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XXXIV. Le prigioni di Granada

Le prigioni di Granada altro non erano che una piccola e tozza fortezza posta a ridosso dei bastioni medievali della città, costruita dagli arabi molti secoli prima; le robuste mura di pietra si aprivano a intervalli regolari in strette finestre ad arco e sulla sommità delle torrette di guardia svettavano merli a punta triangolare. Dai camminamenti, su cui si avvicendavano svogliate ronde di soldati, si potevano ammirare sia le aeronavi ancorate nel vasto porto affacciato sul mare sia l'Alhambra, la cittadella in cui i sovrani spagnoli si trovavano quando un terremoto aveva distrutto Madrid, ai tempi del Crollo; da residenza forzata e temporanea, quello splendido complesso di palazzi era poi diventato la sede fissa della casa reale.
In quei giorni l'intera città era stata tirata a lustro e addobbata per la festa del Día de la Cruz.

Le celle della fortezza erano strette, tetre e affollate ma almeno, pensava Lyon, erano tenute pulite e asciutte. Steso su uno scomodo giaciglio di paglia ormai secca, notò che il sangue aveva smesso di scorrere dalle nocche scorticate, frutto di uno scontro avuto con un uomo che aveva tentato di sfilargli gli stivali non appena la porta della prigione si era chiusa alle loro spalle. Sin, in piedi accanto a lui, scrutava gli altri prigionieri con sguardo vigile e feroce, quasi sfidandoli ad avvicinarsi di nuovo: si trattava per la maggior parte di uccellini dalle protesi malandate e di seconda mano, arrugginite dal tempo e dall'incuria.
"Chissà se li reggono in volo" si chiese il corsaro distrattamente, mentre studiava attentamente la pesante serratura che chiudeva la cella. Sembrava difficile da forzare e lui sapeva di avere poco tempo per tentare: un'altra notte, due al massimo, poi le guardie li avrebbero trascinati fuori di lì e condotti dritti sul patibolo.
"E nel frattempo gli schiavi continueranno la loro rotta verso chissà dove, arricchendo Raymard e i suoi complici!"
Il dover lasciare in sospeso quella questione lo addolorava quasi quanto il pensiero del destino che attendeva lui e Sin: non essere riuscito a venire a capo del mistero degli schiavi era una ferita viva al suo orgoglio.

A un tratto la sua attenzione fu catturata dalle chiacchiere dei due carcerieri che, in quella notte calda d'inizio estate, erano di guardia su quel piano della fortezza; non poteva vederli, dato che il tavolo a cui si erano seduti per giocare a dadi era nascosto da una curva del corridoio, ma le loro voci riecheggiavano sulle volte di pietra e gli giungevano chiarissime attraverso le sbarre.

«Ecco i tuoi cinque scudi, che il diavolo ti si porti!» sbottò uno dei due, che parlava con un forte accento catalano.
«Stasera la fortuna è dalla tua!»

«Ah! Se fosse come dici, ora me ne starei steso nella casa di Dõna Almunda con un fiasco di vino in una mano e una bella puttana nell'altra, a festeggiare degnamente la santa croce!» sghignazzò una voce roca e più anziana.

«Com'è che dicono i nostri bravi camerati francesi? Questa è la vita, vecchio mio! A proposito, dici che è la loro la flotta che ha incrociato al largo di Granada questo pomeriggio?»

«Mah, non credo... I capitani di stanza giù al porto non si sarebbero agitati tanto da chiederci rinforzi, se si fosse trattato di qualche nave amica... Chi siano, questa è la domanda: non hanno né insegne né bandiere e non hanno tentato di entrare in porto per identificarsi.»

«Un bel mistero!»

«Puoi dirlo forte! Ora, se mi passi quei dadi... E tu come sei entrata?»

Un tramestio di sedie e fruscii, seguito da una voce delicata che parlava spagnolo con una piccola inflessione straniera:
«Ho detto ai vostri amici al portone che volevo far un po' di compagnia ai bravi soldati che in una notte di festa come questa non abbandonano i loro posti...»

Lyon balzò in piedi e si slanciò contro le sbarre, tendendo il collo nel disperato tentativo di cogliere qualcosa di ciò che stava accadendo nella stanza vicina.

«Ma è...?» mormorò Sin, accanto a lui, ma il capitano gli fece cenno di tacere.

«Che pensiero grazioso, detto da un fiorellino come te!» ridacchiò l'uomo anziano.

«José, non dovremmo... Il capitano...» borbottò l'altro.

«Il capitano è in città, Manuelito mio, e non tornerà prima di domani mattina! La signorina, invece, è qui davanti a noi: qual è il tuo nome, fiorellino?»

«Messalina»

«Però! Sembra proprio un nome da cortigiana!»

«José, ha un accento strano!» brontolò la guardia che rispondeva al nome di Manuel.

«Questo, signore, potrebbe essere dovuto al fatto che sono inglese!»

Invece delle grida che si era aspettato a seguito di quell'ammissione, Lyon si stupì di udire solo un breve tafferuglio, seguito da mugugni soffocati e un basso lamento che si stemperò nel silenzio; dopo qualche istante, Messalina apparve sulla soglia della cella reggendo in mano il mazzo di chiavi sottratte ai guardiani.
Vestita in un vaporoso abito rosso che metteva in risalto i riccioli biondi e ispirava pensieri licenziosi grazie alla profonda scollatura, Messalina sembrava una ragazza diversa, più calcolatrice e matura; le ali scintillavano come freddi tizzoni nella penombra, illuminati dalla fioca luce delle lampade.
Per un terribile momento gli ricordò Sylvia – poi li vide e l'espressione impassibile si aprì in un sorriso colmo di gioia, mentre correva verso le sbarre e li osservava con occhi avidi.

«State bene?» sussurrò con voce rotta dalla commozione.

Lyon aprì la bocca per rispondere, ma scoprì di non riuscire a cavarne un suono: ancora una volta Mess era apparsa dal nulla per stravolgergli la vita e ancora una volta lo aveva lasciato senza parole.
Gli altri detenuti rumoreggiarono e si fecero più vicini per osservarla e al suo fianco Sin si rivoltò come un piccolo leone infuriato, gettandosi contro un uomo che aveva lanciato un basso fischio d'apprezzamento. Fu quello a scuotere Lyon dal suo stupore: afferrò il ragazzino per le spalle, stringendolo al suo fianco, poi tornò a scrutare la ragazza.
«Cosa vi salta in mente? Come siete entrata? E, in nome di Dio, cosa avete intenzione di fare?»

Mess studiò con occhio critico la marmaglia assiepata dietro le sbarre. Era un gruppo eterogeneo di uccellini, terrestri e un vecchio cyborg con una gamba e una mano prostetiche, che erano ciò che di peggio Granada aveva da offrire: tagliaborse e scassinatori, mendicanti truffaldini e assassini senza scrupoli.
«Partiamo dalla vostra ultima domanda, capitano!» disse infine la ragazza, a voce abbastanza alta affinché tutti la potessero sentire, anche nelle celle affianco.
«Sono qui per farvi uscire, tutti quanti.»

«Tutti?» ripeté Lyon, incredulo.

«Già mi piace!» borbottò il cyborg con una risata.

«Impossibile!» tuonò un altro prigioniero. «In questa prigione ci sono altri tre piani sopra di noi e due sotto, ognuno sorvegliato da almeno cinque guardie!»

«Senza contare quelle all'ingresso» aggiunse Sin.

«Di quelle alla porta se ne sta occupando Trix, ma la rapidità è fondamentale. Voi tutti avete la possibilità di fuggire e scampare alla forca! Vi basterà seguirmi: una decina di guardie non potrà nulla contro un'evasione di massa!»

«Non ascoltate la sgualdrina!» urlò un uomo vestito di stracci dalla cella di fronte. «Non vedete che è in combutta con quei due? Ci useranno come carne da macello per coprirsi la fuga!»

«Se le mie parole non sono convincenti, che ne dite di uno scudo d'oro a testa?» replicò lei, senza battere ciglio. «Una volta che saremo fuori di qui, s'intende!»

L'uomo fece un verso di schermo:
«Ci hai presi tutti per allocchi, bambina? Nessuno lavora per dei soldi che non si possono vedere!»

Messalina incurvò appena le labbra, fece scivolare due dita nella piega dei seni e con un gesto teatrale, da prestigiatore, ne tirò fuori una scintillante moneta d'oro; la lanciò in aria e quella roteò su sé stessa, attirando gli sguardi di tutti i prigionieri, prima di sparire di nuovo tra i pizzi del corpetto.

«Ecco la tua prova, San Tommaso!» celiò, con fare scaltro. «Il resto lo vedrete solo se io e i miei amici usciremo indenni da questa fortezza! Dunque che devo fare? Apro le porte di queste celle?»

La domanda fu accolta da un ruggito d'assenso quasi unanime.
E mentre la ragazza si affaccendava per liberare tutti i prigionieri – scortata da Sin che, dimentico della precedente ostilità, le era corso accanto come un cucciolo scodinzolante dietro la madre – Lyon non riusciva a scacciare il magone che gli chiudeva la gola.
"Chi è? La Messalina che conosco io non è così furba e provocatoria ed esperta..."
Quando gli si fece vicino, però, vide che un velo di sudore le imperlava la fronte e che le sue mani tremavano in maniera incontrollata; allora ne afferrò una e se la portò alle labbra, tentando di trasmetterle con un lieve bacio il miscuglio di emozioni che provava in quel momento – gratitudine, sorpresa, timore e rabbia per la sua sconsideratezza e un profondissimo affetto che trascendeva l'attrazione che aveva provato per lei sin dal primo momento in cui l'aveva vista.

«State giocando un gioco pericoloso!» sussurrò poi, mentre insieme agli altri evasi iniziavano a muoversi verso le scale interne della fortezza. «Avrebbero potuto uccidervi per quell'unica moneta d'oro!»

«Lo so, perciò mi sono armata!»
Scostò un poco il corpetto, per mostrare la lama a serramanico nascosta nella tasca segreta.

«Ma voi non sapete usarlo» replicò Lyon, perplesso.

Nonostante la situazione, Mess si lasciò sfuggire una leggera risata e gli fece l'occhiolino:
«Questo però loro non lo sanno!»

Lyon rispose debolmente al sorriso, benedicendo in silenzio la sua ingenuità e la sua buona stella.
Oltrepassarono con un salto i corpi dei due soldati, abbandonati scompostamente ai piedi del tavolo su cui brillavano ancora i cinque scudi vinti dal più anziano.
«Sono...?»

«Paralizzati» spiegò Mess, raccogliendo una grossa siringa dal terreno e studiando l'incrinatura che la attraversava per tutta la lunghezza prima di buttarla via.
«Me l'ha prestata il reverendo Lloyd, ma temo che dovrò comprargliene una nuova. Il veleno invece è un'idea di Old Tom – giuro, quell'uomo è una continua fonte di sorprese! Il primo l'ho steso mentre mi palpava... Quell'altro lì ha provato a dare l'allarme, ma per fortuna il veleno ha agito prima che riuscisse nel suo intento!»

Con un guizzo di cattiveria, Lyon allungò un calcio sul ventre della guardia di nome José, prima di proseguire nella fuga.

Mess temeva che da un momento all'altro il cuore le sarebbe saltato fuori dal petto, tanta era l'euforia che lo colmava: era felice di aver trovato Lyon e Sin vivi e anche se non erano ancora al sicuro sull'Argon, l'essere riuscita a penetrare indisturbata nelle prigioni di Granada l'aveva riempita di fiducia.
Scrutò di sottecchi il corsaro:
"È per questo che ha preso la via del mare, tanti anni or sono? Per sentirsi invincibile come me in questo momento?"
Tutto attorno a loro la rivolta stava esplodendo incontrollata. Man mano che venivano sopraffatte altre guardie e aperte nuove celle, l'offerta di Mess era stata dimenticata: i prigionieri parevano soddisfatti nello sfogare la propria ira sui loro carcerieri e come una marea umana si riversavano in ogni piano e corridoio della fortezza.
Trascinati da quella folla che urlava e bestemmiava, Mess, Lyon e Sin rischiarono più volte di venire separati, finché non furono costretti ad appartarsi in una cella per riprendere fiato.

«Ho come l'impressione che questa faccenda vi sia sfuggita di mano» mormorò Lyon con un'ombra dell'usuale sarcasmo, mentre si scostava dal viso i capelli madidi di sudore. «Come usciamo da qui?»

«Dobbiamo scendere al piano terra. Lato sud. Mastro Bell e Wes ci aspettano per far saltare una delle porte del deposito della polvere da sparo.»

«Wes? Perché Wes? Joey è il più bravo quando si tratta di far saltare in aria qualcosa!» borbottò Blackraven.

Messalina tremò per lo sforzo di non lasciar trasparire nulla dalla sua espressione:
«Wes si è offerto volontario, ora non perdiamo altro tempo, è già tardi!»
"Non è una bugia, solo un'omissione" cercò di rassicurarsi poi, mentre correvano lungo le rampe di scale.
Un botto improvviso li fece barcollare, ma erano solo i fuochi d'artificio che erano stati accesi nelle piazze per festeggiare il Día de la Cruz.

Erano quasi arrivati alla loro meta, quando dal pian terreno vennero loro incontro dei prigionieri sanguinanti e spaventati:
«Indietro! Indietro! Ci sparano addosso!»

«Chi?» domandò Mess, aggrottando la fronte sgomenta.

«I gendarmi! Hanno richiamato uno squadrone dal porto!»

«Ma noi dobbiamo scendere!»

«Non da qui, ragazza, oramai sono entrati e hanno molti moschetti ben carichi!»

«Venite» le ingiunse Lyon e afferrata lei con una mano e Sin nell'altra, iniziò a percorrere a ritroso le scale da cui erano scesi.

«Lyon! Faremo la fine dei topi in trappola se continueremo a salire!»

«Se le gambe ci reggono fino in cima forse abbiamo ancora una speranza: se quei soldati vengono dal porto sono quasi certamente squamati e non uccellini e questo spiegherebbe perché siano entrati dal portone, ponendosi in una posizione svantaggiata, invece di piombare sugli evasi dall'alto!»

«Sì, ma ben presto tutte le guardie di Granada dotate di un paio d'ali arriveranno qui!»

«Risparmiate il fiato e correte, Messalina!»

Quando infine arrivarono sulla soglia che portava sulla torretta di guardia della fortezza, Mess esalò un gemito sconsolato: nel cielo si vedevano già decine di fiaccole, ognuna delle quali segnalava un uccellino in avvicinamento; molti altri prigionieri avevano avuto la loro stessa idea e si erano buttati dai parapetti, ma venivano colpiti in volo dai moschetti dei soldati.
Lyon non volle darsi per vinto e con un ultimo scatto li costrinse a rifugiarsi sotto la sporgenza di un merlo, mentre l'intero camminamento veniva spazzato da una raffica di proiettili sparati da un punto imprecisato sopra le loro teste.

«Cosa state facendo?»

«Conto» rispose lui velocemente. «Se conosco bene i miei uomini, fra qualche istante avremo una possibilità di fuga.»

Non aveva neanche finito di pronunciare quelle parole, che una violenta esplosione squassò le prigioni fin dalle fondamenta: Wes e mastro Bell, vedendosi perduti, avevano dato fuoco all'intero deposito.
Mentre l'edificio tremava per gli scoppi dei barilotti di polvere, accadde tutto fin troppo velocemente – tanto che quando più tardi Mess tentò di dare un ordine a quei ricordi confusi, ottenne solo una serie di terribili attimi sospesi nel tempo.

Lyon che balzava in piedi sotto il fuoco degli Spagnoli, trascinando lei e il mozzo con sé e facendo loro scudo con il suo corpo.

Lyon che le alzava il capo bruscamente e la baciava proprio come l'eroe di uno dei suoi romanzi, ma con una disperazione che Messalina non aveva mai conosciuto e che le bruciò le labbra insieme al gusto salato delle lacrime del corsaro.

Lyon che la spingeva oltre il parapetto, sussurrandole un ultimo, frettoloso addio.

In quegli istanti Mess capì perché le regole dell'etichetta proibivano di spingere un uccellino nel vuoto. La caduta risvegliò un terrore antico che le immobilizzò le ali e lei poté soltanto gridare e cadere, stretta a Sin in un abbraccio fatale, mentre il vento le sferzava il viso e i capelli.
Poi le protesi si aprirono e fendettero l'aria con un sibilo aggraziato, sostenendola come avevano fatto innumerevoli altre volte; i due planarono nella semioscurità, miracolosamente nascosti allo sguardo delle guardie, e atterrarono in un vicolo deserto.
Pochi minuti dopo, l'esercito riprese il controllo della fortezza e la sanguinosa rivolta delle prigioni di Granada ebbe termine.

Insomma, un piano così sconclusionato non poteva finire bene, no? 🙈
Nonostante abbia faticato un po' a scriverlo, questo capitolo è uno dei miei preferiti: far indossare a Messalina le vesti di prostituta era una tentazione irresistibile, non potevo non coglierla ahahahah 😂

Ah, il Dia de la Cruz è una festività religiosa di Granada, simile a un Carnevale, che ha come oggetto la Croce di Cristo e avviene a Maggio.

Aspettatevi angst e tormento nel prossimo capitolo 😈

Enjoy ❤️

Crilu

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