13| at the beach
"Cosa intendeva con quella frase?" gli chiesi una volta che fummo per strada per una meta a cui non ero a conoscenza.
Aveva le braccia strette sulla mia vita, ma a volte le lasciava al vento.
"Che devo imparare a guidare la moto sotto la pioggia, okay?!" esclamò arrogante.
Sbuffai. "E perché ha nominato Eli Edwards?" chiesi curiosa, aggiungendo anche il cognome all'affermazione.
Mi tolse le mani dalla vita velocemente. Sentii tutti i suoi nervi tendersi. "Fermati!"
Ero esattamente in mezzo alla strada con un camion davanti e una Subaru dietro, di certo non potevo fermarmi lì. "Ti ho detto di fermarti, Elaine! FERMATI!"
"Non posso, Dylan!" esclamai, raddrizzando la moto un'altra volta perché mi aveva sbilanciato il peso di lato.
"Sì, invece che puoi! Non ti ci vuole niente! Vedi quel marciapiede vai là! E FERMATI ORA!" mi urlò all'orecchio.
Feci come mi aveva detto perché sentivo evidentemente che si era arrabbiato parecchio. Se prima non aveva funzionato il fatto di interromperlo sempre, ora era bastato nominare quel ragazzo e si era scatenato il finimondo.
Quando mi fermai vicino al marciapiede, dopo aver ricevuto svariati insulti e clacson, scese dalla moto e si sedette sul marciapiede con le mani fra i capelli.
Mi sedetti vicino a lui, ma non troppo. Volevo lasciargli lo spazio vitale necessario per calmarsi senza aggredirmi.
"Dyl..." dissi, ma venni subito fermata.
"No, ti prego, non parlarmi!" mi bloccò, alzando una mano verso di me. Potei intravedere per qualche momento il suo viso e notai che gli occhi gli luccicavano colmi di lacrime.
"Non ha senso!" esclamai dopo un po' che eravamo in completo silenzio.
"Cosa?" mi chiese in un sussurro, ancora arrabbiato con me.
"Il fatto che tu mi dica di stare zitta. Uno, non lo farò se me lo chiederai, e dovresti saperlo. Due, prima mi inviti a saltare scuola e andare in giro con te, poi mi tratti così; non è che sei lunatico o bipolare, vero? O sei un Gemelli?"
Si tolse le mani dal viso e dai capelli. Accennò un sorriso. "Hai ragione, mi dispiace" disse, soffocando una risata.
"Lo so di aver ragione, ma non dispiacerti. Per me è un piacere saperlo, e sentirmelo dire" dissi, sbruffona com'ero.
Alzò gli occhi al cielo. "Intendevo dire che sono un Gemelli, sono nato il 22 maggio."
Mi misi una mano sulla fronte con fare drammatico. "Oh no! Allora il nostro rapporto finisce qui e questa volta mi dispiace veramente, ma non so se riuscirò ancora a frequentarti dopo questa scoperta. E se lo farò, farò molta fatica, sappilo."
Questa volta non cercò di soffocare la risata, ma rise di gola. "Ne sono felice, allora."
"Sto scherzando!" precisai. Non credevo all'oroscopo, ma era divertente parlare con la pazza del villaggio in Texas che era molto aggiornata sulle stelle e tutte quelle cose che ne conseguono.
Si alzò e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi. La presi e quando ci toccammo lo guardai negli occhi. Brillavano ancora, ma non sembravano più tristi e arrabbiati quanto prima. La sua pelle era liscia, morbida e olivastra.
"Vuoi andare da qualche parte lontano da qui, giusto?" Annuii, ma non mi alzai nemmeno in quel momento. Volevo sentire ciò che aveva da dirmi. "Ti porterò lontano, ma non aspettarti il Texas..." Ritirai la mia mano a quelle parole e mi alzai da sola. "In più domani abbiamo scuola, anche se oggi l'abbiamo marinata volutamente" aggiunse.
Alzai le spalle. Mi sedetti su Minerva e aspettai che quel ragazzo si aggrappasse ai miei fianchi. Quando lo fece mi diede le direzioni e rientrammo in quello che avevo scoperto fosse il traffico quotidiano tipico di Los Angeles, o tutte le città grandi come quella.
Avevo il vento fra i capelli e non osavo immaginare quanto fosse fastidioso per Dylan ricevere i miei capelli in pieno viso ad ogni curva o ventata.
Dopo un paio di minuti arrivammo dove Dylan era intenzionato a portarmi fin dall'inizio. "L'originalità è proprio il tuo forte e si vede" dissi completamente ironica, appena scendemmo dalla sua moto. Mi aveva portata al mare in una città balneare.
"Dove volevi che ti portassi se non in spiaggia? Non è che ci sono le montagne qua!"
Roteai gli occhi. "In una casa abbandonata, un museo, un parco divertimenti, in centro? Non lo so proprio come spiegartelo, ma abiti in una delle città più famose al mondo e più visitate e non sapevi dove portarmi... be', sei preso proprio male, ragazzo."
"Grazie."
"Porti qui anche la tua ragazza? Perché se è così, allora la dovrei avvisare che hai portato qui anche me. Non so se ne sarà contenta, però."
"Tranquilla, che non si arrabbierà di sicuro" affermò incamminandosi verso il molo.
Mi tolsi le scarpe e i calzini, le presi in mano e lo raggiunsi in una piccola corsetta. "Perché Stephanie non è gelosa? Non mi sembra proprio un tipo tranquillo, sai."
"Perché lei non è decisamente la mia ragazza" affermò.
"Potrebbe offendersi, se non ne è a conoscenza di questo nuovo sviluppo della vostra relazione."
"Se ti preoccupi così tanto, sappi che ne è pienamente a conoscenza."
Risi. "Durante la festa non mi sembrava per niente consapevole di questo sviluppo."
"Ma farti i cavoli tuoi non ne sei proprio capace, vero?" mi disse alzando i toni.
Alzai le mani in segno di arresa. E solo allora, quando restai zitta, mi accorsi che per la prima volta stavo toccando la sabbia da settimane e mi ricordava quella del deserto, quella di casa.
Ormai eravamo vicinissimi all'acqua. Feci una corsetta veloce e immersi i piedi sull'acqua. Non lo avevo mai fatto prima in tutta la mia vita. Spesso ci eravamo trasferiti in un luogo balneare, ma mai avevamo avuto il permesso di tuffarci in acqua, sennò avremmo bagnato il pavimento della casa in cui vivevamo. Quella era la scusa che mia mamma usava di più. Per questo motivo non avevo mai imparato a nuotare, però il mare mi aveva sempre affascinato.
Appoggiai una mano sulla superficie dell'acqua e restai ad osservare le ondine che aveva creato il mio singolo movimento. L'acqua era cristallina e luccicante. Mia mamma avrebbe detto che era magica, tutto ciò che ci affascinava per lei era magico. Le moto, magiche. Il mare, magico. Il vento, magico.
Era bello sentirla pronunciare quelle sei lettere ogni volta. Davano un senso meraviglioso di pace.
Nel frattempo Dylan si era seduto sul limite del bagnasciuga con i piedi scalzi bagnati dalle onde che si ritiravano per poi ritornare.
Quando misi la mia mano sull'acqua e l'onda che arrivò fece fare qualche zampillo all'acqua così bagnandomi i vestiti, scoppiai in una risata dolce e spontanea. Intanto i miei polpacci si stavano bagnando completamente. Misi entrambe le mani dentro l'acqua e tirai fuori un po' di gocce, bagnandomi la maglietta nuova.
Giorni fa Maureen mi aveva obbligata ad andare a fare shopping e scoprii che era una delle cose che odiavo di più al mondo. Anche con la mamma succedeva che andassimo a fare shopping, ma questo accadeva una volta o due all'anno. Da quando ero diventata una ragazzina Cassie mi aveva regalato dei suoi vestitini e la mamma mi dava le sue magliette. Non mi era mai servito andare a fare shopping, ma secondo la nonna era essenziale. Quindi ora indossavo dei jeans neri e una maglietta a maniche corte bianca con una scritta rossa che richiamava il colore dei miei capelli.
Mentre giocavo con le gocce d'acqua mi venne in mette un'idea e la attuai subito. Raggruppai una grande quantità d'acqua tra le braccia e mi girai leggermente verso quel ragazzo. D'un tratto gli lanciai tutta quell'acqua addosso facendolo scattare in piedi. Gli avevo bagnato la maglietta bianca e si intravedevano in trasparenza gli addominali ben formati.
Quando fu in piedi, dallo shock iniziale lasciò spazio ad un grande sorriso di sfida. I suoi occhi brillavano quanto i miei. Si tolse le scarpe e la maglietta. Scoppiai in una fragorosa risata; avevo già capito ciò che aveva intenzione di fare, ma nonostante questo mi colse di sorpresa quando mi prese per le gambe e mi buttò in acqua.
Anche se la superficie era bassa perché eravamo ancora vicini al bagnasciuga, andai nel panico. Non sapevo nuotare.
Annaspai per un paio di secondi, poi riuscii ad impiantare i piedi sulla sabbia e raddrizzarmi. "Brutto stronzo! Perché l'hai fatto?!" gli urlai contro riprendendo il respiro normalmente. Iniziai a schizzarlo con cattiveria, ma ottenni l'effetto opposto. Iniziò a ridere e a schizzarmi anche lui. Non potei non trattenere un sorriso e confessargli la verità. "Non so nuotare..."
Fece un passo verso di me. "Davvero?" mi chiese sorpreso.
Mi passai una mano fra i capelli in imbarazzo. Non mi piaceva ammettere di non saper fare qualcosa. Mi avevano sempre insegnato a non mostrare le mie debolezze a nessuno, nemmeno a costo di mentire, ma qui non era come in Georgia, o in North Carolina o ancora in Alabama. Di Dylan speravo di potermi fidare, ma ancora non ne ero del tutto certa.
"Non ho mai imparato. Non ho mai avuto l'occasione di imparare" spiegai.
Si avvicinò ancora. Ormai gli mancava un passo e poteva sentire il mio battito accelerato per l'emozione di essere per la prima volta in tutta la mia vita completamente bagnata dall'acqua marina.
"E se l'occasione fosse questa, l'accetteresti?" Azzerò la distanza tra di noi. "Accetteresti il mio aiuto?" mi chiese in un fievole sorriso.
Annuii d'istinto.
Ci incamminammo verso l'acqua un po' più alta, fino all'altezza del bacino. Poi mise una mano dietro la mia schiena e mi aiutò a distendermi nell'acqua. Mentre mi aiutava a galleggiare si piegò appoggiando le ginocchia sulla sabbia bagnata. Poi mise entrambe le sue mani sulla mia schiena e mi dovetti ripetere mentalmente più volte di non scappare o tirargli un pugno in volto.
"Chiudi gli occhi. Immagina qualcosa che ti renda felice, che ti abbia sempre resa felice, poi raccogli tutta l'aria inimmaginabile dentro i tuoi polmoni e una volta che ti sentirai pronta la rilascerai, aprirai gli occhi e ti accorgerai che starai galleggiando."
E così fu. Quando aprii gli occhi stavo galleggiando, ma quando me ne resi conto mi prese il panico e rischiai di cadere in acqua. Fortunatamente Dylan teneva le braccia sotto la mia schiena e, appena sentì che io rischiavo di sprofondare, mi prese per i fianchi in una sorta di abbraccio. I suoi occhi marroni erano ad un palmo dai miei verdi. Le sue braccia forti mi trattenevano, sentivo le sue vene sulla pancia.
Non potevo lasciarmi andare ai sentimentalismi, quindi tossii per spostare l'attenzione su qualcos'altro oltre che sui suoi occhi nocciola, ma quando tossii lo presi alla sprovvista e mi lasciò andare. E fu lì il vero problema, perché l'acqua era abbastanza alta e mi ci volle il suo aiuto per rialzarmi, quindi ancora un'altra volta mi ritrovai davanti quegli occhi.
"Non è giusto che io mi sia completamente bagnata invece tu no!" dissi spostandomi e schizzandolo ancora una volta.
"E va bene, allora!" urlò lanciandosi sott'acqua. Nuotò intorno alle mie gambe facendomi cadere di nuovo in acqua, ma questa volta avevo capito che per galleggiare bastava muovere le braccia e le gambe, ma forse le mossi troppo perché gli tirai un calcio sul naso per errore. A quel punto Dylan spuntò fuori dall'acqua con il viso tenendosi il naso con una mano.
Mi avvicinai e gli appoggiai una mano sul mento alzandoglielo. "Guarda in alto, così si fermerà il sangue più velocemente" gli spiegai. Poi gli misi un po' di acqua sulla fronte.
"Va meglio?" gli chiesi dopo un po'.
Mi sorrise. "Me l'hai rotto, sicuramente. Guarda!" Tolse la mano dal naso e puntò un dito sull'osso che notai fosse leggermente storto.
"Oh mio Dio, mi dispiace! Fa tanto male? Se torniamo a casa, magari Maureen sa cosa fare" dissi preoccupata. Provai a toccargli il naso e fece una smorfia. Questa non ci voleva. "Scusami veramente. Non l'ho fatto apposta. Non so nuotare, stavo provando a galleggiare da sola, scusa..."
Si sbellicò dalle risate. "Elaine, ti stavo prendendo in giro!"
Spalancai gli occhi dalla rabbia. "Non farlo mai più! Sei proprio uno stronzo, Dylan!" gli dissi mentre mi incamminavo verso la spiaggia stizzita.
Mi rincorse e mi affiancò. "Non prendertela, per favore, ma mi faceva troppo ridere la scena. La ribelle e ostile Elaine che si dispiace per avermi fatto male...non potevo resistere all'occasione per prenderti in giro."
Annuii non molto convinta. "E il naso?"
Passò una mano davanti al viso. "Era già storto da un po'. È una cicatrice da campione" disse facendomi l'occhiolino.
"Sì, come no. Sarà stato un bambino mentre giocavi a football" ipotizzai.
Abbassò lo sguardo all'acqua. "Magari..." sussurrò.
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