Capitolo 8 - 𝔸ries
Le stille di pioggia cadono con una costanza inesorabile, infrangendosi contro le rocce come un preludio funesto. Questo rovescio incessante è insolito per la stagione in cui siamo, quasi snervante.
Stringo con forza un sasso sporgente, mentre il piede trova precario sostegno su una radice contorta. I miei capelli fradici si incollano alla fronte, pizzicando gli occhi. La mia pelle, bollente, trasforma ogni goccia che osa sfiorarla in un fugace velo di vapore.
La corda stretta attorno alla vita mi morde la carne, scavando con veemenza nei muscoli tesi. Nonostante la mia costituzione robusta e la forza che contraddistingue noi Dei, il peso che porto è imponente. Eppure, non mi lamento. Questa è la mia scelta. Ho deciso di essere il cardine, il punto d'appoggio su cui Frisso ed Elle possano contare mentre scalano questa vetta.
Lancio un'occhiata alla mia pelle segnata dalle abrasioni lasciate dalle fibre di Agave sisalana. Una scelta discutibile, forse, ma le alternative per scalare questa maledetta montagna, che in questo momento detesto con ogni fibra del mio essere, erano limitate.
La pioggia cade incessante, impietosa, come se il cielo stesso volesse mettermi alla prova. Stringo i denti e mi concentro, spingendo con il bicipite contro un masso, sperando che sia saldamente ancorato alla terra fradicia e alle rocce circostanti. Un gemito mi sfugge quando il muscolo si contrae sotto sforzo, le vene affiorano come ramificazioni scarlatte sulla pelle tesa.
Con la mano esploro alla cieca, cercando un nuovo appiglio. Finalmente trovo una sporgenza, anche se non riesco a distinguere chiaramente cosa sia. Nel frattempo, la mia gamba scivola lungo la parete umida, e il contatto riaccende il dolore lancinante delle ferite aperte. Una fitta ardente mi attraversa, tagliente come una lama incandescente.
E poi, l'urlo improvviso di Elle squarcia l'aria gelida, proprio mentre la suola delle sue scarpe scivola sulla roccia bagnata. Mi volto di scatto, così in fretta che il collo protesta con un crepitio sotto la tensione improvvisa. Il cuore mi martella nelle tempie, confondendosi con il fragore incessante della pioggia.
Sotto di me, Elle si dimena nel vuoto, con il terrore acceso nei suoi occhi mentre cerca disperatamente una presa sulla roccia scivolosa. Più si agita, più la corda, stretta intorno ai suoi fianchi, si tende, scavando la carne con una bruciatura feroce, come fuoco vivo.
Grazie, Zeus, per avermi concesso almeno l'intuizione di legare quella corda. Senza di essa, di Elle non resterebbe che un corpo inerte, svuotato dell'anima.
Sotto di lei, la tensione si trasmette lungo la fune, raggiungendo i fianchi di Frisso, che per fortuna non aggiunge altri problemi. Riesce a mantenere una presa stabile e un equilibrio sorprendente, nonostante la sua natura mortale.
Trattengo un gemito, la mascella serrata, mentre Elle ritrova faticosamente un po' di stabilità. Riesco a percepire la sua paura, quasi fosse un'estensione della mia. Il suo petto, macchiato di chiazze rosse informi, si solleva e abbassa convulsamente, scosso dall'adrenalina che le scorre nelle vene.
«Elle!» urlo per sovrastare il frastuono della pioggia. «Stai bene?»
I suoi occhi incrociano i miei con un'intensità che mi trapassa fino alle ossa. «Ho paura di cadere...» singhiozza, la voce spezzata tra le lacrime. Gli occhi, arrossati dall'acqua incessante, sono incorniciati da ciglia appiccicate le une alle altre. Le pupille dilatate catturano ogni barlume di luce mentre si sporge, tremante, a guardare il vuoto sotto di sé.
«Guarda me!» strillo, ma il vento e la pioggia soffocano la mia voce. «Elle, devi guardare me!»
La gola mi brucia per la forza con cui urlo, ma finalmente i suoi occhi risalgono lentamente la parete, finché non si ancorano ai miei. Non dice nulla, si limita a fissarmi, le sopracciglia aggrottate, i muscoli tesi in un muto conflitto tra paura e volontà.
«Prima di spingerti verso l'alto, assicurati che l'appiglio sia stabile.»
«È difficile. Mi fanno male le braccia.»
