10| pity
Solo una volta portato il dolce l'attenzione fu spostata altrove da me e mio fratello.
Per tutto il tempo ci avevano riempito di domande sul nostro passato a cui noi continuavamo a rispondere con monosillabi. Eravamo entrambi consapevoli che tutti erano a conoscenza di qualcosa, qualcosa che non ci era stato riferito evidentemente, ma ciò mi portava a pensare che i nonni erano a conoscenza delle nostre condizioni già da molto più tempo di quanto volevano farci credere, o da quanto tempo avevano organizzato il nostro rapimento. Giorni? Mesi? Anni che erano a conoscenza della nostra esistenza? La mamma ci aveva sempre detto che solo con lei saremmo stati al sicuro, che il mondo è una trappola per mosche. Una volta intontiti per bene ci saremmo trovati intrappolati su un filo di scotch e la nostra morte sarebbe stata lenta, ma lei ci avrebbe tenuto al sicuro, non avrebbe lasciato farci ingannare dal mondo. Lei ci aveva cresciuti per esser più forti, più forti del mondo intero. E ci aveva detto fin subito che saremmo stati meglio da soli con lei, niente nonni, niente papà.
Queste erano le uniche condizioni che avevamo per poter vivere con lei e noi le avremmo sempre rispettate, ovviamente erano rispettate finché i nonni non ci avevano rapiti.
Non aveva mai accennato al fatto che i nostri parenti sapevano che noi esistevamo. Noi sapevamo solo che nessuno ci faceva visita, nessuno ci veniva a trovare e da piccola lo giustificavo semplicemente con il fatto che ci spostavamo spessissimo da una casa all'altra, da uno stato all'altro, quindi non potevano conoscere l'indirizzo di casa nostra. Poi quando la mamma aveva trovato Rocco e Cassie e il Texas, avevo iniziato a pensare che forse nessuno ci conosceva, che eravamo degli estranei al mondo, che c'eravamo solo io, mamma ed Ethan.
"Sono sicura che è eccezionale!" esclamò la preside dopo pochi attimi che la nonna aveva appoggiato la sacher sul tavolo. "Dovete sapere che vostra nonna è un'ottima cuoca e pasticcera!"
Annuii disinteressata. Anche se fosse stata la cuoca più brava al mondo, non avrebbe cambiato nulla, per me sarebbe sempre rimasta la ladra di ragazzini.
Maureen diede a ognuno di noi una fetta di torta. Era bellissima: la copertura di cioccolato era lucida e luminosa, stesa alla perfezione e i vari strati era suddivisi con impeccabilità.
Ogni volta che guardavo il piattino sotto il mio mento mi veniva da vomitare: era troppo perfetto, troppo. Mi ricordava casa, mi ricordava il Texas, mi ricordava Furia, mi ricordava Rocco, mi ricordava Cassie e Cameron, mi ricordavano mamma...
La testa mi iniziò a girare. Le parole che stavano dicendo le sentivo, ma come se fossero state dette da un'altra stanza. La fronte iniziava a sudare.
Appoggiai una mano alla tovaglia e la strinsi forte. Concentrai il dolore che provavo alla testa e al cuore su quella presa salda al tavolo, ma dopo poco sentii il cibo risalire dalla pancia e provavo a ricacciarlo con forza, eppure continuavo a sentire un senso di acido in gola che grattava. Appoggiai una mano alla bocca e, mentre gli altri stavano chiacchierando dei fatti propri, nessuno si accorse che mi sentivo male. Forse se avessi detto che dovevo andare in bagno mi avrebbero lasciato e nessuno se ne sarebbe accorto...
Mi alzai di scatto, facendo cadere la mia sedia. Ora tutti si erano accorti di me, certamente. Misi entrambi le mani alla bocca e corsi verso il bagno. Spalancai la porta e mi gettai ai piedi del water. Alzai la tavoletta e mi appoggiai sul bordo. Cercai di tenere i capelli indietro, ma non feci in tempo che tutto quello che avevo mangiato a pranzo iniziò a uscirmi dalla bocca. Vomitai.
