Capitolo 13
Lasci che i tuoi pensieri
Caschino su guance calde senza sole.
Ferite a bordo del mio corpo,
Tristi pensieri a quelli allegri spezzano l'osso del collo
Stanotte solitaria non passa all'alba
Non passa l'aria, soffro d'asma
- Giaime
Adam si voltò per guardarsi alle spalle, ma Alec non lo imitò: sapeva già cosa sarebbe accaduto, era solo questione di tempo prima che esplodesse una tempesta in casa Brass.
«Fammi uscire» disse con urgenza, e l'altro non se lo fece ripetere due volte. Forse aveva capito la gravità della situazione.
«Alec! Sei impazzito? Esci subito di lì! Oddio, ti vuoi ammazzare...» iniziò Louise, dando vita a un monologo decorato da imprecazioni e finti svenimenti.
Il ragazzo s'issò sul bordo della piscina e si scrollò l'acqua dal capo. Nel suo campo visivo entrò la sua famiglia al completo, più Eleanor che, i capelli elegantemente raccolti in uno chignon, si teneva un po' a distanza, forse per dargli spazio. Stephen affiancò la moglie e la sostenne per un braccio, mentre con gli occhi correva rapido da lei al figlio. Quest'ultimo vi lesse all'interno una preoccupazione evidente, ma non seppe se fosse diretta – con stupidità – a lui stesso oppure alla piega che le circostanze stavano prendendo.
«Alec, ti rendi conto di ciò che stavi facendo? Avresti potuto...» Smise di ascoltarla. Ultimamente gli era sempre più facile isolarsi da tutto quando la madre esordiva con qualcosa di simile. Questa volta, però, non riuscì ad annullarsi a tal punto da dimenticare che quella donna aveva appena distrutto uno dei suoi pochi momenti allegri da molto tempo a quella parte.
«Tu non capisci un cazzo di me e mai lo capirai! Stai zitta almeno, e trattieniti ogni tanto dal rovinarmi la vita!» Avrebbe desiderato dire qualcosa anche a quell'insulso uomo che si ritrovava come padre, ma si trattenne. Non voleva fare scenate, non voleva fare scenate, non voleva fare scenate. Continuò a ripeterselo nella mente mentre si arrampicava sulla propria sedia come se fosse la sua unica salvezza, portandosi dietro l'asciugamano di Adam.
Ignorò bellamente Louise che ormai l'aveva raggiunto e si mosse spedito verso la casa. Incrociò per un attimo lo sguardo di Iris che lo osservava compassionevole. La cosa non fece che accrescere la sua furia: non c'era persona al mondo che potesse comprenderlo, nemmeno sua sorella, alla quale pareva far pena.
Istintivamente si voltò verso Adam, ancora nell'acqua, e vide nei suoi occhi la medesima ira che vorticava impervia nel suo stesso stomaco. Non era vero: c'era qualcuno che lo capiva. Adam riteneva ingiusto tutto quello almeno quanto lui, ma non provava pietà; provava furore.
«Stephen, di' qualcosa anche tu!» udì ordinare da quella vipera di sua madre.
Il suo povero padre si ritrovò definitivamente in una posizione spiacevole, ma Alec sapeva che non avrebbe avuto il coraggio per difenderlo, come sempre. Ne ebbe la conferma quando si sentì chiamato anche da lui in modo autoritario, sebbene non convinto. Ormai era quasi arrivato all'entrata, che sorpassò in fretta senza dar retta all'uomo, tanto fermarlo non era sua vera intenzione. Era solo soggiogato dall'autorità di quella sgradevole donna, un po' come lui stesso, in fondo. Almeno lui però cercava di ribellarsi.
L'ira lo spinse su per la salita accanto alle scale come un razzo, e si rifugiò in camera. Si tolse i vestiti zuppi e rimase solo con i boxer, poi stese l'asciugamano sul letto e vi si gettò sopra a pancia in giù, nascondendo il viso tra le pieghe del cuscino. Era mentalmente esausto e tremava dalla testa ai piedi, sia per la temperatura interna più bassa sia per la rabbia che lo scuoteva da dentro. Anche questa volta quella donna era riuscita a rovinargli la giornata.
