03| i'm not a thief
Quando suonò la campanella per la pausa pranzo, uscii in giardino perché sapevo avrei trovato Ethan. E infatti fu così.
Mi stava aspettando fuori dalla porta principale, un po' in penombra. Stava fumando delle sigarette. "Di chi sono queste sigarette?" gli chiesi prendendogli quella che aveva sulle labbra e buttandogliela a terra. La schiacciai con il piede.
"Di Rocco" mi disse mostrandomi l'intero pacchetto di Marlboro Rosse. Era un pacchetto un po' rovinato, con un po' di sabbia ancora.
"E l'accendino? Me lo puoi dare?" gli chiesi.
"L'accendino non è di Rocco" mi disse passandolo. Si vedeva perfettamente che non era di Rocco, non era né sporco né rovinato. Era nuovo ed era un modello che non avevo mai visto. Lo presi in mano e mi accesi una sigaretta. Ethan mi guardò scioccato. Io non avevo mai fumato prima, invece lui e Cameron ci avevano provato per una stupida sfida. Infatti appena la provai tossii, ma continuai a fumare lo stesso.
"Ethan, di chi è l'accendino?" gli chiesi, tossendo di nuovo.
Si passò una mano fra i capelli. Sapeva che se mi avesse detto una bugia io l'avrei scoperto fin da subito. "Di un professore. Mentre venivo fuori, l'ho visto luccicare dalla sua tasca e le sigarette sono inutili se spente, quindi dovevo avere un accendino per poterle usare."
"Lo sai che quando Rocco ti scoprirà ti sgriderà, vero?"
Un velo di malinconia coprì i nostri volti. Non ci poteva più sgridare ormai. Speravo ci avesse scoperto. Magari si stava domandando dove fossimo, perché non stessimo giocando con Cameron. Magari ci stava cercando. Quanto volevo fosse vero. Quanto volevo non dover vivere qui, quanto volevo che ci venisse a prendere e a riportare a casa. Quanto volevo scappare e raggiungerlo. Non pensavo mi sarebbe mancato, ma in verità era proprio così. Quanto volevo che noi gli mancassimo e non che solo lui mancasse a noi.
Appoggiai la sigaretta di nuovo sulle labbra e stavo per inspirare quando mi venne in mente un'idea. A pochi metri da noi c'era il parcheggio, e questo voleva dire anche la Harley Davidson del '97.
Presi Ethan per il braccio e lo portai fino alla moto. Quanto speravo che quel ragazzo si fosse dimenticato le chiavi appese alla moto, ma nessuno era così scemo. Infatti non c'era nessuna chiave. Se le forcine funzionavano con le serrature delle porte, avrebbero funzionato con quella di una moto? Presto ebbi la risposta. Funzionò, tolsi il cavalletto e la feci partire con la pedaline, dando un po' di accelerazione. Mi sedetti sulla sella e feci montare dietro di me Ethan. Il proprietario sentendo il motore della propria moto ci vide e iniziò a correre lungo il giardino per raggiungerci imprecando. Stupidi viziati figli di papà, nemmeno mettere un lucchetto o una protezione. Dovevano sapere che ci sono i poveri che farebbero di tutto per quel gioiello di moto.
Misi una mano sul manubrio e la girai. Uscì un bellissimo suono da quel gioiello. Poi uscii dal parcheggio e partii. Ora sì che si ritornava vivi! Andare a velocità estreme era la mia specialità, mi fu vietato perché c'era troppo traffico, ma comunque partii e andai più o meno ai centocinquanta, centoottanta chilometri all'ora. Una sciocchezza, oserei dire. In mezzo al deserto riuscivo a fare anche i duecento, duecento cinquanta prima di far decedere la sfortunata moto nelle mie mani. Ma non eravamo più in mezzo al deserto texano, eravamo in un'autostrada piena di altre auto e camion. Che schifo!
Guidare la motocicletta mi fece ritornare in mente la sensazione che provavo mentre facevo i giri scavando sul terreno. La sabbia fra i lunghi capelli crespi, il vento che mi faceva lacrimare gli occhi e gli incitamenti da parte dei miei amici. Era tutto ciò che mi mancava di più. La mia Furia, la mia amata Furia, il mio amato Texas e ovviamente la mia mamma.
Volevo andarmene e più andavo avanti con la moto, più mi sentivo libera. Non dipendevo più da nessuno, ormai. Non ero un peso a nessuno, quando ero qui. Poi sentii dei clacson suonarci contro. Parecchi a dire il vero. Non me ne ero accorta, ma stavo andando in controsenso in una strada super trafficata. Feci una inversione a U che fece spaventare tutti gli autisti. Ethan urlò entusiasta. In Texas ci eravamo esercitati tantissimo sulle inversione scattose e questa mi era venuta perfetta. Non me ne fregava niente se qualcuno aveva da ridire, io ero fiera della mia fantastica inversione. Continuammo lungo l'autostrada, ma stavolta nella direzione giusta. Non rallentai, né accelerai.
Tutta la tensione di questi giorni stava svanendo dal mio corpo solo grazie a una decina di minuti correndo a una velocità estrema. I miei capelli rossi volavano guidati dal vento, certi erano invece sul viso di Ethan e già mi immaginavo il suo sguardo schifato per il semplice fatto che i miei capelli gli finivano in bocca. I suoi erano troppo corti per muoversi con il vento. Ora il caldo californiano non era più così insopportabile.
