25| love
Il giorno dopo sono andata da Dylan e quello dopo ancora, ma il nostro rapporto era cambiato dopo le parole di Stephanie. Era tutta una recita quella che sosteneva con me? Il nostro rapporto era tutta una finzione? Noi eravamo una menzogna?
Con una singola conversazione tutte le mie sicurezze erano crollate. Non sapevo più se credere alle sue parole. Anche lui aveva capito che le cose erano cambiate tra di noi, ma non mi disse mai nulla. Lo avevo capito da quelle occhiate mi dava quando parlavamo di certe cose. Non aggiunse informazioni su Eli o su ciò che era successo quel giorno nemmeno una volta.
Non ero io l'unica ad esser cambiata, ma anche lui. Era diventato leggermente più freddo: non aveva più voglia di scappare o fare cavolate con me. Il suo entusiasmo si era spento un po' alla volta. Pensava solo ad allenarsi, a ritornare in forza.
Anche se Stephanie mi aveva detto che si voleva staccare per un po' da questo posto, non se n'era andata davvero, aveva solamente smesso di venire da Dylan. Questo era l'unico cambiamento che aveva fatto e quando ci incrociavamo nei corridoi era tornato tutto come prima, come i primi giorni di scuola. Ci evitavamo e non ci parlavamo.
Visto che da nessuno dei due riusciva a far uscire una singola parola a riguardo di Eli Edwards, decisi che dovevo cercarmi le risposte da sola. Così un giorno, dopo che Dylan mi portò a casa, mi incamminai di nascosto verso la periferia della città. Mi ricordavo le strade che avevamo percorso quel giorno mentre andavamo verso la spiaggia, ma io non volevo andare là. Dovevo andare da Jeff, il meccanico.
Quando arrivai davanti a un garage rosso, con la pittura che si stava scrostando vicino una piccola porta con una tenda a frange colorate, il garage era chiuso, allora bussai due volte poi una terza, come aveva fatto quella volta Dylan.
"Chi è?" sbuffò un vocione profondo.
La voce mi tremava. "Sono Elaine, l'amica di Dylan." dissi balbettando.
Sentii dei rumori e il garage si alzò lentamente, per lasciare il tempo a Jeff di abituarsi alla forte luce del sole. "Tu sei quella che ha chiamato la sua moto Minerva, giusto?" mi chiese mentre si incamminava verso di me, studiandomi.
"Sì, esatto. Sono proprio io."
Batté le mani ed esclamò. "Oggi non ho molto tempo da perdere, devo aggiustare parecchie moto, quindi se vuoi entrare ed aiutarmi ne sarei molto felice." L'uomo ritornò dentro al suo garage e si sedette vicino ad una moto. Sul tavolo c'erano distribuiti tutti gli attrezzi. Si mise al lavoro e io mi sedetti in una sedia dall'altro lato della moto. "Le potrò sembrare scortese, ma come mai conosce Dylan? Lui non mi sembra il tipo di ragazzo che frequenta..." dissi, impaperandomi nelle mie stesse parole. Non sapevo come non risultare maleducata.
"Brutti posti del genere, giusto? O forse, i motociclisti in generale?" mi chiese alzando la testa dalla moto. Aveva già tutte le mani sporche di grasso.
"Credo entrambi...lui non mi sembra il tipo..."
Mi guardò negli occhi. "Non mi offendo. So perfettamente come posso sembrare: arrogante, cattivo e indisciplinato. Ne sono a conoscenza perché una volta ero proprio così. E hai ragione, non è stato lui a conoscermi."
Rimasi zitta, lasciandogli l'opportunità di spiegare.
Ritornò con la testa infilata sul motore della moto. "Mi potresti passare la chiave inglese. È quella..."
Lo bloccai subito. "So qual è la chiave inglese. So aggiustare una moto." gli dissi passandogliene una con il manico blu.
"L'avevo capito da quando sei venuta qua l'ultima volta, ma ti volevo dire che la chiave inglese con il manico blu è rotta, se la aggancio il manico cade. Io volevo quella con il manico rosso."
Gliela passai in imbarazzo.
"È stato Eli a conoscermi ed è stato lui a portare Dylan qui per la prima volta. Devi sapere che non mi ricordo proprio la prima volta che sono venuti entrambi nel mio garage. So solo che da sempre appartengono a questo posto e ci apparteranno in ogni tempo. L'ho aperto insieme a loro, ma lo chiuderò senza uno di loro." disse in tono malinconico. Poi si alzò in piedi e mi fece segno di seguirlo. Arrivati in un angolo del garage, alzò un poster di una donna in una moto e mi mostrò delle scritte. Erano tre firme: Dylan The Villain, Eli The Bad Guy e Jeff Blue Shadow.