Sospirò pesantemente l'aria filtrata dal tessuto spugnoso che sapeva della stanza di Adam. Valutò sul serio l'idea di andarsene, tuttavia riconobbe di non averne il coraggio. C'era qualcosa che ancora glielo impediva, qualcosa che gli imponeva di essere alla mercé della sua famiglia. E tal cosa non era solo attribuibile alla sua disabilità, che già di per sé non gli avrebbe consentito di andare da nessuna parte; tutta una serie di fattori, a cominciare dal fatto che era minorenne fino ad arrivare alle persone che lo circondavano, come Iris, escludevano in partenza l'idea di una fuga.
Qualcuno bussò, ricordandogli in modo spiacevole che non aveva chiuso a chiave. Restò in silenzio sperando che sua madre se ne andasse, ma quando udì di nuovo bussare si accorse che non era lei.
«Alec?» lo chiamò Adam, mantenendo un tono basso e neutro.
«Va' via.» Non gli importava di risultare rude, voleva stare da solo.
Adam non proferì parola per qualche istante, e per un attimo Alec si sentì in colpa per essere stato così duro. Poi si aprì uno spiraglio e il giovane entrò senza permesso. Non ne fu affatto sorpreso, avrebbe dovuto pensare a chiudersi dentro prima. Rimase immobile, talmente affranto da dimenticarsi anche di essere privo dei vestiti che di solito lo proteggevano da sguardi indiscreti.
Avvertì i passi di Adam arrivare fino al letto, ma non si voltò, nemmeno quando l'amico si sedette sul bordo accanto a lui.
Il silenzio fu l'unico elemento percepibile nella stanza. Il respiro di Alec era attutito dal cuscino e quello di Adam sembrava momentaneamente interrotto. Alec attese che parlasse, ma l'altro non pareva voler iniziare una conversazione, e a lui stava bene così. Poi un dito lo sfiorò appena, delicato, come se fosse fatto di vetro e potesse rompersi. Il fiato gli venne meno, i muscoli della schiena si contrassero mentre la mascella si serrava involontariamente. Adam aveva toccato una cicatrice.
«È per questo che ti vergognavi?»
Alec si alzò su un gomito e si volse quel tanto che bastava per afferrare il polso di Adam. Strinse la pelle fino a farla sbiancare e fissò duro il ragazzo dai capelli nero-blu ancora umidi. «Non toccarmi» disse tra i denti, con l'intento di spaventarlo fino a mandarlo via. Tuttavia quello non si mosse. Avrebbe dovuto aspettarselo da lui, era imperscrutabile come al solito.
«Non devi sentirti in imbarazzo per una cosa che fa parte di te.»
Non riuscì più a reggere il suo sguardo e desiderò urlargli contro fino a farlo stare zitto, ma qualcuno bussò alla porta e lo fece scattare a sedere. Afferrò l'asciugamano e se lo mise sulle spalle a mo' di coperta, poi si portò l'indice alle labbra per comunicare a Adam di fare silenzio.
«Alec, posso entrare?» gli chiese Louise dal corridoio. Il tono era ancora alterato, ma tutto sommato inoffensivo.
«Chiudi a chiave» ordinò al giovane accanto a sé, che lo osservò contrariato. «Chiudi!» insistette, e alla fine lui obbedì.
Quando il click metallico della serratura scattò, la madre protestò dall'altra parte, ma venne ignorata.
«Forse è il caso che tu l'affronti» propose Adam a bassa voce, dopo essersi riavvicinato.
«Non servirebbe a niente» rispose lui.
«No, certo, se non fate altro che urlare. Invece dovreste confrontarvi in modo tranquillo.»
Solo al pensiero gli si stampò in volto un'espressione sofferente. La tranquillità non era contemplata nelle loro conversazioni. Era come se non parlassero la stessa lingua, la comunicazione era impossibile.
«Non puoi isolarti da tutto e da tutti, Alec.»
Alec accentuò la smorfia che aveva sul viso senza volerlo. «Non mi isolo da tutti! Con te parlo» si lasciò sfuggire, poi si morse l'interno di una guancia per essere stato così disattento.
Adam ruotò appena la testa di lato, ma non ribatté. Nel silenzio della stanza si udì di nuovo la voce di Louise. Alec non ne poteva più.
«Vattene» le intimò, ma la donna non desistette.
«Alec, dall'incidente le cose non hanno fatto che peggiorare tra noi. Devi affrontare la tua situazione attuale, non puoi continuare a vivere come se niente fosse.»
Le sue parole lo fecero tremare. Come si permetteva di dirgli quelle cose? Davanti a Adam, poi!
«Vattene!» gridò molto più forte di prima, così tanto che avvertì la gola graffiata da quell'unico ordine.
La signora Callaway ricominciò a blaterare, ma le sue idiozie non lo raggiunsero perché Adam gli si parò di fronte e gli poggiò i palmi freschi sulle orecchie.
«Calma» mimò con le labbra, e il litigio con la madre gli scivolò di punto in bianco di dosso. Il battito rallentò, il corpo smise di essere scosso dall'ira. Chiuse le palpebre e prese un respiro profondo, cercando di non pensare che Adam sentiva tutto ciò che Louise insinuava. Quando buttò fuori l'aria le riaprì, e le mani del ragazzo si allontanarono dalla sua testa.
«È andata via?» domandò.
L'altro si grattò il capo. «No, ma non ascoltarla per adesso.»
Annuì, anche se aveva enormi difficoltà a mantenere la quiete con la donna che continuava a parlargli dell'incidente. Per qualche strano motivo, poi, il suo cuore non la voleva smettere di correre all'impazzata, e la cosa gli faceva mancare l'aria quasi fino a star male. Non riuscì a reprimere una nuova smorfia.
«Stai bene?» gli chiese Adam, avvicinandoglisi di più.
Fece cenno di sì, ma probabilmente non fu abbastanza convincente. Adam gli prese un polso e glielo strinse, e fu in quell'occasione che si accorse che c'era qualcosa che non andava nel suo battito.
«Che diavolo, Alec! Ti prenderà un infarto se continui così.»
Alec non poté fare a meno di guardarlo spaesato. Sì, era veloce, ma non molto sopra la sua media.
Come fosse un dottore, Adam gli spalancò l'occhio e ci scrutò dentro con attenzione. Alec era troppo frastornato per riflettere sulla stranezza di quel gesto professionale. Si sentì spinto per le spalle e non si oppose, ritrovandosi sdraiato sulla schiena. L'asciugamano scivolò via e la sua pelle si riempì di brividi. Cercò di coprire l'addome e il fianco sinistro, in imbarazzo, ma Adam aveva già raggiunto il suo armadio per afferrare una maglietta.
«Da quanto tempo non dormi bene?» volle sapere mentre gliela porgeva.
Alec se la infilò rapidamente senza alzarsi, poi fece spallucce. Solo in quel momento si rese conto che il silenzio era tornato in corridoio, forse già da un po'.
«Da prima di venire qui.»
Adam scosse la testa, sedendoglisi di nuovo accanto.
«E quanto hai dormito la notte scorsa? Hai gli occhi arrossati.»
Alec si portò le mani al viso con fare scocciato e si girò dall'altra parte, emettendo un lamento.
«Alec, rispondimi» insistette Adam, sporgendosi sopra di lui per non permettere al suo sguardo una via di fuga.
«Non lo so, qualche ora» buttò lì con un borbottio.
Adam sospirò e gli si allontanò, permettendogli di rimettersi seduto.
«Devi dormire almeno otto ore. Dimmi che lo farai» gli disse inaspettatamente. Gli sembrava quasi di star parlando con uno dei dottori che, in passato, gli avevano consigliato barche di farmaci.
«Cosa c'entra ora?»
«Dimmi che lo farai» ripeté.
Alec sbuffò. «Non dipende da me!»
L'espressione di Adam si fece preoccupata, tanto che Alec si sentì scaldare il petto. Era questa la differenza tra colui che aveva davanti e quegli sconosciuti provvisti di laurea: a Adam importava di lui.
«Se non dormi si alza la pressione e finisci come poco fa, senza contare tutti gli altri aspetti negativi che si potrebbero scatenare.»
La sorpresa di vederlo così allarmato lo scosse, lasciandolo per qualche momento privo di parole. Quando si riprese assunse un tono disinteressato, atto a sdrammatizzare la situazione.
«Sta' tranquillo, Adam. Non devi stare in pensiero per me.»
Adam alzò un sopracciglio e fece per dire qualcosa, ma all'improvviso si interruppe. Ci rifletté un attimo e cambiò approccio. «Dormirai, a costo di darti una botta in testa ogni volta che apri occhio» lo canzonò, facendolo finalmente ridere.
Alec alzò le mani in segno di resa e si dichiarò sconfitto. Sapeva che non avrebbe riposato in ogni caso, quindi tanto valeva stare al gioco.
«Sai che ti dico?» se ne uscì Adam. «Stasera saltiamo la cena e ce ne restiamo qui. Mangiamo e dormiamo fino a domani.»
*
Adam richiuse la porta, sovrappensiero, insicuro se lasciare solo Alec per farsi una doccia fosse una buona idea. Tuttavia, il cloro che gli si era seccato sulla pelle gli dava fastidio, e inoltre era ancora in costume, quindi tanto valeva andare a lavarsi in fretta, per poi tornare.
Mosse un piede, ma nell'immediato si fermò. Non si era accorto della ragazza che, davanti a lui, lo fissava in silenzio, a metà tra il diffidente e il curioso, al di sotto del cappuccio di una felpa che le stava eccessivamente grande. Con quei boccoli biondi e il rossore sulle guance, sembrava quasi una bambola di porcellana. Forse era imbarazzata dal trovarlo con un solo asciugamano a coprirgli le spalle, ma non accennò nulla a riguardo.
«Iris» l'accolse con poco entusiasmo, non per lei quanto per la situazione. Compié un passo verso la sua figura e lei lo sorprese rimanendo immobile. Si era aspettato che fuggisse da un momento all'altro.
«Alec...» iniziò a domandare, il viso rivolto a terra; poi lo alzò per poterlo affrontare faccia a faccia e proseguì: «Che cosa ti ha detto?»
A quella ridotta distanza, Adam dovette quasi poggiare il mento contro il collo per guardarla, tanto era bassa: gli arrivava circa al petto.
«Più che cosa mi ha detto, chiederei in che stato l'ho trovato» ribatté con un filo voce per non farsi sentire, poi con il capo le fece cenno di seguirlo. Cominciava ad avere freddo. «Credo che Alec non stia bene» proferì una volta iniziato a camminare. Non era nessuno per constatare una cosa del genere, eppure si fidava del suo spirito di osservazione e delle conoscenze basiche che aveva riguardo la medicina e il corpo umano, derivate da lunghi anni di studi.
«È ovvio che non sta bene. Tu come staresti al suo posto?» La considerazione era forse accusatoria, ma il tono no, cosa che lo portò a girarsi verso di lei per esaminarla. Gli avanzava al fianco, a tratti illuminata dalle luci a parete che accompagnavano il percorso. Sembrava tranquilla, solo la ruga al centro della fronte suggeriva il suo vero umore.
«Hai ragione, Iris, ma qui non stiamo parlando del modo in cui ha vissuto finora, bensì di come sta peggiorando di giorno in giorno. Tuo fratello non dorme, mangia a malapena e vive in un continuo stato di stress e ansia.»
La giovane lo guardò stupita. «Nessuno mi ha detto queste cose. Tu come lo sai?»
Adam fece spallucce, fermandosi davanti alla sua stanza. «Osservo.»
Aprì la porta e con un gesto invitò Iris a entrare. Lei analizzò l'interno prima di decidere che non era pericoloso, ma mantenne comunque il sospetto sul volto una volta che furono dentro entrambi.