«Lo so, lo so. Ti prometto che siamo quasi in cima.»
Alzo lo sguardo e un'improvvisa sensazione di appagamento avvolge la mia psiche. La vetta è ormai a pochi metri dalla mia testa. Un suono angoscioso sfugge dalla mia gola mentre allungo il braccio opposto, alla cieca, alla ricerca di un nuovo appiglio. Le dita scorrono sulla terra fradicia, tingendosi di fango, finché non trovano una presa solida. Stringo con forza, le unghie si insinuano nella sporgenza mentre il mio bicipite si contrae sotto lo sforzo brutale.
Nel frattempo, il mio piede svincolato fruga nel vuoto, alla disperata ricerca di un sostegno abbastanza robusto da reggere tutti i nostri corpi. Quando finalmente lo trovo, vi scarico il peso, sollevando parte della tensione che mi attanaglia il corpo e la mente.
Mi fermo un istante. L'aria calda sfugge dai miei polmoni, che si gonfiano e sgonfiano freneticamente, come se cercassero di rincorrere il respiro che mi sfugge.
Mentre cerco di riprendermi, un pensiero intrusivo irrompe nella mia mente con la violenza di un rimorso. Non ho mai faticato come oggi. Ho scalato montagne implacabili, innumerevoli volte, trascinando con me altre vite, proprio come ora. Eppure, l'immobilità forzata non ha soltanto corroso la mia mente, ha prosciugato la forza del mio corpo, rendendolo fragile, estraneo, distante dall'essenza che un tempo dominavo con naturalezza. Ora mi ritrovo vulnerabile persino di fronte al mio stesso riflesso.
Mentre la mia mente si smarrisce nei suoi tormenti, una goccia di sudore scivola lungo la mia schiena, cercando invano una via di fuga prima di svanire nel calore della mia pelle.
Tiro ancora, poi ancora, stringo i denti con tale forza da sentire il morso della mandibola, un dolore sordo che mi ricorda la mia stessa esistenza. Un grido lacerante si sprigiona dalla mia gola, un urlo che trascina con sé il peso insostenibile del dolore nascosto, quel fardello silenzioso che lacera ogni fibra del mio essere e alimenta la colpa che mi divora dall'interno.
E finalmente, mi aggrappo alla cima spianata. Vorrei guardarmi sotto, vedere il volto di Elle e confidare nella mia forza, ma non lascio che la mente mi controlli. Se i suoi occhi collidessero nei miei, in questo momento, tutta la forza che sto accumulando in ogni muscolo del mio corpo, svanirebbe.
Non ci penso. Stendo un braccio oltre il bordo di terra, lasciando che i fili d'erba zuppi d'acqua, solletichino le mie dita spalancate. Ripeto il gesto con l'altro braccio, aggrappandomi con forza a quel suolo morbido, intriso dell'odore di erba fresca e rugiada. Le mie dita affondano, scavando piccoli solchi nel terreno umido.
Mugugno tra i denti, mentre sottili schizzi di saliva guizzano dalle labbra per lo sforzo. Punto i gomiti, stringo gli occhi e spingo con tutta la forza che mi resta, alimentando il fuoco della mia rabbia e del mio dolore.
Rabbia. Dolore. Due sentimenti che non dovrebbero mai intrecciarsi, eppure si avvinghiano l'uno all'altro come radici contorte nella terra della mia anima. Tuttavia, nel mio petto, bruciano insieme. La rabbia alimenta il dolore, lo rende più feroce, più vivo. Il dolore, a sua volta, affila la rabbia, la trasforma in un'arma, la rende incontrollabile.
Le mie braccia tremano, le dita graffiano la terra con una ferocia primordiale. Ogni muscolo del mio corpo è teso allo spasmo, ogni fibra vibra come una corda pronta a spezzarsi. Respiro affannosamente, sento il battito del cuore rimbombarmi dritto nelle orecchie.
Non posso fermarmi.
Trascino l'intero corpo, strisciando prono sopra il suolo verde. La corda sfrega ancora sopra le mie anche, continua a tirarmi verso il basso. Giro il capo e osservo la fune tesa in mezzo alle mie gambe. Scastro le dita dall'interno del terreno baganato, voltandomi lesto, pronto a tiarla. Ma la forza della gravità mi trascina improvviso. Punto i talloni nel terreno, trovando un incastro rigido; intanto che le braccia cominciano a trascinare i corpi verso l'alto, la forza contrastante mi fa alzare in piedi.
