5.
Ari si risvegliò intorpidita, le palpebre appiccicate faticavano ad aprirsi, così iniziò a stropicciarsi gli occhi con le mani.
“Aradia!”
Trasalì, si mise a sedere con il cuore in gola. La voce era lì, davanti a lei. Ora aveva un volto, e due occhi che la guardavano con stupore. “Cosa… chi sei?”
“Io…”
Poi i due scattarono all’unisono: “Ma dove siamo?”
Intorno a loro il terreno era quasi pianeggiante e ricoperto perlopiù da erba alta, spighe d’orzo murino e steli sormontati da fiori selvatici. Ari tendeva le orecchie, ma non c’erano suoni udibili, se non, sporadicamente, il frusciare dell’erba spostata dal passaggio di qualche animale nascosto. In lontananza sembrava ci fossero dei grilli, ma il loro cri-cri era distorto dalla brezza e appena udibile. In ogni caso, nessun rumore d’auto o attività antropica di sorta.
Aguzzando la vista si poteva vedere il profilo delle montagne all’orizzonte. Ari si mise in piedi e si guardò attorno, rilevando anche verdi colline boscose che sorgevano un po’ più vicine. Ok, sono decisamente fuori dalle vecchie mura di Taurinì…
Il cielo era quello roseo del crepuscolo, e sembrava proprio non esserci niente e nessuno attorno a loro; non a portata visiva, almeno. Ma come ci sono finita?
Nonostante quei pensieri inquietanti però, si sentiva stranamente calma: era come se quel posto le infondesse tranquillità. E allo stesso modo, quel suo coetaneo appariva incredulo, ma piuttosto rilassato.
“Ricominciamo,” disse Ari, “Chi sei? Come sai il mio nome?”
Lui la fissò incredulo, poi gli scappò una risata nervosa: “Aradia, sei proprio tu? L’Aradia che vede le magie nei tarocchi e le mostra ai suoi più cari amici?”
Aradia annuì con vigore: “Sì, sono io, mi vuoi dire chi accidenti sei tu, invece? E come fai a conoscermi?”
“Non ha davvero senso che tu me lo chieda…” rispose lui, poi si alzò e iniziò a guardarsi attorno a sua volta.
“Perché non mi dici chi sei?” insisté Ari, imponendogli un faccia a faccia e cercando il suo sguardo.
Il ragazzo la squadrò, scosse la testa, poi si mise a fissare la catena collinare in lontananza. Trasse un respiro per farsi coraggio e si incamminò in quella direzione di buona lena.
Ari lo seguì incredula. “Mi vuoi dire almeno dove siamo?”
“Perché dovrei saperlo?” sbottò lui, poi riprese ad avanzare.
“Dove vai così di corsa, se non sai nemmeno dove ti trovi?”
Il ragazzo sbuffò, si fermò: aveva ragione.
“Vuoi dirmi almeno come ti chiami?” provò ancora Aradia.
Lui cambiò espressione, di nuovo gli si stava dipingendo la perplessità sul viso: “Io… non lo so…” ammise.
Ari lo guardò di traverso: “Sai il mio nome e non il tuo?”
“Senti,” le si avvicinò, la guardò dritta in volto, “mi trovo in una situazione talmente assurda da essere costretto a immaginare che tu possa non saperlo…” si fermò, per vedere se aveva la sua attenzione; e vide che Aradia pendeva dalle sue labbra, così proseguì: “Tu sei Aradia Castelli, sei… un personaggio della mia fantasia. Immagino la tua storia ogni giorno. Non esisti, non davvero, Aradia. Ti sto solo immaginando, non capisco perché tu possa parlare con me e farmi domande. Non capisco come tu possa essere qui. Probabilmente sto impazzendo!”
La ragazza restò inebetita per un po’, poi si fece avanti: “Forse tu credi che sia così, forse mi confondi con… Qualcun’altra.”
“Lo spero. Perché se sto parlando con un personaggio della mia fantasia, allora sto diventando matto, fuori come un balcone.”
Aradia sorrise: era un’espressione che usava spesso anche lei. Questo, si disse, deve essere un sogno, nulla più. “Perché puntavi quelle colline?” chiese, pensando che in ogni caso orizzontarsi fosse la scelta migliore.
“Taurinì è circondata da colline… Forse siamo solo fuori dalle vecchie mura, e la cosa migliore è prima di tutto tornare dentro.”
Ari annuì: lo aveva pensato anche lei, ma quella totale assenza di altri esseri umani nelle vicinanze la sconcertava. D’altra parte, come ogni brava cittadina, di rado era uscita da Taurinì. Le pareva anche di aver studiato a scuola che le colline stesse, a ridosso della città, erano inglobate dalle mura… Ma non ne era sicura, e si sentiva parecchio confusa. “Va bene… andiamo verso le colline.”
E così, i due si incamminarono insieme. “Sai,” disse lui a un certo punto, “avevo un gran brutto presentimento quando stavi lì a desiderare di essere altrove. E ora guardaci: questo posto, è sicuramente un… altrove.”
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