Nuova vita
"Sveglia! È ora di andare"
Non sentivo che delle voci soffuse, e delle mani che mi strattonavano. Il dolore si era alleviato, ma la mia testa era completamente a soqquadro.
L'aria pungente indicava che nella terra l'inverno regnava sovrano.
Piano piano i miei occhi si andavano schiudendo, non c'era luce, solo l'eterna e opprimente oscurità, che avvolgeva alberi, abitazioni e ogni essere vivente o meno che calpestava quel suolo.
"Ehi ragazzo sbrigati dobbiamo andare"
Il mio interlocutore era un uomo massiccio di mezza età, molto probabilmente russo.
Indossava una tuta militare e un elmetto mezzo distrutto dai colpi di mitra.
Cercai di alzarmi ma un dolore tagliente mi costrinse giù.
"Non ci riesco"
La mia voce era molto flebile. L'uomo non si scoraggiò e mi carico nelle sue spalle.
Non finirò mai di ringraziarlo.
Attorno a me la gente stava dirigendosi verso un enorme cancello. L'ambiente era sporco e malmesso, tuttavia fosse all'esterno l'odore di muffa..no non era muffa..l'odore di morte era nauseante.
Se quelli che camminavano erano uomini, allora io potevo essere benissimo un demone. Essi erano così magri, così sciupati che un sottile filo di vento li avrebbe uccisi, ma nonostante tutto sorridevano e cantavano inni al cielo.
I demoni avevano perso, sì ma a che costo. Noi avevamo vinto, ma quante vite erano state sacrificate.
Vite innocenti, animi puri scomparsi per nulla.
Passai più di un mese sotto osservazione in un ospedale francese.
Non rammendo il nome.
Mi dissero che avevo una spalla rotta e varie costole fratturate.
Così passai tutto il mese di gennaio tra quelle mura grigie e fredde. Quando potevo pregavo e cercavo di chiamare i miei fratelli, di implorarli a tornare per riportarmi a casa, ma tutte le mie preghiere furono vane.
Un giorno di febbraio un medico mi disse che avevo una visita. Era una donna.
"Si è lui" diceva lei da lontano, riuscivo a sentirla grazie al mio udito semi divino.
"È sicura di conoscerlo. Lui dice di non avere genitori.."
"Dottore, lei come nessun altro deve capire lo shock della guerra, lui è mio figlio."
Restai immobile ad osservare quella donna. Come poteva dire sul serio, nemmeno la conoscevo.
"Signorino, è dimesso potete tornare nella vostra casa" il medico era un uomo sui sessant'anni: alto con degli occhiali rotondi abbastanza grandi.
Teneva le mani dietro la schiena e il suo sguardo era assai preoccupato, si notava dalle sopracciglia aggrottate.
"Ma dottore io.."
"Caro su è ora di andare, di tornare a casa." La donna mi interruppe.
Era bellissima, da vicino lo era ancora di più. Doveva avere circa cinquant'anni ma ne dimostrava molto meno. Con movimenti lenti spostò una ciocca di capelli corvini dalla fronte,per scoprire un paio d'occhi verdi come l'erba bagnata di rugiada.
Non potei fare altro che annuire. Almeno sarei uscito da quel luogo grigio e pieno di dolore.
Mi rivestì velocemente, la spalla strillava di dolore.
Non feci domande alla donna durante la nostra uscita dall'ospedale. Semplicemente osservavo: c'erano molti ragazzi, la maggior parte con arti amputati o enormi fasciature sul capo e il sangue represso nella pelle.
Poi tra le tante urla di dolore e paura e ancora di sofferenza sentii un urlo diverso; era più un pianto..il pianto di un bambino.
Mi sporsi in una porta, quella da cui proveniva il pianto. Una donna aveva appena dato alla luce un neonato; quello mi stupì più di ogni altra cosa. Lei che aveva sofferto così tanto, che molto probabilmente aveva perso il marito in guerra, adesso, in quel momento, in quel luogo buio e pieno di tristezza, Lei sorrideva e piangeva di gioia.
Sorrisi.
"Andiamo. Cris."
"Come conosce il mio nome..?" Chiesi quasi d'impulso.
"Oh caro tutti gli angeli conoscono i loro luogotenenti" sorrise, un sorriso puro e libero, uno di quelli che mai avevo visto.
"Sei un..angelo?"
Non diedi il tempo di risponderle, d'altronde era ovvio l'aveva appena detto, e subito continuai
"Come mi hai trovato..?"
"Ok ok piano con le domande" altro sorriso caldo e affettuoso
"Si sono un angelo, ho sentito la tua aura, mi hanno detto che ti sei rotto una spalla..vieni abbiamo una casa qui vicino..per un po' puoi stare da noi.."
Temetti quel -per un po'- non avevo voglia di parlare del fatto che non riuscivo più a volare.
"Lei come si chiama?" Domandai guardandola in quei suoi occhi verde smeraldo.
"Oh per favore caro, dammi pure del tu o solamente un centinaio di anni più di te" sorrise per un po' e anche io risi liberamente, era da molto che non ridevo così puramente.
"Comunque mi chiamo Anna"
L'abitazione di Anna era formata da una grande famiglia.
Lei era come una madre, poi c'era Giosuè il suo compagno e infine c'erano i piccoli, non erano loro figli ma erano angeli che ancora non avevano trovato la loro anima, il compagno da proteggere.
In quel periodo eravamo quattro: io, Mattia, che era qualche anno più grande di me, Jonathan, il quale sarebbe rimasto con noi solo qualche settimana poiché già aveva trovato la sua metà. Tutti erano molto contenti per lui, ma Anna l'aveva praticamente cresciuto e un po' era triste ma comunque orgogliosa, ed infine c'era Angelo, era un demone.
So che può sembrare strano ma delle volte anche gli angeli commettono degli errori; delle volte angeli e demoni si uniscono e danno vita a strani esseri, per lo più demoni, ecco Angelo era uno di essi. Aveva l'aspetto di un demone ma la stessa missione di un angelo. Era molto silenzioso, di carnagione scura, quasi nera.
"Ragazzi! Sveglia è ora della colazione!"
Mattia emise un ghigno simile ad un -non ancora-
Mi alzai, spostai le lenzuola, mi misi a sedere e sbadigliai.
Feci una breve, ma preziosa preghiera e mi diressi al bagno.
Erano passati cinque anni da quando ero caduto nella terra.
Avevamo cambiato due città, Parigi, Berlino, e in quel periodo vivevamo ad Atene una bella città piena di storia e brava gente. Per non farci notare troppo.
Sciacquai il mio volto.
L'acqua era gelata. Alzai il viso e incontrai il mio riflesso nella trasparenza assoluta dello specchio, il mio volto era assente, vuoto, senza alcuna emozione, quello di un arcangelo.
I capelli un tempo lunghi, sempre legati dietro la nuca, adesso erano corti, cortissimi, di un bianco sporco. Gli occhi stanchi delle nottate bianche che avevo passato, nonostante tutto mantenevano il colore cristallino che qualsiasi arcangelo possedeva, e quell'aspetto da sedicenne che mi rendeva così piccolo. Chiusi gli occhi e respirai fortissimo, poi asciugai il viso e iniziai gli esercizi mattutini: cinquanta addominali alla porta e dieci minuti di flessioni, per mantenere il corpo in esercizio.
Indossai una camicia, un paio di pantaloni neri e scesi giù.
"Anna io oggi non mangio..devo andare in un posto.."
" Nemmeno un.." non sentii il resto, ero già uscito.
Quasi ogni mattina avevo preso quell'abitudine.
Prendevo il bus, arrivavo nell'acropoli di Atene.
Era bellissimo.
Avevo trovato un posto magnifico, forse doveva trattarsi del colle di Leopardi o magari era proprio il luogo in cui Atena e Poseidone si erano contesi la città, perché era qualcosa di magnifico.
Quel giorno l'alba era più chiara e abbagliante del solito. Ero solo.
Mi avvicinai all'altura.
"Oggi, oggi posso farcela"
Mi tolsi la maglia e lasciai che la luce del sole mi penetrasse il cuore. Chiusi gli occhi.
Dei sottili fuochi invasero la mia schiena. Lentamente aprii le braccia, dalla mia schiena sgusciarono un paio di ali. Non erano più le stesse di prima, la loro grandezza e la loro bellezza erano svanite.
Dischiusi gli occhi e vedendo la prima piuma mezza annerita una lacrima cercò a tutti i costi di evadere dai miei occhi. La scacciai distogliendo lo sguardo.
Dovete sapere che passato un certo periodo fuori dal paradiso, per noi arcangeli non è molto salutare. Pian piano iniziamo a perdere la nostra parte divina e ci trasformiamo in esseri simili agli umani con la differenza che non abbiamo più uno scopo nella vita, siamo immortali eppure la vita diventa peggiore di qualunque morte.
Mi morsi un labbro, poi sorrisi.
"Diamine io sono Cris! E sono un arcangelo!"
Urlai al cielo e al sole poi mi buttai.
Il vento mi schiaffeggiava il viso, il cielo mi proteggeva le spalle, il sole rafforzava i miei muscoli. Tutto era perfetto, se non che le mie ali non volevano sentirne di abbassarsi e rialzarsi, No.
Restavano immobili rigide e allora tutto cambiò.
Il sorriso si trasformò in un urlo disperato, mi dimenavo come un pazzo.
Agitavo le braccia e le gambe (non so perché lo facessi, forse cercavo di volare..) il suolo era sempre più vicino sempre più potente. Ad un tratto la forza di gravità diventò più attrattiva il mio peso aumentò.
Chiusi gli occhi cercando di evitare lo shock dell'impatto, ero già caduto una volta e non avevo intenzione, stavolta, di spezzarmi l'osso del collo.
"Aiuto!"
Ancora una volta quella sensazione strana, il presentimento che il buio riempia la tua anima.
Paura.
Il cuore pompa sangue a non finire, e la testa pulsa di dolore, poi arriva il momento in cui ti schianti..
No, quella volta non accadde.
Un paio di braccia possenti afferrarono il mio corpo in caduta. Angelo.
"Cosa ti è passato per la mente!" Anna era furiosa con me.
"Scusami io non.."
Lei si mise una mano davanti la bocca per trattenere le lacrime.
"Avremmo potuto perderti, e perdere un arcangelo è come vedere un esercito di angeli cadere in guerra, ancora di più se ha vissuto con te.."
"Scusami Anna, io volevo semplicemente provare almeno un'ultima volta..queste mie dannate ali!" Sbattei i pugni nel tavolo dov'ero seduto. Tenevo lo sguardo abbassato.
"E no! Non voglio essere trattato come un dio! Io sono uno di voi e anche io sbaglio.." una lacrima mi solcò la guancia.
Anna venne ad abbracciarmi, un calore affettuoso mi invase il corpo. Restai immobile, gli occhi spalancati.
Non avevo mai ricevuto un abbraccio.
Diedi delle pacche sulle spalle di lei, dovetti sembrare ridicolo perché Giosuè mi guardo con uno sguardo divertito in volto.
"Va bene caro, per stavolta te la sei scampata!"
"Mi dispiace Anna, davvero, scusami. Scusatemi tutti" dissi guardando ogni singolo volto che avevo attorno.
"Non ci sono segreti in questa casa Cris, siamo una famiglia e come tale ci comportiamo" Mattia aveva le braccia incrociate e mi guardava con un volto preoccupato.
"Lo so Mattia, sono stato uno sciocco a non fidarmi di voi, ma non riuscire a..non riuscire a volare mi rende così inutile.."
"Caro.." Anna mi accarezzo una guancia "Non devi vergognarti per ciò che sei, dovrai vergognarti quando farai finta di essere ciò che non sei" mi sorrise, con quel sorriso dannatamente caldo e affettuoso.
"Vai a riposare adesso..domani andremo via"
Cercai di ribattere, sapevo che era stata colpa mia. Qualcuno aveva visto la mia luce.
Anna mi interruppe "Non è per colpa tua. Dobbiamo andare a conoscere la metà di Jonathan"
Cercò di rassicurarmi, ma in fondo sapevo che era colpa mia annuii "Dove andremo ?"
"Un piccolo paesino del Canada, vicino Ottawa..lì c'è poco sole e poco rischio di farsi notare.."
"D'accordo.."
Andai nella mia stanza seguito da Angelo. Non parlava spesso, ma i suoi silenzi erano i discorsi più puri di qualunque altro essere; gli sorrisi e lui ricambiò cosciente del fatto che adesso eravamo fratelli, veri fratelli.
Soprattutto io ero sicuro di avere una famiglia, e di potermi fidare di essa.
Stavo perdendo la mia parte divina e faceva male, ma non tutti i problemi portano ad errori, finalmente iniziavo a capire che le emozioni non fanno male, o almeno lo credevo.
Ciao ragazzi !!! Scusatemi per il ritardo :(
Allora che ne dite della storia. Fatemi sapere se vi piace !!
Naturalmente se notate errori fatemelo assolutamente sapere ;) e se vi è piaciuta la storia...STELLINA IN SU ;)
A presto,
Saiph03 :)
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