Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

36| gift

Una volta finita la pausa pranzo, in cui non avevo mangiato nulla, presi un tramezzino dalle macchinette in corridoio e lo mangiai in bagno, così arrivando in classe in ritardo. Ethan come sempre era già lì e molto banalmente stava evitando il mio sguardo, come quando eviti quello del professore mentre scruta gli studenti da esaminare: guardando nella cartella, nascondendosi dietro qualcun altro, osservando il soffitto, tutto piuttosto di guardarmi. Forse avevo capito il motivo dei suoi comportamenti, ma io avevo bisogno di parlargli. Non volevo attraversare tutto ciò da sola, non se potevo attraversarlo con lui.

Dopo l'ora pomeridiana obbligatoria, andai a vedere gli allenamenti delle cheerleaders, come le avevo detto quella mattina, le sarei stata di supporto e così feci. Restai in disparte tutto il tempo, ma la aiutai con la coreografia e le sorrisi, alle volte. Dopo le due ore di allenamento, aspettai Dylan al parcheggio, ma mentre lo aspettavo vidi Ethan avviarsi a piedi verso casa, come suo solito. Allora corsi verso di lui, cercando di bloccarlo.

"Ethan!" dovetti urlare per farlo voltare. Notai che aveva delle cuffiette alle orecchie collegate a un telefono. Ne tolsi una dalle sue orecchie e, tendendola ancora in mano, esclamai: "E questa? A chi l'hai rubata? E il telefono?"

Me la tolse dalle mani e mise le cuffiette dentro una scatolina bianca che infilò in tasca. "Non sono un ladro e lo sai bene, Elle. Sono i regali che mi hanno fatto i nonni, se restavi alla festa al posto di scappare l'avresti saputo." mi rinfacciò.

La festa... Sembrava esser passato un secolo, invece erano passati solo due giorni, due singoli giorni: quarantotto ore, due mila quattrocento ottanta minuti, cento settantadue mila ottocento secondi in totale.

"E a me?" chiesi curiosa.

"Non mi hanno voluto dire ciò che avevano in serbo per te, so solo che erano molto tristi del fatto che non c'eri e che te ne eri andata senza dire niente. Più che tristi erano spaventati, pensavano fossi scappata."

Rimasi in silenzio per un po'. "Ero scappata dalla festa, non da loro..." ammisi. "E tu dove sei scappato ieri?" azzardai, ponendogli questa domanda.

Prese dalla tasca le cuffiette e se le infilò nelle orecchie. "Ma tu non devi andare con Dylan?" mi chiese, affrettando il passo. D'istinto mi voltai e vidi che c'era il figlio del sindaco che mi osservava dal parcheggio con espressione interrogatoria.

"Hai ragione, ma la nostra conversazione non finisce mica qui, okay?" sottolineai, mentre si allontanava sempre di più da me. Poi, d'un tratto, decisi che non doveva andare così, allora lo rincorsi e lo presi per la maglietta, cercando di fermarlo. Appena si bloccò, gli dissi con un tono fermo e deciso: "Vado un attimo da Dylan ad avvisarlo che vengo a casa con te. Aspettami."

Poi, tenendolo d'occhio, corsi al parcheggio, appena arrivai davanti a quel ragazzo dovetti appoggiare le mani sulle ginocchia e riprendere a respirare normalmente. "Dylan, vado a casa con Ethan." Affermai, mentre respiravo con fatica.

Mi guardò, piegando le sopracciglia. "Davvero?" chiese. Subito pensavo me lo chiedesse perché ero consueta a tornare a casa con lui, ma poi, quando girai lo sguardo verso dove avevo lasciato Ethan qualche secondo prima, non lo trovai. Mi spostai verso la strada e lo vidi con le cuffiette alle orecchie alla fine di quella lunga via pronto a girare l'angolo. Non mi aveva aspettato.

Sbuffai infastidita dal suo comportamento e mi avviai verso il pick-up nero di Dylan. Quando salii al posto del passeggero, Dylan salì anche lui e fece partire l'auto. Accesi la radio per coprire i miei pensieri, ma presto lui abbassò il volume per potermi far parlare. Colsi la palla al balzo e gli dissi: "Grazie per ieri sera...sai per avermi tirato giù dal tetto e avermi fatta dormire comoda sul tetto. Te ne sono grata."

Uscii dal parcheggio della scuola e mi sorrise. "Non potevo mica lasciarti là al freddo e al gelo..." affermò con un tono sarcastico, ma a tratti malinconico. Che stesse ancora pensando a sua mamma e a ciò che avevo combinato quella mattina? Dopo poco però ritornò sorridente come sempre e lanciò in ballo il fatto di esser stato aiutato da Cameron. "Lui era per caso l'amico con cui giocavi alle gare di corsa in Texas? Il tuo migliore amico? Cameron?"

Spalancai gli occhi. "Come fai a sapere il suo nome? Io non te l'ho mai detto."

"L'hai fatto una volta sola. In spiaggia, poco dopo che sei arrivata."

Riflettei ed effettivamente l'avevo fatto. "Pensavo fossi troppo assorto nei tuoi pensieri per avermi ascoltato..."

Invece mi aveva ascoltato...

Alzò le spalle. E tra noi calò il silenzio, finché non arrivammo a casa dei nonni.