Non riuscivo a fermarmi e il mal di testa non si decideva ad andarsene. Sentivo che il vociare della cucina si era fatto più alternato e più chiassoso, ma non riuscivo a decifrare le parole né capivo se stessero urlando o parlando normalmente. Era come se fossi sotto acqua.
Ad un tratto sentii una mano tenermi i capelli rialzati. Il mio primo pensiero fu su Ethan. Era lui che si prendeva cura della mamma, quando avevo le sue giornate brutte e magari beveva in modo esagerato, ma quando mi girai verso quelle mani rimasi sorpresa. Non era Ethan, di sicuro.
Era la nonna.
Mi stava tenendo i capelli alzati dal water affinché non si sporcassero. "Sai, succedeva spesso che dovevo prendermi cura di tua mamma anche i questo modo. Si ubriacava in maniera sproporzionata da quando aveva conosciuto un ragazzo. Era più grande di lei di qualche anno e non facevano altro che uscire e, quelle poche volte che era a casa, la ritrovavo a piangere o a vomitare nel water. Odiava quando si sporcava i capelli. Le piaceva tenerli puliti e lunghi fino al fondoschiena. Le avevamo detto più volte di tagliarli, ma lei ci ripeteva sempre che li avrebbe tenuti così fino a quando sarebbe diventata vecchia e sarebbero stati un problema. Dedicava un sacco di tempo a sui capelli e io non le avevo mai detto niente, preferivo passasse il suo tempo in quel modo che in altri. Li aveva ondulati, quasi ricci, come te. Erano soffici e setosi. La sera quando le auguravo la buonanotte mi piaceva rimanere là qualche minuto in più e accarezzarglieli finché non cadesse nel mondo dei sogni" disse in un tono quasi malinconico e triste.
Mi faceva quasi pietà, quasi più di quanta ne potessi fare io in quel momento.
Mi girò ancora di più la testa e la dovetti ributtare nella tazza. Il cibo nella mia pancia non era ancora finito evidentemente.
Non sapevo che la mamma avesse i capelli lunghi, né che li avesse mai avuti. Da quanto mi posso ricordare ce li aveva sempre avuti all'altezza delle spalle con degli splendidi boccoli marroni. Di un castano color caramello. Dolce come lei.
La nonna aveva appena detto che li aveva sempre voluti tenere lunghi fino alla vecchiaia, eppure li aveva tagliati da molti anni. "Ora ce li ha all'altezza delle spalle" le dissi sforzandomi di far uscire delle parole dalla bocca, oltre che cibo.
"Ho notato" disse annuendo.
Tornai a vomitare.
Ci aveva rapiti, l'aveva guardata negli occhi e ci aveva rapiti, nonostante l'avesse vista.
Un colpo al petto, un colpo allo stomaco.
All'improvviso iniziò a pettinarmi i capelli. Avrei voluto dirle di smettere, ma non ne avevo le forze.
"Sai, Morgan era proprio come te"
Era la prima volta che pronunciava il suo nome ed era la prima volta che la faceva partecipe in una conversazione.
Un altro colpo al petto, un altro allo stomaco.
Gemetti, e vomitai.
"Cosa hai combinato ieri sera per esserti ridotta in queste condizioni, Elaine?" mi chiese con gentilezza.
Strinsi entrambe le mani nel bordo della tazza e alzai un po' la testa. "Non sono io la causa del mio dolore, se non te ne fossi accorta" sibilai.
"E cos'è allora? Hai bevuto ieri? Quando sei scappata di casa sei andata alla festa sulla spiaggia e hai bevuto? Lo sapevo che eri uguale a tua mamma, l'ho letto nei tuoi occhi quel giorno. Hai la sua stessa forza e voglia di vivere."
"Ne sono felice. Sono felice di assomigliarle!" esclamai. "Almeno così attraverso me, ti ricorderai di quanto dolore le hai recato in tutti questi anni!"
Mi lasciò di colpo tutti i capelli e se ne andò dal bagno sbattendo la porta.