Continuo. Le arterie del collo si tendono. L'ira della mia scarsa prestanza inizia, presto, a mutare in adrenalina, che scorre fluida lungo le vene, anestetizzando ogni dolore fisico e ogni controllo. Le vene si colorano di rosso chiaro, rivelando le radici biologiche, intanto che le fiamme vive si distendono sul terreno, circondandomi. Le pupille nere si strigno, mettendo a fuoco il punto in cui la corda scompare sotto la pianura verde e annerendo tutto il resto.
Contraggo ogni muscolo e tiro la corda, sotto l'incessante pioggia che flagella il suolo con furia implacabile. Sbraito così forte per lo sforzo che le corde vocali mi lacerano la gola, lasciando un bruciore acuto ma effimero. All'unisono, un lampo squarcia il cielo plumbeo, rivelando per un istante l'intera collina con un bagliore fulmineo, crudo e spietato. Il tuono esplode in un boato assordante, rimbombando su Karythos con la potenza di una condanna divina.
Sono al limite delle forze. Per un istante, un pensiero fulmineo di slacciare il nodo che stringe la mia vita e lasciare che i due fratelli precipitino nel vuoto.
Ma appena vedo le dita sottili di Elle poggino nei filamenti bagnati, il respiro mi si mozza in gola. Le dita di Elle tremano, le unghie scivolano sulla superficie ruvida e impregnata d'acqua. Un altro tuono folgora sopra di noi, come se il cielo stesso volesse schiacciarci sotto il suo peso. Stringo i denti, ignorando il dolore che mi lacera i muscoli, e tiro ancora.
Il peso della corda si allenta non appena Elle riesce a sollevare il busto oltre il ciglio, strisciando sul terreno e macchiando i suoi pregiati indumenti di terra. Nel frattempo, le mie mani arrossate e brucianti stringono ancora con forza le fibre del cappio, incapaci di rilassarsi.
Per Frisso mi ci vuole meno sforzo, essendo stato in grado di aiutarmi, appigliandosi alla roccia e scalando, accompagnato dalla mia forza trainante.
Quando anche il fratello è finalmente al sicuro, le mie dita si aprono, e la corda scivola via come sabbia tra le mani, frustando sul terreno zuppo di acqua. Lascio andare un sospiro doloroso per l'anima. Un tempo queste stesse mani brandivano una spada, combattevano guerre, scrivevano la sconfitta sulla pelle dei nemici. Le osservo, arrossate, graffiate, tremanti. Non sono le mani di un guerriero, non più. Sono le mani di un uomo spezzato, esiliato, privato di ciò che lo definiva. Un tempo ogni battaglia vinta era un passo avanti, un segno della mia forza, della mia esistenza. Quest'oggi, invece, ogni sforzo sembra solo un'ulteriore conferma di quanto io abbia perso.
Un sospiro grave mi sfugge dalle labbra. I miei occhi restano fissi sui palmi feriti, incapaci di distogliere lo sguardo dalla mia stessa disfatta. Nel frattempo, Frisso ed Elle si riprendono, ignari del vuoto che mi scava dentro.
«Aries, Vi pongo la mia riconoscenza. Senza il Vostro aiuto, non ce l'avremmo fatta.» Frisso mi coglie alla sprovvista, distogliendo i miei pensieri.
«Mmh,» mugugno un assenso appena percepibile. Frisso mi risponde con un semplice cenno, senza aggiungere altro. Poi, con movimenti pazienti, inizia a sciogliere il nodo di Ancorotto che avevo creato; le sue dita curate sfiorano delicatamente le fibre della corda, cercando invano di allentarle, ma non ottiene altro che un lieve sfilacciamento. Una scena patetica.
«Fermo.» I miei occhi restano inchiodati ai suoi.
«Sto sciogliendo il nodo.» Le sue pupille si restringono impercettibilmente al suono del mio ordine, come se avessi inavvertitamente sfiorato un briciolo della sua inesistente autorità.
Senza distogliere lo sguardo dal grigiore dei suoi occhi, afferro la corda tra le mani.
«Brucia,» sussurro, con voce grave.
All'istante, la corda prende fuoco. Le fiamme divorano le fibre in un battito di ciglia, lasciando dietro di sé solo cenere. Frisso resta immobile, il viso irrigidito dal timore di ardere insieme a essa. Elle, invece, rimane rapita dal bagliore delle fiamme, seguendone il percorso con gli occhi spalancati, affascinata dal loro gioco sulle fibre tese sotto la pioggia.
