33| i'm scared
Dopo qualche istante lo vidi in difficoltà, mentre stava portando in spalla una coperta e, sotto le ascelle, portava anche dei cuscini. Mentre usciva dalla porta di camera sua, lo vidi rischiare di cadere a terra più di una volta per colpa di tutto ciò che trascinava. Mi venne anche da ridere.
La sua camera era rischiarata da una piccola lampada che riusciva ad illuminare quasi perfettamente tutta la stanza. Era una camera abbastanza grande, ma non esageratamente e, come me, anche lui aveva un letto matrimoniale al posto di quello singolo. Le sue coperte erano blu come il lenzuolo, leggermente più chiaro, e il cuscino che si era messo sotto braccio. In uno scaffale pieno di libri aveva una parte riservata quasi completamente ai suoi trofei e alle sue medaglie. Certi trofei erano statuette di giocatori con la palla da football in mano o in posizioni di lancio, altre invece erano a forma di coppa o di calice. Le medaglie erano di diverso tipo. La maggior parte erano dorate o d'argento e questo non mi sorprendeva, dopo averlo visto giocare varie volte. Sapevo che erano tutte state guadagnate da grande fatica e molti allenamenti. Dopo l'incidente con quel mastodontico ragazzo durante la prima partita della stagione, era riuscito a rimettersi in careggiata in meno di due settimane ed ero cosciente di quanto si fosse sforzato per riuscirci. Avevo ancora nella mente la sua immagine, disteso a terra nel campo dolorante, ma determinato a continuare e ogni tanto pensavo a come si fosse allenato tutti i giorni in giardino con le costole fasciate e la caviglia con il tutore, alla sua determinazione e alla sua forza, alla fierezza di rientrare in campo nemmeno un mese dopo, al suo sguardo orgoglioso della vittoria della prima partita in cui aveva giocato il mese successivo.
E ora stava camminando verso di me dal suo giardino al mio. Con una mano aprì il cancelletto che divideva con uno steccato i due giardini e lo oltrepassò. Quando fu sotto il mio tetto mi dovetti mettere seduta per poterlo vedere. Lanciò prima un cuscino sul tetto, ma non riuscii a prenderlo e cadde dall'altro lato, così dovette correre per andare a riprenderlo e al secondo lancio riuscii a prenderlo. Poi mi tirò il secondo e, solo dopo, mi passò la coperta saltando verso di me. Una volta che fu libero da tutti gli oggetti che aveva portato, afferrò la grondaia con entrambe le mani, si diede uno slancio e con uno scatto veloce mise una gamba sopra le prime tegole. Corsi subito verso di lui, vedendolo in difficoltà con l'altra gamba e non rifiutò il mio aiuto, ma anzi afferrò il mio polso e con forza si alzò, spingendomi indietro. Non mi resi nemmeno conto che mi ero opposta alla sua spinta, così ci ritrovammo uno davanti all'altro a pochi centimetri di differenza. La sua mano, ancora attorno al mio polso, mi attrasse ancora di più verso di lui. Con un lieve movimento spostò la mano fino al mio collo e mi sorrise dolcemente. Aveva uno sguardo sereno, invece, il mio era del tutto divergente. Con tutti quei pensieri che mi soffocavano la mente in quel momento non riuscivo nemmeno a pensare che quel ragazzo mi stava cercando, mi stava sorridendo, mi stava dando attenzione. L'unica cosa che feci fu spostarmi da lui fino ad arrivare alla mia finestra, ma non volevo rientrare, quindi mi sedetti con la schiena appoggiata al vetro. Dopo qualche istante lo fece anche Dylan, sedendosi vicino a me.
Sapevo che dovevo dire qualcosa, così dissi la prima cosa che mi venne in mente. "Ti ha ispirato Taylor Swift?"
Appena mi resi conto di ciò che avevo detto, ormai era troppo tardi, l'errore era già stato commesso. Divenni tutta rossa per l'imbarazzo.
Mi guardò, arricciando le sopracciglia, ma con un sorrisetto sulle labbra. "In che senso?"
Volevo sparire, ma sapevo perfettamente che Dio non mi aveva dotata del dono dell'invisibilità. "Prima mi hai chiesto di venire qua con una frase dalla tua finestra..."
Annuì. "Hai ragione, come in un suo vecchio video musicale. Poco originale, vero?" chiese, passandosi una mano sui capelli imbarazzato.
"Poco originale, come portarmi in spiaggia a Los Angeles, però piacevole." dissi, guardandolo negli occhi. Smise di toccarsi i capelli e mi fece quel suo solito dolce sorriso laterale.
Restammo in silenzio per un po', poi si alzò, raccolse la coperta e la distese bene da un lato pendente del tetto. Si dovette distendere subito e con le braccia tenerla aperta prima che scivolasse verso la grondaia e il terreno. Mi chiese di andare dov'era e di prendere i cuscini prima di rischiare di scivolare giù con tutto. Di conseguenza, lo feci e mi distesi fianco a fianco, appoggiando i cuscini dietro le nostre teste. Dovevo proprio ammettere che il tetto era molto più comodo con sotto la schiena una morbida coperta.
Anche se cercavo di pensare a noi due sotto un cielo poco stellato sul tetto, non ci riuscivo, perché altri pensieri mi riempivano la mente in quel momento. Sospirai, sfinita dalla battaglia che si battagliava all'interno del mio cervello.
"A cosa stai pensando, ladra?" mi domandò, dopo un paio di minuti in cui entrambi non aprivamo bocca e, per la prima volta da quando ci eravamo distesi, ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi.
"Ho la mente in ebollizione." gli dissi sinceramente, mettendomi entrambe le mani nei capelli, cercando di zittire tutti i miei pensieri, ma non ce la feci. Con lentezza mise le sue mani sopra le mie per calmarle e, insieme alle mie, iniziò ad accarezzarmi i capelli.
"Prima di tutto, respira." disse, continuando quel movimento lento e costante, come doveva essere il mio respiro normalmente, ma in quel preciso instante non lo era. Anche quello era in tumulto come lo ero io. "Poi, non strapparti i capelli dalla testa, per favore. Sai perfettamente che mi piacciono molto i tuoi capelli rossi, non so se riuscirei a guardarti lo stesso anche da calva. E infine, so che è estremamente difficile per te, ma dovresti parlarmi, sfogati almeno con me, se non lo vuoi fare con nessun altro."
Una lacrima mi scese lungo la guancia e la asciugai subito, staccando una mano da quella di Dylan. Gli accennai un sorrisino. "È troppo difficile, Dylan."
"Lo so perfettamente, ma è l'unico modo con cui potrai scacciare tutti i pensieri che ti opprimono la mente, Elle."
Cercai un'altra volta i suoi occhi nocciola. "Anche tu non riesci ad aprirti, perché mi stai chiedendo di farlo allora?" gli chiesi gentilmente.
Il ragazzo annuì lentamente. Sapeva perfettamente che avevo ragione. "Perché so cosa si prova a vivere con la testa che scoppia per anni, e non è affatto bello. Non voglio che tu provi quello che provo io tutt'ora. Non voglio che tu stia male. Non voglio vederti con altre espressioni che non comprendano un sorriso, quindi per favore sfogati con qualcuno, anche se non sono io, va bene. L'importante è che ti sfoghi."
Mi girai dall'altro lato, dandogli le spalle, con il volto rivolto verso la sua camera. Non ce la facevo. Non riuscivo a parlargli. Nella mente avevo già pronto il discorso da fargli, ma una volta che provavo ad aprir bocca mi bloccavo, come se dalle mie labbra non uscisse nulla, eppure desideravo parlargli.
L'unica cosa che uscii dalle mie labbra fu questa: "Ho paura, Dylan. Molta paura." Poi i miei occhi fecero scendere lungo le mie guance un fiume di lacrime e il mio corpo si rimpicciolii fino a stringere le ginocchia al petto.
Sentii che si avvicinò a me e mi circondò il corpo con le braccia con un'attenzione speciale. Era sempre attento a ciò che volevo io, ma questa volta anche se non gli avevo dato il consenso, mi aveva abbracciato lo stesso. "Vorrei solo capire." sussurrò, mentre mi accarezzava i capelli, poi aggiunse in un sospiro: "Vorrei solo poterti capire, Elle."
Singhiozzai. "Non chiamarmi Elle, non ti si addice. Chiamami ladra, perché è più bello ed è più tuo." dissi d'istinto, ma quel giorno non capii l'importanza che quelle parole avevano né l'importanza che Dylan aveva dato loro.
"Certo, ladra." disse, mentre annuiva, appoggiando il suo capo al mio, e mentre annusava i miei capelli rossi.
Cullata dal suo respiro, presto mi addormentai e, quando la mattina seguente mi risvegliai, non mi ritrovai abbracciata a Dylan sopra al tetto, bensì sopra al mio letto matrimoniale nella mia camera con il lenzuolo sistemato accuratamente in fondo al letto. Mi alzai stranita e subito mi fiondai in camera di mio fratello per vedere se era tornato dalla sua fuga il giorno prima e quando trovai il letto in disordine mi spuntò un sorriso a trentadue denti sul volto. Ero così felice che mi fiondai subito in bagno per vedere se era lì visto che la camera era vuota, ma quando aprii la porta rimasi leggermente delusa trovando Cameron e non Ethan.
Si stava lavando i denti a petto nudo, guardandosi allo specchio, quando io entrai in furia e fretta. "'Giorno, Elle." mi salutò ancora con aria assonnata spalancando le braccia, con lo spazzolino stretto fra i denti, lo abbracciai, stringendomi al suo petto.
"Sei cresciuto?" gli chiesi sorpresa dalla sua altezza.
"Di ben dieci centimetri e mi sono spuntati pure questi!" esclamò, indicandomi gli addominali ben scolpiti.
Erano passati otto mesi e tutti eravamo cambiati, ognuno a proprio modo, ovviamente.
"Sai dov'è Ethan? Sai se è tornato?" gli domandai, mentre mi feci spazio in bagno per lavarmi i denti vicino a lui.
Sputò tutto il dentifricio e si passò la bocca con l'acqua. "Non ho la più pallida idea di dove sia, so solo che non è qui." Sputai anch'io il dentifricio e lo strinsi di nuovo in un abbraccio. Anche se erano successe molte cose brutte, ero felice che fosse tornato, che ci avesse trovati e sapevo che non era il momento giusto per fargli delle domande, avrei aspettato mio fratello.
Mentre uscivamo dal bagno, Cameron iniziò a parlare. "Comunque dovresti dire al tuo amico di calmarsi un po'. Di notte i miei muscoli funzionano come il mio cervello, un po' a rallentatore, e non è colpa mia se sei ingrassata qui in California!"
Gli tirai una gomitata scherzosa. "Ehi!" esclamai offesa per l'ultima parte della frase, ma poi ci ripensai e gli feci una domanda: "Amico? Per caso ieri sei stato tu a portarmi giù dal tetto e mettermi nel mio letto?"
"Non da solo. Non sono mica diventato Hulk in questi otto mesi, mi ha aiutato quello che era con te sul tetto, insomma."
A questa affermazione mi venne da sorridere, ma poi vidi mia mamma e l'unica cosa che mi venne in mente fu quella che dovevo andare a scuola.
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