Il giramento di testa mi stava passando leggermente e riuscii a sentire la nonna scusarsi per il mio comportamento e per aver sbattuto la porta con gli altri. Disse addirittura che ora stavo meglio, come se fosse vero.
Restai lì in bagno ferma immobile sul pavimento. Avevo ancora un fortissimo mal di pancia e mi sembrava di poter sboccare da un momento all'altro. Poi sentii la porta aprirsi.
"Sei ritornata per dirmi di nuovo che assomiglio a lei?" dissi arrogante senza nemmeno voltarmi.
"A chi dovresti assomigliare?" chiese una voce maschile.
Merda.
Era Dylan.
"Secondo me non assomigli a nessuno. Sei rara, meno del due per cento della popolazione mondiale ha i capelli rossi, quindi non credo tu possa assomigliare a nessuno, se non a tuo fratello" decretò sorridendomi appoggiato alla porta del bagno.
Alzai gli occhi al cielo. "Che c'è? Non entri?"
"Ovvio che non entro, tu non sai che puzza c'è qui dentro! Non ci entrerei nemmeno da morto e nemmeno per sogno!" esclamò ridendo.
Come faceva a trovare tutta questa situazione esilarante? A me la sola scena faceva pena e pietà. "Allora puoi andartene perché non mi sei di alcun aiuto lì impalato" lo sgridai.
Entrò nel bagno per un nanosecondo e da uno dei cassetti estrasse una elastico per i capelli. Poi me lo lanciò vicino al water. Lo raccolsi e mi legai i capelli. Poi lo guardai e sorrisi.
"Ecco ora ti ho aiutato, ma stai sicura che non entro mai più! Sono stato un secondo massimo e già mi sentivo morire dall'interno" esclamò in modo melodrammatico.
"Dovresti essere tu il protagonista della recita di fine anno, allora" dissi sarcastica.
"Sei tu che non hai l'olfatto, forse è il fatto che quel cibo era tutto nel tuo stomaco a non fartelo sentire, ma fa proprio schifo!"
"Forse è l'unica fortuna di non stare completamente bene..." mormorai.
"Non è vero, ce ne sono un sacco" mi corresse.
"Allora elencami le varie fortune di stare male. Illuminami, Dylan."
"Be'... intanto domani non andrai a scuola, poi se non andrai a scuola non ti dovrai sorbire le spiegazioni pallose dei professori né avrai la possibilità di esser richiamata nell'ufficio della preside e tollerare le sue prediche. E cosa più importante di tutte non potrai rubarmi la moto che effettivamente questo rende più felice me che te..."
Alzai un sopracciglio. "Ti sei offeso? Davvero?"
"Mi hai rubato la moto!"
"Ma non sapevo nemmeno fosse tua, o anzi non sapevo nemmeno chi tu fossi! Non dovevi prenderla nel personale!"
"Quindi quella mattina non avevi già pensato di rubarmela né il pomeriggio avevi pensato che sarebbe stato divertente rubarla al ragazzo a cui la mattina avevi fatto il dito medio, eh?" mi chiese.
"Accidenti, non ci avevo pensato. Sarebbe stato ancora più divertente se l'avessi pensato prima e non solo una volta che ne ero sopra."
Appoggiò entrambe le mani intorno alla vita. Mamma mia, la camicia che aveva sopra faceva risaltare ancora di più i suoi muscoli. Per distrarmi piegai la testa verso la tazza, pronta a vomitare.
Ero così pronta a farlo che rimasi sorpresa quando non uscii nulla dalla mia bocca. Sorrisi, di nuovo e lo guardai. Ora non stavo più tanto male.
"Vedi, alla fine ti ho aiutato. Non sottovalutarmi più, ladra di moto" mi disse guardandomi sorridere. Sospirò soddisfatto e ritornò in cucina.
"Hai ragione, mi hai aiutato, figlio di papà" dissi alla sua ombra che si allontanava.
Doppio aggiornamento C10 & C11.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro