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Capitolo 3

"È tutto okay" Adam le prese il viso bagnato dalle lacrime tra le mani e, vendendo la tristezza in quei due enormi occhi nocciola, non poté non pensare di aver sbagliato tutto.

Sbagliato i calcoli.

Sbagliato città.

Sbagliato mondo.

Sbagliato vita.

Ariel singhiozzava rumorosamente, sbattendo i piedi a terra. Cercava di divincolarsi dalla stretta dei due uomini, ma non era abbastanza forte. Era sempre stata una guerriera, l'unica ancora di Adam in quella guerra, ed ora lo stava facendo annegare in quell'oceano di lacrime. Non aveva mai pianto e ora stava sfogando tutto il suo dolore.

" È tutto meno che okay!" la sua voce era rabbia pura. Adam aveva più paura per lei che per se stesso, nonostante loro fossero venuti per lui.

Per la prima volta non aveva idea di cosa fare, di cosa dire ad Ariel. Non era in grado di mentirle, di dirle che sarebbe andato tutto bene. Che avrebbero risolto tutto. Che ci sarebbe stato un Poi, un Dopo.

Ariel colpì con una gomitata l'uomo di destra e, sfruttando la sorpresa di entrambe le Guardie, riuscì a scappare. Adam la imitò, dando una ginocchiata e mandando k.o. i due che lo tenevano fermo.

Scese in fretta la scala anti incendio, raggiungendo Ariel nel vecchio giardino. Ark Park non era altro che polvere, monumenti distrutti, rovine di case e bombe non scoppiate. Stesi lì per terra c'erano un paio di cadaveri vecchi settimane e quattro o cinque freschi freschi. Si, insomma, si fa per dire.

Tra quelli c'era Aleisha, la sua piccola sorellina.

Faceva ribrezzo solo a vederla, con la pelle putrefatta e le mosche che le ronzavano addosso.

Adam avrebbe voluto seppellirla insieme alla mamma, ma non aveva fatto in tempo. E adesso non ne aveva più, di tempo.

Gli scese una lacrima dagli occhi verdi all'immagine di loro che giocavano nel sotterraneo di una delle poche casa ancora intatte.

Gli mancava tanto la piccola Alesh.

Ariel gli si fermò davanti, strappandolo dai sui ricordi.

"Non è ancora troppo tardi per tornare indietro..." Adam la prese per le spalle. Non era pronto per il piano B, nella sua mente era solo una possibilità estrema.

"No, facciamolo. Lo dobbiamo ad Ax."

"E ad Alesh."

"Ad Andrea."

"E ad Alan."

Era terribilmente triste ricordare tutti quei morti, tutte quelle persone che un momento prima erano amici o famigliari ed un momento dopo erano solo corpi senza vita. Adam si sentiva come se gli avessero conficcato un coltello da burro nel cuore.

"Andiamo".

Nello stesso istante in cui i due iniziarono a correre, le Guardie spararono il primo colpo di proiettile. Sfiorò l'orecchio di Adam, e per puro miracolo non lo colpì in viso.

Ariel strinse la mano del diciassettenne.

Si fermarono in quella che prima della guerra era una bellissima piazza. Adam ricordava il nome: Hope Square. Un tempo aveva tante cose in cui sperare, ma la maggior parte di quelle cose ora erano distrutte. Avrebbe potuto sperare in un mondo nuovo, però.

Estrasse dalla tasca della sacca grigia una bomba a mano. Lo stesso fece Ariel.

Tolsero in fretta le spolette, gettandole a terra.

Erano le più forti sul mercato, una era capace di uccidere trecento persone. E le loro erano addirittura modificate. Se fossero riusciti a lanciarle insieme, avrebbero distrutto metà città.

E la stessa cosa avrebbero fatto Alex e Austin nell'altra metà.

Le Guardie si erano fermate, consapevoli del fatto che anche se avessero ucciso i due ragazzi, le bombe sarebbero cadute a terra causando l'esplosione.

"Fate pena." rise Khalida. Era una bella donna, con la carnagione bronzea e un fisico snello e atletico, ma le occhiaie sotto gli occhi erano calcate e in viso le si leggeva tutta la stanchezza accumulata in quegli anni. Era anche giovane, aveva solo trentaquattro anni, eppure era la più vecchia del paese. Veniva da una città lontana, Kappa, e si era trasferita in A da pochi anni. Il suo incarico era di eliminare tutti i ribelli, ed Ariel e Adam erano tra i più ricercati.

"Siete solo degli stupidi ragazzini. Stupidi ed ingenui! Pensate davvero che questo vostro atto possa cambiare qualcosa?"

La sua voce tremava, ed anche lei era cosciente del fatto che A era la città più importante e che le altre dipendevano da lei. Quell'esplosione sarebbe stata solo l'inizio di un'altra tragica guerra. Non avevano nemmeno bisogno di rispondere alla sua domanda. Anzi, la ignorarono. Si fissarono negli occhi, quegli occhi troppo privi di vita per appartenere a dei diciassettenni.

"Bui come stelle distrutte,

sciogliamo le nuvole bianche.

Terribili come la peste,

viviamo nella morte.

Creiamo morte.

E la uccidiamo."

Non era quello il futuro che avevano immaginato, ma era una bella fine.

Ariel gettò le braccia al collo di Adam, lo baciò per l'ultima volta e, dopo essersi scambiati gli ultimi 'ti amo', i due ragazzi gettarono le bombe in aria.

E, tra lacrime e abbracci, A esplose.



Cammino nella stanza, andando avanti indietro, poggiando gli occhi sui nuovi arrivati e calpestando il pavimento con le suole dei vecchi anfibi neri.

"Troppo piano" rimprovero Sam, i cui riccioli neri svolazzano in aria per il forte impatto contro il sacco da boxe.

"Troppo forte" Lauren sembra un carrarmato, con tutti quei muscoli sulle braccia e sulle gambe e i piercing in faccia. Peccato che sia stupida e non abbia tattica. Non riesce a regolare la forza, e non ha idea di come si pianifichi una strategia.

I ragazzi di quest'anno fanno pena. Certo, hanno ottime capacità fisiche, ma non sanno usare il cervello. Mark è davvero felice di questo, non fa altro che girare per la scuola con un sorriso furbo stampato sul viso. Sono dei perfetti manichini, e questo li rende ottimi soldati. Ma io non voglio un esercito dei soldati, io voglio un esercito di guerrieri.

Passo davanti a Sarah, tutta capelli piastrati e autostima a mille, che colpisce il sacco fingendo indifferenza.

Le fermo il braccio, impedendole l'impatto con la stoffa ruvida.

"Troppo perfetto. Con un colpo del genere riusciresti di sicuro a colpire l'avversario, ma sei molto prevedibile e per questo ci rimetteresti tu. Devi pensare di agire con una persona, dotata di muscoli e cervello."

Lei mi fulmina con lo sguardo, irritata dalla mia correzione.

"Ma questo adesso cosa c'entra?! Appena lotterò con una persona cambierò tattica, è ovvio." Sbuffa, arrotolandosi una ciocca dei capelli lisci intorno all'indice.

"Ah si?"

"Ah si."

Le rido in faccia, ghignando. "Spero per te che tu abbia ragione." Mi avvicino al campo da combattimento, una piattaforma rialzata di un metro e mezzo da terra, e sbatto le mani per attirare l'attenzione di tutti.

"Sarah vorrebbe dimostrarci la sua eccellente bravura. Sedetevi e prestate attenzione." Loro si allontanano dalle postazioni precedenti e fanno come ho detto. Quindi salgo sulla piattaforma e faccio cenno a Sarah di imitarmi. Lei trascina lentamente i piedi a terra, per poi fare forza sulle braccia e sollevarsi sul ripiano.

"Al mio tre" annuncio.

"Uno" lei piega un po' le gambe, pronta a fare il primo passo.

"Due" sposta in avanti le braccia e chiude le mani a pugno.

"Tre" sposta il peso verso di me, e prima ancora che il pugno si avvicini al mio viso, le afferrò entrambe le braccia e la catapulto sul pavimento.

"Troppo prevedibile, signorina" le sussurro.

Mi rialzo in un lampo, e do' l'ordine di continuare con l'allenamento.

Sarah si alza lentamente dal pavimento, e non appena fa sforzo sul polso destro fa una smorfia.

Alzo gli occhi al cielo. Non è la prima volta che mi succede.

"Parker, accompagnala in infermeria" lui annuisce e l'accompagna.

E, dopo che i due scompaiono dalla stanza, ritorna la solita monotonia.

-

Cole afferra un'altra coscia di pollo, intingendola nella salsa piccante. "E adesso come sta?" chiede a bocca aperta, mentre mastica la carne.

"E che ne so io. " Ne prendo una anch'io e la ricopro di salsa all'avocado. Non sanno di nulla, ma questa non è una novità.

"Boh, pensavo ti fossi informata." Alza le spalle e dà un altro boccone.

"No, non me ne frega proprio niente."

"Neanche a me ma, sai, stavo cercando di conversare."

"Già, e io stavo solo cercando di rispondere". Mi guarda divertito e mi imita, mettendosi a camminare nella sala da pranzo come se fosse in una sfilata e acutizzando la voce in modo esagerato."Sono troppo perfetta per parlarti, piccolo scarafaggio!"

"Ah ah ah, davvero divertente".

"Già, me lo dicono in tanti".

"E anche modesto, vedo".

"Anche questo me lo dicono molte persone".

"Solo una cosa: che razza di persone frequenti?"

"Oh, di sicuro sono meglio di Zach ohnonmiparlarechesonoanch'iotroppoperfetto" e si mette ad imitare anche lui, con la stessa vocina.

"Ma cosa dici, Zach non è tanto male!"

"Ovvio, tutte le ragazze dicono così del proprio fidanzato."

"Chiudi il becco, microbo! Non siamo mica fidanzati!"

Sogghigna e annuncia in modo teatrale: "Questione di tempo", per poi andarsene in camera sua. Nello stesso momento suonano alla porta e vado ad aprire.

Zach tiene in mano una lettera e sembra terrorizzato.

"La prossima settimana. Vado ad Seraf la prossima settimana."


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