XXXVIII. Dietro la maschera
Frederick Raymard uscì dalla vasca e, spargendo qua e là goccioline d'acqua tiepida, si avvicinò al grande specchio a figura intera che campeggiava nella sua stanza da bagno: l'immagine che vide riflessa sul vetro, circondata da una pesante cornice dorata, lo infastidì.
Aveva ancora un fisico robusto, ma il tempo aveva iniziato a lasciare tracce indelebili su di esso: il ventre si era fatto più prominente, la pelle del collo iniziava a cedere, le vene delle gambe spiccavano sulla carnagione pallida.
Quando abbassò lo sguardo sulle mani si accorse che tremavano, proprio come quelle di un vecchio, e strinse i pugni con rabbia.
"Non mi manca né la forza né la volontà per ottenere ciò che voglio, ma il tempo, ah!, il tempo rischia di sfuggirmi proprio ora che me ne serve così poco..."
La morte era una sua vecchia amica, l'aveva incontrata spesso durante i suoi viaggi: a volte si era portata via qualche alleato prezioso, a volte era stato lui a infliggerla ai suoi nemici.
A volte era arrivata quasi a ghermirlo.
Raymard aveva avvertito il suo fiato gelido scompigliargli i capelli sulla nuca, ne aveva percepito l'ineluttabilità e le si era ribellato con tutte le sue forze; aveva vinto, ma del resto lui vinceva sempre. Se fosse stato un uomo diverso avrebbe riso del fatto che ora invece il pensiero della vecchiaia incombente lo ossessionava e che, anche se non l'avrebbe ammesso con nessuno, aveva paura di morire.
Non perché temesse una qualche punizione per i suoi numerosi peccati, ma piuttosto perché era sempre stato un uomo estremamente attaccato alla vita e ai suoi piaceri: aveva consumato la sua esistenza tra lussi, svaghi e avventure in grado di soddisfare il suo raffinato gusto per il rischio e la ricchezza. Aveva ammassato un tesoro considerevole e ottenuto il potere che aveva sempre desiderato, così che ora nessuno osava rinfacciargli le colpe passate o tentava di porre un freno alle sue macchinazioni.
Con l'eccezione, ovviamente, di Blackraven e dei suoi compari.
La notizia della mirabolante fuga del corsaro si era già diffusa in tutta l'Inghilterra e a Cloud Eden non si parlava d'altro: nei salotti e nei circoli tutta la buona società si chiedeva se Messalina Seymour fosse con lui quando quel temerario senza-ali aveva fatto saltare in aria le prigioni di Granada.
Le sue spie in Spagna lo avevano informato invece del fatto che, almeno secondo i registri, Lyon Blackraven era effettivamente stato impiccato sulla pubblica piazza; ciò che aveva lasciato perplessi i suoi informatori aveva riempito Raymard di una furia cieca.
Aveva subito intuito chi avesse salvato la vita del bastardo del Re, muovendosi nell'ombra come avevano sempre fatto. Anche ora, al pensiero, sferrò un pugno allo specchio e ne incrinò il vetro; il dolore che dalla mano si propagò a tutto il braccio gli schiarì la mente, ma non riuscì a placare la sua ira.
"Se solo riuscissi a mettere le mani su quei dannati monaci!" pensò, afferrando con malagrazia un panno e iniziando ad asciugarsi.
Ciò che i Floriani custodivano non era certo una garanzia d'immortalità, ma era quanto di più simile a essa Raymard riuscisse a immaginare: il potere che gli sarebbe derivato da quella scoperta l'avrebbe salvato dal futuro oscuro che vedeva davanti a sé – o almeno avrebbe reso più dolci i suoi ultimi anni.
«Che io sia dannato se mi lascio soffiare l'alternatore da un bastardo e una bambina!» borbottò nella stanza vuota, scostandosi dal viso le ciocche bianche striate di biondo, ancora bagnate.
Indossò la camicia di batista, i suoi pantaloni di velluto più belli e chiamò il maggiordomo per farsi annodare la cravatta di raso azzurro.
«Stringi di più!» ordinò al valletto che gli stava sistemando la giacca da sera sulle spalle.
«Ma, signore...»
«Di più!» ringhiò Raymard, stringendo i denti quando il tessuto rigido del colletto si strinse attorno al suo collo come un cappio.
"Sono ingrassato, non c'è dubbio!" pensò amareggiato, scacciando i servitori con un gesto del capo. Solo, davanti allo specchio frantumato che ora gli rimandava indietro la patetica e distorta immagine di un vecchio, per la prima volta dopo molto tempo Raymard avvertì su di sé l'ombra del fallimento.
Pochi minuti dopo fece l'ingresso nel salotto privato in cui aveva dato ordine di allestire la cena: il salone da ballo dava sulla strada e un banchetto lì dentro avrebbe attirato l'attenzione dei suoi vicini curiosi; inoltre erano in pochi a partecipare a quell'incontro e la piccola stanza quadrata, addobbata con tende damascate e quadri d'autore, era molto più adatta.
Scoprì i denti nel suo sorriso da lupo e aprì le braccia per accogliere i suoi ospiti: Ashdown, Draper, Griffen e Saint-Leger si voltarono verso di lui come un sol uomo, attratti dal carisma e dal fascino perverso che sapeva ancora esercitare, nonostante i dubbi che gli rodevano l'animo.
Erano cinque uomini a cui la sorte aveva regalato dei natali molto più nobili e dei suoi, ma non l'acume e la scaltrezza necessari ad amministrare con coscienza i loro beni; alterne fortune ai tavoli da gioco li avevano infine condotti da Raymard, che aveva trovato in loro degli alleati perfetti – avidi quanto lui ma troppo poco pratici del mondo per poter insidiare la sua posizione.
«Benvenuti!» esclamò, afferrando il bicchiere di vino che un cameriere si affrettò a porgergli. «Prego, servitevi: temo che il nostro amico sia in ritardo e non ha senso far raffreddare la cena.»
Nonostante le prelibatezze in tavola e le bottiglie di ottima qualità, però, i cinque aristocratici parevano a disagio; Raymard si accomodò al suo posto, godendo dell'atmosfera carica di tensione nella stanza.
Alla fine fu Ashdown – il più vecchio del gruppo, e anche il più cauto – a prendere la parola.
«Raymard, di certo non ci rammarichiamo del dover approfittare della vostra generosa ospitalità, ma ci stavamo tutti chiedendo a cosa è dovuta questa convocazione improvvisa e alquanto imprudente, a parer mio! Sua Altezza non ne era affatto contento!»
Raymard incontrò i suoi occhi acquosi, di un pallido azzurro sporco: il vizio di fumare tabacco di bassa qualità aveva ingiallito i suoi denti, ma a parte quel dettaglio Ashdown era un quarantenne di bell'aspetto, con riccioli castani e un viso da eterno fanciullo; si diceva che avesse ripagato più di un debito grazie al buon cuore delle donne che riusciva a sedurre. Eppure in privato era un uomo pauroso, nevrotico, del tutto diverso dalla parte affascinante e sicura di sé che amava recitare con le sue amanti.
«Vi ho invitati per discutere di una questione molto urgente» replicò lentamente, scandendo bene le parole, pregustando la reazione che avrebbero avuto sui suoi ascoltatori. «Si tratta di soldi.»
I cinque uomini si agitarono a disagio sulla sedia come se Raymard avesse annunciato di voler ballare nudo nel cortile della torre di Mayfair e lui ridacchiò apertamente.
"Ipocriti figli di puttana" pensò, scrutandoli uno a uno. "Amate così tanto il denaro che siete venuti a strisciare ai miei piedi per averne di più, ma quando se ne parla siete tutti fanciulli imbarazzati!"
«Vi abbiamo già finanziato!» protestò debolmente Saint-Leger con la sua vocetta nasale.
«E avete anche guadagnato molto dalla nostra associazione, nevvero?» lo interruppe Raymard, tagliente. «Tuttavia, sono sorti ostacoli imprevisti a cui bisogna porre rimedio.»
«Se vi riferite a Blackraven, ebbene, ammetto che quell'uomo sa essere spiacevole, su un ponte di comando così come in un salotto» commentò Draper con l'espressione sognante che caratterizzava gli oppiomani. «Tuttavia, vi avevamo già incaricato di risolvere quella faccenda qualche tempo fa e voi avete fallito.»
Raymard dovette ricorrere a tutta la sua pazienza per non saltargli addosso: la violenza era uno sfogo accettabile tra le mura domestiche, o nel folto della jungla, ma era un uomo abbastanza intelligente da capire che in quel momento non poteva alienarsi i suoi indolenti, avari alleati.
«Madame Bouyer non è stata all'altezza delle mie aspettative» ringhiò a denti stretti, proprio mentre un uomo entrava nella stanza senza essere annunciato, ripiegando le ali stanche contro il dorso.
«Vostra Altezza!» esclamarono i cinque nobili, facendo a gara nell'alzarsi in piedi e inchinarsi al nuovo arrivato, che invece mantenne gli occhi fissi sul padrone di casa, pur continuando a giocherellare con la catenella dell'orologio da taschino.
«Il mio fratellastro ha le nove vite di un gatto, Raymard, ed è stato sciocco farlo cadere di nuovo in mano agli Spagnoli, dato che se lo erano già lasciato sfuggire tra le dita in precedenza.»
Charles Hanover inarcò gli angoli delle labbra in un sorriso maligno, che nessuno a corte aveva mai visto; ma i sei uomini riuniti in quel salotto conoscevano un lato di lui che era rimasto sconosciuto anche ai membri della sua famiglia.
«Immagino che ci abbiate convocato qui per discutere un modo più efficace per toglierlo di mezzo.»
«Avete ragione, Altezza, ma vi prego, sedetevi alla mia tavola!»
Charles non se lo fece ripetere due volte, sedendosi a gambe accavallate su una poltrona e allungando le ali dorate e poco allenate sullo schienale.
A Raymard il giovane principe ricordava spesso un serpente pronto a colpire, o un gatto intento a giocare col topo: una creatura magnifica e crudele. Smessi i panni dell'imbecille docile e ingenuo, Charles era un giocatore molto più astuto e lungimirante del fratello che professava di voler vedere sul trono; ma Raymard non si era mai lasciato ingannare da quella lealtà così apertamente dichiarata.
Era sicuro che se mai i due principi fossero riusciti a spuntarla sulla sorella – impresa difficile, ma non impossibile – il regno di Richard sarebbe stato breve e avrebbe avuto termine con una misteriosa malattia o uno sfortunato incidente.
Gli occhi slavati di Charles rivelavano infatti una cupidigia senza fondo e per questo Raymard non riusciva a farselo piacere, pur stimandolo nella misura in cui un uomo come lui poteva provare ammirazione. Aveva sempre diffidato da chi considerava troppo simile a sé stesso.
«Dunque? Che piani avete per assicurare la buona riuscita dei nostri progetti? La costruzione del vostro strano palazzo, su nelle Terre Bianche, c'è già costata parecchio denaro e il nostro obiettivo era arricchirci in vista di un colpo di Stato, non il contrario...»
Raymard nascose il ringhio che gli era salito in gola portandosi il calice di vino alle labbra.
"Come osi chiamare palazzo il cuore pulsante del futuro?" pensò, fissando malevolo il principe.
Per la prima volta da quando erano entrati in affari insieme, un pensiero spaventoso lo colpì: era Charles, e non lui, ad avere maggiori possibilità di successo. Era giovane, ambizioso, e ben presto avrebbe messo le mani su un potere che gli avrebbe davvero permesso di cambiare il corso degli eventi futuri. Lui in confronto si sentiva stanco e troppo lento per mantenere alta la guardia sotto lo sguardo attento del giovane Hanover.
«Ho bisogno di una flotta» borbottò, a voce abbastanza alta affinché tutti lo sentissero. «I lavori in Scandinavia sono quasi finiti, ma mancano dei pezzi fondamentali, che non possiamo riprodurre senza aver messo le mani sugli originali, che si trovano a Baltia. Bisogna conquistare quella fortezza e togliere di mezzo i Floriani una volta per tutte! Se poi riuscissimo a sbarazzarci in un sol colpo anche di Blackraven e dell'Argon, tanto meglio!»
«E la guidereste voi, questa flotta?» s'informò Saint-Leger, scettico.
«Si capisce.»
«Immagino che oramai siate impaziente di rimettere le mani sulla vostra promessa sposa» mormorò il principe, gli occhi illuminati da una scintilla di scherno. «L'ho incontrata a Londra, un tipo loquace... Vi darà del filo da torcere.»
Raymard sopportò con stoica impassibilità le battute e le strizzate d'occhio che ravvivarono l'umore tetro dei commensali, ripromettendosi di mettere anche quello sul conto di Messalina Seymour, una volta che l'avesse trovata.
Aveva già abbandonato da mesi l'idea di sposarla – suo padre si era rivelato un imbecille e Raymard non voleva più averci a che fare; ma il pensiero di sottomettere quella ragazzina viziata e farle assaggiare la verga e la frusta per poi ucciderla lo riempiva di buonumore.
«Ho dunque il vostro appoggio, signori?» domandò, quando ritenne di aver sopportato abbastanza a lungo il dileggio dei suoi compari.
I cinque nobili si voltarono verso il principe e Raymard serrò ancor di più le labbra.
«L'avete sempre avuto, mi pare, sin da quando è iniziata questa storia. Questa volta però pongo una condizione: verremo con voi a Baltia.»
Raymard dovette dare fondo a tutto il suo autocontrollo per non strozzarsi con l'ostrica che stava gustando; lanciando una veloce occhiata ai suoi ospiti, intuì che anche gli altri erano altrettanto spiazzati dalle parole di Charles.
"Mantieni la calma. Sfoggiare la tua ira servirà solo a stuzzicarlo."
«C'è una ragione particolare dietro la vostra richiesta, Altezza?»
Gli occhi del principe persero di colpo tutto il divertimento che li animava, diventando freddi e superbi come due schegge di diamante.
«Questi ultimi mesi sono stati pieni di promesse, Raymard, le vostre promesse. Promesse di ricchezza e potere... Ma finora io e mio fratello abbiamo visto solo sotterfugi, incompetenza e grane di ogni genere. Se siamo davvero così vicini alla meta come dite, questa volta voglio assicurarmi di persona che nulla ci ostacoli!»
"Imbecille!" pensò Raymard, e avvertì in bocca il sapore del sangue: aveva affondato i denti nelle labbra fino a ferirle per non lasciarsi scappare quell'imperdonabile insulto di bocca.
Fissò il suo avversario all'altro capo della tavola, che come lui ignorò del tutto le deboli proteste dei loro compari; essi non erano che comparse, spettatori di un duello silenzioso che erano troppo superficiali per cogliere. Eppure si stava svolgendo sotto i loro occhi: il vecchio leone e il giovane squalo si tennero testa senza aprire bocca, entrambi consapevoli del fatto che a un certo punto uno dei due avrebbe eliminato l'altro.
"Non stasera" si disse Raymard, abbassando il capo verso il piatto. "Ma prima o poi succederà. Dovrò essere più cauto d'ora in avanti: quest'affare è troppo importante perché io me lo faccia soffiare sotto il naso e troppo allettante perché lui non provi a farci fuori tutti."
Si schiarì la voce e parlò con tono misurato, in cui però s'intuiva una vena di scetticismo:
«Le promesse saranno mantenute. Posso tuttavia farvi notare quanto questo proposito sia sconsiderato?»
«Non capisco a cosa vi riferiate.»
«Ragionate: vostro fratello, che vi conosce bene, in questo momento si sta dirigendo proprio a Baltia. I suoi sospetti sono tutti diretti verso di me: sarebbe una follia presentarvi lì e rivelare il vostro coinvolgimento!»
«Credevo che fosse proprio questo il punto: eliminare Lyon Blackraven e la sua aeronave, in modo che non costituiscano più un problema per noi.»
«Sì, ma se le cose non andassero come progettiamo? Se anche un solo membro dell'equipaggio ci sfuggisse e la notizia giungesse alle orecchie del Re, tutti noi finiremmo sulla forca! Beh, tranne voi stesso, s'intende...»
Griffen deglutì vistosamente, come se già sentisse il cappio attorno al collo, ma Charles non diede segno di essere stato colpito dal suo ragionamento, anzi, il suo fastidio aumentò.
«O siete sicuro che riusciremo a mettere le mani sull'alternatore, oppure non lo siete. Nel primo caso, non c'è alcun rischio nel seguirvi a Baltia, perché uccideremo chiunque possa riferire a mio padre del mio coinvolgimento. Nel secondo caso siete un bugiardo, perché non sareste in grado di darci ciò che ci avete promesso. E a quel punto ditemi, Raymard, a cosa ci servite?»
Raymard si sentiva intorpidito, come se un gelo innaturale l'avesse reso un tutt'uno con lo schienale della sedia: per la prima volta dopo molto tempo era a corto di parole. Cercò invano una risposta da opporre a quel ragionamento, ma con frustrazione crescente dovette infine ammettere la sconfitta.
«E sia, andremo tutti a Baltia» decretò infine, con voce così carica di odio da gettare un velo di inquietudine sui commensali.
Il principe rimase impassibile: solo un leggero fremito delle labbra, subito coperto dal bicchiere che si portò alla bocca, rivelarono la sua crudele eccitazione all'idea di seppellire Blackraven tra i ghiacci ai confini del mondo.
Aggiornare a quasi mezzanotte durante la sessione: check.
Ormai confondo il giorno con la notte 🙈
Comunque, devo dire che sono molto soddisfatta dei dialoghi di questo capitolo, un po' meno della prima parte.
Nelle miei idee iniziali Raymard doveva essere l'equivalente del Wan Guld di Salgari: un cattivo duro e puro senza grande introspezione, insomma, perfetto per mantenere l'attenzione sui protagonisti. Invece come al solito i miei personaggi fanno di testa loro e — anche per evidenziare meglio il suo contrasto con Charles — in questo capitolo Raymard svela qualche debolezza.
A proposito di Charles, alzi la mano chi si aspettava Richard al tavolo dei cattivi 😂 raramente sono entusiasta delle mie idee, ma questo è uno di quei colpi di scena che mi hanno fatto gongolare durante la stesura.
Enjoy ❤️
Crilu
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