41| angel
Come mio solito, dopo scuola raggiungevo Jeff. Questa volta aveva voluto accompagnarmi Dylan con la mia nuova moto, quella che mi avevano regalato i nonni per il compleanno, la 883 nera. Ancora non aveva un nome, anche se erano giorni che ci stavo ragionando, ma non riuscivo ad uscirmene con nulla. Con quella di Dylan era stato molto più facile, ci avevo messo pochi minuti a pensarlo e subito gli era piaciuto. Minerva era il suo nome, come quello della dea romana della guerra e della saggezza.
Quando arrivammo da Jeff, ci accolse, come sempre, con un gran sorriso e con uno stretto abbraccio di gruppo sempre abbastanza imbarazzante per entrambi, mentre per lui era solo una forma per farci sapere che ci voleva bene. Poi passammo subito al lavoro. Io presi sotto mano una moto che stavo aggiustando dal giorno precedente che aveva un grave problema al motore. Dylan era diventato il mio assistente personale da qualche giorno e, ormai, aveva imparato tutti i nomi degli attrezzi che riempivano i cassetti e le scatole del proprietario. All'inizio sbagliava o confondeva.
Avevamo fatto una scommessa: ogni volta che sbagliava portarmi un attrezzo, doveva fare una faccia buffa per farmi ridere, ma ovviamente sarebbe stato troppo facile così, allora io diventato seria, o almeno cercavo di esserlo, per renderlo più difficile. Non era una scommessa difficile o cattiva, proprio perché non volevamo che lo fosse, più che altro era un piccolo gioco tra noi due. Il nostro rapporto non era più come quello di un paio di mesi prima formato solo da battutine taglienti e brutti scherzi, era maturato come stavamo facendo anche noi.
Proprio quel giorno aveva confuso due attrezzi, allora mi fece una prima faccia buffa, ma non mi convinse molto, così gliene feci fare un'altra e mi dovetti mordere il labbro per non ridere. Mi guardò negli occhi con la faccia da Carletto, il camaleonte dei sofficini Findus. Stavo per arrendermi quando prolungò lo sguardo, ma mi obbligai a spalancare gli occhi per non lacrimare. Sbuffò e mi iniziò a fare il solletico nei fianchi. Non riuscii a resistere. Imbrogliando, mi aveva fatto ridere. Le sue mani nei miei fianchi mi facevano venire i brividi lungo la schiena e la sua risata calda cullava la mia frenetica.
"Basta! Ti prego, basta! Hai vinto, okay?" gli dissi tra le risate. Ovviamente non smise, ma mi prese per i fianchi, aggrappandosi alla mia vita. Mi fece girare qua e là sotto lo sguardo divertito di Jeff.
"Mi ricordate la mia gioventù, ragazzi." ci disse con un tono pieno di malinconia.
"Lo dici come se fossero passati secoli, non eri un ragazzino solo ieri?" dissi ironica.
Rise con trasporto. "Magari, Elle. Vivete la vostra gioventù finché non finisce. Godetevela!"
"Ma, Jeff, come hai vissuta la tua?" gli chiese Dylan. Era vero che aveva sempre frequentato Jeff da quando era piccolo, ma aveva superato i quaranta già allora.
"Non avreste più una considerazione così elevata di me se ve la raccontassi. La mia dignità svanirebbe per davvero." ci informò, distogliendo lo sguardo dai nostri corpi ancora ravvicinati.
Lentamente Dylan lasciò scivolare le sue mani dai miei fianchi, come se quell'informazione fosse devastante per lui. E quando girai il volto verso il suo, notai che era diventato tutto d'un tratto serio. Allora mi avvicinai verso il vecchio e, appoggiando una mano sul suo ginocchio, gli chiesi di raccontarmi ciò che lo preoccupava. "Elaine, devi capire prima di tutto una cosa. Io non ero come voi, non vi assomigliavo per niente. O meglio, forse assomigliavo più a te che a nessun altro di qui, ragazzina. Ma a Dylan non assomigliavo proprio. Lui è sempre stato- ed è tutt'ora- un ragazzo d'oro, buono, gentile, amabile, con un comportamento perfetto e un carattere altrettanto perfetto. Io non ero così. E ora che te l'ho messo in chiaro, spero tu abbia già iniziato a farti un'idea del ragazzo che ero." Parlava con malinconia e asprezza nei confronti di se stesso e allo stesso tempo mi parlava come se ci fossi stata solo io ad ascoltarlo, eppure c'era anche Dylan con noi. "Vivevo in Texas, come ti avevo già accennato tempo fa. Vivevo in una famiglia disastrata, tanto per farti un esempio, mio padre era un alcolista ed era sempre ubriaco. Sprecava i pochi soldi che mia mamma guadagnava, lavorando tutto il giorno, in alcolici, ma riuscivamo a cavarcela comunque in qualche strano modo. Così vissi con i miei fino all'età di diciassette anni, poi fui cacciato di casa, perché a mia madre non piaceva com'ero diventato." Fece una pausa, in cui mi strinse una mano con trasporto. Deglutì e poi continuò. "Ero diventato come mio padre: un ubriaco maschilista che non conosceva ciò che significava l'autocontrollo. Dicevo che volevo la libertà, che loro ostacolavano i miei sogni, ma in realtà l'unica cosa che avevo sempre desiderato era l'affetto da parte di qualcuno. Mia mamma era troppo impegnata a non deludere mio padre e non era il suo affetto che cercavo, ma era quello di mio papà, ma anche lui era impegnato in qualcos'altro perciò non poteva amarmi. In questo mi assomigli, ragazzina. Quando sei arrivata qui per la prima volta, con quel tuo atteggiamento beffardo e duro, con la tua voglia di litigare e attaccare gli altri, eri proprio simile a me, quando me ne andai di casa. Ero diventato così freddo e antipatico che le persone mi stavano accanto solo perché le intimorivo. Finché..." Si fermò di nuovo, ma da sotto la barba vedevo che un piccolo sorriso si stava facendo spazio tra le sue labbra.
"Finché?" domandai curiosa, sorridendogli di ricambio.
Spostò lo sguardo dai miei occhi a quelli di Dylan che era ancora in piedi dietro di me da prima. Girai anch'io lo sguardo e notai che Dylan lo guardava con trasporto e che fino a quel momento lo aveva seguito con attenzione.
"Finché non la incontrai. Era stata una salvezza per me, un angelo sceso dal cielo per illuminarmi la retta via. Grazie a lei, avevo cambiato prospettiva. Se prima prendevo decisioni con l'unico scopo di divertirmi e spassarmela, visto che ero giovane, con lei ogni cosa prendeva il proprio significato, anche le più piccole cose per lei avevano un valore. Ma poi, quando se ne andò per un college prestigioso, ritornai peggio di prima. Per la prima volta ero stato amato, ma poi ero stato anche abbandonato. Non provai nulla per anni interi, facevo feste e feste, me la spassavo, ma nulla era più importante senza di lei. Nulla aveva più senso senza di lei, nemmeno divertirsi."
Era proprio bello come ce lo aveva raccontato, mantenendo il sorriso durante ogni parola. Era come se quella felicità che aveva provato assieme a quella ragazza gli fosse rimasta ancora.
"E poi come hai fatto a diventare la persona che sei oggi?" gli domandò Dylan.
"L'ho finalmente ritrovata." disse con semplicità.
"Davvero? Ma che bello! E ora dov'è?" domandai entusiasta.
Si bloccò di nuovo, massaggiandosi il collo. "Ora è con un altro, come lo era quando finalmente l'avevo vista di nuovo."
Il sorriso sul mio volto svanì improvvisamente. "Mi dispiace, Jeff. Non dovevo intromettermi, scusami."
"Non ti scusare per la tua curiosità, ragazzina. Ora sto bene, ho voi, no? Inoltre il rimpianto è l'emozione più forte perché qualunque cosa tu faccia, finché vivi nel passato nulla cambierà." disse, sorridendoci.
Gli sorridemmo, lasciando ogni domanda che ci affollava la mente, senza risposta. Lo abbracciai solamente. Si avvicinò alle mie orecchie e mi sussurrò: "L'amore è una cosa divertente, può farti del male o guarirti, ma in ogni caso ti cambierà."
Era un uomo veramente buffo, ma allo stesso tempo saggio, pensai, perché sapevo che aveva ragione. Poi ricominciammo a lavorare.
Quella sera spontaneamente io e Dylan decidemmo di tornare a casa a piedi con la moto per mano, trascinata da lui perché era veramente troppo pesante. Il buio tardava ad arrivare. Il cielo era ancora limpido e abbastanza luminoso. Il sole stava cedendo lentamente il posto alla luna che già faceva capolino in cielo.
Dylan non era mai stato così bello come quella sera, con la luna a destra e il sole a sinistra. I capelli arruffati e lo sguardo stanco. Quell'aria nostalgica coperta da un velo di tristezza.
"Perché sei così silenzioso, oggi?" gli domandai, quando girammo l'angolo della via dov'era il garage.
Sospirò pesantemente. "Sto riflettendo. I pensieri non lasciano spazio alle parole stasera."
