Capitolo 6 - 𝔸ries
Tutto questo è sbagliato, ma irresistibilmente seduttivo. Le sue labbra si chiudono attorno al mio pollice, succhiandolo con una brama che mi fa trattenere il respiro. La sua saliva lascia una scia umida sulla mia pelle, amplificata dallo schiocco deciso con cui si stacca.
I miei occhi, carichi di desiderio, si fissano nei suoi, che ricambiano con un luccichio provocatorio, come in un gioco peccaminoso che entrambi sappiamo di non poter fermare.
Sorride, divertita dalla mia reazione. Le sue guance si colorano di un rosso intenso, acceso dall'effetto del vino. Le sue risate, leggere e piene, si intrecciano perfettamente con la melodia ritmata che vibra in sottofondo, creando un'atmosfera colma di sbagli.
Regolo il battito del mio cuore, alimentato dall'eccitazione sleale, che sale sempre più rapidamente ad ogni suo movimento. Se fossimo stati in una camera da letto, solo il suo no avrebbe placato la voglia che la mia anima brama di soddisfare nel profondo della sua carne.
Il calore di questa stanza fa sudare la mia fronte, lasciando scivolare una goccia salata lungo la tempia. Anche se il mio corpo lamenta la fine forzata delle mie fantasie, stacco i miei occhi dai suoi, trovando un tovagliolo di stoffa sul tavolo. Lo afferro, notando che le mie mani stanno tremando per il desiderio incontrollato, mischiato al colore rossastro delle mie vene. Mi asciugo la fronte, sperando che quel calore sia effettivamente causato dalla temperatura di questa stanza.
Con la coda dell'occhio, la vedo cambiare postura, avvicinandosi sempre di più a me. I suoi movimenti sono lenti, forse calcolati poco a poco, per colpa dell'etanolo in circolo. La sua mano si posa sulle mie dita, ancora strette attorno al pezzo di stoffa ormai umido del mio sudore.
Con le dita, inizia a risalire lungo il mio braccio, sfiorando la pelle con una delicatezza che contrasta con i piccoli pizzichi che mi strappano un fremito. Ogni suo tocco, invade le pareti del mio autocontrollo, ora indebolite per colpa del vino introdotto. Il mio corpo tradisce ogni pensiero razionale. La tensione si concentra in un punto, e la mia asta preme violenta contro il tessuto dei pantaloni, rendendo impossibile ignorare il desiderio che si fa strada tra di noi. «Aries» allunga la a e la e, e con un gesto lento e provocatorio, si morde il labbro inferiore, lasciandolo scivolare tra i denti. «Ti va di ballare?»
Mi coglie alla sprovvista e, a quella domanda inaspettata, il sopracciglio balza alto. Elle inizia a scuotere le spalle con disinvoltura, cercando di seguire il tempo delle note che continuano a rimbombare nelle pareti della stanza. «Non so ballare.» Osservo le sue labbra, costantemente martoriate dai suoi denti ad ogni mio movimento. Tenendo lo sguardo puntato nel mio, acciuffa ancora una volta la bottiglia di vino, quasi finita. «Tieni» me la sporge irruenta. «Questo ti aiuta.»
«Ma non aiuta il mio controllo.» Ribatto afferrando le sue mani calde, strette attorno al collo di vetro della bottiglia. Sorride di nuovo, un sorriso che si allarga lentamente, fino a trasformarsi in un suono divertito, quasi trionfante. È consapevole, perfettamente consapevole, di ciò che sta facendo. Sa che in questo momento la bramo con la stessa intensità con cui un carcerato desidera la libertà.
La voglio. E lei lo sa.
Si alza dalla sedia, scattante. La sua gonna balza seguendo i suoi movimenti. Mi chiedo come sia la sua pelle, al di sotto di quella stoffa pregiata. Ma non ho il tempo di fantasticare, tanto che sono obbligato ad interrompere ogni mia perversione alla vista di Elle provare a compiere qualche passo di ballo. Si muove sontuosa, leggera. Le sue mani scivolano lungo il corpo in un gesto lento e provocatorio, e, Dio, quanto desidero ci fossero le mie mani al posto delle sue. Inclina il collo all'indietro, porgendomelo come un'offerta di una preda in cerca del suo predatore. Poi rivolge la mano sul dorso e, con le unghie, sfiora la pelle tesa del collo, lasciando una scia invisibile che sembra urlare per essere seguita.
Non riesco più a pensare razionalmente. Forse per colpa liquido del diavolo. Forse per colpa della sua incommensurabile bellezza.
Un'immagine di Irya si fa strada nella mia mente, nitida e inaspettata. Appare vivida, tra le mie iridi dilatate, e il mio corpo si pietrifica all'istante. Tutte le promesse che avevo giurato, tutte le risoluzioni confabulare dopo la sua morte, sembrano sgretolarsi davanti alla visione di questa avvenente fanciulla. Ogni pensiero razionale, ogni convinzione, si dissolve come fumo al vento.Tutto è così confuso nella mia testa, ma è uno stato limitato, persuaso da un angelo infedele.
Irya sparisce lontana, sostituita da occhi verdi come foglie di alloro. Elle pinza la gonna con l'indice il pollice, sollevandola. Le sue scarpe marroncine spiccano alla vista, allacciate da sottili cordini sfilacciati. Inizia a volteggiare su se stessa, sollevando un soffio d'aria che si infrange contro la mia pelle. Un brivido mi attraversa, amplificato dal fresco che collide con il calore del mio corpo, rendendo inattuabile ignorare la sua presenza. Volti anonimi si avvicinano, chiacchierando, ridendo e ballando, riempiendo lo spazio. La gente si stringe, la inghiottisce, e in un istante la sua figura è quasi scomparsa.
Mi alzo, facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento, senza un motivo preciso, o forse per un motivo che non voglio ammettere nemmeno a me stesso. Elle si accorge di me, e ferma le sue piroette, sfoggiando un sorriso pieno di fame carnale. Le sue mani scivolano lungo il suo corpo con una lentezza voluta, sfiorando i seni, accarezzandosi la vita e infine cingendo i fianchi, delineando perfettamente ai miei occhi, la sua sottile silhouette.
Passo tra la folla, tenendo lo sguardo felino dritto sulla mia preda, che non riescono a scomporre la mia postura eretta. L'aria odora di sudore e ad ogni cadenza, la fragranza di questa stanza, inzuppa i miei polmoni. Un odore salino, derivante dal sudore genuino delle persone, si mescola con l'appagante sentore del tabacco. Dopo pochi passi, sono davanti a Elle.
Lei continua a guardarmi dal basso, continuando la sua danza seduttiva, accentuata dalla fioca luce gialla delle lampade e delle candele, quasi del tutto liquefatte. Vorrei toccarla negli stessi punti in cui le sue dita scorrono. Le mani pizzicano dal desiderio di sentire la sua pelle, mentre la mia asta supplica di affondare nella sua carne, di scoprire quanto si è bagnata per me.
Afferro il suo viso tra le mani, intrecciando i suoi capelli sottili nelle tra le mie dita. «Stai giocando con il fuoco, Elle.» Le sussurro nelle orecchie, come se qualcuno potesse percepire davvero le nostre parole.
Lei sorride scaltra, scrutando le mie labbra «Non ho paura di bruciarmi, Aries.» Attanaglia i miei polsi, segnando dei leggeri solchi con le unghie. Tira in direzione della gravità, reclamando di seguire il suo invito, senza dire alcuna parola.
Lascio che mi guidi, senza opporre alcuna resistenza alla mia irrazionalità. Tira via le mie mani dal suo viso e le porta in alto, sopra la sua testa. Tenendo le dita a contatto, volta sotto di esse dandomi la schiena, e poi le posiziona attorno alla sua vita. Serro le dita, assaporando il desiderio di rendere questi fianchi l'appiglio per spingermi con ferocia dentro di lei. Mordo il labbro, cercando di ridurre questi pensieri sudici. Ma Elle non aiuta.
Inizia a dondolare e spingere il suo sedere sopra il mio membro rigido dalla dopamina in eccesso nel mio sangue. La musica continua a vibrare nei nostri timpani e lei ne segue il ritmo. «Mi provochi, Elle.» Sussurro nuovamente al suo orecchio, inalando avidamente il forte odore di gelsomini, vaniglia e peccato carnale.
Con un passo lesto, volta verso di me. Le mie mani rimpiango la separazione con il suo corpo. Il gioco del diavolo sta diventando intollerabile come la durezza che pizzica dall'impazienza di penetrarla. «Un dio come Voi, Aries» passa una mano sull'orlo della sua scollatura, scostando la stoffa lentamente, per rendere visibile una parte del suo seno. «Non riesce a controllare le sue voglie. Le sue fantasie?» Ingoio un ammasso di saliva.
Elle, tu non hai idea di quello che ti farei in questo momento. Scaglierei a terra tutto quello che erge sul tavolo e ti obbligherei a piegarti sopra il legno freddo, per far indurire i tuoi capezzoli. Strapperei questa gonna pregiata, costringendoti a darmi spettacolo delle tue labbra rosee e scoprirne i suoi umori disgorganti per il desiderio di essere riempite da me. Percuoterei quel sedere tondo che continuavi a strusciare contro la mia asta solo per provocarmi, fino a lasciare l'alone rossastro per i ripetuti colpi nello stesso punto. Mi farei varco tra le tue pareti umide con le mie dita, molestando punti che neanche tu pensavi di conoscere. E continuerei a sfregarti dall'interno, fino a sentire il tuo liquido scivolare lungo le mie mani, fino a sentirti supplicarmi di penetrarti.
Per quanto questa visione sia appagante, devo darmi una controllata. Sento il sangue ardere le pareti delle mie vene, ormai tinte di un colore di un rosso scarlatto diluito. Inizia a girarmi intorno, seguendo un cerchio immaginario. Le punte delle dita restano attaccate al mio corpo, scorrendo insieme ai suoi movimenti. «A cosa pensate, Aries?» le sue labbra si muovono sinuose ogni volta che pronuncia il mio nome. Prende le mie mani e le posa ancora una volta sul suo corpo, questa volta sui fianchi. Cinge le braccia dietro alla mia nuca e inizia ad ondeggiare prima a destra e poi a sinistra. Poi si solleva sulle punte dei piedi, cercando il mio orecchio da sotto i capelli. «Avete perso la voce, Dio Aries» sussurra sottovoce, sfiorando la mia pelle.
I brividi corrono veloci ed è una sensazione stranissima. Di solito sono io a generare il desiderio di avermi, ma questa volta sono io a mancare di padronanza. I miei nervi rispondono a comandi che non nascono dalla mia logica né dalla mia razionalità. Ogni fibra del mio corpo sembra rispondere a un impulso primordiale condannabile, un richiamo che proviene dall'anima, inzuppata e travolta da stimoli indomabili che mi consumano dall'interno e mi implorano di essere manifestati.
«Elle, tu non stai cosa stai facendo.» Mi scosto dalle sue labbra, ancora al ridosso dei miei organi uditivi. «Hai bevuto parecchio vino sta sera e potresti pentirti delle tue azioni l'indomani.» Cerco di mantenere la voce più ferma che posso, nonostante il mio corpo sia in assoluto contrasto con la fermezza mantenuta.
Si sporge ancora una volta verso il mio orecchio. «Sono perfettamente consenziente. Solo perché Vi sto chiedendo di fare sesso, Aries, non dimostra la mia instabilità.» Non faccio in tempo di formulare una risposta che la sua lingua calda e bagnata, slitta appena sopra la mia clavicola, fino ad arrivare dietro l'orecchio. L'asta punta ancora più dolorosa sulla stoffa dei pantaloni, sfiorando anche la gonna del suo vestito.
Inforco le mani nei suoi capelli dalla nuca, stringendoli abbastanza da obbligarla a girare lievemente il viso, scoprendo l'orecchio. «Sesso, dici? Se avessi solo un minima idea di quello che sta vagando nel mio subconscio, abbandoneresti ogni intenzione di provocarmi. Non ti avvicineresti così spavalda, non cercheresti di soddisfare una voglia che hai appena intravisto, ma che non sei pronta a comprendere... o almeno, non con me.»
«Siete così sicuri di Voi, Aries. Perché non me lo dimostrate?» Sfida la mia pazienza ed il mio controllo, ma lo vedo dai suoi occhi fulgidi di lussuria, che riconosce il mio imminente crollo.
E se fosse un inganno? Se Elle stesse orchestrando tutto questo per arrivare a qualcosa che ignoro? Non ho il tempo necessario né per formulare possibili risposte, né la lucidità per farlo. O forse, non ho voglia di pensare alle conseguenze che soffrirò al sorgere del sole. Dovrei andarmene, lasciarla qua da sola... No, portarla nella sua stanza e poi chiudermi nella mia.
Elle separa i nostri corpi bruscamente, lasciando che l'aria appena più fresca scorra mediana alla nostra distanza. I miei occhi, però, non riescono a staccarsi da lei. Le facce intorno a me si sfumano, diventano mosaici indistinti, privi di significato. La musica, che prima riempiva l'aria, si è affievolita, sostituita da uno stridio sottile, costante, sempre più alto, come se il creato stesse collassando in un unico esile punto. Lei.
Elle continua a oscillare sul parquet di legno consumato, il suo corpo si muove avvenente, catturando gli sguardi anche delle donne più piacenti di queste mura. Quando il contatto visivo viene meno, mi muovo. Inizio a seguirla, spingendo via ogni ostacolo umano, cozzando contro i corpi e aprendo un varco nella calca.
«Elle.» La mia voce interrompe per un istante i suoi passi. Si ferma, voltandosi verso di me. I suoi occhi da cerbiatta mi fissano, e il tempo sembra fermarsi.
Ma è solo un attimo. Appena accorcio la distanza tra noi, lei riprende a muoversi. Un sorriso beffardo increspa le sue labbra mentre ricomincia il gioco.
Vuole essere la mia preda.
Continuo ad assecondare il suo moto provocatorio. Elle, resta beata nella convinzione di essere tu ad avermi in pungo. Non sai cosa ti potrei fare se solo me lo permettessi. Placherei quel tuo sorriso mordace e lo sostituirei con forti e implacabili gemiti, spezzerei ogni tua resistenza fino a farti implorare ciò che ora stai cercando in me.
Si spinge sempre più in fondo alla sala, fin quando si ferma, appoggiandosi al muro dell'entrata con un gesto languido, quasi studiato, tenendo la mano appoggiata sopra la testa. Dalla luce flebile della stanza appresso, riesco a vedere la sua pelle perlata da un velo di sudore ed il suo petto che sale e scende vigorso; riesco anche a sentire il suo fiato sfuggire involontario dalle labbra rosee.
Un passo. Poi un altro. La distanza si chiude lentamente.
Punto i palmi delle mani ai lati della sua testa, ingabbiandola. «Ti ho presa.» Il suo odore di gelsomini squarcia l'aria nei miei polmoni, incrementando la mia eccitazione. «Vi sbagliate. Mi sono lasciata prendere.»
Sono stanco di questi giochetti da fanciulli in balia dei primi ormoni.
Ora ti scopo.
Afferro la sua gola libera, come farebbe un macellaio pronto a scarnare il suo bottino. La bacio ingordo, senza pensare al suo consenso. Ma subito, le sue labbra si schiudono rapidamente alla collisione. Intrecciamo le lingue, scambiando fiotti di saliva che si raggruppano negli angoli più esterni. Le sue braccia si intrecciano dietro la mia nuca. Con un gamba spinge verso l'alto il suo corpo, per eguagliare la differenza di altezza, mentre l'altra la solleva, avvinghiandosi alla mia vita. D'impulso, l'afferro con una mano, sostenendola, anche se con una certa amarezza. Non riesco ancora a sentire la sua carne nuda sotto le dita.
«σε παρακαλώ» supplica in un gemito strozzato.
Afferro anche l'altra sua gamba, che cinge lesta alla mia vita. È veramente leggera, quasi mi assale un certo timore di poterla spezzarla.
Le scappa un altro gemito, provocandomi una sensazione appagante, quindi mi affretto a dirigermi verso la mia stanza. Procedo a passo svelto, incurante di tutto quello che succede attorno e delle persone che possono discernere le nostre azioni. Passo di fronte all'entrata principale, cogliendo anche, con la coda dell'occhio, il signore che ci ha accolto poche ore prima. Ci squadra come fossimo ragazzini senza pudore; riesco a percepire anche il suo odore di bergamotto e menta fresca, con una punta di rosmarino che ricorda la brezza marina.
Salgo gli scalini illuminati da una lieve luce aranciata, sbattendo secco contro gli assi scricchiolanti. Stringo Elle con più fermezza da sotto le sue cosce, e la faccio sobbalzare leggermente per aggiustare la presa. Il suo corpo si adagia contro il mio, mentre avanzo lungo il corridoio
Trovo in fretta la mia camera. «La chiave, Elle. Devo prendere la chiave.» Mi guarda un istante con gli occhi lucidi e le labbra appena dischiuse, prima di annuire. Il rossore che le tinge le guance è impossibile da ignorare, un colore tenue, simile al cremisi che pulsa nelle mie vene in questo momento.
Afferro le chiavi, laddove le avevo conservate una volta consegnate da Frisso... Frisso, se venisse a scoprire quello che sta succedendo le farebbe del male? È possibile, ma Dio, quanto ho aborrito atteggiamente, le tue parole. Egoisticamente parlando, marchierei Elle del mio seme, solo per molestare la sua psiche fragile. Ma prova a sfiorare Elle, e desidererai di non aver mai supplicato il mio aiuto.
Mentre le mie viscere si contorcono sotto il peso dell'odio che si insinua nei miei pensieri, il mio corpo agisce meccanicamente. Le mie mani ruotano la chiave nella serratura e spalancano la porta della stanza. Non faccio in tempo a riflettere che Elle mi salta addosso, le sue braccia si stringono attorno alle mie spalle, e le sue labbra si schiantano sulle mie, affamate di desiderio. Avvinghio la sua vita e la sollevo senza tempra, portandola all'interno delle quattro mura. Sbatto la porta e lo scatto della serratura la fa indietreggiare nella stanza. Forse ha cambiato idea, forse la lucidità sta scorrendo nei meandri della sua razionalità.
Ma quello che i miei occhi vedono, sono tutt'altro che il paradiso. Nei suoi occhi goduti, il peccato carnale abusa della sua anima incontaminata, macchinadola di colpe ancora non compiute.
Con un gesto lento e misurato, porta le mani dietro la schiena, sfilando il nodo a fiocco che stringe il corsetto di cuoio marrone scuro, ormai leggermente usurato dal tempo, liberando il vestito sottostante, di color cannella. La scollatura dell'abito, cade morbida sopra i suoi seni. Passa le sue mani lungo la silhouette, partendo dai fianchi, fino ad arrivare sui suoi capezzoli turgidi, che inizia a stuzzicare, sollevando il capo e gemendo dalla goduria.
Mi stuzzico il labbro inferiore, mentre una goccia di sudore scorre lenta sulla spina, tracciando una linea nitente. Dio, quanto desidero che quelle sue sottili dita, siano sostituite dalle mie. Ma non questa sera, voglio vederla scoprire il suo corpo da sola. Voglio punirmi guardandola godere sotto il suo stesso tocco. «Spogliati, Elle.» La mia voce roca, consumata da listri di acquolina, ferma le sue dita, ancora avvinghiate ai seni di dimensioni modeste.
Lecca le labbra, intanto che scosta i capelli ondulati dietro le spalle, fa cadere una spallina dell'abito, dando spettacolo, finalmente, della sua perfetta pelle rosa e liscia. Poi esegue la stessa azione con l'altra manica.
Mi tremano le ginocchia, appena le sue braccia si lasciano andare il vestito, liberando interamente la sua carne calda. Scolpisco con gli occhi ogni centimetro di quel corpo, immaginado il suo sapore, il suo profumo, fino a soffermarmi sulle mutandine bianche in pizzo. «Cosa vuoi, Elle?» le chiedo quasi strozzato.
«Io-» balbetta «Voglio che mi tocchiate, Aries.»
Il cuore pulsa sangue, echeggiando nelle tempie. Faccio fatica a mantenre la calma, ed il mio elemento lo stente. Il calore scorre lungo le braccia tese, incanalandosi all'interno dei miei palmi. Stringo i pugni per trovare un appiglio di resistenza, ma la mia lingua si muove da sola. «Vuoi essere toccata da me, piccola Elle?»
Annuisce pinzando il labbro inferiore, succhiandolo dall'interno, fino a rilasciarlo gonfio e lucido di saliva. «Toccati da sopra il tessuto ed immagina che quelle dita siano le mie» le ordino ormai senza freni inibitori. «Io, cosa-»rimane con il fiato sul sospeso.
«γάμα με, mi hai detto. Mi hai istigato tutta la sera, ora tocca me.»
Rimango in attesa, confidando nella viscida speranza inizi a toccarsi. Aspetto ancora, e poi ancora, fin quando, lentamente, passa la mano sopra le finiture trasparenti, tenendo gli occhi fissi nei miei. Continua a sfiorarsi, scendendo sempre di più, fin quando le sue mani si fermano sul suo punto sensibile. Sposto lo sguardo nel punto dove di sta toccando, unendo indice e medio, inizia a compiere un movimento circolare controllato. «Ti piace, Elle» mi avvicino per avere una visione migliore. Ad ogni passo, il profumo di feromoni prodotti dal suo sesso, stuzzica il mio membro ormai duro. «Immagino siano le mie dita, Elle.» Posiziono la mia mano sulla sua, invitandola ad aumentare la velocità. Le scappa un lamento acuto.
«Toccati il seno con l'altra mano.» Chiude gli occhi e rivolge la testa al cielo, intanto che la sua mano afferra il seno, stritolando.
Sono consapevole di quello che sto facendo. La mia anima sta urlando, lo percepisco dal pizzicore sul mio torace. È lupo travestito da agnello, mi suggerisce. Mi trafiggerà, dall'interno, sviscerando nelle falle remote del mio inconscio.
Il gemito di Elle mi strappa dai miei pensieri intrusivi. Guardo i suoi fianchi agitarsi sopra le sue dita. «Stai per venire, Elle?» Mugugna un consenso strozzato. Le afferro il polso, interrompendo il suo ritmo «Cosa... aspetta, no, io-»
Il verde dei suoi occhi è quasi del tutto scomparso, sommerso dalla pupilla dilatata che inghiottisce ogni riflesso di luce nella stanza. «Siediti» la zittisco i suoi lamenti. Mi guarda supplichevole, sprofondando nella morbidezza del giaciglio,con i gomiti puntati sulla coperta di un verde chiaro sbiadito. Guardo le scosse che il suo corpo, sofferente dell'orgasmo mancato. «Ti prego, Aries, no. Ho bisogno di-» ricerca con la mano il suo clitoride gonfio e sensibile, ma la placo di nuovo.
«Sposta il tessuto.» Elle rimane titubante, da come corruga le sopracciglia, da come distoglie lo sguardo, ma dopo si lascia andare. Pinza con un dito ad uncino, le mutande bianche zuppe, e lentamente, scopre il suo sesso, pulsante dall'aurgenza si essere riempito. Tenendo la stoffa testa con il dito medio, passare l'indice nella fessura. «Leccati il dito, Elle. Poi inseriscilo dentro, fin quando te lo dico io.»
Porta la mano alla bocca, facendola scorrere lungo il suo ventre, passando in mezzo ai due seni sodi, salendo fino alle sue labbra. Succhia l'intero indice, estraendolo completamente bagnato della sua saliva con uno schiocco.
Resto paralizzato ad osservare la sua mano dirigersi sulla stoffa, sistemandosi nella stessa posizione di prima.
Lei esegue, sprofondando nella morbidezza del giaciglio, puntando i gomiti sulla coperta verde chiaro. «Apri le gambe, Elle.» Le sue cosce si schiudono, umide dei suoi umori sgorganti. La stoffa di seta è così bagnata, da aderire perfettamente alle sue labbra.
Tutti gli arti si atrofizzano davanti alle sue azioni. Appena inserisce la prima falange nella sua fessura stretta e bagnata, impiego tutte le mie forze per non far schizzare il mio seme nelle mie mutande. Dio, Elle, tu mi stai mettendo alla prova più di quanto abbiano mai fatto i miei rivali nelle battaglie più dure che abbia affrontato. Non avrei mai creduto che qualcuno potesse abbattermi così, senza armi, senza eserciti, solo con uno sguardo intriso di eccitazione.
Appena il suo dito è completamente scomparso tra le sue labbra, lo muove dall'interno. «Fammi vedere quanto sei umida.» Serro i denti appena mi mostra le falangi vizze dalla quantità di succhi prodotti.
«Infila il dito ed estrailo appena sei dilatata abbastanza da inserirne un secondo. Poi sprofonda con le due dita, fino in fondo Elle, fin quando senti di essere arrivata al limite. Poi continua ad immergerti ed erompere dalle tue piaghe, aumentando sempre di più il ritmo.» Elle mi guarda come se queste parole fossero mai state udite dalle sue orecchie, mai state elaborate dal suo cervello e mai state eseguite dalle sue mani.
Adagia la mano sul suo pube e dopo aver spostato le sue mutandine, comincia ad eseguire la mia richiesta. Il gomito su cui è poggiata, sprofonda nella morbidezza della trapunta, appena il bacino di Elle si sporge per permettere alla dita di scivolare con facilità.
La sua velocità cresce progressivamente, insieme ai suoi gemiti striduli. Esce ed entra senza riserbo, riempiendo la stanza dell'odore dei sui liquidi. Il suono dal suo sesso perforato dalle sue stesse dita, martella le mie tempie, insieme ai battiti del mio cuore, sempre più poderosi.
Il suo corpo trema per l'accumulo di godimento, pronto ad esplodere la voce si sta strusciando. Tiene la testa rivolta all'indietro, alcune ciocche di capelli si sono attaccate al suo collo, velato da un sottile strato di sudore.
«Brava Elle.» L'elogio tenendo lo sguardo sul suo movimento incessante. «Ti ricorda cosa ti ho detto? Quelle sono le mie dita.» Strizza gli occhi, una lacrima le riga la gote arrossata.
«O mio Dio, Aries» Inveisce strozzata dai sospiri, mentre i suoi fianchi ondeggiano sempre più forti sopra i suoi palmi bagnati. «Elle, devi guardarmi negli occhi.»
Solleva il capo e lascia che i suoi occhi si aprano fragili. Scattano subito dritti nei miei e per poco non mi scoppia il cuore appena gli sguardi collidono. Non penso possa esistere appagamento più peccaminoso di guardare Elle provocarsi piacere.
«Aries, io sto per-» chiude ancora una volta gli occhi.
«Guardami Elle.»
«Devi venire per me, vieni sulle mie dita, Elle.»
I suoi sospiri si placano all'istante, lasciando che il silenzio fugace, si laceri dal suo strepito asfissiato. I suoi umori gocciolano dalla sua fessura, ancora stretta. Non basteranno le sue esili ad perforare come merita di esserlo. I suoi occhi sono rivolti verso l'alto, mentre affonda sempre più nel suo acme di piacere.
Quando il picco massimo, inizia a degradarsi, si lascia completamente andare, cadendo sfinita sulle coperte disfatte dalla sua movenza. Lascia che le dita scorrino via dal suo sesso, il suo cuore sollecita il petto, sollevandolo e calandolo svelto.
Falco, la distanza che ci separa. Sono rimasto lontano, reprimendo il desiderio, per quanto sia stato infattibile, per non lasciare che l'eccitazione mi spingesse oltre, anche solo a sfiorarla.
«Elle, stai bene?» chiedo, intanto che l'euforia inizi a scemare. Brontola appagata, un sorriso si incurva sulle sue labbra, ancora cotonate per i ripetuti morsi. «Lo so che sei sfinita, ma non puoi stare con me, stasera» la mia voce grava sull'ultima parola, lasciando che una scia di brividi stuzzichi i bulbi dei miei capelli. Stasera? Ci saranno altre sere come questa? Sento i nervi scontrarsi per le contrastanti reazioni dei miei pensieri.
Viscido, traditore urla una parte massiccia del mio cerebro. Tutte le promesse impregnate negli asti sopra una collina del Karythos, hanno cessato di illuminare il cielo notturno, proprio questa sera, consumante dalle mie parole mendaci.
«Perché?» chiede la sua voce ingenua.
«Perché non possiamo stare insieme. Se Frisso dovesse scoprirlo, saresti nei guai fino al collo.» É una bugia. Non mi tange nemmeno l'idea che suo fratello possa venire a conoscenza delle nostre azioni. Tutt'altro, la soddisfazione che mi porterebbe le movenze facciali di Frisso, mentre mi osserva profanare le carni di sua sorella, sarebbe meraviglia per i miei occhi e appagamento per la mia psiche.
«Mmh» sfiata.
Si alza a fatica, slittando sopra la trapunta. Gli occhi sono chiusi a mezz'asta, e sta comparendo un leggero rigonfiamento violaceo. Si piega, senza alzarsi dal letto, e raccoglie il vestito di seta marroncino, appena sotto i suoi piedi. Lo indossa, lasciandolo cascare morbido sopra il suo corpo esausto. Infine, aiutandosi con le mani sopra le ginocchia piegate, si erge, sistemando anche la postura della schiena, prima più curva.
I suoi seni rotondi, spiccano da sopra il tessuto, creando, sottostante, delle ombre a mezzaluna. Mi dirigo verso la porta, intanto che raccoglie il corsetto, afferrando il pomello usurato laddove le mani poggiano tutte le volte. Appena si sposta accanto, schiudo l'asse di legno scricchiolante.
Il tempo si muove a rilento. Elle, mi sfila davanti, lasciando la sua solita scia di bouquet di gelsomini, questa volta più accentuati da una strana nota di miele, il che mi illude all'istante, perché porta con sé il sentimento proibito.
No, non può essere, Elle non può provare amore per me. Io non posso amare di nuovo. Non posso... non voglio? Amo Irya, il mio cuore appartiene a lei e nessun'altra. Eppure, questa è un'altra menzogna, contraddetta dalle mie stesse azioni. Le mie convinzioni urlano il contrario, ma ciò che faccio le smentisce senza pietà
«Allora io vado» le voci sussurranti si placano al suono indebolito della voce di Elle. Apro la porta e dopo che Elle varca la soglia, esco anche io, tenendo il pomello ancora stretto nella mano. Apro la porta. Lei la attraversa, ma io resto fermo, con il pomello ancora stretto nella mano. Un'aria gelida mi investe, penetrando la mia pelle, perforando le ossa dall'interno. È una sensazione strana, inquietante, come se degli occhi maligni mi stessero osservando
Mi sporgo quanto basta per osservare i corridoi vuoti, illuminati solo dalla scia di luce tenue della luna. Tutto è così apparentemente tranquillo, nessun suono, nessun movimento. Eppure questo sentore grava sempre di più sotto la mia pelle. Brucia le viscere e allerta la mente.
«Grazie Aries per la splendida serata.» Osservo Elle con occhi disserrati. Lei rimane perplessa dalla mia espressione, ma non ha le forze per chiedere spiegazioni.
«Buonanotte Elle. Voglio vederti entrare nella tua stanza, prima di congedarmi.» Arriccia le labbra verso il basso per la risposta distaccata, ma rimane muta. Mi volta le spalle, dirigendosi nella porta a fianco alla mia, svanendo in quella stanza.
Osservo per un istante ancora il corridoio, scattando verso la finestra in fondo al corridoio, quanto i rami di un albero iniziano a colpire violenti il vetro dal vento improvvisamente più vigoroso. Strizzo gli occhi, cercando qualcosa nella penombra, anche se non so bene cosa.
Dopo qualche istante, le fauci del sonno iniziano a inghiottirmi, sfocando la messa fuoco. C'è qualcosa, lo percepisco, ma sono troppo annebbiato dal torpore per continuare a sondare.
Mi sbarazzo di questa percezione, sbattendo la porta sullo stipite.
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* σε παρακαλώ (se parakaló): ti prego.
* γάμα με (gáma me): scopami.
»»————- ♡ ————-««
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HI BITCHIES... sì, lo so, scusate, eccessivamente lungo.
Ci ho messo un vita per concluderlo, quindi sarà meglio per voi che sai estremamente apprezzato.
Al prossimo capitolo stelline.
◝(⑅•ᴗ•⑅)◜..°✿
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