Cap 40 Famiglia?
Arrivammo a Dannemora che era quasi buio e fu un bene, perché scendemmo dall'autobus come dei ricercati, imbacuccati da sciarpe e berretti da poter avere libero solo un piccolo spiraglio davanti agli occhi.
Ci muovemmo silenziosi e furtivi fra le larghe vie della città, facendo finta di essere incuriositi dalle vetrine dei negozi, come semplici turisti, ma procedendo spediti verso la meta.
Arrivammo dopo una ventina di minuti al parcheggio che precedeva le enormi costruzioni a mattoni rossi, ingresso dell'immensa struttura. Ingresso per i visitatori.
"Sei sicura che possiamo fidarci? Una volta dentro, non sarebbe facile uscirne!" mi soffiò in un orecchio Hermann, visibilmente agitato di ritornare tra le mura di un carcere di massima sicurezza.
"Non credo che dentro possa essere poi tanto peggio che fuori! Sono stanca di fuggire, tu no?" gli risposi leggermente alterata, dopo l'ennesimo suo dubbio sulla fiducia che stavamo riponendo nel Generale Hammerson.
"Venite!" ci spronò Giulio, sempre il più razionale di noi. Ci condusse ad un enorme cancello, anzi a una serie lunghissima di cancelli, fatti con il filo spinato e la rete elettrica, con le sbarre di ferro e gli ultimi, da enormi, cigolosi, pesantissimi battenti di ferro. Si aprivano magicamente davanti a noi, con fragorosi scoppi ogni volta che una giuntura o una serratura veniva azionata.
Sì, entrare fu decisamente facile e solo per una veloce frazione di secondo, fece impressione anche a me entrare in un posto del genere: ci avrebbero potuto rinchiudere tutti in celle buie e isolate e lasciarci morire lì per anni, senza che nessuno sospettasse la nostra presenza.
Invece, venimmo accolti con un marziale e altisonante saluto militare da tutti coloro che si prodigavano per farci strada tra quei asettici fabbricati bianchi e grigi. Due alti soldati dell'esercito ci guidarono fino ad una struttura a due piani, quasi in fondo al perimetro del penitenziario. Ci condussero e spalancarono per noi le porte di due camere, decisamente molto più confortevoli di ciò che mi sarei aspettata.
Prima di entrare in quella che avrebbe diviso con Henry, Hermann si voltò verso di me e sogghignò, visibilmente più disteso: "Se non altro, non ci hanno rinchiuso in cella!" e mi inviò un burbero occhiolino, che mi fece finalmente sollevare le labbra in un leggero sorriso.
"Uomo di mala fede!" lo rimproverai.
"Sempre!" mi rinviò in un ghigno divertito, sbattendomi la porta della camera in faccia.
Eravamo finalmente al sicuro e tutto il mio corpo sembrò rendersene conto, non appena le mie natiche si poggiarono sul ciglio di un morbido materasso ricoperto da un soffice e voluminoso piumone. Eravamo quasi certamente nelle stanze adibite al ricovero di personaggi importanti in visita al penitenzario, o per parenti illustri in visita ai detenuti d'élite. Non si poteva dire elegante, ma funzionale allo scopo: letto, armadio, comodino, scrivania, bagno. Le pareti mostravano il colore del cemento, come tutto lo stabile, ma poteva più essere un effetto voluto, per contrastare l'avana dei mobili, delle coperte e delle tende. Di sicuro, il pavimento in gomma industriale che ricopriva il novanta per cento di tutto il centro, non mi meravigliò affatto, anche se mi nauseava sapere di doverci dormire vicino: era usato in quasi tutte le sale degli interrogatori perché, in caso, lo si poteva lavare con una secchiata d'acqua e un po' d'ammoniaca dal... sangue.
Giulio, più pratico come suo solito, mi porse un telo da bagno color tortora:
"Vuoi farti una bella doccia calda, prima di qualsiasi altra cosa preveda il nostro programma?"
Lo osservai, accigliandomi:
"Tu non sai cosa succederà adesso?"
"Ne ho na vaga idea, anche se prevedo che sarà tutto molto più semplice, ora che il Generale si antepone a noi." mi carezzò lentamente una guancia, come se solo in quel momento si fosse reso conto di un dettaglio che mi riguardava "Basta fuggire! Se vorranno, potranno trattare con il Generale e sono certo che non è sua intenzione tradirci..." lo sentii inspirare un alito di sollievo al quel pensiero. Per lui, la mia incolumità aveva ancora la precedenza.
Mi prese per mano e mi tirò verso il piccolo, ma accogliente bagno.
"Ti aiuto io, se vuoi, ma lascia che l'acqua calda ci risollevi un po'. Hai l'aria stanchissima..." e così dicendo iniziò a togliermi il giubbotto imbottito, la sciarpa e il cappello di lana.
"Se tu mi aiuti..." accettai con un sorriso sornione sotto i baffi.
Sentii il suo alito caldo solleticarmi il collo, mentre mi sussurrava all'orecchio: "Viziata!"
Ero sul punto di appoggiarmi di nuovo al suo corpo muscoloso e in fiamme, quando la porta della nostra camera si spalancò di colpo.
"Alex! Alex, per favore, aiutami!" sentimmo Henry urlare, con molta più disperazionoe di quanto fosse sua abitudine.
Corse verso di me e si andò praticamente a nascondere dietro le mie spalle, spingendo Giulio di lato. Sembrava che cercasse di usarmi come scudo, verso una minaccia che non capii, finché i soldati e il Generale Hammerson non solcarono l'uscio, armati di mitragliette.
"Che succede?" cercò di capire mio marito, sconvolto da quell'assalto.
"Giulio, ce ne occupiamo noi..." puntualizzò subito Hammerson, alzando una mano perché nessuno dei suoi soldati fosse preso dall'idea di sparare contro di noi. "Ho solo bisogno di interrogarlo!" precisò con decisione, con un tono che non ammetteva rifiuti.
"Henry, non peggiorare la situazione... non ho intenzione di farti alcun male..." cercò con un tono calmo e accogliente di tranquillizzare il ragazzo.
"Potrei accompagnarlo io, Generale, magari sarà più sereno..." mi offrii, sentendo le unghie delle dita di Henry conficcarsi sui miei fianchi.
"No, non è un'opzione plausibile!" fu la risposta secca alla mia offerta.
Percepii un sussulto in Giulio, come se quelle parole avessero comunicato nel suo cervello qualcosa che a me era sfuggito. Un piede gli si mosse lento sulla gomma, verso di me.
Solo in quell'istante, in cui tutti eravamo pietrificati nelle nostre posizioni, la mole di Hermann invase il vano della porta della mia stanza e prese a spallate il soldato di fronte a lui, che franò miseramente a terra. Poi colpì quello vicino al Generale, con un pugno così preciso che il povero ragazzo non potè fare altro che svenire, mentre il suo naso si sbriciolava con un rumore nauseante.
"Hermann!" urlai in preda al panico.
Mi guardò per un millesimo di secondo, che gli fu fatale. Gli altri tre soldati riuscirono ad afferrarlo; con un colpo del calcio del mitra lo costrinsero a piegare una gamba e poi l'altra, fino a che non fu in ginocchio, a terra, con un braccio a stritolargli la gola e un mitra puntato alla tempia.
"Calmati, adesso!" lo rimproverò duro il Generale. "Ti stai battendo per l'uomo sbagliato!" alzando l'indice verso Henry che, lentamente, mi aveva trascinato all'indietro verso la finestra.
"Vuole spiegarsi, per favore? Che cosa volete da questo povero ragazzo?" chiesi ad Hammerson, cercando di mantenere un tono cordiale per far calmare gli animi.
"Ragazzo? E' questo che vi ha fatto credere?" domandò il graduato, lasciandoci tutti a bocca aperta.
Cercando di svincolarsi ancora, Hermann sputò tra i denti la verità: "E' mio figlio! Nato da Ylenia e me. Lo hanno tenuto nascosto all'MI6 per decenni, facendo su di lui centinaia di esperimenti! E' dalla nostra parte!" Fortunatamente i due soldati che lo tenevano a terra, non se la presero troppo e non lo colpirono di rimando.
Ci fu un attimo di silenzio, come l'ultimo raggio di sole prima che le nubi della bufera coprano tutto il cielo. Un secondo di stasi, in cui il nostro cuore vuole ancora credere che alla fine non pioverà. Anche io, in quel momento, pensai davvero che tutto sarebbe finito lì, con quel chiarimento, con quella cruda ma pur sincera verità.
Poi però, con la coda dell'occhio, vidi il piede di Giulio fare un altro passo verso di me, lentamente e la bufera ci travolse tutti.
"Quell'uomo non è suo figlio, Hermann! Ne abbiamo avuto la conferma stamattina dallo stesso Comandante in capo dell'MI6." fu il chiarimento che bruciò l'aria.
"Non è vero! Henry diglielo! Lo ha confermato anche Ylenia!" cercò di rimanere a galla mio fratello, mentre nel mio cervello tanti piccoli tasselli iniziarono a muoversi come il domino.
Il modo in cui aveva seguito Giulio ed Hermann, senza conoscerli e senza fare domande. Il suo carattere taciturno, accondiscendente in tutto. La sua continua curiosità nei confronti del padre e dei nostri poteri. La maniera calma e sicura con cui aveva accettato la vista delle armi e le sparatorie... Forse era solo un ragazzo cresciuto troppo in fretta, oppure...
"E' un clone! E' l'ultimo esemplare creato da sua moglie, dopo parecchi tentativi falliti! L'unico che non solo sia sopravvissuto, ma sia cresciuto fino all'età matura e abbia mostrato di possedere un qualche potere, anche se le ricerche non hanno ancora dato risultati chiari... Per questo è qui, per studiare voi insieme!"
Le parole del Generale furono come bombe a mano gettate tra la folla. Ne sentii perfino il rimbombo in mezzo al petto.
Vidi mio fratello appoggiarsi sui talloni, sfiancato da quella notizia terribile. Ne percepii il dolore, per essere stato manipolato e tradito ancora una volta da quella donna perfida e senza cuore.
"Henry?" fu l'unica domanda che uscì dalle sue labbra, oramai secche dall'affanno.
Dietro di me, Henry si mosse veloce e mi sentii afferrare il collo con un braccio, mentre la canna di una pistola si infilava tra le mie costole.
"Bene signori, è stato un piacere viaggiare insieme a voi, ma ora si è fatto tardi e credo proprio che io abbia un appuntamento improrogabile, in Inghilterra. Qualcuno aspetta mie notizie già da parecchio, notizie sui vostri poteri..." le parole venivano dalle mie spalle, dove ero sicura fosse il ragazzo impaurito che avevo difeso fino ad un attimo prima. La sua voce però era nuova, roca e tagliente, sibilante come la lingua di un serpente. Esageratamente divertita, come se fossero giorni che non vedeva l'ora di sputarci in faccia la sua menzogna, a noi poveri creduloni...
Spostai lo sguardo su Giulio e capii perché, per tutto il tempo, aveva cercato di avvicinarsi a me. Aveva la pistola in mano, nascosta dietro una coscia, mentre sollevava lentamente una mano verso Henry.
"Che cosa vuoi fare? Ucciderci? Ti abbiamo difeso fino ad oggi, ti abbiamo accolto come uno di famiglia ed è così che vuoi ripagarci?" le parole vennero dal pavimento, ma né io né Giulio ci voltammo verso Hermann. Henry invece si spostò leggermente per guardarlo e poterlo deridere ancora un po': a volte l'ego di una persona è il suo nemico più grande.
Mossi un piede in avanti e di colpo, mi piegai in due, trascinando Henry con me verso il pavimento. Lo scatto di mio marito fu così veloce che non riuscii neanche a vedere i suoi piedi muoversi, ma sentii il colpo che colpì la nuca di quel traditore. La sua presa si affievolì e scivolò a terra, svenuto. Gli tolsi la pistola dalla mano e la allungai ad un soldato di fronte a me.
Hermann lo guardava in trance. Credetti che stesse per scoppiare a piangere.
Invece, lentamente, si rialzò da terra e prima di uscire dalla stanza mi guardò e disse: "Ecco da dove veniva quell'odore di tradimento che continuavo a sentire... Scusami se ho dato la colpa ai vostri amici..."
Vidi la porta della sua camera richiudersi dietro di lui e capii che la bufera era appena iniziata.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro