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XLIII. L'attesa

Il debole sole delle Terre Bianche si era da poco affacciato su Baltia quando Messalina entrò per la seconda volta nella piccola sala che sembrava essere stata eletta come quartier generale con il tacito assenso di tutti. La trovò già gremita e, come lei, anche tutto il resto dei presenti pareva aver passato una notte inquieta e insonne. Alla stanchezza si univa il disagio che serpeggiava tra Lyon, Smokey e Old Tom, freddo quanto la sottile lastra di ghiaccio che si era formata sui vetri delle finestre.
Mess fletté le ali, lasciandole penzolare oltre lo schienale della sedia nel tentativo di dare un po' di sollievo ai muscoli contratti, mentre aspettava che il Flamine floreale finisse di consultarsi con un altro Floriano.

«Lui è Hans» disse infine il vecchio, piegando il capo verso la massiccia figura incappucciata al suo fianco. «È il capitano delle nostre guardie e delle vedette che abbiamo sparse per il territorio.»

«Oh! Così è lui che devo ringraziare per la tortura inflitta da quella rete!» esclamò Ventadour guardandolo storto. Quando Hans chinò il capo, forse in un silenzioso gesto di scusa, oltre il cappuccio scivolarono corte e lisce ciocche di capelli grigi.

«Non divaghiamo» mormorò Smokey, puntellando i gomiti sul tavolo e poggiando la testa tra i palmi con un sospiro. «Abbiamo molto di cui parlare. Ditemi, Hans, quanti uomini in grado di maneggiare un'arma risiedono tra queste mura?»

«Circa una settantina» rispose il Floriano, con una voce roca e rasposa.

"Non può essere tanto più giovane del flamine" pensò Mess con una punta di preoccupazione.

«La Victoire ne conta centoventi» intervenne Ventadour.

«E quanti dei vostri uomini conoscono il motivo per cui li mandate a morire?» domandò Lyon con un sorriso caustico.

A sorpresa fu Picard a prendere la parola: aveva una voce nasale e acuta, in contrasto con i lineamenti duri del suo viso. L'espressione arcigna data dal grosso naso ricurvo e dalle sopracciglia folte e arcuate era stemperata appena dagli occhi grigi e gentili, acuti quasi quanto quelli del suo capitano.
«Sapranno solo ciò che è necessario. Ovvero, che questa battaglia è cruciale per il destino della Francia.»

Blackraven parve contentarsi di tale risposta – oppure finse di esserlo. Mess si mordicchiò le labbra mentre un leggero tremore le pervadeva le ali:
"Perché non riesco più a leggere il suo viso? Perché si ostina a tenerci nascosti i suoi pensieri?"
Le parole rabbiose volate durante la loro ultima discussione continuavano a tormentarla nel profondo dell'animo: il capitano amareggiato che si aggirava come un cane selvatico per i corridoi di Baltia non aveva nulla in comune né con il corsaro affascinante che le aveva teso una mano nel momento del bisogno, né con l'uomo appassionato e gentile che aveva scelto di proteggerla e corteggiarla. Il tenero affetto che aveva covato per mesi era ancora giovane e fragile e soffriva sotto i colpi di quella freddezza improvvisa. Mess, poco pratica dell'amore e delle sue contraddizioni, temeva che fosse tutto finito prima ancora di essere cominciato.

«Dunque, abbiamo a disposizione quasi duecento uomini» stava intanto dicendo Lyon, ignaro del turbamento che le suscitava. In effetti, le pareva ignaro di tutto ciò che lo circondava, come se stesse parlando a una sala vuota e non ai suoi compagni di tante avventure: le iridi verdi sorvolarono, senza mai soffermarsi, Smokey e Wes, Bart e Sin e Old Tom.

Un desiderio egoista e pungente si fece strada nella mente di Mess, scacciando la malinconia:
"Vorrei che il flamine non gli avesse mai offerto il compito di difendere Baltia. Oppure, vorrei che lo avesse rifiutato e se ne fosse andato per la sua strada, invece che rimanere qui a infliggerci il suo orgoglio ferito!"

«Mi pare di capire che i Floriani siano tutti terrestri, che dunque non sarebbero di nessuna utilità su un'aeronave: è meglio che rimangano qui a difendere le mura e il palazzo.»

I due francesi si scambiarono un'altra delle loro lunghe occhiate d'intesa, con cui parevano comunicare con maggior efficacia che a parole. Quando Ventadour prese la parola, infatti, aveva già preso la sua inequivocabile decisione:
«Io resto a terra. Affido il comando della Victoire a Picard, che guiderà circa la metà dei miei uomini. Gli altri saranno con me.»

«C'è anche la sala sotterranea da considerare» borbottò mastro Bell dal nulla e fu sorpreso quando tutti voltarono il capo verso di lui. «Beh, siamo realisti! Se perdiamo in cielo e perdiamo sulla terra, ci vuole qualcuno che faccia saltare in aria quella macchina infernale, o saremo crepati per niente!»

«Sta bene, monteremo la guardia a turni. Ora, Wes, mastro Bell, Trix: voi sapete già di essere indispensabili per l'Argon, ma voglio tenere la nave leggera.»

Quando si posarono su Joey l'espressione di Lyon mostrò un accenno di emozione per la prima volta in quella mattinata. Anche Mess, che pure non era un'esperta di battaglie aeronavali, comprese che quell'accenno al rimanere leggeri aveva un doloroso significato sottinteso.
"Non può accogliere sulla nave chi non sarebbe in grado di volare giù se questa andasse distrutta. E come al solito non tiene conto di sé stesso in questa considerazione!" 

Joey strinse le labbra senza replicare; fu Bart a parlare per lui, con tono forzatamente ameno.
«Se avrete bisogno di noi, capitano, saremo sui bastioni. Sarebbe bene bloccare l'accesso alla vallata, però, in modo che non possano sfruttarlo per accerchiarci su due fronti.»

«Gli uomini di Raymard con molta probabilità avranno le ali!» intervenne Picard, aggrottando la fronte.

«Una galleria bloccata non fermerà gli uccellini, ma potrebbe rallentarli» spiegò Smokey. «Se l'Argon e la Victoire li tengono impegnati sul versante esterno delle montagne, Raymard potrebbe decidere di inviare a terra la cavalleria prima del tempo. E allora si ritroveranno tagliati fuori da Baltia.»

«Pecchi di ottimismo, non è da te!» ghignò Ventadour, ma era evidente che lo faceva solo per stuzzicarla e che anche lui approvava quella trovata. 

Un guizzo di calda speranza incendiò il petto e la gola di Messalina: attorno a lei sembravano tutti così sicuri di sé e delle proprie capacità da contagiarla con la loro pragmaticità. Seduta in quella poltrona confortevole, al sicuro dietro le spesse pareti di Baltia, per un istante fu tanto sciocca da pensare che nessun pericolo potesse toccarla. Ma quella sensazione svanì in fretta perché si rese conto che le rammentava fin troppo la falsa sicurezza a cui era abituata a Cloud Eden.
L'atmosfera attorno al tavolo si faceva via via meno tesa, mentre tutti erano già proiettati verso i compiti da portare a termine una volta usciti da lì.

«E gli altri?» intervenne all'improvviso Trix, proprio quando il flamine pareva sul punto di congedarli. La sua voce era poco più che un timido sussurro.
«Ci sono bambini qui, e donne che non paiono avvezze ai combattimenti. E anche voi...»

Gli occhi della ragazza si posarono sul vecchio e scivolarono subito via, mentre la frase si perdeva nel silenzio.
Le labbra avvizzite dell'uomo si aprirono nel solito sorriso saggio:
«Sì, credo anch'io di essere troppo anziano per assistere a questa battaglia. Alcuni tra i miei compagni condividono il mio pensiero e mi accompagneranno, insieme ai bambini e a chi non è in grado di difendere la nostra patria, lungo un sentiero che ci condurrà lontano da qui. Abbastanza lontano, spero, affinché Raymard non ci possa scovare se Baltia cadrà. Partiremo domani stesso.»

Lyon annuì.
«Ve l'avrei proposto io stesso. Vi prego di prendere Sin con voi.»

Mess socchiuse gli occhi e irrigidì il collo in previsione di ciò che sarebbe inevitabilmente seguito.

«Perché mi avete fatto votare, se avevate già deciso di mandarmi via?» domandò infatti il ragazzino con la voce tinta dal disappunto, i pugni contratti, gli occhi azzurri colmi di rabbia.

L'espressione di Lyon si addolcì:
«Volevo conoscere la tua opinione perché tengo a te e a quel che pensi, ma non puoi negare che la tua inesperienza ti metterebbe in pericolo, se io ti lasciassi combattere.»

«E perché lo permettete a lei?» ringhiò Sin, accennando a Mess col capo. «Qual è la sua esperienza in materia di scontri e battaglie?»

La ragazza arruffò le piume delle ali, inquieta, scrutando Lyon a occhi socchiusi, tentando di anticipare la replica. Provò a indovinare quali emozioni si stessero agitando dietro i lineamenti serrati dell'uomo e scoprì di essere più agitata del dovuto: aveva il crudele presentimento che da quella risposta dipendesse il destino del loro rapporto. Temeva che Blackraven si facesse sopraffare dall'amarezza che aveva avvelenato il suo carattere e il suo animo e rimarcasse i suoi errori come aveva fatto in cortile il giorno prima.

«Già solo in virtù delle sue ali Messalina ha maggiori probabilità di sopravvivenza rispetto a te, Sin» mormorò invece, pacato e senza traccia d'acrimonia nella voce.
«Inoltre, lei ha diciannove anni, non undici. Confido che abbia abbastanza senno e giudizio per fare la scelta più appropriata.»
Tuttavia lo sguardo fosco che le rivolse le fece intendere che il discorso sul ruolo che avrebbe svolto nello scontro imminente era tutt'altro che concluso.

L'occasione che Mess attendeva con ansia e trepidazione si presentò solo cinque giorni dopo, durante l'allenamento pomeridiano a cui si sottoponeva con diligenza sotto lo sguardo critico di Smokey e Trix.
La prima aveva tentato d'insegnarle ogni trucco che conosceva nella speranza che bastassero a salvarla: Mess sapeva che parlavano alle sue spalle, preoccupati nel vederla così ferma nella decisione di restare a Baltia.
Le parole di Lyon, però, avevano lasciato un segno profondo e indelebile:
"Non fuggirò più, men che meno da Raymard."
Si ripeteva quel pensiero ogni notte, quando il terrore di morire di una morte atroce veniva a rubarle il sonno, e ogni volta in cui finiva a terra, sconfitta e dolorante, nel vano tentativo di far pace con l'incertezza del suo destino.
Quel mattino però non trovò né Smokey né Trix nel cortile ad aspettarla, ma Lyon.

Una pesante quiete avvolgeva il cortile, dato che da quando la popolazione di Baltia si era dimezzata c'era sempre qualcosa da fare: i loro unici spettatori erano le bianche torri di guardia, il sole appena sorto e le montagne che incombevano su di loro e gettavano lunghe ombre sulle mura.
Mess strinse la presa sull'elsa dello spadino che portava alla cintura ed esitò giusto un istante, sorpresa e indecisa; tanto bastò perché Lyon, con uno dei suoi scatti felini, coprisse la distanza che le separava, la lama tesa in un affondo preciso, letale.
La ragazza aprì le ali per darsi una spinta all'indietro e sfuggire a quell'assalto, il cuore stretto in una morsa di gelida paura:
"Sembra... Reale. Come se combattesse per ferirmi!" pensò, facendo saettare gli occhi verso il porticato che circondava il cortile, alla ricerca d'aiuto.

Quando Lyon l'attaccò di nuovo, mancando per un soffio il suo braccio, l'istinto di sopravvivenza spazzò via le ultime esitazioni di Mess. Con un colpo di reni spiccò il volo verso l'alto, si portò fuori dalla sua portata e rimase sospesa per una manciata di secondi a un centinaio di piedi da terra. Soppesò e scartò decine di strategie nell'arco di quegli attimi fuori dal tempo, con la stessa lucidità e freddezza con cui aveva condotto il colloquio con Mary Jane York.
Poi roteò a mezz'aria e si lasciò cadere, incurante del vento che le sferzava il viso con forza inaudita, le ali così strette attorno al corpo che le sentì bruciare per l'attrito. Lyon non si mosse di un pollice, si limitò ad alzare la spada davanti a sé, gli occhi fissi sulla sua preda in picchiata. Non si avvide affatto del luccichio orgoglioso e selvaggio nello sguardo di lei e quando Mess all'ultimo istante scartò di lato e lo colpì alla spalla con l'ala destra – non mortalmente, ma abbastanza forte da farlo incespicare all'indietro – dalle labbra del corsaro sfuggì un verso di stupore.

Messalina, dimentica di ogni tentennamento, fece una brusca virata e lo assalì alle spalle; si avvinghiò al suo collo con le dita esili ma ostinate e tenaci, sfruttando il peso delle ali per trascinarlo a terra. Racchiuse il suo piccolo corpo attorno a quello più alto e slanciato di Lyon, bloccando ogni resistenza e serrando le ali attorno al suo torso per privarlo della vista.
Ma la vittoria fu tanto dolce quanto di breve durata, perché lui grugnì e con un colpo ben assestato alle protesi la costrinse a mollare la presa; gli bastò giusto un attimo per svicolarsi dal suo abbraccio, per metà giocoso e per metà irato, e balzare in piedi, portandosi al di fuori della sua portata.
Mess strisciò lontano da lui, tentando di frenare le lacrime di dolore e muovendo cauta l'estremità delle ali, dove Lyon l'aveva colpita.
L'uomo aveva dipinta in viso una strana espressione: aveva stretto le labbra in una sottile linea irata, ma gli occhi erano colmi di quello che la ragazza riconobbe come orgoglio.

«Smokey ti ha insegnato bene» mormorò, sovrappensiero.

«È tutto qui ciò che hai da dire?»
Il petto di Mess sembrava sul punto di scoppiare, anche se non avrebbe saputo dire se a prevalere fosse la rabbia, la paura o il sollievo di vederlo comportarsi in maniera leggermente meno fredda.

Lyon abbassò lo sguardo sul terreno secco del cortile e prese a tracciarvi sopra linee senza senso con la punta della spada.
«Vorrei chiederti scusa, ma non so come fare» confessò all'improvviso, la voce venata di stanchezza. «Ho parlato con il chiaro intento di ferirti e me ne vergogno, sia perché è un comportamento indegno di me, sia perché non è verso di te che era indirizzata la mia rabbia. Mi dispiace di aver passato il segno. Ma allo stesso tempo, per quanto mi sforzi, non posso far pace con l'idea di star aiutando i Floriani.»
Sembrò essere scosso da un brivido, perché irrigidì i muscoli e inarcò la schiena con un sussulto; quando alzò il viso, però, Mess capì che aveva appena frenato uno scatto di rabbia.
«Ho tentato, Messalina. Ho tentato di vedere le tue ragioni, e quelle di Smokey e di tutti gli altri, ma non ce la faccio. Per me questi uomini sono e restano degli assassini e sarei felice di vederli bruciare insieme all'alternatore – l'unica soluzione logica all'intera faccenda! E il fatto che tu, tra tutti, sia così ostinata nel voler rimanere qui a morire mi sta facendo uscire di senno!»

Mess si tirò in piedi e raccolse le ali contro la schiena, per nulla incline a perdonarlo così facilmente dopo giorni di tensione.
«Questo l'ho notato. Non capisco perché ti sia scomodato a venirmelo a dire di persona, però.»

«Sei la persona più pragmatica che io conosca» continuò lui, avvicinandosi a passi lenti, misurati, come se temesse di spaventarla. «Sei stata capace di mantenere la calma in situazioni in cui io, in tutta la mia esperienza, non avrei avuto scampo. Allora perché? Perché combattere una causa persa?»
Senza un segno né un avvertimento, il corsaro perse ogni brandello di tranquillità rimastogli. Scomparvero il tono misurato, l'espressione neutra e la postura rilassata: Mess lo vide crollare in ginocchio a pochi passi da lei, singhiozzante e tremante. Le iridi verdi erano colme di lacrime e le indirizzavano una supplica straziante, impossibile da ignorare.
«Non voglio perderti» ringhiò. «Non c'è nulla che mi preme quanto saperti sana e salva. La rabbia... Non so se sarò mai capace di lasciarla andare – non sono mai stato un uomo che perdona facilmente le offese. Ma l'amarezza che provo nello stare qui a Baltia non è nulla al confronto del terrore che ho sperimentato questi giorni, convinto che da un momento all'altro ti avrei vista perire. È per questo che sto ingoiando il mio orgoglio e ti chiedo, ti supplico, Mess, va' via da qui finché sei in tempo!»

Con un gesto automatico, che le venne naturale quanto respirare, Mess insinuò le dita tra le seriche ciocche corvine di Lyon, accarezzandogli il capo; poi si accoccolò attorno a lui e si stupì del singhiozzo che le chiuse la gola quando tentò di parlare.
«L'istinto mi diceva che restare era una pazzia, la ragione che era immorale. Sulle prime, avrei voluto fuggire da Baltia senza guardarmi indietro.»

«Cosa ti ha fatto cambiare idea, allora?»

«Il tuo cattivo esempio, capitano» rise Mess. «Quando cresci in una casa come la mia, divenire pragmatici è una questione di sopravvivenza: se si è vicini al potere ma non si può esercitarlo, e se si è lontani dalle sofferenze e dall'indigenza anche quando sono in piena vista... Ci si abitua all'immobilità. Alla rassicurante possibilità di non scegliere. E se si è costretti a farlo, la soluzione più logica sarà più allettante di quella giusta, perché è l'unica che può proteggerci dalle conseguenze dei nostri errori.»
Un sorriso beffardo e malinconico le illuminò il viso, reso ancora più pallido dalla prima luce del mattino:
«Non puoi sbagliare se segui la via del compromesso, no? Non nego che essere pragmatica mi ha salvato la vita più di una volta negli ultimi mesi: altrimenti, con molta probabilità non avrei lasciato viva l'Heaven's Gate e neanche le prigioni di Granada. Però, quando si è trattato di votare tutte queste ragioni, così razionali, così corrette... Non sono apparse affatto giuste al mio cuore. A volte bisogna seguire la tua strada e agire secondo ciò che si prova e non ciò che si pensa; ed è buffo, perché lo stesso comportamento ci ha messo su fronti opposti – io insisto per rimanere e tu per andare via. Non so chi ha ragione e chi ha torto, credo che non si possa mai dire con certezza in questi casi.
Quindi accetto le tue scuse se tu accetti le mie: non volevo che quel litigio fosse l'ultimo ricordo che avevi di me, sai...» dovette deglutire a fondo per poter continuare, con voce arrochita dall'ansia. «Se le cose dovessero andar male... Ma ero troppo orgogliosa e alterata per dirtelo.»

Gli occhi di Lyon si scurirono e si fecero torbidi come il mare in tempesta.
«Non è quello che mi viene in mente quando penso a te» disse, con fare solenne, stringendola a sé in un abbraccio improvviso e cullandola un poco tra le sue braccia. «Nella mia mente, Messalina, tu sei sempre la splendida giovane donna vestita a festa che se ne stava in un angolo della sala anche se aveva voglia di danzare. E non ti succederà nulla, lo giuro, almeno finché avrò fiato per impedirlo!»

C'erano così tante cose che la ragazza avrebbe voluto dire, così tante paure e speranze e sentimenti che le opprimevano il petto e le toglievano il respiro; ma non ci fu il tempo di esprimerle. Perché quando Mess respirò a fondo l'aria dell'estremo nord, il vento ghiacciato che le sferzò il volto e il corpo portò con l'odore di legno e fumo.

"Sono qui."

Allora, allora, allora.
Mi scuso per la lunga assenza, ma detto con franchezza è un periodo di M***A 😅😂 tra il COVID, l'Università che mi ha letteralmente inghiottito e problemi vari ho scoperto di essere totalmente vuota. Zero idee e zero voglia di scrivere. Non ha di certo aiutato il fatto che a settembre mi sono lasciata consumare dall'ansia di iscrivere Argon ai wattys e sono rimasta bloccata su un punto difficile: questo capitolo prima non esisteva proprio, ma mi sono resa conto che dovevo mettere alcuni punti sulle i prima dello scontro finale — che pure è un macigno da scrivere. E niente, spero che le cose inizino ad andare meglio anche se temo che peggioreranno e basta 😂🙈

Grazie a chi continua a seguire questa storia: sono piena di dubbi, ho l'impressione che tutto ciò che scrivo faccia schifo e vorrei bruciarla, ma voi mi date la spinta per continuare! ❤️

Enjoy ❤️

Crilu

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