Capitolo 4
A farti paura non è la morte... quel che ti fa paura è l'idea di vivere.
-Terramare
"A-a Seraf?" Balbetto, ferma sulla porta.
"A Seraf." Ripete lui, sconcertato quanto me.
Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo, poi mi scanso e gli faccio spazio per entrare in casa. Seraf è un incubo persino per i più bravi, per quelli come Zach e me. È l'unica città in cui la parte cattiva è il triplo di quella buona, che non si è estinta soltanto perché lì si hanno molti figli.
Cole ci sfreccia davanti, mentre insegue la piccola Mavie, che gli urla qualcosa di poco carino.
"Cole, smettila subito!" lui ride e scappa via, continuando a fare smorfie a Mavie.
Zach guarda prima lei e poi me, per poi prendere in braccio Mavie e dirmi: "Vi assomigliate davvero tanto". Non ci avevo mai pensato, ma in effetti è vero. Abbiamo la stessa forma degli occhi, lo stesso naso piccolo ed un po' schiacciato e gli stessi capelli ricci.
Lei prova a liberarsi dall'abbraccio e, una volta capito che è talmente debole che Zach non se ne è nemmeno accorto, gli prende le orecchie e le tira. Lui la posa subito giù e si massaggia le orecchie, mentre Mavie se la da a gambe, ridendo.
"Caspita, è una stratega più brava di te" ridiamo entrambi e Mavie va a mettere in pratica la sua nuova tattica su Cole.
È così piccola e ingenua, darei di tutto per essere lei. Non è nemmeno completamente mia sorella, in realtà, e non ho idea di chi sia il padre, ma per lei sono come una mamma. Ha solo tre anni, probabilmente non si ricorda nemmeno di quella vera, di mamma.
Zack incrocia lo sguardo con il mio, e annuisco. Non abbiamo altro tempo da perdere.
"Cole!" grido. Scende in fretta le scale, fermandosi sull'ultimo scalino.
"Che c'è?" sbuffa, non staccando gli occhi dal videogioco che tiene in mano "lasciami finire il livello, almeno."
"Dai Cole, vieni un secondo qui."
"E va bene." Posa il gioco per terra e si precipita da me, fulminando Zach con lo sguardo. Nonostante si conoscano da quando mio fratello era solo un neonato, non ho ancora capito che tipo di rapporto abbiano. Solo tre giorni fa Cole mi ha pregato di mandarlo a casa di Zach, così lui poteva insegnarli a tirare con l'arco, mentre adesso non gli parla nemmeno.
Maschi, che sia benedetto chi li capisce.
Cole si ferma davanti a me, intrecciando le mani e aspettando che gli dica qualcosa. Mi abbasso al suo livello, piegandomi sulla ginocchia, e guardandolo dritto negli occhi.
"Sei o no l'uomo di casa?"
"Certo!" si arrotola le maniche della maglietta sulle spalle e mi mostra i muscoli, che però non ci sono, emettendo suoni gutturali e fingendo di essere ad un incontro di wrestling.
Al contrario mio e di Mavie, Cole, escludendo il naso, non somiglia per niente alla mamma. Lui è tutto papà, con gli occhi grossi e i capelli liscissimi.
"Allora puoi badare a Mavie per un paio d'ore, no?" gli scompiglio i capelli con la mano, facendolo brontolare.
"Ma questo lo fanno le femmine, noi uomini facciamo cose più difficili!"
"Ah, questo lo dici tu. Facciamo così, se riesci a non farle combinare nessun casino mentre sono via ti porto con me a fare qualcosa di bello, okay?" Mi guarda stranito, inclinando la testa da un lato.
"Uhm, tipo?"
"Questo lo saprai solamente dopo, ma ti assicuro che sarà fortissimo!"
Si aggiusta il colletto della camicia bianca e mi porge la mano, imitando alla perfezione il ruolo del brav'uomo di casa.
"Va bene, accetto, ma a una condizione" Gli stringo la mano, trattenendo le risate.
"Mmh, sentiamo."
"Se se la fa sotto, non sarò io a pulirle il pannolino! Se lo tiene così finché tu non vieni!"
Mi alzo e mi avvio verso la porta, seguita da Zach, e prima di andarmene gli urlo di sfuggita un:" Ci vediamo tra un po', non fate casino!".
-
Sorseggio il cocktail in silenzio, aspettando che Zach mi spieghi cosa è successo. Lui, però, fissa l'orologio del locale, senza muovere un muscolo.
Mi schiarisco la gola, cercando di attirare la sua attenzione. Per un secondo il suo sguardo si posa su di me ma subito gira la terra da un'altra parte.
"Zach." ritento, e finalmente mi guarda "allora?"
Beve un sorso di birra, mandandone una grossa quantità giù per la gola. Poggia rumorosamente il bicchiere sul bancone, per poi massaggiarsi la fronte con la mano.
"Cosa vuoi che ti dica?" sospira, calmandosi, e si passa una mano tra i capelli lisci.
"La verità, dovresti saperlo" faccio segno a Isaac, il ragazzo dietro al bancone nonché il figlio del barista, di venire.
"Dimmi pure" fa lui, continuando ad asciugare i bicchieri di vetro, senza staccare gli occhi da me.
"Dammi qualcosa di più forte" prendo il cocktail, ancora mezzo pieno, e lo butto nel cestino. "Facciamo vodka?"
"Vacci piano con quella, bambola" Sorride, torturandosi il labbro con le dita.
Alzo gli occhi al cielo, mentre Zach mi guarda divertito.
"Dai, Isaac, dammela!"
Lui ride e continua a fissarmi, facendo un sorriso malizioso "avrò un premio?"
"Una bella ginocchiata nelle parti basse"
"Sono sicuro di poter rimediarci qualcosa di meglio" sorride malizioso.
Zach si alza dalla sedia, avvolgendo un braccio intorno alle mie spalle e uno intorno a quelle di Isaac, passando lo sguardo da uno all'altra.
"Insomma, ragazzi, ci sono dei bambini qui! Ma, per carità, potete continuare quello che avete iniziato di sopra -a proposito, dicono che i letti siano proprio comodi-, così vediamo di non traumatizzare queste piccole e indifese creature." ride con gusto alla sua pessima battuta, buttando la testa indietro. Gli sposto il braccio, fulminandolo con lo sguardo e facendo una smorfia schifata. Lui quindi alza le sopracciglia ripetutamente, dandomi delle piccole gomitate alle costole. Gli punto un dito sul petto, urlandogli in faccia.
"Sei disgustoso!" mi giro, per trovarmi a faccia a faccia con Isaac "E anche tu!"
Quindi mi siedo sul bancone e agilmente passo dall'altra parte, aprendo il frigo e prendendomi da sola la bottiglia di vetro di vodka.
"Mettila sul conto di Zack!" urlo a Isaac, scomparendo in cucina per poi uscire dalla porta sul retro.
-
Infilo le chiavi nella porta, cercando di fare meno rumore possibile. La apro quanto basta per farmi entrare, chiudendola piano una volta dentro casa. Guardo l'orologio sul polso, e impreco mentalmente leggendo che sono le tre passate.
Vado in cucina e metto la bottiglia, ormai quasi completamente vuota, in frigo. Sgattaiolo di sopra, stando attenta a non mettere i piedi sui gradini marci della scale. Quindi apro la porta della camera, convinta di essere riuscita a non aver svegliato nessuno, quando mi si para davanti Cole.
"Un paio d'ore, avevi detto!" incrocia le braccia sul petto, facendo il broncio. "lo sai cosa si è messa a fare quella piccola peste?! Mi ha fatto subire le pene dell'inferno."
"Quanto sei pesante, Cole! Ti ho detto che domani faremo qualcosa di bello insieme, e manterrò la promessa. Hai solo badato a Mavie un po' di più, non farla tanto lunga."
Borbotta qualcosa e scompare nella sua camera, sbattendo la porta troppo forte. Mavie, che dorme insieme a lui, scoppia a piangere. Mi maledico per aver fatto così tardi e mi appunto mentalmente di fare un bel discorso a Cole, non appena messa a letto Mavie. Entro in camera loro, trovando Cole, seduto sul letto, che mi da le spalle e Mavie che gli tira addosso le sue scarpe. La prendo in braccio e vado nella mia stanza, decidendo di lasciar solo per un po' Cole.
Mavie mi prende a pugni la schiena con le sue piccole manine, rimproverandomi per aver lasciato nel suo letto la sua bambola preferita. È una bambina senza testa, ricoperta di sangue finto. È il suo regalo per i due anni, e tratta meglio lei che noi.
Scommetto che, quando inizierà la scuola, non appena sarà obbligata a buttare la sua bambola nel fuoco scoppierà a piangere. Lo fanno fare ad ogni bambino, per insegnarli a soffrire e a non affezionarsi a niente e nessuno.
Mi siedo sul letto, non badando ai suoi capricci, e facendola sedere sulle mie ginocchia.
"Smettila di piangere! Ormai sei grande!"
Si passa una mano sulle guance, bagnandola con le lacrime.
"Non piangere mai più, okay?"
Annuisce e scappa via. La guardo aprire aprire la porta della sua camera ed entrare dentro.
"Grazie, mamma" sussurra, prima di chiudersi la porta alle spalle.
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