Il fratello inghiottisce il cumulo di salive e riprende, smuovendo il pomo d'Adamo, e riprende a respirare. «Dobbiamo trovare riparo» esordisce, ricercando la sorella alle sue spalle.
«No, dobbiamo trovare il pozzo di Ygró Fós. Questa sera.» Volto le spalle e rimango estasiato alla vista del bosco asceso innanzi. La pioggia scivola silenziosa tra i rami contorti, grondando dalle fronde e trasformando il terreno in un tappeto scivoloso di fango e radici emerse. L'aria è densa, satura dell'odore ferroso della terra bagnata e dell'umidità che impregna muschi e cortecce.
Ogni passo affonda leggermente nel suolo molle, accompagnato dal suono cupo dell'acqua che filtra tra le rocce e si raccoglie in piccole pozze scure. Le foglie fradice si accartocciano sotto le dita del vento, mentre un fremito percorre gli arbusti piegati dal peso della pioggia.
«Aries» Frisso pronuncia il mio nome come se fosse un sacrilegio «noi dobbiamo riposare. Non siamo degli dèi.» Ribadisce la frase, scandendo ogni parola.
Volgo lo sguardo ad Elle, che rimane in silenzio. Stringe il torace tra le braccia, le dita artigliate sulla pelle gelida. Trema leggermente, e ogni volta che le labbra, fradice di pioggia, si inzuppano ancora, passa la lingua a asciugarle.
Le gocce scivolano lungo i fili ribelli dei suoi capelli, incollandoli alle guance pallide. Il suo respiro è appena un sussurro, sollevando piccoli sbuffi di vapore nell'aria fredda. Sembra fragile, immersa in quell'ombra piovosa.
«Sì» dico «seguitemi.» Non so di preciso dove possa portarli, ma sono sicuro che vicino alla parete rocciosa, laddove gli alberi collidono, possa trovarsi una grotta. «Elle» chiamo trovando i suoi occhi «stai vicino a noi.»
Lei annuisce.
Dalla coda dell'occhio vedo Frisso corrugare le sopracciglia. Non è la prima volta che esprime il suo dissenso attraverso lo sguardo, ma questa volta sono spazientito.
Intanto che la sorella si avvicina, volto il capo verso il fratello. «Qualche problema, Frisso?» Le iridi si intrecciano alle mie, assottigliate dalla frustrazione che sto creando in lui.
Questa remora da lui stabilita, sembra essere soltanto una farsa. Dice che la nostra "guerra fredda" deve essere posta ai termini, quando è lui che continua a alterare la mia indulgenza. Il suo odore diventa più intenso, occultando i miei polmoni con un aroma di muschio intenso, sfumato con sentori legnosi e umidi.
«No» risponde netto il fratello.
«Allora possiamo procedere.»
Camminiamo lungo un sentiero tracciato dagli innumerevoli passi di coloro che ci hanno preceduti ed entriamo nel bosco. L'umidità ci avvolge immediatamente, insinuandosi nelle ossa. A me non crea alcun problema, ma Elle inizia a battere i denti e a stringersi il petto con le braccia nel tentativo di scaldarsi.
La pioggia cade leggera qui dentro, attutita dalle fronde degli imponenti alberi che si allungano sopra di noi, intrecciandosi come dita gigantesche. L'odore di terra bagnata e resina impregna l'aria.
«Forse dovremmo fermarci un attimo» sussurra Elle, la voce tremante. Le sue gote si sono arrossate dal freddo inconsueto. Le sue labbra, lasciano uscire respiri affannosi, che si trasformano in nuvole di vapore nell'aria gelida. I suoi occhi mi cercano, in bilico tra il disagio e la speranza che io abbia una soluzione.
Annuisco e la osservo mentre si sfrega le braccia per riscaldarle. Il vento scuote i rami, facendo cadere gocce più grosse sulle nostre teste. Un brivido mi percorre la schiena, ma non per il freddo. C'è qualcosa, un suono indistinto nel folto del bosco, un fruscio che non appartiene al vento.
Mi giro di scatto. Ombre si muovono tra gli alberi.
«Hai sentito anche tu?» chiede Frisso.
Frisso stringe i pugni. Per un istante colgo la frustrazione nel suo sguardo. Gli regalo un mezzo sorriso, sollevando giusto un angolo delle labbra.
Poi il silenzio si richiude su di noi, denso e assoluto, come se il bosco stesso trattenesse il respiro. Resto immobile, scrutando l'oscurità che ci circonda. «Andiamo avanti» la mia voce trema lungo le pareti vocali, grattando il suono. Non faccio in tempo ad avanzare che il movimento delle foglie inchioda al suolo i nostri corpi. Forse è solo un animale, o almeno, è ciò che cerco di convincermi a credere.
Eppure, l'aria sembra possedere un'intelligenza propria, un'intenzionalità inquietante. Non è una brezza casuale quella che ci sospinge, ma un soffio preciso, insistente, quasi un'eco di volontà antica. È un monito o un invito? Il monte Asterion non è solo roccia e vento, è un'entità che ci misura, ci interroga, ci sfida.
Si racconta che solo i degni possano ascendere alla sua vetta. Ma cosa significa essere degni? È una questione di forza, di resistenza fisica? O si tratta di qualcosa di più sottile, più oscuro? Forse il monte saggia il nostro animo, scava nelle nostre paure, osserva le crepe nella nostra determinazione.
Frisso, accanto a me, è rigido come una lama prima dello scontro. Nel suo sguardo leggo qualcosa che va oltre la semplice tensione: è frustrazione, ma anche esitazione, quasi il timore di trovarsi di fronte a qualcosa che non può dominare con la sola volontà.
Elle si stringe nel mantello, ma il suo tremore non è più solo il risultato del freddo. I suoi occhi, solitamente vivaci, ora riflettono la stessa inquietudine che avverto in me. Cerca nei miei una risposta, una sicurezza che non sono certo di poterle offrire.
«Dobbiamo decidere» sussurra Frisso, la sua voce appena un soffio nell'aria immobile.
Le possibilità si dispiegano nella mia mente, e ognuna di esse porta con sé il peso dell'ignoto. Tornare indietro significherebbe accettare la sconfitta, ma avanzare senza comprendere la natura di ciò che ci attende potrebbe rivelarsi un errore fatale.
Chiudo gli occhi per un istante, ascoltando il battito del mio cuore che sembra risuonare troppo forte in quel silenzio irreale.
«Andiamo avanti.» Dico continuando a guardare intorno alle folti tronchi.
Il primo passo infrange l'equilibrio perfetto dell'istante. Il bosco ci accoglie nuovamente nel suo abbraccio d'ombre, ma questa volta avverto con inquietante certezza di aver oltrepassato una soglia invisibile.
Qualcosa ci osserva.
E attende.
Questa percezione del pericolo mi infonde un brivido vitale nelle membra. L'adrenalina solca all'interno delle mie vene, scorrendole a vista d'occhio. Il cuore martella incessante nel petto, ma sono colpi di vita. Il mio respiro si affanna, intanto che cerco di ascoltare i suoni all'interno della natura scura. La pioggia, più attutita, scoscia lungo i tronchi degli alberi ed il vento, soffia ovatta nelle nostre orecchie.
Elle rimane rigida per un attimo, poi trova il coraggio di avanzare con un passo esitante.
«Cosa stai facendo?» sussurra il fratello, indisponente. Lei però non risponde. Continua ad avanzare lentamente, concentrandosi sul suono dei suoi passi contro il terreno, finché non mi raggiunge. Si aggrappa al mio braccio, in cerca di sicurezza.
Si solleva in punta di piedi, raggiungendo il mio orecchio. «Aries, andiamo via da qui.» La sua voce tentenna. «Fidati.»
Aggrotto le sopracciglia. Il suo solito odore di bouquet di rose e gelsomini si affievolisce. Distolgo lo sguardo dal buio celato tra i ceppi del bosco, trovando gli occhi di Elle. «Aries-»
«Elle» interrompe Frisso avvicinandosi a noi. «Sei una sciocca. Potevi farci sentire!» » Il tono resta sommesso, ma la frustrazione traspare chiaramente.
Un refolo di vento gelido mi sfiora la pelle, lasciando un brivido al suo passaggio. Un lampo squarcia l'immobilità del momento, riversando per un istante la sua luce oltre le sterpaglie.
Ed è allora che li vedo.
Due occhi.
Bianchi.
Glaciali come la neve.
Il cuore accelera, ogni battito un rintocco di potenza che si riversa dentro di me. L'energia si incanala nelle vene, accendendole come fiumi di lava, pulsanti, impazienti di liberarsi.
