VENTINOVE
Abel non ricordava di aver mai messo piede nell'appartamento di John Caro prima di quel giorn... nott... prima di quella mattina.
Erano appena le cinque, oltre le finestre del soggiorno il cielo iniziava a tingersi di calde sfumature luminose, di azzurri, rosa e bianchi che parevano vibrare tra le pieghe del manto notturno.
John gli aveva dovuto mandare la propria posizione, lui aveva fatto una doccia alla velocità della luce – non che fosse servita a granché, visto che era di nuovo tutto sudato. Aveva dovuto prendere un taxi, pagare il supplemento notturno, ma, alla fine, era riuscito ad arrivare lì, davanti la soglia dell'appartamento di Baker.
Una porta anonima, che si affacciava sul corridoio anonimo di un anonimo palazzo di neanche dieci piani. Un palazzo moderno, situato nella zona moderna della città. Nulla a che vedere con le casette caratteristiche del posto o con il palazzo in cui viveva lui e che, un tempo, era stato una grande villa, dentro cui avevano ricavato tanti appartamentini tutti uguali.
La cosa meno anonima di quello che aveva potuto vedere della casa di Baker, fino a quel momento, era proprio Baker: i capelli arruffati, gli occhi stanchi, assonnati. La barba incolta che gli adombrava le guance magre. La vestaglia lunga, che lo copriva fino ai piedi nudi, che lasciavano impronte umide sul pavimento di legno.
-Non senti caldo?- domandò, indicando con un cenno del capo l'indumento invernale che indossava.
-Dormo nudo. Al buio, è stata la prima cosa che ho riesumato dal fondo dell'armadio...- Abel aprì bocca, ma lui sollevò una mano, interrompendolo subito. -Non ho idea da dove l'abbia davvero riesumata-
-Non hai i vestiti estivi a portata di mano?- chiese, varcando l'ingresso, e finì dentro una stanza che somigliava vagamente alla sua cucina-soggiorno: era decisamente più piccola, asettica. I colori predominanti erano il bianco e il grigio e niente, non c'era proprio niente che potesse far pensare a un tocco personale da parte dell'inquilino, né negli arredamenti, né nelle varie decorazioni e suppellettili.
In giro c'era solo lo stretto necessario per vivere: una cucina, un tavolo, due sedie, un divano, un paio di armadietti.
-Non faccio il cambio stagione. Ho poca roba e fare un trasloco di vestiti a ogni cambio stagione sarebbe una perdita di tempo- disse John, passandosi una mano sul viso.
Abel si morse un labbro e rimase in silenzio più a lungo di quanto, con tutta probabilità, John fosse abituato a sentirlo. Difatti, l'uomo inarcò le sopracciglia, evidentemente stupito, rivolgendogli una muta domanda con lo sguardo.
-Stavo pensando- disse Abel e si strinse nelle spalle.
-Tu pensi?-
Aggrottò la fronte e si morse la punta della lingua.
Il commissario scosse la testa e si aggiustò il collo della vestaglia. -Sto crepando di caldo. Ho il tempo per farmi una doccia e cambiarmi? Oppure il mondo rischia di andare a puttane prima?-
-Vai, non ti preoccupare- rispose Abel mogio e lo sguardo di John si fece di colpo impenetrabile.
Sospirò: sapeva benissimo che se il suo amico decideva di indossare quella maschera precisa c'era da stare certi che dentro la sua mente si stessero muovendo pensieri poco piacevoli. Gli suscitava un certo disagio sapere di aver provocato in lui pensieri di quel tipo, ma si sentiva davvero troppo confuso e spaesato per riuscire anche a non dimostrarlo.
Prese posto sul divano, mentre John spariva dietro una porta, lasciandolo da solo.
Forse non è ancora riuscito a rassegnarsi a questa nuova vita, pensò. Sapeva che John si era trasferito a Idstein da neanche un anno, solo per inseguire i propri figli, trasferiti dal Canada alla Germania dall'ex moglie, che deteneva il collocamento dei piccoli presso di sé. Non avevano mai affrontato quell'argomento scendendo nei dettagli. Abel sapeva che la ex moglie di John era una strega – nel vero senso sovrannaturale del termine –, che si erano sposati senza che lui fosse a conoscenza della sua vera natura, che avevano avuto due figli e solo quando il più piccolo avevano iniziato a manifestare stranezze non propriamente umane, la donna aveva pensato che – forse – fosse arrivato il momento di smettere di mentire al marito. Eppure Abel non sapeva qual era il vero motivo per cui i due avevano divorziato, non aveva mai conosciuto i figli di Baker, né sapeva chi era il nuovo patrigno dei bambini, come la donna lo aveva conosciuto, se si era già risposata oppure no, e, soprattutto, quanto ciò incidesse nel manifestarsi della maschera impenetrabile di Baker sul suo viso.
John era ancora innamorato di lei?
Rimpiangeva la vita che si era lasciato alle spalle in Canada?
Aveva avuto amici, parenti in Canada? Cosa ne avevano pensato, loro tutti, della sua scelta di cambiare Stato pur di non perdersi l'infanzia dei suoi figli?
Ad Abel tutto ciò metteva addosso tanta tristezza, ma gli suscitava anche una sconfinata tenerezza. John era un brav'uomo e lui si sentiva davvero entusiasta all'idea di essere suo amico – anche se il senso di colpa scaturito dalle proprie azioni e decisioni gli faceva dubitare di essere, a sua volta, un buon amico per lui.
-Dormi?-
Abel aprì gli occhi. Baker era chino su di lui. Aveva i capelli bagnati e indossava un paio di pantaloncini. Era la prima volta che lo vedeva tanto svestito e poté notare che il poliziotto poteva vantare un fisico asciutto, ben cesellato. Non era grosso di muscoli, ma sicuramente, gli abiti sgualciti e dal taglio elegante, ma spiegazzato, che era solito sfoggiare sul lavoro, non davano giustizia al suo fisico, non lo risaltavano per niente, anzi.
Che fosse proprio Baker a volere che fosse così?
Magari non vuole attirare l'attenzione su di sé.
-Secondo te?- si tirò a sedere e mosse il collo da una parte e dall'altra, sgranchendosi un po'. -Mi è venuto sonno-
-Non farla lunga, non c'ho messo così tanto- borbottò John, tirando i lembi della tovaglia, che teneva sulle spalle, verso il basso.
-Sei peggio di una principessina. Cosa hai fatto? Il massaggio con oli essenziali alla lavanda per illuminare la tua pelle delicata?-
-Delicata un cazzo. Sei tu la principessina delicata, mica io-
-Come no!-
-Chi è che vomita sulle scene del crimine?-
Abel gli rivolse un'occhiataccia, mentre l'amico sedeva al suo fianco sul divano. -Meglio sfoggiare una mise invernale ad agosto- lo punzecchiò, continuando a guardarsi intorno.
John scosse la testa e represse un sorriso con evidente fatica. -Perché sei qui?- gli domandò dopo un po'.
-Non mi offri del caffè?-
-Abel...-
Si alzò e si diresse a passo spedito in direzione della cucina. -Ho capito, mi servo da solo-
John sbuffò esasperato. -Perché sei qui?- chiese ancora, ma lui gli diede le spalle, dedicandosi alla macchinetta del caffè, mentre tentava di fare ordine nella propria testa, nella speranza di riuscire a confidarsi con lui senza creare ulteriori casini.
Non voleva che Baker finisse per porre Florian del tutto sotto una luce negativa, ma era altrettanto certo di non poter più tenergli segreti tutti i suoi timori, tutti quelli che si erano sommati a un'unica agghiacciante teoria, nata proprio da ciò di cui era stato testimone quella notte.
-Erich Vogel è fuggito- disse John e Abel trasalì.
Si volse verso di lui, stringendo tra le mani la tazza con il caffè. La avvicinò al viso, annusando l'inconfondibile aroma, in cerca di un po' di conforto. -Come?- John si strinse nelle spalle e poggiò la nuca sul poggiatesta del divano, chiudendo il occhi. Alzò una mano e la mosse nella sua direzione, simulando un gesto che avrebbe potuto significare tutto e niente. -Qualcuno l'ha aiutato?-
John ripeté lo stesso gesto. Aprì gli occhi e si girò a guardarlo, mentre Abel iniziava a sorseggiare il suo caffè. -Se hai paura che la tua lupacchiotta c'entri qualcosa, ti posso almeno assicurare che lei non c'entra nulla-
-È suo fratello...-
-Sì, ma Telsa ci ha pure aiutati rivelandoci alcuni dei punti deboli di Erich...-
-Siete in contatto con lei?- lo interruppe, stupito.
Non aveva notizie di quella storia da parte di Telsa più o meno dalla sera in cui avevano litigato al MoonClan.
-Beh, prima che sparisse di nuovo...- e John rimase in silenzio per qualche istante, rivolgendogli uno sguardo carico di sottintesi. -L'abbiamo convocata in commissariato come persona informata sui fatti, e lei ha avuto la lingua più sciolta di quanto mi aspettassi-
Abel sospirò. -Non mi ha detto nulla, probabilmente per ripicca. Avevamo litigato prima che... beh, prima che partisse di nuovo-
-L'importante è che abbia scelto di fare la cosa giusta- ribatté John e Abel annuì, tornando a sorseggiare il suo caffè.
-Avete idea di che fine abbia fatto Erich?-
-Nessuna. Nonostante l'aiuto di Telsa, brancoliamo nel buio-
-Fa molto telefilm americano, questa tua battuta-
John lo mandò a quel paese sia con il cenno di una mano sia a parole. Si alzò dal divano, gli si fece vicino, e lo superò per preparare un caffè anche per sé. Abel lo osservò mentre recuperava una bottiglia di vetro da uno dei mobiletti posti sotto il piano da lavoro, e lo vide versarne il contenuto dentro la propria tazza. Si sentiva in colpa sempre più all'idea di stare avendo con lui quei discorsi su Erich e Telsa, discorsi importantissimi, – per certi versi – pericolosi, ma per cui non nutriva alcun interesse. L'unica cosa che gli premeva era scoprire qual era il motivo per cui Florian e Magda erano ancora in contatto, a sua insaputa, eppure continuava a tergiversare, probabilmente perché troppo spaventato dalla possibile reazione di John davanti quell'ennesima ambigua novità sul conto del vampiro.
-Ne vuoi un po'?- domandò Baker, agitando la bottiglia davanti al suo viso.
-Cos'è?-
-Un liquore all'anice-
-Caffè corretto a stomaco vuoto?-
John riaprì il mobiletto sotto il piano da lavoro della cucina e ne tirò fuori un pacco di patatine. Aprì il mobile in alto e prese da lì una confezione di merendine. Poi passò al frigorifero e iniziò a uscire roba pure da lì, poggiando accanto alle altre cose una vaschetta di frutta e varie confezioni di affettati. -Il pane è nella cassetta di legno dietro di te-
Abel sedette sul piano da lavoro, accanto a tutta quella roba. Allungò una mano nella sua direzione e prese la bottiglia che l'altro gli porse, versando una buona dose di liquore nella propria tazza, poi iniziò a mangiucchiare un po' di frutta, mentre il suo stomaco protestava per la fame.
John rise e recuperò il pane, farcendolo poi con vari salumi. -Mangia- lo esortò, spingendo un panino nella sua direzione.
Abel aggrottò la fronte e lo prese in una mano. -Cos'è? Una specie di pigiama party degli orrori?-
-Nulla a che vedere con quello che ho affrontato ieri pomeriggio e quello che, con tutta probabilità, hai dovuto affrontare tu. Ti deve aver sconvolto tanto, questa cosa che non mi hai ancora detto, per condurti all'alba in casa mia, rompermi i coglioni, e, per giunta, facendoti tergiversare tanto da farti preferire alcol e cibo alle parole che, di solito, ti escono fuori di bocca a ripetizione, senza manco passare dal cervello-
Abel morse con rabbia il panino che l'amico gli aveva preparato e subito dopo beve un lungo sorso di caffè corretto. -Cosa è successo ieri pomeriggio?-
John scrollò le spalle. -Incontri del terzo tipo con la mia ex. E tu, Schmidt? Cosa sei venuto a raccontarmi che, però, non te la senti di raccontarmi?-
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