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18| look of ice

Dopo aver salutato Ethan, mi incamminai verso la biblioteca. Era una settimana che ci andavo tutti i giorni e aspettavo al tavolo Dylan, anche se era una settimana ormai che non si presentava più. Nonostante lui non si presentasse, io ripassavo lo stesso tutte le materie. Non ero stupida e volevo dimostrare a tutti, ma più che altro a me stessa, che ce la potevo fare anche da sola. Non mi serviva l'aiuto di nessuno, come a mia mamma non era servito l'aiuto dei nonni in tutta la sua vita.

Quel pomeriggio, quando si presentò, si sedette al lato opposto del tavolo e, quando mi chiese cosa volessi ripassare, gli risposi che non volevo ripassare nessuna matteria.

"Non sono venuto qua per accontentare i tuoi capricci, ladra. Smettila di comportarti come una bambina" mi rispose incrociando le braccia al petto.

"Non sono capricci e non mi sto comportando da bambina. Non mi serve ripassare nulla, mentre tu non c'eri, ho studiato da sola. Non mi serve il tuo aiuto."

"Invece ti servirà ancora per una settimana. La preside ci ha dato un mese, ormai è già passato" precisò.

"Finalmente, non ne potevo più del tuo fare da sapientino."

"E io del tuo comportamento arrogante e tagliente."

Alzai gli occhi al cielo. "Non la pensavi così una settimana fa quando siamo scappati insieme."

"L'ho sempre pensato, Elaine. Le cose non cambiano tutte d'un tratto."

Avvicinai il busto verso di lui, sporgendomi dalla mia sedia. "E invece sì, la vita può cambiare in un attimo, Dylan. Forse tu sei sempre stato lo stesso per tutta la tua vita, ma, sai, le persone cambiano per le esperienze che vivono, magari tu non hai mai vissuto veramente."

Il suo sguardo si svuotò, sentendo questa dura verità. I suoi occhi nocciola non erano più dolci quando incrociavano ai miei, come succedeva di solito, ma erano spenti. Forse era questo lo sguardo che aveva riservato a Stephanie qualche mattina precedente e mio fratello l'aveva interpretato come uno sguardo duro, ma era esattamente l'incontrario di duro. Era spento, smorzato, come se avesse avuto un interruttore dei sentimenti e avesse deciso di attivarlo, spegnendoli.

Ad un tratto si appoggiò con la schiena sulla sedia, spostandosi da me. Incrociò le braccia al petto e restò a fissarmi in silenzio per degli attimi che mi sembravano durare un'eternità, poi disse nove parole in un modo così automatico da farmi dubitare di avere un umano davanti e non un robot. "Hai ragione. Non sto vivendo veramente, ma ho vissuto."

Mi passai la lingua sulle labbra secche e staccai i miei occhi dai suoi, guardai il soffitto, il pavimento, i fogli e le decorazioni di questa immensa sala. Non ce la facevo più a sostenere quello sguardo di ghiaccio. Poi sentii la sua sedia sbattere a terra e la sua mano prendermi il volto con delicatezza. I suoi occhi cercavano i miei, ma non volli accontentarlo, mi concentrai a seguire le vene che gli sporgevano lungo le braccia.

"Anche se non mi crederai, ho vissuto veramente per anni interi, ma poi... avevo deciso che era meglio spegnere quei sentimenti di vita e passione. Ma con te è come se mi sentissi di nuovo vivo, quindi guardami, Elaine, per favore" mi pregò mentre ancora stringeva il mio volto con una mano. I miei occhi non si decidevano di incrociare i suoi e non sapevo se volessi veramente accontentarli e lasciarli girovagare per la stanza o costringerli a guardare i suoi.

Quel discorso mi sembrava così vero, così puro che cedetti alla sua preghiera. Erano tornati quegli occhi dolci che conoscevo bene, ma rischiai di farli svanire dando sfogo alla mia curiosità. "Da quando hai deciso di spegnerti?"

Mi lasciò il volto delicatamente, rimise apposto la sedia e si sedette. "La troppa curiosità spinge l'uccello nella rete del cacciatore..."

Sospirai e abbassai lo sguardo. In quel momento io mi stavo sentendo vuota.

"Grazie per avermi guardato, quando te l'ho chiesto, Elaine" mi disse con cordialità, mentre si spostava più indietro guardando ciò che stava succedendo dietro di lui. C'erano solo dei ragazzi che stavano chiacchierando tra di loro. I suoi muscoli si fletterono. Dovevo proprio ammetterlo che era proprio bello in questa posizione.

Dovevo riprendermi. "Non guardarmi mai più come hai appena fatto, okay?" gli chiesi arrogante.

Annuì. "Cercherò di non farlo più, ma queste giornate sono veramente pesanti..." disse sospirando.

"Ovviamente, perché non ci sono mai stata io a romperti le scatole!" affermai ironica, per smorzare quella situazione difficile.

Sorrise. "Può essere anche per quello" disse tra un sorriso e l'altro.

Mi passai una mano tra i capelli. "Dopo scuola mi devi accompagnare a casa" gli dissi.

"Perché? I tuoi nonni lo sanno?" mi chiese.

"Ovvio che non lo sanno, ma mi hanno imposto una regola e io non la voglio rispettare. Tutto qui."

"E io sarei solo una pedina per farli arrabbiare con te, giusto?"

Annuii. Era una settimana che aspettavo che mi rivolgesse la parola solo per convincerlo ad aiutarmi a combinare un altro guaio, anche se non volevo che mi rivolgesse la parola in questo modo.

"E cosa dovrei fare di preciso?" mi domandò.

"Devi solamente farmi salire su Minerva e mi accompagni a casa. Molto semplice, no?"

"E questo li dovrebbe far arrabbiare?"

"Tu non li conosci bene quanto li conosco io, non sai il loro piccolo segreto" annunciai.

"E quale sarebbe?" mi domandò interessato.

"Se te lo dicessi non sarebbe più un segreto. Attieniti solo a fare ciò che ti ho detto" gli dissi. Lui annuì e appoggiò un dito sui libri per dirmi che dovevamo continuare la lezione.
                                             
                                                                                                                             ***

Appena finimmo di studiare in biblioteca, andai a dire a mio fratello che non sarei ritornata con lui e con Maureen, ma con Dylan. All'inizio non la prese bene e mi fece una paternale sul fatto della fiducia e altre mille cose, ma poi si accorse che, anche se mi avesse fatto il discorso più convincente al mondo, io non avrei cambiato idea. Volevo che mi odiassero, volevo creargli problemi. E questo in sé era piccolo, visto da una prospettiva esterna, ma in realtà gli avrei dimostrato che non potevano sovrastarmi e li avrei fatti prendere paura, perché avevo appena fatto ciò che aveva fatto mia mamma quattordici anni prima, scappare con un ragazzo in una spiaggia, solo che io non avrei partorito nel giro di nove mesi due gemelli.

Dopo averlo avvertito aspettai con lui l'arrivo di mia nonna e, mentre aspettavamo, vedemmo Dylan e Stephanie che stavano uscendo da scuola. Dylan aveva lo sguardo puntato dritto davanti a sé, invece la biondina gli stava parlando a vanvera. Il ragazzo non sembrava molto interessato a ciò che gli stava dicendo, ma quando arrivarono in fondo alle scale le appoggiò le mani sulle spalle con gentilezza e la rassicurò, o almeno dopo quel gesto Stephanie mi sembrava esser tornata la solita stronzetta.

Dopodiché, Dylan mi vide e mi raggiunse sotto lo sguardo accusatorio della cheerleader. "Allora, andiamo?"

"No, devo aspettare che arrivi Maureen affinché ci veda" affermai.

Roteò gli occhi. "Tu e i tuoi stupidi piani. A cosa ti serviranno poi?"

"Quello che penso anch'io" intervenne Ethan. "Sono stupidi, Elle. Non otterrai nulla, oltre il prolungamento del tuo castigo, e forse nemmeno quello."

"E non credo che te lo prolunghino, perché sanno che io sono un bravo ragazzo... non si preoccuperanno, secondo me." E ovviamente anche Dylan diede la sua opinione non richiesta.

"Ma tu non li conosci bene come facciamo io e Ethan, principino" gli risposi seccata. Perché nessuno apprezzava il mio ingegno?

Ethan alzò un sopracciglio. "Ti ricordo che sono entrati a far parte della nostra vita solo da qualche settimana, massimo un mese o poco più."

"Ma lui non sa il loro piccolo grande segreto, Ethan C." dissi bloccandomi sul nascere dell'ultima parola. Volevo fargli capire ciò che intendevo, ma non potevo permettermi che anche Dylan capisse.

Annuì, finalmente cosciente di ciò che volevo far provare alla nonna. E nemmeno il tempo di averla pensata che arrivò con la sua auto nel parcheggio della scuola. Come si dice, si parla del diavolo e spuntano le corna...

Abbassò il finestrino e ci chiamò. "Ethan! Elaine! Andiamo a casa!"

Come lo disse, presi Dylan per mano e ci incamminammo verso la sua moto. Sentii il disappunto della nonna seguirmi per ogni passo che feci. Tenevo ancora stretta la sua mano alla mia, quando arrivammo davanti a Minerva. "Chi guida?" domandò e di scatto tolsi la mia mano dalla sua, alzandola, come quando in classe si fa l'appello.

"Io voglio guidarla! Così il piano verrà meglio, magari anche il fatto che sappia guidare una moto li scombussolerà."

"Sicuramente è solo per questo che vuoi guidare, eh?" disse ironico.

Alzai gli occhi al cielo. "Uffa, figlio di papà. Devo sempre dirti tutto per filo e per segno, sennò non capisci."

Prese la chiave dalla tasca e la mise nella serratura, poi mi fece segno di salire. Non esitai e saltai sulla sella, lui si aggrappò dietro di me. "E poi non dire che non sono un gentiluomo. Dovrebbero farmi una statua di oro vero solo per tutte le volte in cui non mi sono arrabbiato con te!" disse scherzoso, mentre partivamo ancora sotto gli occhi truci di mia nonna che ci stava seguendo senza badare troppo a non esser scoperta.

"E io cosa dovrei dire, allora? Che voglio una statua di diamanti?" ribattei. E mi accorsi che stavo ridendo, era strano ridere qui, a Los Angeles. Era più normale a casa, con la mamma e Rocco, però non mi dispiaceva il fatto di ridere anche qui. Non era di certo l'aspetto peggiore di questa città.

Quando arrivammo alle nostre rispettive case, mi sorprese vedere che Maureen ed Ethan erano già arrivati a casa da molto. Forse non ci avevano seguito per tutto il percorso.

Stavano chiacchierando tra loro e, quando entrai, la nonna mi disse solo questo: "La prossima volta che decidi di tornare a casa con Dylan, potresti avvisarmi così almeno spiego la strada da fare a piedi a Ethan, così potrebbe tornare a casa da solo, perché, almeno in questo modo, potrei preparare dei bei pranzetti e non solo avanzi."

Ethan mi guardava con uno sguardo che urlava 'Avevo ragione, sorellina'. Sbuffai e uscii in giardino scocciata.

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