«Non preoccuparti» la rassicurò, in un tentativo di far sparire quell'angoscia da lei. Forse aveva sbagliato a impensierirla così, era poco più che una bambina. Aveva solo un anno meno di lui, ma Adam sapeva di essere piuttosto adulto per la sua età. «Stasera starò io con lui, e mi assicurerò che mangi e dorma a sufficienza.»
Iris fece qualche passo e si sedette sul bordo del letto. Né Adam né Mya avevano mai invitato amici in casa poiché Eleanor lo aveva proibito, quindi sentì una strana sensazione a ricevere una ragazza nella sua camera.
Iris, ignara di ciò che gli passava nella mente, fissò le iridi azzurro mare nelle sue e disse seria: «Mio fratello si fida davvero tanto di te. Non ho mai visto Alec così, di sicuro non da quando ha avuto l'incidente; ma forse neanche prima.»
Alla parola "incidente" Adam fremette per domandare di più, ma si trattenne.
Già una volta aveva approfittato della signora Callaway per sapere di più riguardo la disabilità di suo figlio, ma quest'ultima non gli aveva fornito dettagli su come era avvenuto l'infortunio. Aveva semplicemente detto che Alec non gliel'avrebbe perdonato se l'avesse rivelato, cosa che l'aveva alquanto sorpreso, poiché si era fatto un'idea di lei un po' più menefreghista. Ma era stato un giudizio affrettato, basato sul suo rapporto con la fredda Eleanor, che l'aveva probabilmente condizionato.
Da lì aveva iniziato a credere che Louise volesse davvero bene ai propri figli, ma un po' a modo suo, e che tutte le insistenze che soffocavano Alec non avevano come obiettivo quello di rovinargli la vita, come credeva lui. Aveva deciso che le avrebbe parlato per farle capire il bisogno di libertà di Alec, ma non aveva ancora trovato l'occasione per un discorso così importante e complesso da costruire.
Adam era un buon oratore e ne era al corrente, perciò avrebbe sfruttato quella capacità al massimo, preparandosi a una conversazione di quel calibro.
«Potresti anche essere un bravissimo manipolatore, ma Alec non si farebbe fregare da trucchetti simili, quindi non mi resta che pensare una cosa» proseguì Iris. La vide stringere tra le dita le pieghe della coperta senza quasi accorgersene, forse per trattenere l'agitazione nel trovarsi lì. Non nascose lo scetticismo per il modo in cui era stato definito, ma non la interruppe. «Stai davvero cercando di aiutare mio fratello, e non so perché, ma ti ringrazio.»
Stupito, per qualche secondo mantenne il silenzio, poi le si avvicinò lentamente nel timore di spaventarla. La ragazza rimase guardinga finché non le si sedette vicino. Le portò una mano sul dorso della sua e lei sobbalzò, ma non si ritrasse.
«Grazie per la fiducia.» Sorrise.
Lo sguardo di lei cadde sul suo addome scoperto e la sorprese ad arrossire. Il suo sorriso si allargò, mentre si rallegrava per quella nuova, faticosa conquista. Anche il rapporto con Iris era ora in discesa.
*
Alec si passò un asciugamano sulla testa e notò con piacere che i capelli gli stavano ricrescendo.
La giornata l'aveva stancato non poco, ma la serata in vista si prospettava rilassante. Adam gli aveva detto di separarsi per una doccia, rincontrarsi più tardi per cenare in anticipo e fare una partita alla play, per poi addormentarsi davanti a un film, o qualcosa di simile.
Ancora non pensava di potercela fare, ma la calma che lo avvolgeva quando era in presenza di Adam era tanta, quindi si sentiva fiducioso.
Si osservò allo specchio e desiderò improvvisamente di avere un aspetto meno spaventoso. Aveva sempre saputo di essere affascinante nonostante tutto, e spesso usava quella dote a proprio favore, ma mai come in quel momento si era visto tanto trascurato.
Un ticchettio alla porta della camera lo riscosse, ma si guardò bene dall'aprire senza avere idea di chi fosse. Non voleva ospiti indesiderati. Una voce minuta ma decisa chiamò il suo nome, chiedendo di poter entrare, e lui si tranquillizzò.
Si infilò la maglietta pulita e uscì dal bagno dai toni dorati per andare ad aprire. Mya era dall'altra parte e indossava una comoda tuta un po' meno attillata di quella che lui aveva apprezzato quel pomeriggio. Le lunghe ciocche, leggermente umide, erano raccolte in due codini che scendevano morbidi giù per le spalle, invitandolo quasi a intrecciarci dentro le dita.
«Che ci fai qui?» domandò sorpreso.
Lei fece una smorfia indispettita. «Certo, Alec. Anche io sono felice di vederti» ironizzò. Non era mai stato esperto di buone maniere, era solito dimenticarsi completamente di come si trattava con gli altri.
«Perdonami. Se vuoi puoi entrare.»
Lei alzò un sopracciglio davanti a tanta gentilezza da parte sua, ma non sapeva che in realtà Alec preferiva non rimanere sulla soglia per non ricevere incontri sgraditi.
Mya si accomodò sul letto mentre si guardava intorno, focalizzandosi ora sull'abat-jour di cristallo che stava sul comodino scuro, ora sulla scrivania che Alec non aveva quasi mai utilizzato. Non era la prima volta che si trovava nella sua stanza, ma sembrava curiosa.
«Cosa ti porta qui?» chiese di nuovo Alec, cercando di risultare meno rude rispetto a poco fa.
La ragazza dondolò impercettibilmente i piedi. «Ho saputo ciò che è successo oggi.»
Alec strinse i denti, a disagio. Non aveva alcuna voglia di essere compatito anche da lei.
Mya corrucciò le sopracciglia come era solita fare, ma l'espressione infastidita che assunse superò qualsiasi altra che le aveva già visto fare. «È una cosa impossibile, Alec! Hai diciassette anni, sei perfettamente in grado di decidere cosa fare della tua vita! Dillo a tua madre che non sei un bambino incapace» inveì, sporgendosi verso di lui.
Alec rimase disarmato. Tra tutto quello che si sarebbe aspettato di udire da Mya, quelle parole non erano contemplate. Appariva adirata quanto lui, ma l'indignazione che fuoriusciva dalla sua voce era di gran lunga superiore a quella di Alec, che l'aveva persa strada facendo all'interno del vortice d'ira.
La testa gli girò per un attimo e fu obbligato ad abbassarla. Forse Adam aveva ragione riguardo le conseguenze del non dormire. Riuscì solamente a fornire una risposta distratta. «Lo pensi davvero?» Non poteva nascondere che era colpito di sentirsi dire tutto ciò dalla stessa ragazza che gli aveva remato contro all'inizio. Negli ultimi giorni sembravano essere cambiate molte cose tra loro.
Lei lo guardò come se fosse uno stupido. «Certo che sì, ma non ti rendi conto? Io sarei già morta soffocata al tuo posto e, credimi, non per l'acqua di una piscina! Persino mia madre, che di solito non ha un cuore, se n'è accorta.»
Alec dovette ammettere che effettivamente non si era mai infuriato in quel modo. Prima di tutta quella storia si era sempre divertito a prendere in giro Louise quando gli aveva arrecato qualche torto. Se ne usciva con bravate come non rincasare la sera o rovinare l'onore della famiglia a pranzi e cene importanti. Ora invece covava più odio di quanto non ne avesse mai avuto, e ciò lo spingeva a perdere di vista la propria vita, a non riflettere più con criterio e ad annullarsi. Era esattamente quello il problema: stava perdendo il concetto di chi era e come meritava di vivere.
«Hai ragione» le disse sicuro, tornando come un elastico alla sua vecchia mentalità, quella che stava già architettando una piccola vendetta. «Vedrai, prima o poi capirà» continuò, con un intento del tutto diverso da quello che poteva apparire. Un'idea malsana andava formandosi nella sua mente, che ora correva senza freni verso qualcosa di pericoloso e inaspettato.
«Oh, Alec. Se ti serve una spalla amica, io ci sono» gli assicurò decisa Mya, poi arrossì subito dopo.
Alec sorrise e ringraziò, ma non tenne realmente conto dell'invito. Ciò che aveva in mente doveva portarlo a termine da solo.
*Revisionato*
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