Distendo i palmi e il calore erompe, vivo, indomito. Una scintilla si accende sulla punta delle dita, un bagliore rosso e oro che danza nell'aria prima di svanire. Il fuoco mi riconosce, mi chiama, e devo decidere se lasciarlo fluire o trattenerlo. Le fiamme serpeggiano lungo le mie braccia, affamate, specchiandosi nei miei occhi. Elle indietreggia di scatto, con il timore le attraversa il volto.
«State dietro di me» I due fratelli esitano, ma obbediscono, mentre io fisso i bagliori nel buio.
Sospiro. Questa è la mia prima battaglia dopo due decenni di reclusione. So come si fa, l'ho fatto milioni di volte. Eppure, quei ricordi sono frammenti sfocati, sbiaditi come vecchie pitture su una tela consunta.
Le dita fremono, pronte a evocare un potere che dovrebbe essermi innato. Lo sento dentro di me, latente.
Le due perle si muovono.
Con un gesto istintivo, unisco le mani in un battito secco, quasi innaturale. Un fremito di calore percorre le mie braccia, propagandosi dalle dita fino al centro del petto. Sento l'energia ribollire nel palmo, una fiamma famelica che si contorce, irrequieta. Le dita tremano sotto la pressione del potere accumulato, e quando il calore minaccia di sfuggire al mio controllo, le apro di scatto.
Una sfera incandescente pulsa tra le mie mani, instabile, sul punto di implodere. Stringo la mascella, incanalando ogni fibra della mia volontà per contenerla, per darle forma. Un istante dopo, la scaglio con forza. L'aria sibila al suo passaggio, il fuoco si espande come un'esplosione di luce contro l'oscurità.
La sfera si schianta contro il tronco di un albero, avvolgendolo in lingue ardenti. Le fiamme lo divorano con voracità, il crepitio rimbomba nel silenzio della notte. Il calore si propaga in onde vorticose, spingendo l'oscurità a un passo indietro.
Ed è in quell'istante che le scorgo. Due iridi incandescenti fendono l'oscurità, ardenti e magnetiche, incastonate nel volto di una figura femminile. Il suo ghigno affiora dalle ombre proiettate dal cappuccio di una lunga mantella, il cui orlo sfiora il suolo senza realmente toccarlo, come se l'aria stessa la sorreggesse.
Intorno a noi, la furia di Madre Terra si intensifica. La pioggia si abbatte con crescente veemenza, come se il cielo si fosse scisso per riversare il suo dolore sulla terra. Gocce violente frustano ogni superficie, eppure, inspiegabilmente, nessuna di esse riesce a raggiungerci. Una barriera invisibile, impalpabile ma tangibile nella sua protezione, ci avvolge in un abbraccio etereo, respingendo la pioggia che fino a poco prima inzuppava le nostre vesti. Anche i tuoni, che squarciano il cielo con fragore, sembrano ovattati, come se la realtà stessa si fosse contratta attorno a noi, sospendendoci in un silenzio.
«Dio Aries» La voce si leva mentre il tronco si dissolve in cenere sotto i nostri occhi. È profonda, vellutata, eppure vi percepisco un'eco femminile, sottile ma innegabile. Rovisto tra i racconti tramandati sulla foresta del monte Asterion, ma nessuna leggenda ha mai menzionato un'entità da affrontare.
«Chi siete?» chiedo controllando le pulsazioni del cuore. L'adrenalina si scaglia violenta sotto la pelle. Devo mantenere il controllo, eppure sento che mi sfugge, che le emozioni stanno prendendo il sopravvento.
Non sono più io a dominare il fuoco. Sono loro ad averne il controllo.
Come per Irya. Non sono sicuro che quello che provo su Elle sia la verità. E fosse tutto fuori controllo?
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HI BITCHIES ♡
Eccoci qui alla fine di questo capitolo. Ho sudato per portarlo al termine, quindi apprezzatelo, grazie.
Per quanto riguarda voi Ariete, vi lascio vostro difetto principale!!
Difetto principale: impulsività. Sappiamo tutti che avete questo spirto avventuroso, che siete dinamici e che avete una certa capacità di agire rapidamente. Tuttavia, quest'ultima caratteristica può manifestarsi come impulsività, portando questo segno di Fuoco a prendere decisioni avventate (oltre che prendervela nel c**o... 🡄 ironia)
◝(⑅•ᴗ•⑅)◜..°✿
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