Annuii a testa bassa. Anch'io in quei giorni ero molto pensierosa. Stavano succedendo troppe cose, troppi pensieri, troppi cambiamenti da affrontare. Non sapevo se stavo vivendo o se stavo soffrendo. I giorni si dividevano in quelli meravigliosi, in cui ero euforica e in quelli orribili, in cui non facevo altro che pensare e magari piangere chiusa a chiave in bagno. Alzai lo sguardo verso la luna e poi lo spostai verso il sole, in mezzo c'era Dylan, con il suo sguardo nostalgico e concentrato, le sopracciglia leggermente alzate. "Se mi parli, avrai meno pensieri in mente. Ti aiuterò a togliertene alcuni." gli dissi con dolcezza, appoggiando una mano sopra il suo braccio. Osservò la mia mano e mi sorrise con genuinità.
"Non so se sei abbastanza forte per aiutarmi a portarne alcuni" disse, smorzando l'atmosfera silenziosa che si era creata.
Gli tirai un'amichevole gomitata sul braccio. "Guarda che ne ho di muscoli, anche se non si vede!"
"Chi è che sta trascinando la moto da ormai dieci minuti?" domandò, retoricamente.
Sbuffai, sorridendogli. Ora che l'atmosfera si era fatta più rilassata, sarebbe riuscito a parlarmi con onestà e, infatti, così fece.
"Stavo pensando a ciò che ci ha raccontato Jeff. Certo, sapevo che era messo male quando era giovane e sapevo che era anche per questo, oltre che per il suo aspetto, che i genitori di Stephanie non volevano che lo frequentassimo, ma non sapevo che c'era stato qualcuno nella sua vita e..."
"E ora che lo sai non riesci a togliertelo dalla mente, vero?"
"Come fai a saperlo?" mi domandò sorpreso.
"Perché anche per me è lo stesso. Ed è stata la stessa cosa quando la mamma ci raccontava dei suoi amanti. Volevo riempirla di domande, ma avevo anche paura di ferirla, sapendo che non erano al suo fianco. Alla fine lei ci raccontava di loro, lo stesso, senza che le domandassimo nulla."
"Charlie e Chris, giusto?"
"Esattamente. E dell'angelo di Jeff, ne sai qualcosa?"
Scosse la testa. "Da piccoli pensavamo gli piacesse Shailene, la mamma di Stephanie, ma è impossibile sia lei. Sono troppo diversi, in più è sposata."
Alzai le spalle. "Se lo dici tu..." D'altronde io non conoscevo quasi nulla della loro infanzia e delle loro esperienze, giustamente conoscevo solo ciò che mi raccontavano. "Magari domani glielo chiedo." aggiunsi.
"Grazie." Disse, sorridendomi.
Mi passai le mani sulla maglietta che portavo, lisciandomela, e mi sistemai i jeans, in preda ad un'improvvisa ansia che fortunatamente Dylan interruppe quasi subito. "E poi stavo anche pensando al Prom, sai." Annuii, pensando che ormai quello era l'unico argomento di cui parlavo con la nonna, con Stephanie, con le cheerleader e con praticamente tutti. Ormai mi stava già stancando. "E il problema è... che io non so con chi andarci." ammise alla fine.
Mi fermai sul posto. E subito non se ne accorse, poi si voltò verso di me. "Cosa c'è? Stai bene, ladra?" mi chiese preoccupato.
Mi ripresi al momento e lo raggiunsi subito. "Stavamo dicendo?"
"Stavamo parlando del fatto che io non so con chi andare al ballo di fine anno."
"Ah, giusto. Ma mi sbaglio o sei il quarterback della squadra di football?" dissi, sottintendendo molte cose a me ovvie.
"E con ciò?"
"Dylan come te lo devo dire che sei il quarterback della squadra di football della scuola." dissi, dando molto penso all'ultima parte della frase. Mi guardò ancora confuso. "Pure io che vengo dal Texas conosco più cliché di te! Hai mai visto un film o una serie tv, Dylan?"
"Certo, ma non capisco ancora cosa intendi. La vita non è un film."
"Questo lo so anch'io, principino. Ma intendevo dire che sei considerato uno dei ragazzi più belli della scuola, hai tutte le ragazze che ti vanno dietro senza nemmeno che te ne accorga e non sai con chi andare al ballo. Sembra che tu mi stia prendendo in giro."
Scosse la testa. "Non ti sto prendendo in giro. Solo che io non voglio andare al ballo con una ragazza qualsiasi della scuola."
"Allora, vacci con Stephanie, no?"
"Stephanie non va al Prom e io non voglio andarci con lei, comunque." disse serio. Ora che me lo faceva notare, Stephanie mi aveva parlato del Prom sempre rivolgendosi solo a come io mi vestirò, come io mi truccherò, al mio accompagnatore, alla mia serata, mai alla sua né mai aveva accennato al suo accompagnatore.
"Io voglio andarci con te, ladra. O ti sembra troppo strano?"
Mi bloccai di nuovo. E presi la scelta sbagliata, perché era quella che mi risultava più semplice.
Scappai.
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