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Epilogo

Ancorata a uno dei numerosi moli che sorgevano sulle rive del Tamigi, l'Argon ondeggiava dolcemente sotto la spinta del vento. Le vele grigie si confondevano tra le golette militari e i vascelli mercantili, così che nessuno, a prima vista, avrebbe mai potuto immaginare a cosa quell'aeronave fosse andata incontro nelle ultime settimane. Solo gli ufficiali della dogana, perplessi, avevano alzato ben più di un sopracciglio nel notare gli sfregi sulle fiancate e i fori lasciati dalle palle di cannone.

Messalina strinse più forte a sé il proprio bagaglio: la sacca che Trix aveva cucito appositamente per lei le pendeva floscia contro un fianco, quasi del tutto vuota.
Vi aveva infilato gli abiti maschili che ormai si era abituata a portare, lo spadino e in fondo – con un guizzo di vanità di cui si era prontamente vergognata – l'abito che aveva indossato nella sua prima e unica serata a Corte. Il fatto che fosse stato Lyon a regalarglielo le aveva reso impossibile lasciarlo sull'Argon.

Aveva già salutato Trix, che le aveva strappato la promessa di scriverle almeno una lettera a settimana, e Wes e mastro Bell, che invece non erano parsi affatto sorpresi dalla sua partenza. Joey ancora si rifiutava di rivolgerle la parola e quanto al reverendo, era come al solito chiuso nella sua cabina e Mess immaginava che non avrebbe sentito più di tanto la sua mancanza.
Fu contenta quando sul ponte fu intercettata da Sin: ritardava, anche se solo una manciata di minuti, il confronto con l'uomo che l'aspettava ritto dietro al timone.

«È vero? Ve ne andate?» esclamò il ragazzino, spalancando gli occhi azzurri.

Con un moto d'affetto, Messalina gli accarezzò i ricci ribelli.
«È vero, sì.»

«Perché?» sbottò lui. «È a causa di Joey? Perché se è così io...»

«Tu gli starai vicino, come un buon amico dovrebbe fare» lo riprese la ragazza, con fare gentile.
«Non è solo per lui. È complicato.»

«Non sono più un bambino! Potete contare su di me!»

Nella sua espressione orgogliosa e ferita Mess vide ciò che di sé stessa aveva lasciato a Cloud Eden e si sentì stringere il cuore.
«Sono contenta di poter fare affidamento su di te, Sin» mormorò, accennando col capo alla figura silenziosa di Lyon sopra di loro. «Avrà bisogno di compagnia nei prossimi tempi. Non fargli commettere più follie del necessario, va bene?»

Sin fu sul punto di protestare ancora, ma all'ultimo rinunciò e si limitò ad abbracciarla stretta, come se quello bastasse ad ancorarla sulle assi del ponte.
«È complicato perché c'è di mezzo l'amore?» borbottò, la voce attutita dal fatto che aveva seppellito la testa nel suo busto.

«Anche» rise Messalina. «Ma l'amore non è la ragione per cui me ne vado. L'amore, semmai, è la ragione per cui ci rincontreremo.»

Sin sciolse l'abbraccio e fece un passo indietro, lo sguardo ancora incerto tra la rabbia e la speranza.
«Lo pensate davvero?»

«Certo!»

Il ragazzino ci pensò un po' su, poi annuì.
«Allora buon viaggio. Solo... Fate in modo di non metterci troppo a tornare: non so per quanto riuscirò a tenere a freno il capitano, ora che non ci sarete più voi e Smokey.»

Lyon osservò Messalina abbracciare Sin per un'ultima volta, prima di voltarsi e salire le strette scale che l'avrebbero portata sul cassero. A ogni passo avvertiva la gola chiudersi un po' di più e il cuore farsi sempre più pesante.
Sua madre, la Regina, Sylvia:
"Perché tutte le donne della mia vita finiscono per abbandonarmi?"
Tuttavia non era arrabbiato con lei, anzi: si vergognava per l'atteggiamento scostante e rabbioso delle ultime settimane, che l'aveva allontanata da lui. L'affetto tra loro era appena sbocciato e lui s'era subito dato un gran daffare per estirparlo.
Perciò, quando Mess si fermò davanti a lui e iniziò a scrollare ritmicamente le ali, sorrise.
«Non essere così agitata: l'avevo capito prima di te, che una volta a Londra te ne saresti andata.»

«Davvero?»

Con gli occhi chiari spalancati e la bocca socchiusa per la sorpresa, Mess era magnifica e Lyon tentò di catturare ogni dettaglio di quella visione, abbeverandosi di lei, del suo profumo, degli ultimi istanti in sua compagnia.
Si era ripromesso di tacerle i propri sentimenti, ma in quel momento, quando il cuore prese a battergli furiosamente contro la cassa toracica, capì che era stato un proposito futile.
«La rigidità con cui ti muovevi, la maniera con cui mi evitavi... Ammetto di non aver fatto molto per convincerti a restare, vero?»

«Lyon...»

«Aspetta, lasciami finire. Volevo dire che mi dispiace per come mi sono comportato – a Baltia, soprattutto, ma anche dopo. Avevi bisogno di me e io non c'ero. Avresti tutte le ragioni per lasciarmi qui e andartene, ma io... Io vorrei comunque chiederti di restare.»
"Ecco, l'ho detto."
Aveva il fiato corto e in bocca l'amaro sapore della sconfitta, poiché sapeva che Mess non avrebbe mai cambiato idea; però non riuscì a soffocare un silenzioso moto di gioia nel notare che quando lei gli prese le mani, le sue dita tremavano. Anche la sua voce si era fatta più roca e incerta.

«Non è per qualcosa che hai fatto – o non hai fatto – che sento il bisogno di andar via. Il problema non è Joey e neanche i pericoli a cui l'Argon mi ha esposta.
Credo che poche persone siano così fortunate da fare un viaggio come questo nell'arco della loro vita: nel giro di pochi mesi ho scoperto amici sinceri, una congiura per il trono d'Inghilterra e l'amore.»

Neanche la prima volta che aveva spiccato il volo si era sentito così leggero.
"Mi ama? Mi ama ancora?" si ripeteva, stupito ed euforico, incerto e felice. Le sue emozioni dovevano essere evidenti dal suo sguardo, perché Mess ridacchiò.

«Sì, ti amo, Lyon Blackraven, questo non metterlo mai in dubbio. Ti amo così tanto che il pensiero di lasciare te e questa nave mi riempie il petto d'angoscia.»

La felicità di Lyon lasciò il passo prima alla confusione, poi alle proteste.
«Perché, dunque?» sbottò, afferrandola per le spalle e stringendosela al petto.
"Come puoi andartene se mi ami?" le domandò in silenzio quando Messalina si abbandonò contro di lui, rispondendo a quel goffo abbraccio con un trasporto che il corsaro trovò commovente. Quando gli rispose, la sua voce gli accarezzò l'orecchio come una dolcissima melodia.

«Ancora non ho trovato quello che andavo cercando quando, con un'ingenuità che ora trovo imbarazzante, tentai di fuggire dalla casa di mio padre a Cloud Eden. Non so ancora chi sono, Lyon. Non sono più Messalina Seymour, la figlia del sindaco, ma non sono neanche Mess, la ragazza che è atterrata su questa nave come un tornado.»

La voce le si spezzò e il ricordo di Smokey aleggiò tra loro come se fosse cosa viva: il vecchio dolore si mescolò al nuovo nell'animo di Lyon. Immaginava che sarebbe stato sempre così d'ora in poi, ogni volta che avrebbe alzato lo sguardo verso le paratie senza cogliere il guizzo della sua chioma castana.
Ogni volta che gli sarebbe arrivato alle narici l'odore di una pipa.

«Devo ancora trovare me stessa e temo che non riuscirò mai se rimarrò sempre nella tua ombra... Per quanto l'idea sia allettante. Ho bisogno di riflettere per capire che direzione voglio dare alla mia vita e non riuscirò mai a farlo con te che mi sussurri promesse d'amore all'orecchio.»
Mess fece un passo indietro, ma le sue mani indugiarono ancora un poco sulle spalle e poi sulle guance del corsaro, rese ispide dalla barba malfatta.
«Il mio amore ti appartiene e ti apparterrà sempre. Tutto il resto di me, invece, voglio donartelo con la consapevolezza di una donna e non di una fanciulla.»

Quelle parole gli fecero tremare i polsi. Avrebbe voluto poterle spiegare che ai suoi occhi lei era già una donna magnifica, l'unica che vedeva al proprio fianco per il resto della sua vita.
Avrebbe voluto pregarla in ginocchio, prometterle ricchezze e follie.
Si rese conto che per lei avrebbe abbandonato il mare, l'Argon e l'equipaggio senza mai voltarsi indietro e senza mai pentirsi.
Ma infine la ragione riuscì a farsi strada nel tumulto e Lyon stiracchiò le labbra in un sorriso tremulo. Capiva cosa Mess stesse cercando, perché era la stessa ragione che l'aveva spinto a imbarcarsi sull'Argon tanti anni prima, abbandonando il palazzo reale e ogni cosa che gli fosse familiare.

Non era un viaggio che potevano fare insieme.

«Tra un anno esatto, io sarò qui» le promise. «E se mancherai all'appuntamento, sarò qui anche l'anno dopo, nello stesso giorno. Ti aspetterò, non importa il tempo che ci vorrà.»

D'istinto, entrambi si mossero per venirsi incontro e le loro labbra si sfiorarono in un bacio che era allo stesso tempo triste e pieno di speranza. Rimasero a lungo a bearsi di quella vicinanza, finché Lyon non si scostò, porgendole il braccio, per accompagnarla verso il parapetto dell'aeronave.

«Ho paura» confessò lei, un attimo prima di saltare. «Temo che non mi riconoscerai, quando ci rivedremo di nuovo. Ho paura di diventare qualcuno che tu non... Non amerai.»

Il corsaro scosse la testa:
«Ricordi cosa ti dissi durante il nostro ballo a Cloud Eden?»

I ricci biondi di Mess tremarono, come impazziti, quando la ragazza scoppiò a ridere.
«Che il vero pericolo era d'innamorarti di me!»

«Esatto.»
Lyon lasciò andare la sua mano e s'inchinò nel modo che gli era solito, un po' serio e un po' beffardo.
«Correrò sempre quel rischio, Messalina.» 

La osservò planare verso il molo con il cuore in gola e la seguì finché non divenne una figura troppo piccola nella folla per riuscire a distinguerla.
Solo allora volse lo sguardo verso l'orizzonte, alla ricerca di una maniera per calmare i propri dubbi.
"Un anno è un tempo insopportabilmente lungo" pensò.

Poi guardò il mare, che aveva accolto il corpo del vecchio O'Quinn che aveva fatto costruire l'Argon e quello di Smokey e di Bart e di innumerevoli schiavi senza nome. Era lì che la sua storia era iniziata e lì sarebbe finita, un giorno, perché tale era il destino che si era scelto. Nel profondo dell'anima, sapeva con assoluta certezza che prima o poi anche Messalina sarebbe giunta alla stessa conclusione: aveva riconosciuto subito quello spirito affine, quella fame d'avventura e d'infinito che le bruciava negli occhi.

Le assi dell'Argon sotto i suoi piedi cigolarono quando il capitano tornò alla sua postazione dietro al timone.
Le vele, brillanti come perle sotto la luce del sole estivo, si tendevano e si agitavano come se fossero animate e smaniassero per essere sciolte.
Da qualche parte sottocoperta giunse la voce ubriaca di mastro Bell che intonava una vecchia canzone.
Era giunto il momento di voltare di nuovo la prua verso il mare aperto.

Sono le 22:30 di un mercoledì lunghissimo e a me tremano le dita.
Dopo più di un anno — dopo gli scleri, le risate, i ritardi — Argon è finita.

Come al solito non so cosa dire al termine di una storia: questa, poi, è talmente lunga e ci sono così tanti personaggi che ormai considero quasi persone vive e vegete, che riassumerla in poche righe è impossibile.

È stata la prima storia per cui ho provato di nuovo un entusiasmo esagerato: e sì, ne vedo i difetti (non sarei io altrimenti 😂) ma prima di iniziarla non ero affatto convinta di essere in grado di costruire una storia.
Non di scrivere, bensì di saper intessere una trama complessa e così lunga.
È stata un bel terreno di prova 😝🙈

Prima di chiudere, tre ringraziamenti sono d'obbligo.

A Emilio Salgari, perché l'aria di mare e d'avventura che spero abbiate respirato tra queste pagine è tutta farina del suo sacco, io l'ho solo presa in prestito.

A Sergio e ad Apo, per avermi ascoltata nei miei infiniti sproloqui sulla trama di Argon: è stato bellissimo scoprire dove andasse a finire insieme a voi.

A chiunque sia arrivato fin qui partendo da una scogliera spazzata dal vento dove avete incontrato per caso un affascinante corsaro.

Grazie dal profondo del cuore ❤️

Crilu

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