Capitolo 1 - 𝔸ries
«M'ama. Non m'ama. M'ama. Non m'ama. M'ama.»
Sto di nuovo pensando al volto di Irya. Lei era bella, aveva lunghi capelli dorati, gli occhi più scuri della notte, brillavano di un purezza inspiegabile. La sua pelle chiara era la mia condanna. Riesco ancora a ricordare il suo odore. Fior d'Arancio e Mela Verde. Avrei voluto toccarla prima che il destino decidesse di portarmela via. Avrei voluto baciarla prima che la sua anima volasse tra le mille costellazioni del cielo. Dovevo proteggerla. Dovevo essere più veloce. Dovevo immaginarlo.
«Brucia» Guardo il gambo trasformarsi in cenere sotto il controllo delle mie fiamme. Ora è Helion, la mia condanna. No, non è stata quella città a rovinarmi, ma è stato il sentimento che ardeva dentro. «Amore» la risata fa eco nel vuoto della valle. Non esiste sentimento più sciocco e controverso dell'amore. Ho amato così tanto da uccidere tutti quelli che mi amavano.
Sono ancora seduto sull'erba verde di questa calda sera estiva, con la mano poggiata tra i fitti fili verdi del prato. Non so bene se definire questo spazio come "il mio giardino", ma si trova subito davanti alla casa che mi sta ospitando.
Mi volto per guardare quelle mura che reggono ancora in piedi. Sono passati vent'anni da quando sono nella collina sperduta di Karythos, ma non riesco ancora a trovare la forza per abbandonare il rifugio trovato la notte stessa della catastrofe. Heilon sorge a qualche miglio da questa altura dimenticata da Zeus, eppure riesco ancora a sentire le urla strazianti della gente che brucia sotto le mie fiamme. Le stesse fiamme di cui si fidava. Le stesse fiamme che avrebbero dovuto proteggere quel popolo.
Spingo sul palmo e mi do lo slancio per alzarmi. Il sole sta tramontando, finalmente. Da quando le mie giornate sono passate dall'essere battaglie sanguinose a un gesto futile come strappare i petali di una margherita sfortunata, le ore scorrono vuote e senza senso.
Salgo lungo la collina, le mani che ciondolano lungo i fianchi ancora ben definiti nonostante gli anni di fermo. Osservare da lontano la dimora isolata mi porta una certa tristezza, o forse solitudine. Le vene si colorano di un rosso sbiadito da quel sentimento. Non posso sprecare questo momento. Punto un ginocchio sulla terra, poi l'altro. Resto con il busto dritto, alzo in alto la testa al cielo e chiudo gli occhi. Tendo le braccia verso il basso, con i palmi aperti verso l'esterno.
Mi concentro sulla frequenza della sofferenza, emanandola in tutto il corpo. Un cerchio di fiamme aranciate delimitano un perimetro perfetto attorno. Il calore del fuoco vampa sulla pelle, liberandomi dai pensieri. «Controllati». Helion mi incatena. Sfuma la meditazione, le grida spazio nella coscienza. Il cerchio di fuoco solleva mura bollenti, prima sotto controllo. «Controllati». Il cuore pulsa severo sulle tempie. «Controllati». Irya giace trafitta senza anima.
Squarcio l'aria silenziosa, gridando dal tomento. Dal dolore. Dal pentimento. L'erba verde prima cullata dal tepore, diventa terreno bruciato. «Maledizione» mi sollevo da quelle ceneri ancora roventi e calpesto le piccole fiamme, diventate rosse inferno, rimaste a rovere sulla polvere nera.
«Un dono» scuoto la testa «non è altro che una condanna» sbatto un pugno al suolo, scaricando l'ira sul terreno. Una scia di fiamme parte dalla pelle e scorre rapida sull'erba, bruciando e solcando la terra, fino a schiantarsi contro un pino, che si spezza. Analizzo la caduta lenta dell'albero. Volto la schiena al disastro e cammino verso casa. Il sole sta scomparendo veloce dietro il Monte Asterion, lasciando posto ad una luna dimezzata che allunga ombre informi sulla terra. Non appena questa autocommiserazione avrà fine, scalerò quella vetta. Voglio svelare la verità sulla leggenda di Thalione. Dicono che solo le anime pure possano affrontare le prove che gli dèi lanciano sul loro cammino, ma che, una volta raggiunta la cima, il Pozzo di Ygró Fós* conceda il potere di esaudire un desiderio sopra ogni limite, persino quello degli dèi.
Poso la mano sul petto, dinanzi all'immensità di astri sparsi nel manto scuro della notte. So che sei tra quelle luci, Irya. Ti riporterò in vita «te lo prometto».
Sto guardando ancora il cielo, ma le foglie scosciano irrequiete alle mie spalle, scosse da un vento nervoso, l'aria sembra carica di respiri affannati che non mi appartengono. Rimango immobile, avvolto dal silenzio, fin quando sento i sussurri di altre anime. Devo nascondermi.
Questi massi di pietre accavallati, sono poco affidabili, ma almeno mi permettono una buona vista. Chi mai potrebbe girare nelle colline sparse di Karythos, a quell'ora della notte? Sento i loro passi sempre più a ridosso del nascondiglio; provengono dallo sterrato principale, solcato dalla furia delle fiamme, una volta disperate.
Le figure di due persone appaiono chiaramente di fronte ai miei occhi. Non riesco a distinguerle bene, ma riesco a cogliere la loro scoordinazione. Stanno correndo tenendosi per mano. Si girano molteplici volte, guardarsi dietro, come se stessero controllando che nessuno li stesse seguendo. Neanche stringendo gli occhi riesco a mettere a fuoco quei due volti.
Ascolto più attentamente, ma riesco solo a captare dei suoni sconclusionati. Con gesto veloce, scosto le ciocche dietro le orecchie, come se questa azione mi permettesse sul serio di sentire meglio. Posso confermare che scegliere una casa abbandonata, in una collina spianata di solo prato, non è stata un'ottima idea. Non ho neanche mai pensato di poter costruire dei nascondigli in caso di emergenza.
Passo per passo, trovo riparo dietro il tronco robusto di un vecchio albero. Stanno bussando alla mia porta?
«Aries» sbatte le nocche violente sulla superficie in legno. Sporgo il viso per osservare meglio i due forestieri, ma rivolto le spalle contro la corteccia appena occhi grigi come nebbia fitta, intrecciano le mie iridi scrutatrici. «Merda» impreco sottovoce. Dei passi si stanno avvicinando, li sento sempre più gravi, sfregano sopra i fili d'erba. «Aries» dice lo sconosciuto. Almeno sono riuscito ad identificare che quello era un ragazzo.
Il tempo sembra fermo. Lo sento, alle mie spalle, oltre questo ceppo. Sono passati decenni dal mio ultimo incontro con la gente mortale. So che non è un Dio, ne riesco a percepire l'odore. Sa di muschio di Quercia, terroso e forte, mischiato al profumo di pino fresco, mi ricorda i boschi di conifere. Il miasma di ogni persona descrive l'animo di una persona. Riempio i polmoni di quella essenza.
Forte, coraggioso. Portatore di rancori, ripugnanza. Questo ragazzo non viene in pace. «Aries, siete Voi?» domanda. La sua pacatezza è in netto contrasto con quello che si porta dentro. Il cuore pompa troppa adrenalina, liberando la tempra necessaria per radere al suolo anche questa collina.
«Vattene» sussurro a denti stretti. Devo dominare le emozioni. Serro i pugni per spegnere le fiamme che si stanno propagando lungo le dita. «Vengo in pace», dice, ma nello stesso istante in cui il suo profumo si trasforma in fetore per le mie narici. Sta mentendo.
«Come posso dimostrarvelo, Aries?», incide violentemente il mio nome.
«Dovete andarvene.»
L'aria domina con un silenzio carico di ostilità. Sono riuscito a vedere i suoi occhi metallici per un frazione impercettibile, eppure sono riuscito a cogliere l'odio che semina. La seconda presenza, ancora indefinita, si avvicina a falcate. Accendo gli avambracci, come lanterne di cherosene.
«Frisso» urla in lontananza una voce leggera e soave. Lo ripete ancora, stavolta è più vicina. «L'hai trovato?», chiede al mio nemico, che non risponde. Forse le ha annuito, forse un cenno. Questo mutismo mi sta facendo perdere il controllo.
Volto il viso verso la corteccia, con l'orecchio attaccato alla superficie grezza. La sento vibrare delle nostre emozioni, in netto contrasto con le parole che mi sono state dette. Con un balzo dettato dalla mia impazienza, scavalco l'albero secolare, distruggendo i rami più alti e spingendomi in avanti. I due giovani si parano la testa, cingendosi con le braccia in cerca di protezione. Non sono riuscito a coglierne i volti. La terra vibra violenta sotto la pressione della mia ricaduta. Spiego le ginocchia, flesse per parare lo schianto, e scaglio una lingua di fuoco verso l'albero. La luce delle fiamme si propaga violenta, bruciando l'arbusto imponente.
«Chi siete?» sbraito, percuotendo il terreno sotto il mio piede. «Cosa volete?» ripeto con lo stesso movimento, più violento. I due forestieri, perdono l'equilibrio sotto l'oscillazione della terra.
«Aries» chiama la ragazza «vi prego, non ci faccia del male» continua con la gola strozzata.
«Cosa volete, ho chiesto!»
«Abbiamo bisogno di Voi»
Lei tiene la testa china sul terreno, lasciando cadere le sue lunghe ciocche ondulate davanti al viso. Lui, ancora in piedi, mi guarda dritto in viso, spazientito, con le braccia lungo i fianchi, aspettando che il mio spettacolo abbia fine. I suoi occhi sono fermi e percepibili come dei fari nella nebbia sugli oceani, fissano le mie iridi rosse dalla bile.
«Aries» il mio nome riecheggia su ogni superficie «abbiamo bisogno del Vostro aiuto.» La sua voce ferma, sembra quasi recitare una filastrocca ripetuta troppo volte. «Nostra madre, Teofane, sovrana di Tarcia, è in guerra con un nemico. Un nemico senile e così potente da annientare la metà delle nostre truppe.»
«Non mi interessa. Andatevene.»
«La preghiamo Aries» interviene la fanciulla con le dita incrociate, in segno di supplica. «Vi ricompenseremo con abbondante oro.»
«Non mi serve il vostro oro.»
«Qualsiasi cosa, Dio Aries. Qualsiasi opera Voi chiediate, Vi accontenteremo.»
Il suo volto non mi è ancora chiaro. Lo tiene ancora chino verso il terreno, fermo nella stessa posizione in cui è caduta. La luce bianca morbida della luna, non mi permette di osservarne i tratti.
Le loro parole mi trafiggono il petto. Da due decenni, nessun Dio, Dea o popolano mi rivolgeva suppliche seducenti come questa. Una volta, non mi sarei mai lasciato pregare per battermi su un terreno di scontro. Una volta.
«Aries» singhiozza «abbiamo compiuto ventotto giorni di viaggio per venirvi a trovare.»
«Come sapete che io giacevo in questa collina» la domanda mi attraversa la mente.
«Con il Seleneion.» interviene arcigno il giovine al suo fianco.
Lo stupore mi muta. Ho conosciuto parecchi Dei che hanno sempre ricercato il Seleneion, lo Specchio delle Anime, senza mai trovarlo. Stavano mentendo, anche se l'avessero trovato, quel manufatto mostra le anime solo durante le eclissi solari.
«Menti» ribatto «il Seleneion è occultato nei monti di Asteron.»
Il ragazzo fa un passo verso la mia direzione, ma la ragazza, spiega lesta un braccio, afferrandogli la mano. Si comunicano qualcosa attraverso gli sguardi e finalmente, la fanciulla torna in piedi.
Regna un silenzio frastornante, immerso in un clima di tensione. Non esiste alcuna supplica che mi convincerà a muovermi da questa collina. Helion è la mia condanna e voglio che rimanga l'ultima. Il mio scopo non è più la guerra, ma far tornare in vita Irya e cicatrizzare questa maledizione.
«Ve lo possiamo mostrare» continua. Ma questa volta non so cosa rispondere. Le vene rossastre si diramano in tutte le braccia per la forza scontrate dei miei pensieri. Se loro avessero il Seleneion potrei chiedere di palesarmi l'anima di Irya. Potrei vedere ancora una volta il suo viso morbido e le sue guance rosate. Ma se questo non fosse vero, se fosse una menzogna?
Sono venuti nelle colline del Karythos a supplicarmi di battermi in una battaglia. L'eccitazione di insidia forte al solo pensiero di combattere, ma devo dominare questa trepidazione. Se loro volessero farmi del male potrei incendiare i loro corpi e ridurli in cenere in una frazione impercettibile di tempo.
«Come vi chiamate» ordino.
«Sono Frisso. Futuro Re in linea di successione del trono di Tracia» possa la mano al petto, tenendo le dita distanziate fra loro, e china il capo verso il basso, ostentato, come obbligato a porgere quel gesto di mezzo inchino.
I miei occhi scattano nel viso in ombra della fanciulla. Tiene il cappuccio della mantella sollevato, nonostante le sia caduto più volte. «Sono Elle, principessa reale della regione di Tracia». Con le sottili dita, pizzica delicatamente il tessuto della lunga gonna, che solleva appena, rivelando le sue scarpette marroni con un piccolo tacco, che spuntano dalla piega del tessuto. China il busto in avanti, in segno di rispetto, e si alza lentamente.
«Il sole è tramontato» dico arrestando le fiamme lungo le braccia «proseguiremo gli affari domani, alle prime luci dell'alba.» Volto le spalle, mantenendo l'udito saldo per scrutare ogni loro movimento improvviso. Riprendo a camminare con i palmi aperti, con le braccia che oscillano tese.
«Non abbiamo posto dove andare.» La voce disperata di Elle percuote i miei sensi, ma li ignoro. Non posso ospitare due sconosciuti, fin quando non affino le loro intenzioni. I loro passi si muovono all'unisono verso la mia direzione. Rimango fermo, con le dita arricciate e incendiate creo una massa infuocata, pronta ad ardere i loro corpi in caso mi sorprendessero dall'alto. Appena i due sono a pochi passi da me, mi volto di scatto, sbattendo la sfera infuocata al suolo, che si distende in un segmento di fiamme basse, tracciando un confine tra me e loro.
«Cosa volete.» Elle e Frisso rimangono paralizzati ma, finalmente, riesco a vedere perfettamente i loro lineamenti, grazie alla luce del rogo e alla loro vicinanza. Frisso è più basso di me, ma ben piazzato, quasi quanto me. Ha il viso di colui che hanno vissuto nell'abbondanza; pulito, quasi aggraziato. Ma i suoi occhi grigi come la foschia d'inverno, risaltano per la loro rara lucentezza, confidano l'anima di un guerriero forsennato.
Sono amareggiato, nonostante questa vicinanza, della ragazza riesco solo a cogliere le sue labbra carnose e rosate, incorniciate dalla penombra creata dal cappuccio della sua mantella. Il corpo esile è avvolto nel tessuto rosso scuro che le scivola sulle spalle, fermato da un fiocco di corda dorata al collo. Sotto il mantello, scorgo il tessuto beige del vestito a balze, che la copre fin sotto le caviglie. Non mi basta. Voglio vedere chi si cela sotto il copricapo.
Scavalco la linea di fuoco, e sollevo il braccio. Voglio scoprire il suo viso, ma la mano lesta di Frisso mi cinge il polso. Elle fa un passo indietro, barricandosi per metà dietro le spalle di lui. «Cosa stai cercando di fare?» mi guarda dal basso inflessibile, mantenendo la stretta solida.
«Non ho ancora visto il suo volto. Come posso fidarmi di due forestieri di cui neanche conosco i lineamenti? ». Strizzo gli occhi. Il suo odore si intensifica, fortificando l'odio nei miei confronti. «Chiedo scusa», biascica a denti stretti «abbiamo avuto un passato difficile». Lascia andare la presa, quindi porto indietro il braccio. Scruto la sua figura dall'alto verso il basso; per essere cresciuto nel lusso ed essere un mortale, ha una presa notevole.
Richiamo le fiamme usate per la linea di fuoco, tenendo i palmi distesi e le dita arricciante. «Non c'è posto per voi» dico appena il buio torna a regnare sui loto volti.
«Dormiremo in veranda. Così sarete sicuri del nostro volere» prendo fiato per rispondere, ma Elle mi precede «e se aveste una veranda, dormiremo nel Vostro giardino.» Le sue labbra attaccate alla spalla di Frisso, si incartano goffamente.
Volto loro di nuovo le spalle e incomincio a camminare verso casa. «Venite» dico a qualche passo di distanza. I passi continuano silenziosi sull'erba umida dalla poca rugiada, fin quando ci troviamo di fronte alle umili mura che mi stanno ospitando.
Afferro la maniglia fredda in ferro «entrate» ordino spalancando la porta cigolante. Restano fermi, scambiandosi lo stesso sguardo di prima. Trisso annuisce, rassicurandola con un sorriso caldo. Elle si aggrappa al suo braccio, e insieme avanzano oltre la soglia, porgendo un altro impercettibile inchino, come gesto di ringraziamento.
Chiudo la porta a chiave, non posso credere che sto dando rifugio a due sconosciuti. Gli ospiti indesiderati attendono in piedi, a fianco al tavolo di legno d'acero creato un anno dopo la distruzione di Helion. «Accomodatevi» faccio cenno verso le sedie. Frisso, prima di sedere sulla panchina, in legno di betulla, sposta una sedia una sedia Elle che, finalmente, scopre il capo rivelando i suoi lineamenti.
Dire che Elle è bella è un dispregiativo.
Le sue sottili dita, scostano il tessuto vellutato da sopra il capo, scoprendo il suo viso aggraziato. Gli zigomi sono impercettibili sotto quelle guance morbide, di un rosa tenue. Le sue labbra si confermano sode, ma leggermente più sottili di come le avevo intraviste. Il suo naso piccolo, è perfettamente dritto, ma un archetto verso l'interno, fa spiccare il suo profilo lineare. Gli occhi. I suoi occhi sono di un verde pastello ingrigito, quasi come fossero stati sbiaditi, chiusi in una forma rotonda, da cerbiatta.
Si siede aggraziata, trascinando le mani da sotto il sedere fino al ginocchio, così che la gonna non potesse stropicciarsi sotto il suo peso. Elle accavalla le gambe, posando una mano sopra l'altra e intrecciando le dita. Frisso punta i gomiti sul tavolo, e chiude le mani a pungo per poggiare il mento e labbra su di esso.
Continuo la solita routine, devo agire come se loro non fossero qua. Il silenzio grava sulle mie spalle, intanto che posiziono una teiera d'acqua sulla stufa a legna. Apro lo sportello in ferro «brucia.» I ceppi all'interno prendono fuoco allo scadere delle parole.
«Stupendo» sussurra affascinata Elle.
«È solo... fuoco»
Una volta non avrei mai sminuito il mio dono.
Siedo a capotavola. «Perché volete il mio aiuto» chiedo senza aspettare. Frisso sistema la postura e porta le mani sotto l'asse. «Ve lo abbiamo spiegato prima, Aries. La nostra terra è minacciata da un nemico longevo, troppo forte per le nostre armate.»
«Capisco, ma voi avete ben a conoscenza la storia del poderoso Aries» dico fissando le sue iridi strette. «Sì», incide. «la tua storia è leggenda.»
Una morsa al petto mi incatena, non riesco a dire una parola in più, quella conversazione è deviante per la mia mente. Sono conosciuto come il distruttore della città di Heloin e i popolani se lo ricordano ancora. Frisso e Elle sono la conferma delle mie torture.
«Ma noi sappiamo che non è stato il tuo volere» interviene Elle. No, non l'ho voluto, ciononostante l'ho fatto. «Questo potrebbe essere la Vostra occasione per riscattare il Vostro nome.»
«Esprimere è facile, Elle. Non esiste paesano che non conosca il mio nome» mi alzo per infondere le radici di zenzero e foglie di ricino nella teiera. «Ti fideresti di me, Elle?» dico dandole le spalle, ma la risposta non arriva, come mi aspettavo.
«Hai ragione, Aries» Frisso passa le dita fra i capelli, disfacendo delle ciocche arricciate. «Ma dopotutto, avete raso al suolo l'intera Helion e con lei, tutto il suo popolo.» Devo stringere il manco della teiera per evitare di infrangergliela addosso, ustionando volontariamente quel visino angelico. «Questo è il motivo per cui ve ne dovete andare.» Sbatto le tazze di terracotta sul tavolo, facendo schizzare piccole gocce bollenti sulla superficie.
«Buonanotte.» scruto gli occhi di Frisso, ma lui non teme il dardo lanciato. Mi fissa senza scomporsi.
«Aries» Elle taglia la pressione «dove possiamo conciliarci per la notte?»
«Qui.»
Salgo le strette scale a chiocciola. Scricchiolano e rimbombano pesanti, per i passi gravi. Siedo sul letto creato con assi di legno e paglia, racchiuso in un vecchio tessuto, trovato quando arrivai in questa abitazione.
Quel Frisso è una iattura, maledizione. Falso, saccente. Non considera la sua inutilità davanti alle mie fiamme, soprattutto se incontrollate. Sciocco umano, cresciuto in eccessiva dovizia, sfida la mia condiscendenza, sicuro delle sue azioni.
Le mie vene sfumano di rosso. Poggio i gomiti sulle ginocchia balzanti dal nervoso, con le dita intrecciate, spingo le falangi l'una contro l'altra, sentendo le ossa sfregare tra loro.
«Controllati.»
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*Ygró Fós: "Luce liquida" in greco "Υγρό Φως" (Ygró Fós). Υγρό (Ygró) significa "liquido".Φως (Fós) significa "luce".
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✨ BITCHIES, come vi è sembrato il primo capitolo? ✨
In che senso non ti è piaciuto? Sai quando ci ho messo per scriverlo? Troppo, amo, meglio che non sai.
Vorrei chiedervi, per vostra gentil cortesia, se avete trovato errori grammaticali o lessicali (si può dire così, giusto?) potete avvertirmi.
A tutti gli Ariete ♈: suvvia, dovete imparare a dominare la vostra temperanza.
È vero che è più facile che gli Arieti diventino amici con Bilancia o Pesci, piuttosto che con Leone o Scorpione. Qualcuno può darmi conferma?
◝(⑅•ᴗ•⑅)◜..°✿
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