15| on the roof
"Buongiorno..." mi disse una voce che tutt'un tratto non mi sembrò più solo un eco lontano, ma come se fosse stata detta alle mie orecchie. Aprii leggermente gli occhi e scattai in piedi. Dylan era vicino a me e mi stava sussurrando alle orecchie per svegliarmi.
"Finalmente in piedi la dormigliona!" esclamò. Si era già sistemato, togliendo la sabbia dai vestiti e mettendo apposto i capelli con l'acqua. Feci lo stesso, ma i capelli erano diventati bruttissimi con tutto quel sale e quella sabbia, come se già non fossero rovinati di loro natura.
Poi ci incamminammo verso dove avevamo parcheggiato l'auto in completo silenzio. Eravamo complici per quella serata fuori dal normale, entrambi coscienti che una volta a casa avremmo subìto ramanzine a non finire.
Dopo una mezz'oretta arrivammo nelle rispettive case. Dylan mi salutò con un leggero inchino della testa, e io con il dito medio. Lui rise e io andai alla villa dei nonni.
Quando entrai in casa trovai Maureen, Bernie ed Ethan fare colazione tutti insieme. Rimasi ferma ad osservarli per un paio di secondi. Senza di me sembravano una vera e propria famiglia, ma non lo sarebbero mai stati. Non con loro.
Tossii per attirare l'attenzione dei presenti. "C'è ancora del latte per il figliol prodigo?"
Tutti si girarono verso di me. Maureen mi guardò con gli occhi sbarrati, Ethan si alzò semplicemente dal tavolo e andò in camera sua, senza degnarmi di una parola. Forse il terzo punto della lista era da rivedere e sicuramente dovevo ancora concluderlo.
"Elaine, dove sei stata tutto questo tempo? Ieri la scuola ci ha chiamato, dicendo che dopo le ore di tutoring non ti eri più presentata a lezione. Ci eravamo preoccupati tantissimo, nemmeno Ethan sapeva dove ti fossi cacciata. Così ieri sono andata dalla signorina Edwards a chiederle se Dylan sapesse dove saresti potuta essere, d'altronde era lui l'ultimo ad averti vista e, quando glielo chiesi, mi disse che anche lui non era più a scuola. Pensava foste scappati insieme, ma io l'ho rassicurata dicendole che tu non l'avresti mai coinvolto nelle tue congetture e che lui è un bravo ragazzo. Non avrebbe mai marinato la scuola. E ora dimmi come hai fatto a convincerlo a scappare con te da scuola?" disse tutto ciò d'un fiato e dovette bere un bicchiere d'acqua dopo. Si vedeva da ogni poro della sua pelle che si era preoccupata da morire la sera prima. "Sai, quando ho scoperto che eri con lui subito mi sono rilassata perché è proprio un ragazzo buono ed educato e poi ho pensato che ti avrebbe convinta a tornare a casa entro sera. Lo sa anche lui che non si può stare fuori fino a tardi, ma poi più le ore passavano meno ci speravo e più sapevo che non saresti tornata fino al giorno dopo..."
La bloccai subito. "Come facevi a essere certa che non fossi scappata? Che non fossi tornata dalla mamma?"
Si passò una mano sulla fronte. "Infatti, non ne ero per niente certa, ma quando vidi che non avevi rubato nessun dollaro dalla cassaforte mi rilassai sapendo che non saresti potuta andare tanto lontano."
"Pensi davvero che io sia una ladra, Maureen?"
"No, ma dagli ultimi fatti che sono successi..."
"Davvero? Solo perché ho preso in prestito la moto di Dylan ora tu mi stai etichettando come una ladra, ma non credo sia solo per questo motivo, ma anche per il fatto che sono figlia di una tossico-dipendente, o no?" le dissi mantenendo lo sguardo. Lei lo spezzò per prima.
Scoppiò in lacrime. "Per favore, capiscimi..."
"Io dovrei capire te? Tu che ci hai confiscato da casa nostra, dalla nostra vita? Ancora non riesco a comprendere come faccia Ethan a parlarvi, perché io sto facendo un sacco di fatica in questo momento!"
Si sedette su una sedia vicino al nonno. "Io volevo solo... non arrabbiarti con me, per favore" disse fra i singhiozzi. "Avevo paura di perderti..."
"Perdermi? Ma se non mi hai mai avuta. Maureen, hai sbagliato tutto dal principio: non puoi perdermi se non sono mai stata tua, ricordatelo bene."
Bernie le mise una mano sulla schiena per consolarla e mi guardò per la prima volta negli occhi da quando avevamo passato quel pomeriggio in giardino. "Ascolta, Elaine, lo so che ti potrà sembrare tutto sbagliato in questo momento, però la prossima volta che scappi di casa non portarti un ragazzo con te e per favore non scappare mai più con un ragazzo in spiaggia. Ci faresti solo tanto male, davvero." Avevo i capelli ancora sporchi di sabbia.
"E cosa c'entra la spiaggia o il fatto di essere scappata con Dylan, con tutto ciò che mi avete appena detto?" chiesi esasperata.
"Non c'entri tu, infatti, ma nostra figlia. È successo... tutto ciò che è successo, per colpa di una scappatella in spiaggia con un ragazzino" mi spiegò abbracciando la moglie. Conoscevo la storia d'amore di mamma e Charlie, ma lei non me l'aveva mai raccontata con così pochi dettagli, era una ragazza molto romantica all'epoca.
"Ma io non sono come mamma. Mi ha sempre insegnato a imparare dai suoi errori, per questo io e Ethan siamo più forti di lei. Capite?"
Annuirono insieme. Presi del latte dal frigo, lo versai in una tazza e ci aggiunsi dei cereali. Poi andai in camera mia a mangiarlo, ma lungo il corridoio sentii la pallina di Ethan rimbalzare contro il muro, allora andai in camera sua. D'altronde dovevo spuntare il terzo punto della mia lista. "Ethan..."
"Prima che tu possa dire qualsiasi cosa, per favore, esci" mi disse con un tono piatto, continuando a giocare con la pallina da tennis.
"Lasciami parlare, per favore" dissi, mentre entravo nella sua stanza.
"No, esci. Questa stanza è mia, se te ne fossi dimenticata."
"Non avevamo mai avuto stanze separate, ora non mi cacciare."
"Se è per questo nemmeno una casa."
Mi appoggiai allo stipite della porta. "Vedi, stiamo attraversando tanti cambiamenti, troppi, ma questo non ci deve dividere. Siamo rimasti solo noi due e dovremmo rimanere uniti, come eravamo a casa."
"Ma non siamo più a casa nostra! Non può essere tutto uguale a come lo era là! Siamo cambiati entrambi e, anche se non lo ammetti, è così. Questo posto ci ha cambiati in meno di qualche settimana e niente può tornare come prima, perché ora siamo qui, in questa fottutissima attrazione turistica!" esclamò. Si era arrabbiato per la prima volta veramente e ne ero felice. Gli sorrisi.
"Hai ragione, questo posto ci ha cambiati, ma non lo avrei voluto. Stavamo bene come e dove eravamo prima, ma siamo stati obbligati a cambiare per colpa di questa situazione schifosa.
Io vorrei che tu ritornassi a essere quel ragazzino impacciato che perdeva ad ogni gara di corsa con la moto e doveva baciare la strana del villaggio..."
Sospirò. "Anch'io vorrei che tu tornassi quella ragazzina combattiva, entusiasta e generosa, che pensa agli altri prima di se stessa, alla mamma..."
"E se tornassimo così? Se non fossimo obbligati a cambiare? Se rimanessimo noi stessi?" chiesi speranzosa.
"Tu non sopravvivresti qui abbassando la tua armatura e lo sai, ed è solo per questo che non lo fai. Tu non cambi, ti proteggi. È diverso, Elle."
Mi fiondai verso di lui e lo abbracciai. Lo sapevo che odiava il contatto fisico, specialmente se ero io a darglielo, ma non mi spinse via. Mi tenne stretta a sé. "Smettila di provare a proteggerti, ci sono io a farlo per te" mi sussurrò tra i cappelli. Quanto vorrei fosse così facile, fratellino, pensai mentre ci abbracciavamo.
"I tuoi capelli profumano di mare e sono sporchi di sabbia. Vattene dal mio letto!" esclamò ridendo.
Mi staccai sorridendo. "Si dà al caso che Maureen ha la signora delle pulizie che viene domenica" affermai.
"Fino a domenica non voglio avere la sabbia tra le lenzuola. Sai, di notte non è piacevole."
Alzai gli occhi al cielo e lo salutai con un bellissimo dito medio e quando andai in camera mia non sentii più la pallina sbattere sul muro, fortunatamente.
Presi la lista delle cose e cancellai quel terzo punto. Si poteva dire che avevo risolto, più o meno.
Scesi solo a pranzo e passai anche tutto il pomeriggio in camera mia a pensare a come trovare i soldi e tornare dalla mamma, ma non trovai nessuna soluzione.
A cena regnò il silenzio. Maureen provò più di una volta iniziare una conversazione, ma né io né Ethan ne avevamo voglia. Ogni tanto ci scambiavamo degli sguardi complici di qualche pensiero pazzo e ci sussurravamo cose all'orecchie che non potevano conoscere i nonni. Poi dopo cena restai un po' in camera di mio fratello a chiacchierare delle giornate passate qui e gli raccontai ciò che avevo fatto con Dylan il giorno prima e che avevo imparato a nuotare. Restava solo a lui imparare.
Poi andai in camera mia, indossai il pigiama che consisteva in una maglietta larga e dei pantaloncini corti, qui, come in Texas, faceva un caldo insopportabile pure la notte.
Mentre stavo fissando la lista, in cerca di qualche risposta dall'alto, sentii dei rumori provenire dal tetto. Andai verso la finestra e, quando la aprii, sentii una voce chiamarmi. "Cosa ci fai qua?" gli chiesi seccata.
"Vieni fuori" mi disse Dylan appollaiato sulle tegole del tetto che davano alla mia camera. "È bello qua fuori."
"Non ci vengo sul tetto!" esclamai.
"Fai come vuoi, fifona..."
Sbuffai e aprii del tutto la finestra. Appoggiai un piede sul balconcino e mi spinsi riuscendo ad uscire. Mi venne un capogiro e Dylan mi prese una mano facendomi camminare lungo il colmo del tetto. Mi sedetti a metà, fianco a fianco con lui.
"Come mai sei qui?" gli chiesi dopo un po'.
"Perché la mia finestra non dà al tetto, invece la tua sì. Ho chiesto un sacco di volte a mio papà di spostarmi di stanza, ma solo lui può avere la visuale sul tetto, io mi devo accontentare su quella di camera tua" disse, facendo l'occhiolino.
Gli rifilai un colpetto sul braccio. Rise.
"In più dal tetto si possono vedere le stelle" aggiunse con aria sognante.
Alzai lo sguardo e le stelle che si potevano vedere le si potevano contare sulle dita di una mano. "E queste tu le chiami stelle?"
"Sì, anche se so che c'è ne sarebbero di più se non fosse per tutto l'inquinamento che c'è qui!"
"Dovresti vedere quante ce ne sono in mezzo al deserto! Sono spettacolari, la via lattea sembra proprio una scia di latte versata sul cielo!" dissi affascinata da quel ricordo.
Sospirò e tenne la testa rivolta verso il cielo. "Quanto vorrei poterle vedere come le hai viste tu..." disse con aria malinconica.
"Non sei mai stato in montagna? O in luogo sperduto?" gli chiesi curiosa.
"Ci sono stato una volta quando ero così piccolo da non ricordarmene, ma per il resto sono sempre rimasto qui a Los Angeles, d'altronde mio padre ne è il sindaco, quindi deve sempre essere aggiornato di ciò che succede e per farlo deve rimanere qui."
Rimanemmo in silenzio per un po', poi lui prese parola. "E tu, invece, sei sempre stata in Texas?"
"Magari... da piccola io e mia mamma ci trasferivamo spessissimo, da un paese all'altro, poi trovammo il Texas e ci rimanemmo, o almeno lei rimase lì."
"Perché vi trasferivate da un posto all'altro?" mi chiese.
Non potevo raccontarglielo. Non potevo dirgli la verità, così mentii. "A mia mamma piaceva viaggiare."
Dylan si distese sulle tegole del tetto e rimase lì a guardare le poche stelle che adornavano il cielo. Ogni tanto vedevamo anche qualche aereo passare. Stavo per alzarmi per ritornare in camera, quando mi prese il braccio e mi chiese di rimanere lì con lui. "Domani abbiamo scuola" gli ricordai.
"Non eri tu a volerla saltare?"
"Le persone possono cambiare idea, sai."
Annuì. Avevo ragione. "Ti hanno sgridato per colpa mia?" mi domandò, tenendo la sua mano intorno al mio braccio.
"Non è colpa tua, Dylan. Ti ho chiesto io di andare via da scuola."
"Ma ti ho portato via io, ti ho accontentato io e poi anch'io volevo andarmene" disse con un tono di voce dolce, ma a tratti sofferente.