"Hanno voluto firmarsi con dei nomi inventati per sembrare dei cattivi ragazzi, ma quel giorno avevano ottenuto proprio l'effetto opposto. Mi avevano raccontato che avevano speso un pomeriggio intero a pensare alle possibili rime dei loro nomi ed erano arrivati alla conclusione che questi erano le migliori. Ho riso tantissimo quando me li dissero. Poi le scrivemmo e ci facemmo una promessa. La promessa decretava che se io fossi riuscito a guadagnarci un lavoro con questo piccolo garage, loro avrebbero avuto libero accesso alla mia moto e avrei dovuto insegnare loro a guidare il mio gioiello. Alla fine ho insegnato solo a Dylan."
"Perché non hai insegnato a Eli?" chiesi continuando a fissare quelle scritte fatte da quei bambini.
Il vecchio ritornò seduto nel suo sgabello e mi fissò con un lieve sorriso sul volto. "Perché quando ha avuto la possibilità di farsi la patente lui era già morto. E vidi Dylan fino a quando se la guadagnò, poi scomparse nel nulla. Non si fece più vedere, fino a quel giorno in cui si è presentato con te."
"E perché avrebbe dovuto farlo? Sembravate così legati." chiesi, mentre gli passai il cacciavite che stava cercando da un po'.
Alzò le spalle e lo prese.
"Ti conviene stringere ancora un po' di più" gli dissi. "Perché se la persona che guida andrà oltre la soglia dei duecento chilometri potrebbe svitarsi lentamente e poi rischiare di staccarsi tutto il pezzo."
"Come fai a saperlo, ragazzina?"
Sbuffai. "Perché mi è successo e mi sono sbucciata entrambe le ginocchia buttandomi a terra."
Spalancò gli occhi e la mandibola. "Andavi ai duecento chilometri all'ora in moto? Tu non sei una ragazzina, tu sei un mostro!" esclamò fra le risate.
Risi ed alzai le spalle. "Sai, in Texas potevo..."
"Quanta malinconia sento nella tua voce, ragazzina! Presto imparerai ad apprezzare anche questo luogo e le persone in cui ci vivono!"
"Spero che quel momento non arrivi mai, allora!" esclamai scocciata. Tutti me lo ripetevano fin dal primo giorno in cui ero giunta, ma non capivano che non volevo ambientarmi. Non volevo diventare una di loro.
"Anch'io dicevo così una volta, ma ora se me ne andassi non riuscirei mai a sentirmi bene da nessun'altra parte, se non qui."
"Perché non ci riusciresti? Cos'è che ti trattiene qui che non ti tratteneva negli altri luoghi? Un affitto da pagare? Le tasse? Il lavoro?" gli chiesi arrogante.
Sospirò con aria sognante. "L'amore."
"Non hai la fede al dito, quindi nessuno ti trattiene qui." constatai.
"Non intendevo quel tipo di amore. Intendevo che le persone che conosco qui sono persone d'oro e non potrei mai abbandonarle. Hanno già sofferto troppo per essere abbandonate di nuovo." disse fissandomi negli occhi e mai mi incusse tanta paura quanto adesso. Le sue parole sembravano di più una minaccia che una dichiarazione di affetto verso le persone che abitano questa ricca città.
"Stai parlando di Dylan?" gli chiesi con la voce che mi moriva in gola.
Annuì. "Non solo di lui, anche della sua amica biondina." Stephanie. "Quella si vestiva da maschiaccio e veniva sempre con le ginocchia sbucciate. Sognava anche lei di avere una moto e aprire un garage come me, ma lei non faceva parte del nostro club, quindi non poteva firmare il muro."
"Stephanie vestita da maschiaccio? A Stephanie piacevano le moto?" chiesi scioccata da queste notizie.
"Stephanie, giusto!" disse, ricordandosi solo allora del nome. "Lei non si è fatta più vedere dopo la morte di Eli. Non so più niente di lei. I suoi genitori odiavano sapere che veniva da me, mi consideravano come tutti gli altri motociclisti né erano felice della sua relazione con Eli, ovviamente."
"Perché non volevano che si frequentasse con Eli? Non era il figlio della preside e figliastro del sindaco?" chiesi.
"Non lo è sempre stato. Eli è stato adottato quando era piccolo da Nicole che subito l'aveva preso in affido, ma poi se ne era innamorata e aveva deciso di adottarlo. Poi morì il primo marito di Nicole e si sposò con il sindaco, solo allora Eli si poteva considerare figlio di entrambi. E in più il ragazzo non aveva un animo tranquillo e docile. Era un diavoletto, doveva sempre esser in movimento ed era molto testardo, se si metteva in testa di fare qualcosa non lo poteva fermare nessuno. Eppure stava simpatico a tutti e di sicuro sarebbe stato simpatico anche a te."
"Non credo, se stava con Stephanie..." borbottai tra me e me, mentre digerivo tutte quelle informazioni.
"A proposito, com'è adesso Stephanie? Ha seguito le orme della madre, non è vero?"
"Adesso è la capitana delle cheerleader e, da quello che so, è anche una modella. Ha partecipato a vari concorsi di bellezza in questi anni." Mentalmente aggiunsi che a volte era proprio una stronza, ma non lo dissi ad alta voce perché a volte lo ero anch'io.
"Si è arresa..." mormorò fra sé e sé. Non feci domande. Per oggi avevo avuto abbastanza risposte.
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