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VENTOTTO

Il cielo si era fatto di un intenso blu, costellato di stelle. Sembrava proprio uno di quei paesaggi da cartolina da applicare sullo sfondo di una coppia innamorata.

Loro erano una coppia.

Camminavano a diversi metri di distanza.

Non erano neanche una vera coppia, ma parte di un trio.

E di certo le coppie non camminavano a metri di distanza durante le loro uscite romantiche.

Di romantico, quindi, gli restava il cielo e Abel sapeva benissimo che non gli sarebbe bastato – non sarebbe affatto bastato a rendere quella notte meno agghiacciante.

Faceva caldo, sì, e il sudore gli aveva già incollato ciocche di capelli alla fronte, sul collo; inumidito le palme delle mani e dei piedi, mentre muoveva le dita di quest'ultimi, sfregandole contro il tessuto dei calzini, già bagnato a sua volta. Era zuppo di sudore per la tensione e la paura, ma non se ne curò minimamente.

Poteva ancora scorgere Florian alla stregua di un'ombra scura che si stagliava su uno sfondo ancora più scuro, sporadicamente illuminato in modo parziale da qualche lampione, dalla luce tenue delle stelle.

Agghiacciante.

Non c'era neanche la luna a fargli compagnia mentre seguiva il suo amante, stando persino attento a modulare il respiro di modo che non risultasse troppo affannoso.

Agghiacciante.

Non voleva che Florian si accorgesse di essere seguito.

Strinse con forza il bordo di un muro, spiando i movimenti del vampiro, mentre si fermava di colpo e si guardava intorno.

Che avesse percepito la sua presenza?

Eppure c'era da temere che in realtà Florian sapesse benissimo di essere seguito da lui.

Lo aveva davvero atteso nel mezzo del soggiorno di casa prima di uscire per quel suo pellegrinaggio notturno?
Abel non ne era sicuro.

Forse si era trattato di una coincidenza: era quasi certo che Florian versasse in uno stato di trance – o qualcosa di simile. Prima di quella notte non aveva mai visto i suoi occhi tingersi di rosso. Rossi più del fuoco, del sangue fresco. Si era sempre sentito come sprofondare nel nero assoluto delle sue iridi, accolto come all'interno di un caldo e denso abbraccio. Se prima d'allora si fossero colorati di rosso era sicurissimo che avrebbe finito per accorgersene.

Forse aveva creduto che lui dormisse, con Reik.
Forse non lo aveva atteso per nulla, ma il caso aveva voluto che Abel si accorgesse di quanto stava accadendo.

Ma cosa stava accadendo davvero?
Non lo sapeva.
Non sapeva dove erano diretti né perché, ed era terribile che quell'episodio si stesse svolgendo proprio quando aveva fatto pace con lui, si erano chiariti.

Strinse con forza il bordo del muro e aggrottò la fronte.
Florian tornò a rivolgere il viso verso destra, abbandonò la posa molle che aveva reso le sue spalle basse, le sue gambe incerte nel reggere il peso del corpo. Rizzò la testa e la schiena.

Abel deglutì, indeciso se correre da lui, scappare o restare lì nascosto dal profilo di un palazzo, in attesa. Odiava attendere, odiava non sapere quello che stava succedendo. Si morse un labbro e un'altra figura parve staccarsi dalle ombre lunghe della notte.

Si trovavano in una zona periferica di Idstein, non aveva idea di quanto avessero camminato – la paura e l'ansia gli avevano impedito di percepire la stanchezza del percorso – ma, in quel momento, si pentì amaramente di trovarsi lì. Sgranò gli occhi e si tappò la bocca con una mano, mentre il cuore gli schizzava in gola. Si staccò in modo repentino dalla parete, nel vano tentativo di nascondersi.

Sapeva che non sarebbe bastato, non quando la persona che aveva appena raggiunto Florian era in grado di leggere la mente altrui.
Sarebbe stato sufficiente imporsi di non pensare? Avrebbe percepito la sua paura, le sue emozioni, avrebbe sentito il martellante battito del suo cuore, i respiri rantolanti incastrati in fondo alla bocca? Temeva di sì.

Magda, telepatia o meno, restava una lamia e i suoi sensi erano sicuramente più sensibili di quelli di un essere umano.

Deglutì a vuoto e, tremando, si affacciò di nuovo oltre il profilo del palazzo dietro cui continuava a nascondersi.

Erano stati amici, un tempo, lui e Magda.
Non era cambiata di una sola virgola, in quei mesi, come se il tempo non fosse trascorso per lei – e sapeva pure che era proprio così: Magda era immortale. Persino la lunghezza dei suoi capelli era una cosa che mai sarebbe mutata in lei in modo naturale, solo l'illusione creata dalla sua stessa magia avrebbe potuto far credere che avesse cambiato acconciatura, ma Magda era Magda, era sempre stata fin troppo fiera delle sue origini non umane. Non si sarebbe mai messa ad applicare su di sé arti da magica parrucchiera solo per celare la sua vera natura. Spiccava sotto la luce di un lampione con la sua chioma color rubino, vaporosa, intenta ad avvolgere il suo esile e pallido corpo come un morbido mantello. Indossava uno dei suoi raffinatissimi abiti da gala, che la rendevano fuori luogo in quasi tutte le occasioni, ma che contribuivano ad attirare l'attenzione di chiunque su di sé.

Erano stati amici un tempo, lui e Magda, prima che tentasse di liberarsi di Reik – un lupo mannaro – lasciandolo a morire dissanguato davanti ai loro occhi. Conosceva i suoi poteri. Eppure, non si sentiva certo di voler lasciare il suo nascondiglio, anche se, con tutta probabilità, lei si era già accorta della sua presenza.

Florian restava immobile, come se fosse stato piantato sul marciapiede davanti alla sua ex-regina.

Ma era davvero ancora la sua ex-regina?

Abel deglutì a vuoto, ancora.
Cosa gli stavano tenendo nascosto quei due?

Stava ancora tentando di capire come comportarsi quando la notte venne squarciata dalla risata cristallina di Magda. Rise di cuore e per diversi secondi, portandosi una mano sulla pancia e un'altra davanti le labbra scarlatte. Poi si ricompose e scosse la testa, passandosi un dito sotto l'occhio destro, con estrema delicatezza. Dalla notte era arrivata e, in un battito di ciglia, dalla notte parve venire risucchiata, scomparendo alla vista.

Erano rientrati a casa. Abel aveva smesso di seguire Florian a distanza e gli si era affiancato per tutto il tragitto di ritorno, senza che il vampiro lo degnasse mai di una reazione, di una parola, di uno sguardo. I suoi occhi, una volta tornati nel soggiorno di casa, avevano tremato un attimo. Aveva serrato le palpebre, mentre il suo corpo pareva svuotarsi di tutta la forza. Lo aveva visto accortocciarsi su se stesso e subito era corso a soccorrerlo, a reggerlo, mentre Florian si portava una mano a una tempia, sospirava e si aggrappava a lui. Quando riaprì gli occhi, Abel notò che le sue iridi erano tornate ad essere di un colore più scuro di quello di un cielo notturno.
Trasse un sospiro di sollievo, Florian sorrise a sua volta e svenne.

Mancò poco che ad Abel venisse un colpo per lo spavento. Si trattenne dall'urlare in tutte le lingue da lui conosciute – conosceva solo il tedesco, ma questo era assolutamente secondario: era sicuro che l'ignoranza sarebbe venuta subito meno di fronte la paura. Ma, tutto sommato, gli sembrava che il vampiro stesse bene: non respirava, il cuore non batteva e la pelle era decisamente gelida.

Nulla di fuori dall'ordinario, si disse, sbuffando, continuando a reggere il peso dell'uomo come meglio poteva, dall'alto del suo scarso metro e sessanta. Come diamine faccio a capire se è morto quando, normalmente, sembra morto?!

Si caricò Florian addosso come meglio poté, piegandosi sotto il peso del suo corpo. La cosa più assurda di quella folle serata, tuttavia, fu che, in tutto il trambusto che Abel mise in scena dal soggiorno alla camera da letto, Florian continuò a interpretare il Bello Svenuto e Reik il Bello Addormentato.

Lo gettò di peso sul letto. -Cazzo!- sbottò ad alta voce, mentre il mannaro russava e il vampiro si girava su un fianco – segno che era ancora "vivo" –, assumendo una posizione infantile, con le ginocchia tirate quasi del tutto al petto e i pugni stretti davanti al viso, mentre su quest'ultimo si distendeva un'espressione decisamente rilassata. -E alla fine, finisce sempre che il culo lo fate a me- sbottò, spingendo le mani sui fianchi e piegandosi in avanti per lo sforzo. Scosse la testa e tornò in posizione eretta.

Era contento di aver scoperto pure un Reik dal sonno tanto pesante: se si fosse svegliato in quel momento, era sicurissimo che non avrebbe avuto la più pallida idea di quello che avrebbe dovuto – o meglio, potuto – dirgli riguardo quanto accaduto.

Forse per questo motivo non sa spiegarsi dove cazzo finisce Florian quando esce. Si addormenta e buonanotte, rifletté, mentre gli tornava alla mente quel particolare di una delle discussioni che aveva avuto con lui, riguardo proprio le abitudini strane del loro amante. Abel sbuffò esasperato. Aveva deciso che, a seguito del suo comportamento, Magda non era più una persona da considerare amica – anche se gli aveva donato metà del proprio covo pur di ottenere il suo perdono. Non aveva funzionato e il fatto che avesse scoperto che stava confabulando qualcosa con il suo innamorato vampiro... di certo non le faceva guadagnare punti simpatia.

Ma. Non aveva idea con chi avrebbe potuto confrontarsi riguardo quello di cui era stato testimone. Era certo che Reik, pur di non credere che ci fosse nulla di male in tutto ciò, si sarebbe inventato chissà quale assurda spiegazione. E poi non voleva mettere in mezzo Reik, sapendo quanto anche lui amasse il vampiro. Era già dannatamente scomodo che in quella posizione si trovasse lui, ché amava Florian, stava tentando di fidarsi di nuovo di lui.

Forse, avevano fatto pace troppo presto.

Sospirò e si portò una mano a una tempia. Telsa e Roberto erano troppo impegnati in altri, ben peggiori, cataclismi, per potersi permettere di farsi coinvolgere anche in quella assurda storia. Hauke era sparito. Non poteva fidarsi della sua famiglia e neppure più di Rudi – almeno fino a quando non avrebbe scoperto come, quanto e perché era davvero in combutta con Saul.

Un brivido di puro terrore lo fece tremare da capo a piedi. Se non poteva confidarsi con i suoi amanti, con la sua famiglia, con i suoi amici... restava una persona.
Una soltanto.
Ed era terrificante davvero pensare di essere già arrivati alla resa dei conti.

Recuperò il proprio cellulare e lesse l'ora sullo schermo: le quattro e zero sei. Perlomeno, non erano le due. Cinque, dieci minuti – due ore – di anticipo dalla sua probabile sveglia non avrebbero fatto alcuna differenza. No?

Fece partire la chiamata.
Primo squillo.
Secondo squillo.
Terzo squillo.
Segreteria telefonica.

Abel interruppe la chiamata e ne fece partire subito dopo un'altra allo stesso numero.

Primo squillo – Cioè, ormai quarto squillo...

-Schmidt!- urlò la voce di John e Abel scostò il cellulare dall'orecchio.

Riavvicinò l'apparecchio a sé. -Wow! Sei così sveglio che sei persino riuscito a leggere il mio nome sullo schermo, John Car...-

-No! Grandissimo bastardo! Ero sicuro che solo un rompicoglioni come te poteva svegliarmi alle...- e la voce del commissario si affievolì. Percepì un rantolo rabbioso, prima di udire ancora le sue urla raggiungerlo oltre il cellulare. -Sono le quattro del mattino! Tu stai fuori!-

Abel sospirò. -No, in realtà sto a casa-

-Sono le quattro del mattino!- insistette John.

-E che sarà mai! Due ore in più, due ore in meno di sonno...-

-Te l'ho detto che stai fuori, fuori di testa! Io non sono come te, per me il sonno è sacro! E dovresti rivedere le tue sacralità pure tu, dannazione-

Abel fece una smorfia. -Ho già Florian e Reik per rompermi le palle riguardo questo argomento-

-Uomini saggi-

-Come no!-

-Loro stanno dormendo?-

Si morse un labbro. -Sì- sussurrò.

-Hai visto...?-

-John!- lo interruppe e l'altro si zittì di colpo. Forse aveva intuito, dal suo tono di voce, che il tempo per le cazzate era terminato. -Ho bisogno del tuo aiuto-

Baker rimase in silenzio per un paio di secondi. -Da me o da te? Immagino sia meglio evitare il commissariato-

Abel sorrise triste e l'ennesimo brivido gli attraversò le spalle. -Immagini bene- mormorò e strinse con forza il cellulare, premendolo ancora di più contro l'orecchio. -Vengo io da te-

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