Non si teneva più stretto a me, aveva le braccia aperte per sentire tutto il vento addosso a lui, ad un tratto presi una curva troppo stretta e gli feci prendere paura. Quasi rischiò di cadere e da lì in poi, si strinse sempre più forte intorno alla mia vita. Era bello spaventarlo e lo facevo spessissimo, soprattutto all'inizio delle lezioni di guida con Rocco. Fingevo che la moto mi stesse cadendo e lui subito si precipitava vicino a me, poi facendo un'inversione di colpo lo riempivo di sabbia. Ridevamo tutte le volte. Ero sempre stata io la più brava ad andare in moto fra me, Ethan e Cam. Cameron se la cavava abbastanza bene e Ethan non era da meno, ma io li battevo tutti. Rocco diceva che io ero nata con quella forza e passione fin da piccola e i miei capelli rossi e ricci lo dimostravano. Certamente anche Ethan aveva i capelli rossi, ma non quanto i miei. I suoi erano quasi marroni.
Poi decidemmo di ritornare a scuola e riconsegnare la moto, anche se mi dispiaceva molto restituirla.
Appena parcheggiai la moto al suo posto, il proprietario si fiondò su di me e mi spintonò più in là. Feci un passo indietro. "Dovresti essermi grato! Potevo anche non restituirtela!" Appena dissi queste parole, il suo viso divenne rosso di rabbia e si avvicinò a me. Non feci un passo né gli mostrai che avevo paura. Era la stessa cosa che facevo con gli ex di mia mamma.
"Sai com'è, non si ruba! Forse non te l'hanno mai insegnato" mi disse facendo un passo indietro. Sentivo gli occhi di mio fratello su quelli del ragazzo, lacerarlo. Lo guardai sfidandolo. Aveva gli occhi nocciola e i capelli dello stesso colore. Le labbra erano fine e quella superiore era un po' più spessa.
Io e Ethan imparammo a difenderci fin da piccoli, osservando la mamma e i suoi comportamenti, quindi sapeva perfettamente che non avevo bisogno di essere difesa da nessuno, ma Ethan si era sempre sentito come un fratello maggiore anche se quella nata prima ero io.
"A me hanno sempre insegnato che se qualcosa non vuoi che ti venga rubato bisogna proteggerlo. Magari comprare un lucchetto, o una catena. O tutto ciò ti è nuovo?" dissi con un po' di sarcasmo.
"Sai a me hanno sempre insegnato che non si ruba. Settimo comandamento" mi disse indicando il cancello della scuola e la grande scritta in marmo sull'arco del cancello. Recitava: Pleasant Catholic School. Dov'ero finita?
Il ragazzo incrociò le braccia al petto muscoloso. "Posso riavere definitivamente la mia moto?" mi chiese dopo un po'.
Mi girai dandogli le spalle. "Tutta tua!"
Mi incamminai con Ethan al mio fianco dentro la scuola. Come da programma abbiamo Studio con i Professori, ma appena siamo entrati nella struttura l'altoparlante suonò due volte. Poi la voce della preside ci chiamò tre volte. "Elaine e Ethan Morgan sono richiesti nel mio ufficio, subito!" Sembrava arrabbiata e non ne capivo il motivo. Più volte ci vedevamo, più potevamo arricchire la nostra amicizia.
Arrivammo in corridoio e ci fece entrare subito nel suo ufficio. "Nemmeno quattro ore e già vi ho richiamato. Come penserete che vostra nonna si sentirà quando lo verrà a sapere?"
Mi sedetti sulla sedia esattamente davanti a lei, Ethan in quella affianco. "Bene, bene. Sa lei ha detto che diventeremo amiche e questa può essere un'occasione perfetta per conoscerci un po' meglio" dissi seria, anche se internamente stavo ridendo come una sciocca.
"Sì, hai ragione. Allora direi che posso iniziarti a chiamare Elle?" mi chiese sfoggiando quel finto sorriso.
Non avrebbe mai dovuto osare dire quelle parole. La mamma, Ethan, Cam, Rocco e Cassie erano gli unici che potevano chiamarmi così. Ogni ragazzo che aveva una relazione con mia mamma che mi abbia mai chiamato con il mio soprannome mi dava i sensi di vomito, quindi certamente non era autorizzata a chiamarmi in quel modo.
"Elaine Morgan, non arrabbiarti con me. Sei stata tu a voler venire nel mio ufficio rubando la moto al figlio del sindaco. Te la sei cercata, mia cara Elaine."
Se non le strappai i capelli uno alla volta era solo per il semplice motivo che Ethan mi stava trattenendo per il braccio. Sapeva che se l'avessi fatto saremmo finiti ancora di più nei casini.
"Comunque ritornando al vero motivo per cui siete qui... come mai vi è venuto in mente di rubare una moto dal parcheggio della scuola? E se avete causato dei danni, sapete chi ci va dietro? I vostri nonni e la scuola!"
"Sa non volevo dirlo così, ma siamo cleptomani. Non ci si può aspettare niente di peggio dai figli di una tossico-dipendente, o no? E per i danni, che non esistono, si può tranquillizzare, ci possono pensare perfettamente i nostri nonni. Hanno abbastanza fondi da poter ricostruire tutta la città."
"Elaine Charlie Morgan, sii seria per una buona volta!" mi sgridò mio fratello. Non me l'aspettavo da lui. Non poteva chiamarmi così e lo sapeva perfettamente. Lo sapeva eppure l'aveva fatto.
Mi alzai di scatto facendo indietreggiare la sedia e uscii da quell'infernale ufficio. Mi sedetti su una sedia nel corridoio e aspettai che uscisse anche lui subito dopo di me, ma non lo fece.
Restai nel corridoio mezz'ora sentendo la discussione fra loro due.
Poi Ethan uscì.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro