31| heart and house
Perdoname madre por mi vida loca.
Quando arrivammo davanti a casa mia, scendemmo dalla moto e mi sentii tutta d'un tratto vuota, come se stringere Dylan, mentre correvamo per strada, mi avesse riempito il cuore, mi avesse resa più felice e piena di me stessa. Mentre ancora analizzavo i miei sentimenti, non mi accorsi che Dylan aveva infilato una mano sulla tasca della sua felpa e ora teneva qualcosa in mano. Lo guardai, alzando un sopracciglio. Ero curiosa, come sempre.
Era diventato tutto rosso e dovevo dire che quello sguardo nervoso gli calzava a pennello, e poi si abbinava con i miei capelli.
Era la prima volta che lo vedevo così tentennante. Di solito era così sicuro di sé, come se nessuno potesse essere migliore o potesse raggiungere il suo livello, ma ora si vedeva che era insicuro.
Nelle mani teneva una scatolina nera rettangolare con due fili rossi che formavano un fiocchetto. Sembrava nuova e sembrava indirizzata a me, però Dylan non intendeva muoversi. "È per me?" buttai là.
Il ragazzo annuì e finalmente mi allungò la scatolina. La presi e sfilai i nastrini rossi. Glieli passai e, per non far vedere che era nervoso che non mi piacesse il contenuto, iniziò a giocarci. Alzai il coperchio e trovai un foglietto di carta leggera. Lo alzai e lo rigirai nella mano. Era bianco, non c'era scritto nulla. Andava bene così. Riportai l'attenzione sulla scatolina e spalancai la bocca. C'era una collana d'oro con un ciondolo a forma di casa e un cuore sagomato all'interno che si appoggiava alla base del ciondolo. Appena la vidi, mi si formò un sorriso sul volto ampio da guancia a guancia. "È per me, per davvero?" chiesi ancora sotto shock.
Dylan aveva alzato lo sguardo e il suo viso accennava ad un dolce sorriso. "Certo, sennò per chi altro sarebbe, se non per te, ladra?" disse con un tono delicato, ma che sapeva ancora da mattina.
Feci cenno di no con la testa, ancora incredula di quel gesto. "Davvero?" chiesi ancora una volta, mentre la prendevo in mano. Era estremamente leggera e anche il ciondolo non pesava niente. Era una bella sensazione tenerla in mano, come se nel mio cuore ci fossero fiamme calde a scaldarmi.
Dylan annuì di nuovo ancora più convinto. "Vuoi che ti aiuti a metterla?" mi domandò con premura.
Non servì nemmeno che acconsentissi, perché sapeva perfettamente che la volevo indossare fin da subito. Le sue dita delicate la presero dalla mia mano e mi fece un certo effetto quel contatto ravvicinato. Sussultai. Poi mi spostai i capelli dalle spalle e me la appoggiò al petto. Sussultai di nuovo. La chiuse con un click e mi rimise i capelli a posto. Strinsi il ciondolo tra le dita, sospirando appagata.
"Come mai non me l'hai dato ieri alla festa?" gli domandai, mentre ancora tenevo tra le dita quel splendido pezzo di collezione.
Abbassò lo sguardo dai miei occhi al marciapiede. "Perché mi vergognavo..." mi spiegò, morsicandosi la parte interna della guancia.
"Ti vergognavi? Mi hai mentito, perché ti vergognavi di darmi questo bellissimo regalo?"
Fece dei passi di lato. "Non capisci, ieri erano mesi che non ci parlavamo e questo regalo è...importante. Non volevo essere troppo invadente, troppo..."
"Troppo? Lo sai che odio le frasi lasciate a metà." sbuffai ancora sorridente.
"Pensavo che mi odiassi ancora, non volevo ricordarti di...noi. Ecco, questa è la verità. Ma poi tu sei arrivata con quell'aria triste e malinconica e non ho fatto altro che ricordati di noi due, anche se non volevo."
"Perché non volevi, Dylan? Non capisco." ribadii.
Sospirò. "Perché avevo paura. Tutto qui. Sono un codardo, ecco cosa sono, Elle."
"Continuo a non capire. Perché hai paura?" domandai, mentre cercavo di ottenere una risposta dagli eventi che avevamo vissuto, dagli incontri in biblioteca alla nostra litigata in palestra, ma non riuscivo ad ottenerla lo stesso. Non capivo ciò che lo frenava.
Fece un passo verso di me e per la prima volta incrociò i miei grandi occhi verdi. Mi guardò come si guardano i fiori sbocciare. "A volte mi stupisco di come tu possa essere così intelligente e stupida allo stesso tempo. Davvero, non ci arrivi? Davvero, non te ne sei accorta in tutti questi mesi?"
Dopo uno sguardo del genere non mi aspettavo quelle frasi che, infatti, mi presero alla sprovvista. "Io... ehm... non ho capito di cosa tu stia parlando, Dylan." Mi sentivo una sciocca, ma era la verità. Non ci stavo più capendo nulla.
"Ladra, sto parlando di noi due." Prese un respiro profondo e mi guardò ancora come se fossi stata un fiore. "Di noi due, ladra. Noi... mi piace come suona."
Abbassai lo sguardo verso la collana. Forse iniziavo a capire. Adesso ero io ad avere paura.
"Elaine, davvero pensavi che io fossi arrabbiato con te per tutti questi mesi? Cercavo solo di proteggerti, come ho cercato di fare da quando sei arrivata, ma non credo che tu l'abbia mai notato, giusto? D'altronde era questo che cercavo di fare, non fartelo capire e così allora lo nascondevo con la rabbia e con i litigi, mio malgrado. Sai, quando mi hai rubato la moto all'inizio ti odiavo ed ero andato a dirlo a Nicole, ma poi quando ti ho vista parlare con tuo fratello, ho capito che avevo fatto una cavolata, così ero andato di nuovo dalla mia matrigna a dirle che non serviva che ti denunciasse o che ti mettesse in cattiva luce, ma lei voleva comunque qualcos'altro in cambio, così mi offrii per farti da tutor e lei lo trasformò in una sorta di castigo per te, giurandomi di non dirti che lo avevo pensato io."
Lo spintonai, senza nemmeno fermarmi a pensare, e cadde a terra preso soprattutto alla sprovvista. "Brutto mascalzone, mi hai obbligata a stare in tua compagnia per un mese, solo perché volevi fare il crocerossino o perché ti sentivi in colpa per aver quasi macchiato una fedina penale, però non ti sei sentito una merda obbligandomi a stare insieme a te, vero?"
Si rialzò lentamente dal cemento, solo quando gli diedi le spalle. Mi si avvicinò. "L'alcool ti ha resa ancora più sciocca, eh? L'ho fatto solo per te... ma non era quello il punto."
Mi girai di scatto, ritrovandomelo a pochi centimetri dal mio viso. "E allora qual è il punto, figlio di papà?" gli chiesi, cercando di calmarmi.
Il suo sguardo si addolcì di nuovo e non riuscii a rimanere arrabbiata, perché lui era lo strato più solido della mia fragile maschera.
"Il punto è che... io ho sempre pensato a te, ladra. Grazie a tutti questi mesi in cui ci siamo solo evitati e basta ho realizzato che non sei solo un'amica per me, come lo era Stephanie, ma sei qualcosa di più e vorrei capire meglio il tuo ruolo insieme a te, se per te va bene... In più devi sapere che mi piace stare con te. Mi piace quando sei felice mi... mi piacciono i tuoi capelli rossi." rese manifesto, mentre si avvicinava ancora di più a me, azzerando la distanza tra i nostri corpi. Mi guardò le labbra e poi gli occhi; mi vidi riflessa nei suoi che brillavano nel sole di mezzogiorno.
In quel momento mi sentii proprio come un fiore in primavera pronto a sbocciare. I miei petali si erano preparati in tutti quei mesi grazie all'aiuto delle persone che avevo vicino che, mano a mano, mi annaffiavano di gentilezza, presenza e affetto. E capii che ero io a voler tenere i petali nascosti grazie a quelle foglie ruvide cresciute per colpa di quell'odio e quella rabbia che viveva in me, ma in quel momento, in quell'istante, in quel marciapiede, in quegli occhi marroni decisi che una volta per tutte potevo lasciare spazio a quei petali delicati di vedere la luce, di vivere. Così lo feci, baciandolo.
Appoggiai le miei labbra delicate e rosse nelle sue screpolate e rosee. E fu la sensazione più bella che abbia mai provato, meglio ancora di una corsa in moto sul deserto texano, meglio ancora della velocità e del vento. Meglio di tutto.
E in quel momento c'eravamo solo io e Dylan, il resto del mondo non esisteva più. I nostri problemi, le nostre discussioni, le nostre barriere erano cadute e non le avremmo rialzate visto che eravamo a conoscenza che c'eravamo l'uno per l'altro.
Ma, mentre le sue labbra incrociavano le mie, ancora non sapevo che c'era qualcuno che ci osservava scioccato da quel scenario di affetto, finché non sentii un tonfo pesante che mi fece staccare dal mio figlio di papà preferito.
Mi girai verso l'inizio del marciapiede e non potei credere a quello che i miei occhi videro.
"Cameron?" domandai incredula.
Un folto ciuffo biondo spuntava da quel corpo che accennava la presenza di muscoli ancora non definiti del tutto che era in piedi all'inizio del marciapiede della via lungo la casa dei miei nonni e quella di Dylan. I suoi occhi azzurri brillavano dalla gioia, mentre prendevo la rincorsa per andargli a dare un grande abbraccio.
"Cameron!" esclamai piena di gioia, una volta che gli fui addosso, stringendolo al collo. Dalla mia forza per poco non caddi e mi afferrò per la schiena, facendomi girare in aria. Scoppiai a ridere per la felicità.
Appena mi mise giù, portai entrambe le mie mani sul suo viso, stritolandogli le guance, sapendo perfettamente che lo odiava quando lo faceva la vecchia veggente del nostro paesino in Texas, ma questa volta non si lamentò del dolore, ma me lo fece a sua volta. "Quanto mi sei mancato, Cam!"
"Non osi immaginare quanto tu mia sia mancata, Lainey Bo Bainie!" esclamò il biondino, mentre mi stringeva in un forte abbraccio. Non sentivo quel soprannome da quando ero molto piccola. Non sapevo nemmeno cosa potesse significare, ma me l'avevano affibbiato perché mio fratello faceva fatica a pronunciare il mio nome e un giorno se ne era venuto fuori con una rima a casaccio.
Lo strinsi fortissimo e sentii l'odore di casa, della roulotte, della sabbia e delle persone che amavo. "Devo annunciarlo al mondo..." gli sussurrai all'orecchio. Sapeva perfettamente ciò che avevo intenzione di fare ed era una tradizione che avevamo in Texas ogni volta che qualcuno faceva qualcosa di bello, lo urlavamo al mondo.
"Signori e signore," iniziai girandomi a destra, mentre con le mani mi fingevo un presentatore televisivo, poi continuai, girandomi lentamente in tutte le direzioni: "ecco a voi Camer...!"
Mi bloccai a metà parola. La gola mi si era seccata di colpo, alla sua vista. Un esile corpo, con curve appena accennate accompagnato da boccoli color caramello all'altezza delle spalle e due grandi occhi azzurri era lì, in piedi dietro a Cameron ad osservarmi per tutto quel tempo, eppure non avevo percepito la sua presenza in quella strada di quartiere. Eppure era lì.
Mia mamma era lì.
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