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Cap 34 Nuovi colori


Aprii la finestra della camera da letto della piccola pensione che avevamo prenotato il giorno prima. Uscii sul terrazzino affacciato sui tetti della città, bagnati dal primo sole del mattino.

Roma. L'ultima volta che l'avevo vista ero un uomo felice, sposato e innamorato. Anche in quella strana mattina, i colori caldi e infuocati dei mattoni antichi della città mi ricordavano quanto profondo fosse il sentimento che mi legava a mia moglie.

Anni passati. I miei gialli e i miei rossi erano stati soffocati dal nero e dal blu.

Per anni avevo lasciato che l'odio verso gli assassini di mia moglie mi deformasse in un mostro. Per anni ero vissuto con una ferita, mai davvero rimarginata, che riempiva il mio cuore di dolore e rammarico. Per anni avevo convissuto con il senso di colpa, per aver lasciato Ylenia in mano ai miei nemici...

Tutto inutile!

La mia sofferenza era nata da una menzogna: raggirato come il più stupido della storia! Non ricordavo neanche chi mi avesse informato della morte di mia moglie per mano dei servizi segreti russi, ma era una notizia credibile, quindi nel suo raggiro Ylenia aveva trovato molti complici.

Così come il suo silenzio riguardo a Henry.

I nostri occhi si erano incrociati, una frazione di secondo dopo che quel ragazzino era uscito da sotto le coperte e l'aveva chiamata mamma. Avevo letto la colpa nel profondo delle sue iridi, diventate improvvisamente di un verde cupo. Come un bambino beccato con le mani nella scatola di biscotti. Anni di sotterfugi e bugie, anni di nascondigli, svelati da quell'unico sguardo.

"E' mio?" avevo chiesto, quasi incredulo, quasi sicuro che la risposta fosse stata negativa.

Invece aveva annuito, sconfitta, o forse stanca di nascondere la verità.

E' vero che in un primo momento ero rimasto gelato, paralizzato da una notizia che, se svelata cinquant'anni prima, avrebbe cambiato il corso di tutte le mie vite e del mio stesso destino. O magari avrei comunque scelto di servire Lucifero, ma per motivi che esulavano la vendetta.

Al primo attimo di sbandamento però, tutto il rancore taciuto per anni era esploso e l'amore, la tenerezza, che avevano accompagnato il ricordo di quella donna, si erano trasformati in puro odio.

Perché si era nascosta a me? Perché mi aveva nascosto che avevamo avuto un figlio?

Non avevo potuto evitare di ricoprirmi di una nuvola nera, di espanderla verso di lei, riempiendo l'odio con il dolore. Avrei voluto vederla soffrire, vederla supplicare di liberarla da un dolore che io avevo dovuto sopportare per anni, solo ed esclusivamente a causa del suo egoismo.

Non mi importavamo davvero i motivi che l'avevano indotta a farmi credere che fosse morta, mi importava solo della mia sofferenza e di ciò che avevo fatto a causa della sua scomparsa.

Avevo lasciato che la mia nube strisciasse fino a lei, sicuro di vederla contorcersi da un momento all'altro. Invece non era accaduto nulla. Come se avesse incontrato un paravento, il mio odio si era infranto in una barriera invisibile, che gli impediva di giungere fino a lei.

Così mi ero voltato verso Henry. Lo avevo guardato con attenzione per la prima volta.

Aveva la mia stessa attaccatura di capelli, anche se i suoi erano di un castano dorato; le mie stesse spalle larghe e muscolose; a occhio, la mia stessa altezza.

"Il ragazzo è senza colori..." avevo sentito sussurrarmi da Giulio alle mie spalle.

Questo poteva voler dire solo una cosa: che i miei poteri potevano essersi trasferiti anche a lui. Solo che le sue mani tese in avanti, mostravano un potere diverso: riusciva a bloccarmi davvero? Per questo non potevo arrivare ad Ylenia?

Mia moglie mi aveva risposto con un sorriso beffardo e duro, perché evidentemente lei era a conoscenza dei poteri del figlio. Avevo sentito un dolore sordo in mezzo al petto: ero stato tagliato fuori anche da quel segreto, mentre  sarei stato così curioso di conoscere che cosa era in grado di fare il sangue del mio sangue.

Vite buttate nella consapevolezza che ero un disgraziato, un elemento di disturbo, un essere nato per nuocere all'umanità. Invece ero stato in grado di creare un miracolo, magari meglio di me, più forte, più buono... più degno di sopravvivere in quel mondo in cui io non avevo mai trovato un posto.

I nostri occhi si erano incrociati e nei suoi avevo visto tutto ciò che io non ero più.

"Lasciala stare..." mi aveva quasi supplicato, così consapevole delle mie intenzioni da spiazzarmi.

Tutto il mio odio era diventato polvere ed era franato a terra. Mi ero sentito scoperto e indifeso, di fronte a quella supplica. Non c'era paura, né condanna nella sua voce, solo comprensione. Quel ragazzo capiva ciò che sentivo, capace di leggere il mio cuore come neanche Michele era mai riuscito.

C'era anche una rassegnazione dolorosa, come se fosse abituato alla cattiveria, come se il mio comportamento fosse per lui usuale e prevedibile. Forse, negli anni, molti avevano contestato la decisione di Ylenia di tenerlo lontano dal mondo.

Mi ero guardato di nuovo intorno e tutto era diventato drammaticamente chiaro: quella camera, quella finestra affacciata su un mondo che non esisteva, altro non era che una prigione. Forse per mia moglie era un modo per proteggerlo, forse pensava di tenerlo al sicuro dall'umanità, ma allora tutte le sperimentazioni trovate nei computer non avrebbero avuto motivo di esistere. Guardandola con la nuova luce che la illuminava, mi resi conto che aveva scelto di donare Henry alla scienza. Peggio, considerando la giovane età del ragazzo, era evidente che anche lui aveva subito delle rinascite, quindi delle morti, forse neanche tanto accidentali.

Avevo sentito i peli della mia schiena rizzarsi dal raccapriccio per ciò che quella donna, che avevo così tanto amato e considerato meravigliosa, aveva potuto organizzare, sicuramente con coscienza.

Mi era bastata quella consapevolezza per prendere lamia decisione e le parole erano uscite dalle mie labbra come il primo regalo da fare a mio figlio, la stessa emozione di un padre che riporta a casa la prima bicicletta all'amata prole:

"Vieni via con me."

Avevo letto la meraviglia nel suo sguardo, come se per lui, in tanti anni, non fosse mai esistito niente al di fuori di quel laboratorio.

"Henry non va da nessuna parte, il suo posto è qui!" anche la voce di Ylenia era diventata cruda e priva di ogni traccia d'affetto.

Non aveva però fatto i conti con i sentimenti di un ragazzo costretto a vivere un'intera vita segregato.

"Nel mondo fuori?" aveva chiesto con una vena di speranza così profonda da lacerarmi il cuore.

"Ci sarò io a proteggerti, sempre!" avevo promesso ed ero convinto di ciò che dicevo. Era carne della mia carne, colore dei miei colori, non l'avrei mai abbandonato, non l'avrei lasciato nelle mani di quei mostri.

Si era voltato lentamente, alla ricerca di qualcosa. Era andato alla scrivania, ne aveva aperto un cassetto e ne aveva estratto una foto: di Ylenia, un po' più giovane, ma ugualmente tesa.

Poi era venuto verso di me, mentre la madre urlava che avrebbe sguindagliato i suoi cani per l'intero globo pur di riaverlo. Nessuno dei due le aveva dato peso. Gi avevo messo un braccio intorno alle spalle, a dimostrargli un amore che mai avevo pensato di poter riprovare e insieme avevamo guardato Giulio:

"Andiamo via da qui!" gli avevo chiesto, carico di così tante emozioni che avevo visto quel soldato d'acciaio sorridermi contento.

Avevamo viaggiato per giorni, cercando di far perdere le nostre tracce, per metà Europa.

Quella mattina era l'unica di vero riposo che ci stavamo concedendo. Non importava più la fatica, l'ansia. Avrei lottato per tutto il tempo che mi rimaneva, solo perché Henry scoprisse quanto bello era il mondo, quanto cattiva era l'umanità, ma quanto io lo amavo. Ogni volta che le guardavo le mie mani le trovavo gialle o addirittura arancioni.

Avevo amato Ylenia e avevo rinunciato a tutto per lei. Da pochi giorni avevo imparato che l'odio non ha scampo di fronte all'amore e lentamente i miei colori si stavano trasformando. Avrei ritrovato la mia vera natura e c'era solo una persona a cui avrei voluto comunicare una notizia così meravigliosa.

Quella mattina decisi che era ora di tornare da Alex. Non l'avevo ancora detto a Giulio, ma io riuscivo a sentirla molto bene, sapevo il momento esatto in cui si era risvegliata e tutte le immagini su di lei mi parlavano di un uomo di cui non conoscevo il nome, ma avevo visto la sua casa. Ero quasi sicuro che fosse una persona poco raccomandabile, ma molto attaccata ad Alex, che sentivo al sicuro.

Mi mancava solo di preparare Giulio a rincontrare Alex. Oramai era chiaro che avrei dovuto prendermi cura io di quei tre ragazzi e niente mi sembrava più dignitoso di una vita finalmente spesa per qualcosa di utile. Forse era davvero quello il mio destino e me ne sentii fiero.



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