimanere lì? Io ho fretta"-mi urla qualcuno.
Altri clacson.
Margot corre.
Corre con le lacrime agli occhi, come una bambina che è stata appena vittima di un brutto scherzo.
Ma questo non è uno scherzo.
Quando si cresce, non si piange più per le stupidaggini.
Io non so cosa fare.
Metto istintivamente il piede sull'accelleratore, per poi sfrecciare sulla strada davanti a me.
Magari mi sono sbagliato.
Magari non era lei.
Magari non stava piangendo.
Magari non c'era niente di strano.
Piangere è normale.
Forse ho immaginato tutto, comprese le lacrime.
Si, è successo tutto nella mia immaginazione.
Mi viene difficile pensare che una ragazza come Margot possa cedere fino alle lacrime.
Ecco perché mi piace, per questo è riuscita ad attirare la mia attenzione, tanto da farmi desiderare di conoscerla.
Perché da lei non voglio nient'altro.
Le altre ragazze che, in passato, hanno attirato la mia attenzione, l'hanno attirata per motivi ben diversi.
Lei no.
Lei non mi ha attirato per bisogno fisico, ma per curiosità.
Mi incuriosisce, perché nessuno la conosce veramente, perché non piange mai, perché non permette a nessuno di oltrepassare il muro in cui si è chiusa, lasciando fuori gli altri.
Io voglio entrare nel suo muro, voglio capire cosa nasconde all'interno, voglio capire perché è così acida con tutti.
Voglio capirla.
Voglio conoscerla.
Voglio sapere tutto di lei.
Voglio entrare nel suo mondo, perché se c'è una cosa di cui sono convinto è che lei viva in un mondo tutto suo.
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