"Perché volevi andartene?" gli chiesi, non riuscendo a frenare la mia lingua.
"Non sei l'unica ad avere problemi, Elaine."
Appena disse quelle parole la mia coscienza mi obbligò a sedermi vicino a lui, com'ero pochi attimi prima. Tolse la sua presa dal mio braccio e incrociò le braccia intorno alle ginocchia, nascondendomi il suo viso.
Guardai le stelle cercando una risposta, ma mi ritrovai a cercare un modo per parlare con mia mamma, così diedi un compito a quel corpo celeste meraviglioso. Dissi loro di raggiungerla ovunque lei fosse e dirle che le voglio ancora bene e che le vorrò sempre bene. In più aggiunsi una piccola postilla: dovevano dirle di venire a cercarci e venire a prenderci. Quello era il punto più importante, riportarla da noi.
"Ti hanno sgridato? Intendo, i tuoi genitori ti hanno sgridato stamattina?" gli domandai, dopo aver inviato il messaggio.
"Non se ne sono nemmeno accorti che io non ci fossi a casa, o a scuola" mi disse rialzando lo sguardo dalle gambe.
"Com'è possibile? Siamo stati via una giornata, una notte e una mattina."
Alzò le spalle. "Mio padre è impegnato fino a sera tardi e Nicole credo pensasse fossi via con la squadra di football. La sera di solito, quando loro arrivano, io ho già finito di cenare e sono in camera mia a fare i compiti, o a fare videochiamata con Stephanie."
Sbuffai quando disse il nome di quella ragazza pon-pon. "E stamattina?"
"Stamattina mi sono presentato a scuola come al solito, solo tu e tuo fratello non c'eravate in classe."
"Quindi per te è andato tutto come al solito? A nessuno importava ciò che avevi fatto ieri?"
Annuì, abbassando la testa.
"Quanto vorrei essere nella tua situazione! I nonni mi assillano come poche cose al mondo, non li sopporto più!" esclamai sospirando.
Mi guardò. "Io ti ho appena rivelato che i miei genitori non sono per niente presenti e tu te ne esci con voler essere nella mia situazione?! Questa volta vorrei proprio essere io ad andarmene" disse alzandosi.
"Dai, Dylan, lo sai che non intendevo questo. Non volevo essere cattiva."
"E invece non lo so, Elaine. A volte non riesco proprio a capirti, perché, come pochi attimi fa, mi sembravi tutta dolce e gentile, poi a caso diventi misteriosa e tagliente."
"Ma ti sei accorto che ti sei appena descritto? Tu sei lunatico e bipolare, certamente non io."
"Non te?" disse in una risata nervosa. "L'altro giorno ti comportavi come una stronza altezzosa e ieri eri tutta una Dylan qua, Dylan là! Ti prego, non mi schizzare! Avevi ragione, Dylan!" disse imitando la mia voce, ma solo qualche ottava più acuta.
"Non ero così e lo sai anche tu! Non sono una delle ragazze che svengono quando tu passi vicino a loro né non sono il tipo da flirtare con il nemico! E sono ancora una stronza, solo che non sto dicendo tutto quello che sto pensando in questo momento!"
"Allora, non trattenerti" mi sfidò.
Sbuffai. Questo ragazzo era impossibile! "Prima mi dici che non devo dire ciò che stavo pensando sui tuoi genitori, poi mi dici che non mi devo trattenere? Riconfermi il fatto di essere bipolare e lunatico!"
Sbuffò alzandosi in piedi. "Va bene! Allora, a domani, ladra di moto!" esclamò scendendo dal mio tetto con un piccolo salto.
"A domani, figlio di papà!" gli urlai mentre stava ritornando a casa sua. Dal passo veloce che aveva nell'oltrepassare tutto il mio giardino, avevo capito che se l'era presa veramente. Non stava scherzando. Poi scavalcò la recinzione che ci separava ed entrò in casa sua dalla porta principale. A quel gesto alzai un sopracciglio, non gli importava proprio che i suoi si accorgessero che era uscito di casa.
Mi alzai in piedi anch'io e dovetti fare molta attenzione mentre camminavo sul colmo del tetto. Era più difficile di quanto lui lo facesse sembrare. Praticamente mi lanciai dentro a camera mia. E, quando fui dentro, mi distesi sul letto, ma non era la stessa cosa del tetto. Da qui non si potevano vedere le stelle, ma le pregai lo stesso di portare il mio messaggio alla mamma.
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