IX. Il reverendo
Mess si chiuse la porta alle spalle, badando a non perdere neanche per un istante la presa sul polso di Sin: era sicura che si sarebbe infilato come un'anguilla in qualsiasi spiraglio avesse trovato, correndo poi a rotta di collo verso morte certa.
Udì il grattare dell'acciarino e vide una piccola scintilla brillare dal fondo della stanza, poi il reverendo accese la lampada a olio, mostrando il suo viso: doveva avere all'incirca la stessa età di suo padre, ma gli occhi tristi e i capelli grigi e arruffati lo facevano sembrare molto più vecchio. Sedeva sull'unica sedia della cabina, accanto allo scrittoio su cui era poggiata una valigia da medico e al letto incassato nel muro, meticolosamente sistemato; il resto della camera era pulito e spoglio, privo di qualsiasi effetto personale.
Con un brivido, la ragazza comprese perché fosse così buio: l'unica finestra era stata inchiodata con delle assi di legno, che lasciavano passare solo piccoli sprazzi di luce.
«Allora?» sbraitò nuovamente padre Lloyd, appoggiandosi allo schienale della sedia e socchiudendo gli occhi ambrati per osservarli con più attenzione. «Non ti ho mai visto. Chi sei? E perché tu e il ragazzo siete entrati qui?»
«Il mio nome è Messalina Seymour, figlia di Robert Seymour, sindaco di Cloud Eden e...»
«Messalina? Chi mai darebbe alla propria figlia il nome di una meretrice? È un invito a incamminarsi sulla strada della perdizione!»
«Temo che i miei genitori non avessero la vostra saggezza e lungimiranza, padre.»
Il reverendo sussultò violentemente e strinse i pugni:
«Non sono più un sacerdote, ragazza. Sono su questa nave in qualità di medico! Sì, sono un dottore e nient'altro, capito?»
D'istinto Mess fece un passo indietro, spingendo Sin dietro di lei: il viso dell'uomo si era fatto rosso di rabbia e gli occhi scintillavano di lacrime.
"Quest'uomo non è del tutto sano!" pensò, chiedendosi cosa avesse in mente Blackraven quando li aveva mandati da lui.
«Non intendevo turbarvi, signore. C'è già una battaglia in corso, là fuori.»
«Ah!» fu la seccata replica. «E quindi Blackraven ha pensato bene di togliere voi e questo figlio del peccato dalla linea del fuoco. Dio Onnipotente, non avrei mai immaginato che sarei finito così in basso da dover fare da balia a un negro e a una vergine spaventata!»
Il corpo di Sin fu scosso da un tremito così impercettibile che se non gli avesse tenuto la mano Messalina non l'avrebbe avvertito; invece, comprendendo che le parole del reverendo erano penetrate nel profondo dell'animo del ragazzino e avevano riaperto vecchie ferite, fu colta da un guizzo d'ira.
«Come vi permettete di parlare così a un ragazzino spaventato? E voi sareste un medico, un sapiente, un uomo della Chiesa? Ho visto animali comportarsi con più umanità e bontà di quanta ne abbiate voi in tutto il corpo! Sin, andiamo, non intendo rimanere in compagnia di quest'uomo un istante di più: aspetteremo l'esito della battaglia nella mia cabina.»
«Non potete!» grugnì il reverendo, sbattendo a terra il suo bastone con fare stizzito. «Non sapreste come proteggervi! Se i francesi vi trovano, ragazza, pregherai il Signore per una morte veloce!»
Messalina inarcò un sopracciglio nella migliore imitazione dell'espressione sdegnosa di sua madre:
«Quale protezione potrebbe mai offrirci un vecchio bigotto e codardo, che attende la fine nel buio della sua cabina?»
L'uomo si mosse fin troppo velocemente per la sua età, sguainando una corta lama dall'impugnatura del bastone e puntandogliela alla gola.
Nell'equilibrio teso e fragile che si venne a creare tra loro – e che le ricordò l'orribile incontro con Raymard la sera del ballo – Messalina comprese due cose. La prima era che gli occhi di padre Lloyd erano due pozzi senza fondo colmi di rabbia e rimpianto, fissi su qualcosa che lei non poteva vedere; la seconda le risultò evidente nella maniera in cui teneva curva la schiena deforme: quell'uomo era un senza-ali.
Sin si lanciò contro di lui con un grido bestiale:
«Lasciala! Lasciala! Bastardo, lasciala!»
Il reverendo lo afferrò per la collottola senza neanche guardarlo, mantenendo lo sguardo severo fisso sul volto di Messalina; poi allontanò lentamente lo spadino dal suo collo e fece un passo indietro, buttando il ragazzino contro di lei. Quando lo sentì aggrapparsi alla sua camicia scosso dai singhiozzi, Mess infilò automaticamente le mani nei soffici ricci della sua testolina, accarezzandoli nel tentativo di infondere un po' di rassicurazione.
«Voi rimarrete qui, se il capitano l'ha ordinato.» sentenziò il reverendo, tornando a sedersi sulla sua scrivania e reclinando il capo in avanti, come se quello scatto lo avesse prosciugato di ogni forza. «Se dovete pregare o piangere, fatelo in silenzio. Con un po' di fortuna, tra poche ore sarà tutto finito.»
"Il tempo non scorrerà mai abbastanza in fretta." pensò la ragazza, scivolando a sedere sul pavimento.
La nave si inclinò e ondeggiò più e più volte, finché Mess non fu costretta a chiudere gli occhi per fronteggiare meglio la nausea; anche così, però, sentiva le grida di dolore e disperazione, il roboante tuono dei cannoni, il fischiare acuto dei moschetti... A un tratto cadde un silenzio tombale, che pareva destinato a non finire mai: si prolungò istante dopo istante, alimentando il suo terrore e la sua ansia. Poi esplose un festoso coro di vittoria sul ponte dell'Argon. La ragazza balzò in piedi quando udì dei passi di corsa fuori dalla cabina e sospirò di sollievo nel vedere il volto squadrato di Bart sulla soglia.
Il marinaio aveva del sangue sulla fronte che si confondeva con i capelli rossicci e scompigliati, ma le rivolse lo stesso un gran sorriso:
«Tutto bene, miss: abbiamo vinto!»
Lyon la vide emergere sul ponte con passo incerto, abbagliata dal pallido sole inglese dopo tanta oscurità. Il suo primo istinto fu quello di andarle incontro per proteggerla dagli sguardi curiosi dell'equipaggio francese, ammassato sulla tolda dell'Argon in attesa di conoscere il proprio destino.
Poi si bloccò, lanciando una veloce occhiata imbarazzata alla camicia e ai pantaloni lordi di sangue, polvere e fumo, sapendo che la faccia e i capelli erano in condizioni altrettanto disastrose.
Gli venne in mente il suo primo incontro con Sylvia: anche allora si era sentito inadeguato e intimorito dalla sua sofisticata bellezza, non sapendo cosa si nascondesse dietro alle furbe iridi color caffè di quella dama misteriosa. Anche allora era stato attratto da una fiamma proibita e si era bruciato senza rimedio.
"Messalina non è Sylvia, questo è certo." si disse, abbassando il capo. "Ma ciò non cambia le cose."
Fu dunque sorpreso dalla gioia che le illuminò il volto quando lo individuò e dalla velocità con cui spiccò il volo per coprire la distanza che li separava: atterrò in modo frettoloso, barcollando e appoggiandosi d'istinto contro di lui. Né il sangue né la sporcizia parvero turbarla.
«Grazie a Dio state bene!» mormorò la ragazza, scrutandolo ansiosamente in viso in cerca di conferme. «Oh, ma siete ferito?»
Lyon si sfiorò la fronte, dove era stato colpito di striscio dalla palla di un moschetto:
«È un graffio, poi me lo farò medicare.»
Messalina annuì, poi la sua espressione si fece ostinata e battagliera:
«Bene. Allora volete spiegarmi, per cortesia, cosa vi è saltato in mente?»
«Eh?»
«Intendo, perché mandarci dal reverendo? Quell'individuo è odioso e Sin era terrorizzato! Ce la saremmo cavata molto meglio da soli, piuttosto che rimanere chiusi in quella stanza buia e soffocante, in compagnia di un uomo che evidentemente non si fidava di me e disprezzava il ragazzo...»
Lyon socchiuse gli occhi, divertito: quella ragazza era un complicato mosaico di emozioni e ogni volta che discutevano lui scopriva un nuovo tassello.
«Vedo che vi siete affezionata molto a Sin, miss Seymour.»
Lei sembrò rimanere a corto di parole e quando riprese la sua invettiva era un poco più rossa in viso:
«Questo non c'entra. Non capisco perché padre Lloyd sia su questa nave, lui è...»
«Un uomo indurito dalla vita, come molti di noi. Tutti, sull'Argon, hanno un passato da cui preferiscono fuggire. Voi dovreste saperlo. Il reverendo è l'unica autorità che neanche i miei nemici sarebbero in grado di ignorare e perciò l'unico che vi avrebbe potuto salvare la vita se le cose fossero andate male.»
Quello sembrò zittirla e Lyon si perse a fissare la sua espressione concentrata per un istante di troppo: il fischio derisorio di Smokey, alle sue spalle, lo fece trasalire.
«Vogliate scusarmi, Miss Seymour»
Il suo secondo in comando lo osservava con l'espressione di chi la sa lunga e scosse il capo con rassegnazione prima di spingere verso di lui il capitano francese.
Bertrand de Ventadour non aveva perso la sua fierezza, anche se avanzava disarmato, con le ali incatenate e il braccio ferito appeso al collo: a trentacinque anni era uno dei comandanti francesi più famosi e ammirati al mondo, veterano di diverse battaglie campali in Oriente e amico dell'Imperatore. Era stato un insolito colpo di fortuna che si trovasse su quella piccola nave per far ritorno in patria e Smokey era sicura che il suo riscatto sarebbe valso una fortuna. Il francese le lanciò un'occhiata indecifrabile, in cui l'arroganza e lo sdegno si mescolavano a una sincera curiosità: la donna sapeva di essersi guadagnata il suo riluttante rispetto durante lo scontro, ma questo, invece di inorgoglirla, le provocava un certo fastidio. Quando Ventadour rivolse la sua attenzione a Lyon non poté fare a meno di esserne sollevata... Almeno finché non udì le parole del suo capitano.
«Potete tenervi la nave. È danneggiata, ma non è nulla che un paio di giorni di riparazioni non possano sistemare: nel giro di una settimana, col vento a favore, potreste entrare nel porto di Marsiglia.»
Il francese diede voce alla sua perplessità, con la voce roca e storpiata da un leggero accento:
«Vi ringrazio, ma perché? Guadagnereste di più nel tenermi prigioniero.»
Lyon si strinse nelle spalle:
«L'oro delle casse che avevate nella stiva mi ha già ripagato della fatica fatta per catturarvi. Inoltre tutte le nostre cabine sono occupate e io ho fretta. Ho la vostra parola che non tenterete di attaccarci alle spalle?»
«Vi fidereste della parola di un comandante francese?»
«Solo se voi sarete così pazzo da non dubitare di quella di un corsaro inglese. Perché vi giuro che non ho alcuna intenzione di affondarvi a tradimento, ma mi dispiacerebbe scoprire che la vostra fama di uomo d'onore è una menzogna.»
Gli occhi di Ventadour si accesero per quella velata insinuazione, poi l'uomo annuì:
«Avete la mia parola che non ci metteremo sulle vostre tracce, Blackraven.»
«Molto bene. Smokey, liberalo: prima questi uomini se ne andranno dalla mia nave, prima potremo proseguire con la nostra rotta.»
La donna obbedì di malavoglia, aprendo i lucchetti che impedivano al francese di spiccare il volo.
«Deduco dal vostro cipiglio che non siete d'accordo con la decisione del vostro capitano.» sussurrò l'uomo, voltando il capo per non perderla di vista mentre si affaccendava attorno alle sue ali.
«Non sono affari vostri.»
«No, avete ragione» commentò lui ridacchiando. «Però mi interessa lo stesso. Mi sarebbe piaciuto incontrarvi in circostanze diverse... Smokey.»
«A me sarebbe piaciuto non incontrarvi affatto, ma la vita non è così clemente. Magari, se avrò fortuna, non ci vedremo mai più!»
Ventadour inarcò le labbra in un sorriso: malgrado i vestiti sgualciti e una vistosa cicatrice sulla guancia, Smokey dovette ammettere che sapeva essere affascinante, se voleva. Aveva un volto dai lineamenti decisi, abbronzato e ravvivato da un luccichio allegro nello sguardo. Una volta libero, sgranchì le ali e chinò il capo con una galanteria quasi fuori luogo sul pontile sporco di sangue:
«Io spero il contrario, ma femme formidable.»
Smokey si lasciò sfuggire un gemito esasperato, gli voltò le spalle e si diresse a grandi passi verso Lyon, che alzò gli occhi al cielo con aria annoiata:
«Se sei qui per dirmi che ho sbagliato a non trattenerlo, stai perdendo il tuo tempo. Avevo motivi più che validi per non portarlo fino a Londra e ora ho tante cose da fare, perciò...»
«Me ne vado.»
Blackraven sbatté le palpebre un paio di volte, preso in contropiede:
«Perché per una volta non ho ascoltato il tuo consiglio? Non starai esagerando?»
«Non è per questo, ovviamente. Io... A Tortuga c'era una lettera per me, che chiedeva il mio aiuto. Mi stanno aspettando da mesi, Lyon, e forse è già troppo tardi.»
La fronte dell'uomo si aggrottò e Smokey lo vide combattere contro quel pensiero e cercare una scusa qualsiasi per impedirle di partire.
«Non puoi andartene ora: io ho bisogno di te qui almeno quanto ne abbiano bisogno i tuoi compagni!»
«Sapevamo entrambi che prima o poi sarebbe successo. Una volta entrati nella Brigata Alata, una parte di te ci rimane per sempre. Non posso non andare.»
«Aspetta almeno finché non saremo arrivati a Londra!»
«La lettera proveniva dall'India, non ha senso allungare il mio viaggio.»
«Dannazione!» sbottò l'uomo, stringendo i pugni. «Non voglio che tu vada!»
Smokey sorrise tristemente davanti alla sua faccia smarrita e lo strinse a sé in un abbraccio gentile:
«Mi mancherai anche tu.»
Smokey impiegò pochi minuti per raccogliere la sua roba e preferì non soffermarsi sul fatto che la sua intera vita potesse essere racchiusa in una piccola borsa di tela: oltre a due o tre cambi d'abito, agli strumenti per lucidare la pipa e alle sue armi, infatti, non aveva nulla che volesse portare con sé. Gli unici oggetti che rimasero sulla scrivania della sua cabina furono la collana che suo padre le aveva regalato per i suoi sedici anni – Smokey non l'aveva mai indossata, ma la conservava per ragioni sentimentali che stupivano lei per prima – e una bussola ammaccata, unico ricordo dei suoi giorni sotto le armi. Esitò a lungo, chiedendosi se non fosse meglio portarla con sé, poi uscì quasi di corsa dalla stanza, sbattendo con forza la porta dietro di sé:
"È già pieno di ricordi, lì dove sto andando."
Non si fermò a salutare nessuno, anche se avvertiva gli occhi preoccupati dell'equipaggio su di sé: Lyon li aveva già avvertiti della sua partenza e lei d'altronde non aveva mai creduto negli arrivederci. Sperava di tornare sull'Argon, ma non era sicura di poter sopravvivere a ciò che l'aspettava in India – e quell'incertezza la rendeva inquieta.
Saltò sul parapetto e saggiò la direzione del vento per accertarsi che non fosse troppo forte; spalancò le ali e la sacca da viaggio ondeggiò sulle sue spalle. Quando si lasciò cadere, Smokey provò il familiare terrore che tutti gli uccellini sperimentavano nello spiccare il volo: i nervi in fiamme, gli arti in tensione e il sangue che correva veloce nelle vene le gridavano che c'era qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che stava facendo. Era la prova inconfutabile che gli uomini potevano anche aver imparato a viaggiare tra le nuvole, ma i loro corpi ancora non sapevano di poter volare.
Poi le ali ressero il suo peso e quell'istinto sparì mentre lei eseguiva una virata a mezz'aria, orientandosi con il sole per puntare a sud: sperava di incontrare una nave amica che potesse rendere più veloce il suo viaggio. E mentre l'Argon diventava un punto lontano nel cielo, per l'ennesima volta si chiese se avesse fatto la scelta giusta.
Pensavo che con la fine della sessione avrei avuto un mare di tempo libero da dedicare alla scrittura, e invece... Ma ora approfitterò dell'immobilità forzata per il corona virus per portarmi avanti con questa storia 😝
Enjoy ❤️
Crilu
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