Lo salutai e, mentre camminavo verso il giardino di casa, trovai Ethan e Cameron distesi sull'erba con le braccia dietro la testa e con lo sguardo rivolto verso l'alto. Anche se mi avevano sentito arrivare, non si mossero nemmeno un po'. Allora mi misi vicino a loro, in piedi. Si portarono una mano sul viso per coprirsi gli occhi, che finalmente avevano aperto, dal sole. "Elle, stanno litigando." disse Cameron con un tono pacato, come se si fosse già abituato a tutto ciò.

Anche quando eravamo in Texas e i nostri genitori stavano litigando noi uscivamo dalle nostre rispettive roulotte e raggiungevamo la nostra collinetta nel deserto, quella in cui facevamo piste su piste con le moto. Ci distendevamo in centro e restavamo con lo sguardo rivolto verso l'alto, gli occhi chiusi, coperti da un braccio, per il sole torrido. Ci tenevamo tutti e tre per mano. Restavamo lì fermi fino a cena, quando poi eravamo obbligati a tornare a casa, ci tornavamo ed era come se tutto ciò che era successo, fosse solo stato un incubo passeggero.

Cameron era abituato a sentire i suoi genitori litigare, ma sapeva perfettamente che si amavano più di chiunque altro al mondo. Se avessi mai dovuto sposarmi avrei voluto un matrimonio felice come il loro. Certamente avevano avuto alti e bassi, spesso litigavano, ma poi riuscivano sempre a risolvere tutto e la pace in famiglia tornava quasi subito.

Mi distesi anch'io vicino a loro e istintivamente strinsi una mano a Cameron. "Come mai?" Avevo subito capito che intendeva i miei nonni e mia mamma, certamente non Cassie che era un animo così tranquillo e pacifico.

Alzò le spalle. "Credo che tu lo possa immaginare. Non sapevano del nostro arrivo, non se lo aspettavano ed eccetera, eccetera..."

Sospirai. "Nemmeno io..." Una lacrima cercava di uscire, ma riuscii a trattenerla. Basta piangere, mi ero detta. Basta.

Ad un tratto le voci da dentro la casa si attutirono fino a scomparire, finché non apparse dalla porta principale mia mamma. Mi alzai di scatto, come aveva appena fatto Ethan, e la osservai prima di parlare. Aveva gli occhi rossi piene di lacrime che non si decidevano a scendere. I suoi capelli color caramello si erano appiattiti sul volto, dandole ancora di più un'aria triste, la sua figura mi sembrava ancora più fine e fragile del solito, come se con un soffio di vento potesse volar via.

"Mamma..." dicemmo in coro io ed Ethan. Era per entrambi la prima volta che la vedevamo senza aver voglia di scappare, ma questa volta non ce ne andammo noi, ma lei.

Appena ci vide, ci sorrise con dolcezza e riconobbi quello sguardo come conoscevo le tasche dei miei jeans. Le sorridemmo di ricambio, felici. Poi, quando si avvicinò a noi, il suo sorriso svanì lentamente e ci disse: "Vado a fare una passeggiata per rinfrescarmi le idee. Stasera torno." Quando pronunciò quell'ultima parola, ci guardò uno ad uno negli occhi, sigillando una piccola promessa. Una volta che annuimmo, ci superò e camminò lungo il giardino. Quando arrivò alla fine, urlai premurosa: "Ti accompagno, potresti perderti!"

Si voltò e, regalandomi un grande sorriso, disse: "Tesoro, conosco queste strade." E se ne andò, girando l'angolo della via.

Avevo sempre saputo che lei era nata e cresciuta in Carolina del Sud, giocando nella sua piccola palude dietro casa. Ce l'aveva raccontato più volte con aria sognante e nostalgica. Ma mai avevo saputo che lei era venuta in California, a Los Angeles. Da quanto mi ricordavo noi ci eravamo trasferiti solo in Carolina del Nord, Alabama e Georgia. Anche Ethan aveva la mia stessa espressione interrogativa in volto.

Dopo qualche attimo uscirono di casa anche i nonni con un finto sorriso in volto. Si vedeva che Maureen aveva appena pianto. "Elaine, puoi seguirci un attimo?" mi domandò.

Mi ritrovai a seguirli, senza nemmeno aver annuito o essermi opposta. Mi portarono nel garage della casa e dietro alla loro macchina, quella con cui ci avevano rapiti, c'era un telo bianco che copriva qualcosa. Dalla forma forse avevo intuito che cosa fosse. Dietro di me  c'erano Cameron ed Ethan, curiosi anche loro di scoprire cosa ci fosse.

"Elaine, questo è per te. Quando vuoi puoi togliere il telo da sopra." mi disse il nonno sorridente. Non avevo mai visto il suo sorriso prima. Aveva i denti giallastri e alcuni un po' storti, però era un sorriso proprio bello. Uno dei più belli che avessi mai visto.

Anche i ragazzi mi spronavano a scartare il regalo, ma c'era qualcosa che mi tratteneva dal farlo, anche se non sapevo cosa. Forse intuito? Istinto? Sesto senso? Perspicacia?

Nonostante ciò, alzai il velo e ciò che vidi mi lasciò senza fiato. Mentre io ero in una fase di shock, i ragazzi iniziarono a saltarsi addosso dall'entusiasmo, a ridere, urlare contenti, ad abbracciarmi, ma io ancora non ci potevo credere. Davanti a me c'era una stupenda Harley-Davidson 883 nera. 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro